Un Kurdistan sempre più
instabile.
Nonostante
il Kurdistan irakeno sia ufficialmente sotto embargo e diviso da conflitti interni,
paradossalmente molti kurdi sperano che tutto rimanga esattamente com'è.
Di David Lawrence Aquila, da MERIP.
Gennaio 2001.
Circondato da quattro stati che certamente non lo amano, ufficialmente sotto embargo, ancora diviso da conflitti interni, il Kurdistan iracheno non ha avuto tempi buoni per anni. Paradossalmente, i curdi dell'Irak settentrionale sperano che tutto rimanga esattamente com'è. "Se il governo ritorna noi perdiamo tutto" dice Chasim Abdullah Azi un coltivatore di 35 anni. Azi inclina il suo Kalashnikov nell'angolo della sua capanna, prende le sue scarpe da te. Ho bisogno dell'arma da fuoco proteggere le pecore, dice. "I miei bambini sono piccoli così non capiscono." Quello che i figli non comprendono è che questo villaggio costruito in mattoni di fango, di 48 famiglie, come il resto del Kurdistan irakeno, è ufficialmente ancora dominato dal regime di Saddam Hussein. Qui a Dal da Ghan, la scuola elementare comincia ogni giorno con l'inno nazionale del Partito Democratico del Kurdistan (KDP). I figli studiano su manuali curdi stampati a Erbil, e sono troppo giovani per ricordare quando i loro padri erano soldati della resistenza curda. Durante la campagna irachena di Anfal, 4000 villaggi simili a questo furono svuotati con la forza, i campi bruciati e le case fatte saltare con la dinamite, dalle truppe governative. In alcuni casi i soldati hanno bruciato gli alberi, e hanno trasferito gli abitanti in campi lontani dai confini con Iran e Turchia. Si possono vedere ancora le rovine, villaggio dopo villaggio lungo le strade di grande comunicazione. Dal da Ghan è stata distrutta nel 1987. La ricostruzione di Dal da Ghan fa parte di un intervento assistenziale dell'ONU nell'Irak settentrionale. Negli anni scorsi il programma "residenza" dell'ONU ricerca i vecchi abitanti del villaggio per farli ritornare. Per il programma sono stati spesi 24,000 dollari per fornire il villaggio di materiali per ricostruire le case, le scuole, le strade e per l'installazione dell'acqua. Benché la recente siccità sembra terminata, dice Azi, "Senza le razioni di cibo, saremmo affamati."
Sull'elemosina dell'ONU
Di gran lunga, il fattore più importante della prosperità curda
è la calunniatissima risoluzione 986 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU,
conosciuta come "Oil-for-Food" (petrolio per cibo). Gli studi che
mostrano le distruzioni nell'area sotto il controllo del Governo Irakeno (GOI)
indicano che il benessere umano migliora leggermente nel nord. Il Dipartimento
di Stato americano, insieme ai maggiori partiti curdi, rivendica che questa
prosperità dimostra che la 986, quando amministrata dall'ONU come è
nel nord, è adeguata. I problemi della salute nelle aree GOI provano
che Saddam Hussein confisca cibo e medicine per manipolare l'opinione mondiale.
I funzionari dell'ONU danno una differente spiegazione. Giorgio Somerwill, portavoce
per l'ONU dell'Ufficio Coordinamenti umanitari in Irak (UNOCHI), abbatte i numeri
per spiegare la disparità. Le tre province curde comprendono il 13% della
popolazione dell'Iraq; perciò ricevono il 13% degli approvvigionamenti
che entrano attraverso "Oil-for-Food", senza dubbio importanti. Gli
indennizzi per i danni di guerra ammontano al 30% e le spese operative dell'ONU
al 3% vengono dedotte. Le aree GOI con l'87% della popolazione del paese quindi
ricevono solo il 54% di cibo e medicine. Somerwill afferma che il governo non
ha bloccato le consegne del cibo, sebbene ci sia un piccolo dubbio che Hussein
devii gli importi derivanti dal mercato nero per la sua sicurezza personale.
Dal 1991 le Organizzazioni Non Governative (ONG) hanno contribuito al benessere
dei curdi, senza il permesso governo iracheno. Sono riluttanti ad essere identificati
per nome, sono già una volta sfuggiti all'offensiva irachena del 1996.
La contribuzione delle ONG mira a completare la 986, un lavoratore dei soccorritori
ha fissato questo importo a intorno a 20 milioni di dollari l'anno. Gli obiettivi
delle ONG riguardano anche l'alfabetizzazione e la costruzione di organizzazioni
comunitarie non presenti nella 986. Un gruppo di ONG più grandi che lavorano
nel nord recentemente ha firmato una lettera protesta contro le sanzioni economiche,
ed anche contro la cultura della dipendenza creata dai programmi ONU.
La spartizione del mercato nero
Il petrolio commerciato per acquistare cibo non è il solo petrolio che
esce dall'Irak. L'embargo ha trasformato l'attraversamento dell'Ibrahim al-Khalil
sul confine turco nel contrabbando più lucroso della regione. La strada
è un collegamento diretto all'immensa economia della Turchia, ed è
tacitamente benedetta dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, che non la menzionano
nelle loro comunicazioni regolari sulle sanzioni economiche al regime iracheno.
Gli Stati Uniti sanno che il commercio del mercato nero paga la Turchia, della
perdita dell'Iraq come patner commerciale, quando si è unita alla coalizione
per la guerra del Golfo. Washington ha bisogno della base aerea turca di Incirlik
per continuare a pattugliare le "no fly zone" che suddividono l'Irak.
I redditi del mercato nero sono difficili da valutare e non è chiaro
se il flusso maggiore dei profitti vada per la maggior parte ai curdi. Nuove
ville e perfino un supermercato gigante è stato costruito a Dohuk, mentre
decine di migliaia di abitanti vivono ancora in baraccopoli ed accampamenti.
I redditi del petrolio sono anche il principale causa di disaccordi tra il due
partiti politici curdi. Tutti sono d'accordo che il KDP, guidato da Masoud Barzani,
sta facendo morire l'attraversamento l'Ibrahim al-Khalil. Quel reddito è
stato una perenne scusa per le azioni di guerra tra il KDP ed il suo concorrente,
l'Unione Patriottica di Kurdistan (PUK), diretto da Jalal Talabani. Attualmente
Talabani reclama per il KDP un milione di dollari al giorno come tasse del transito
per l'uscita del petrolio e per l'entrata dei beni di consumo. Ambedue i partiti
si tengono in costante contatto con gli stati confinanti, e gli Stati Uniti
e Baghdad cambiano alleati a seconda delle circostanze. L'ultimo round della
contesa, cominciata alla fine del 1993, come una piccola disputa politica e
territoriale, è rapidamente aumentata. Ambedue reclamano che l'altra
parte è ricorsa ad azioni militari per impedire sconfitte elettorali.
La guerra risultante ha causato migliaia di vittime. Talabani è stato
appoggiato pesantemente dall'Iran, ed il KDP ha dichiarato che il PUK si muoveva
dall'Iran per attaccare dietro alle loro linee. Costretto all'angolo, Barzani
ha aperto al regime iracheno nel 1996. "C'erano sfortunatamente delle contraddizione
tra noi e gli iracheni" dice l'erede apparente del KDP, Nichervan Barzani.
La guerra acuta continuò fino al 1998 quando un dopo un accordo a Washington
è iniziata la normalizzazione tra il PUK e KDP, e la preparazione delle
elezioni. Per soddisfare la Turchia, i due gruppi hanno convenuto di negare
un rifugio sicuro al PKK. Sono stati anche d'accordo a non richiedere l'intervento
dell'esercito iracheno. "Suppongo che l'invito era per il KDP, e l'impegno
era per il PUK" allude Talabani. Ci sono prove del disgelo al di là
del cessate il fuoco. Uno scambio di prigionieri è avvenuto in Aprile,
anche gli attacchi sulla stampa sono diminuiti, ed è difficile indurre
i leader dei due partiti a contestarsi l'un l'altro. "Non voglio parlare
del passato perché ora siamo più vicini," dice Talabani.
"stiamo avendo riunioni ad alto livello una volta o due volte la settimana."
Ma rimangono enormi ostacoli. La questione della divisione delle entrate causano
ancora dissidi, e i dirigenti del PUK si lamentano che il KDP li inganna. Barzani
risponde che grandi somme di denaro furono consegnato al PUK lo scorso autunno.
Successivamente, Talabani si è proclamato presidente del Kurdistan in
un'intervista rilasciata a giornalisti stranieri, ed ha cominciato ad installare
un sistema legale separato nell'area del PUK. "Ha già definito i
risultati delle elezioni in anticipo," dice Barzani.
Parchi acquatici e campi per i rifugiati
C'è uno stato d'animo festoso a Sulaymaniyya controllata dal PUK. Gli
studenti universitari che abitano vicino al campus studiano per gli esami. Acquirenti
riempiono i viali principali. Un parco acquatico, completo di barche giocattolo
a motore, chioschi per rinfrescarsi e uno zoo ben tenuto, è gremito di
gente. Sulaymaniyya mostra i segni del pluralismo che i curdi dicono di rappresentare.
Seri attori politici, come il Partito Comunista ed il Partito Islamico che attualmente
controlla la città di Halabja, criticano il PUK apertamente. Mentre nei
territori del KDP ogni ritratto di Hussein è stato sostituito da uno
di Masoud Barzani; qui ci sono solo pochi ritratti in giro. Gli osservatori
delle ONG sono stati impressionati dal ricambio e dalla trasparenza delle elezioni
municipali tenute lo scorso febbraio, sebbene il PUK abbia vinto come previsto.
Talabani ha capito che con la credibilità di queste elezioni ha guadagnato
lui. Sa anche che la breve alleanza di Barzani con Hussein gli è costata
politicamente. Giusto alcune miglia fuori Sulaymaniyya esistono migliaia di
grossi ostacoli alla normalizzazione tra il KDP e PUK. In tende improvvisate,
con l'immondizia in grandi buche all'aperto, vivono famiglie curde, o frazioni
di famiglie, che sopravvivono con le razioni ONU. Questo particolare campo è
chiamato Nuova Kirkuk , perché le persone gettate fuori da Kirkuk dall'esercito
iracheno arrivano a dozzine quasi ogni giorno. "preferisco vivere qui,
perché c'è libertà," dice un rifugiato, Sabria Mahmuda,
38, che è stato detenuto per un mese in un carcere irakeno prima della
sua deportazione da Kirkuk, "ma un giorno o l'altro mi piacerebbe ritornare."
Circa 900,000 rifugiati interni -- quanto un terzo della popolazione della regione
-- è disseminato nel Kurdistan irakeno. Alcuni di loro sono stati spostati
diversi periodi negli ultimi venti anni dalla violenza tra i Curdi qui ed in
Turchia. Alcuni sono impossibilitati a ritornare casa perché il suolo
è ancora cosparso di mine. Circa 200 persone al mese vengono uccise o
mutilate dalle mine, secondo un addetto alla rimozione delle mine dell'ONU.
Alcuni hanno membri della famiglia che sono soldati per una parte o l'altra
e sono stati colti sul lato sbagliato della linea del cessate il fuoco. I rifugiati
fuorusciti da Kirkuk rappresentano per i curdi il ricordo che l'esercito iracheno
è ancora al lavoro (sebbene i soldati sono così mal pagati che
qualche volta vendono le loro armi da fuoco alle guardie di confine curde).
Mentre alcuni hanno predetto il declino dei campi petroliferi di Kirkuk, essi
producono ancora intorno al 40% del petrolio prodotto in Irak per la 986. Il
governo iraKeno appare continuare la sua campagna per trasformare Kirkuk in
una città araba.
Istituzioni instabili
Dopo alcune miglia nell'altra direzione troviamo la sola raffineria di petrolio
del Kurdistan, forse il simbolo più grande di autonomia. Inoltre ora
il Kurdistan ha una sua valuta un suo sistema di telecomunicazioni e perfino
per risparmiare la luce del giorno un'ora legale: è avanti un'ora rispetto
a Baghdad. Le truppe curde addette al controllo dei confini portano uniformi
nuove di zecca. I Curdi mostrano così tanta indipendenza che, in una
recente visita diplomatica in Turchia, a Nichervan Barzani fu detto di non comportarsi
come un capo di stato. "Capiamo le loro preoccupazioni," dice Barzani,
"li abbiamo riassicurati che la nostra politica non è cambiata.
Non abbiamo intenzione di fondare uno stato Curdo" Ma la richiesta turca
sottolinea l'emotività della regione. Turchia ed Iran temono che uno
stato curdo indipendente ecciti gli irrequieti gruppi curdi sul loro territorio.
I curdi irakeni sanno che sconvolgendo i loro vicini, rischiano di perdere il
buon volere Occidentale che li protegge. Ambedue i partiti ripetono in un mantra:
vogliono l'autonomia all'interno di un Irak democratico. "La democrazia
di cui stiamo godendo ora proviene dall'appoggio degli Stati Uniti," dice
Kosrat Rasul, il Primo Ministro del PUK. "Altrimenti Saddam ritornerebbe."
I Curdi conoscono la dipendenza dagli Stati Uniti da un'amara esperienza passata.
Talabani pone la domanda: e se qualcuno mette una pallottola nella testa di
Hussein domani? E se gli Stati Uniti trovano un nuovo uomo forte sunnita da
sostenere, giusto come una volta sostennero Hussein? "Non può essere
come al tempo della Guerra Fredda," dice Talabani, "con gli Stati
Uniti sostenitori delle dittature. Non possono avere liberi mercati senza democrazia."
"In questi anni di globalizzazione nessun problema può essere considerato
come interno. Sono tutti internazionali," Barzani concorda. Qui il KDP
e PUK convergono in un pio desiderio: l'Ovest non può dimenticarli quando
un regime nuovo, o semplicemente un nuovo generale arabo sunnita, assumerà
la direzione a Baghdad. Ma entrambi i partiti sanno che gli Usa possono giustificare
anche quello. Valutazioni simili lasciano i curdi nella goffa posizione
di desiderare che lo status quo continui --incluso l'embargo, la suddivisione
nelle zone di non volo e sì, il dominio di Saddam Hussein. "Non
abbiamo ricevuto un dollaro dagli Stati Uniti. Non una pallottola. E molto sbagliato
pensare che senza gli Stati Uniti noi saremmo finiti. Saremo ancora qui. Forse
non qui ma su quella montagna," dice Talabani, indicando i picchi nevosi
lungo il confine iraniano. Ma per tutto il discorso di un nuovo ordine mondiale,
i curdi ricordano una fredda analogia. "Guarda che cosa è accaduto
in Cecenia," dice un dirigente KDP, scuotendo la testa.