I TENTACOLI DELL'OVRA.
LA POLIZIA POLITICA COME STRUMENTO DI GOVERNO. AGENTI, COLLABORATORI E VITTIME DELLA POLIZIA POLITICA FASCISTA. RECENSIONE-SINTESI AL LIBRO DI MIMMO FRANZINELLI, BOLLATI-BORINGHIERI, 1999


dicembre 1999, REDS

 

Elegante volume rilegato, di oltre 700 pagine, presenta un'introduzione e 12 capitoli tematico-cronologici di quasi 500 pagine, ed è corredato da un'appendice di oltre 200 pagine, contenente 77 documenti scelti dall'autore tra la vasta mole dei materiali d'archivio da lui consultati. Arricchiscono il libro più di trenta fotografie di funzionari di P.S., collaboratori, spie, antifascisti, documenti, ecc.
Com'è ben rilevato sul risvolto di copertina, l'opera è uno studio "basato sull'analisi dei fondi versati all'Archivio centrale dello Stato dal Ministero dell'Interno, opportunamente verificati con quante più fonti possibili (dai documenti conservati in altri archivi pubblici e privati italiani a quelli anch'essi inediti del controspionaggio alleato). La ricerca è profondamente innovativa per almeno due aspetti. In primo luogo la considerazione dei margini di autonomia che mantenne la polizia politica ereditata dall'epoca liberale, per cui la storia dell'apparato e le vicende dei funzionari non si identificano e non si esauriscono col fascismo. Bastino gli esempi di Arturo Bocchini [capo della polizia dal 1921 al 1940, anno della sua morte, e artefice della creazione dell'Ovra] e soprattutto di Guido Leto, regista e poi cronista dell'Ovra che, formatosi negli anni venti, fu al comando della polizia politica nel decennio successivo e poi di nuovo a Salò... per concludere la carriera come direttore tecnico delle scuole di polizia dell'Italia repubblicana".
Queste conclusioni a nostro avviso avvalorano le interpretazioni del fascismo e del ruolo dello stato in genere, con tutti i suoi apparati repressivi, quale strumento di controllo e di conservazione dell'egemonia di classe della borghesia, acquisita in Italia alla metà dell'Ottocento e mantenuta fino a oggi. In quest'ottica il fascismo appare come lo strumento autoritario al servizio della borghesia in una precisa fase di acuta crisi, di lotte sociali e di avanzamento del movimento operaio nazionale e internazionale. In particolare le tecniche poliziesche descritte nel volume, approntate e affinate durante il ventennio (infiltrazione spionistica, montature accusatorie, stragismo, ecc.), mostrano un'impressionante analogia coi più recenti anni sessanta-settanta, in un'altra fase cioè di forte crescita organizzativa e rivendicativa del proletariato italiano.
A questi giudizi non certo nuovi ci porta la lettura di questo interessantissimo saggio. Lo stesso autore, sempre nell'introduzione, fornisce questa chiave di lettura, quando si riferisce a Guido Leto giudicandolo "un esempio significativo di linearità trasformistica, individuale e istituzionale. La sua influenza è comprovata dai giochi da lui intessuti nel settembre-ottobre 1945, quando si trovava rinchiuso a Regina Coeli e ciò nonostante incontrò esponenti politici di primo piano. Gli stessi servizi segreti alleati ebbero a loro piena disposizione l'ex capo della Divisione polizia politica per una decina di giorni, onde ricavarne informazioni sulla rete estera e sul possibile riciclaggio di segmenti dell'Ovra nella fase della guerra fredda. Le carte di polizia facevano gola a molti, e Leto seppe volgere a vantaggio suo e degli ex collaboratori la notevole rendita di posizione costituita dall'essere depositario di segreti scottanti (del fascismo ma pure di settori e personaggi dell'antifascismo), ottenendo non solo il proscioglimento dalle procedure di epurazione ma il reinserimento suo e di molti ex dirigenti degli Ispettorati speciali ai vertici della polizia politica 'democratizzata'. Questo compromesso - inconfessato e inconfessabile - è alla base della dottrina della continuità dello Stato e del mancato rinnovamento degli apparati riservati, ereditati dalla dittatura mussoliniana".
Questi temi, insieme all'operazione quasi filologica di valutazione dell'affidabilità della lista dei "confidenti dell'Ovra" (l'elenco contenente 622 nominativi pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale" del 2 luglio 1946), vengono dall'autore affrontati e sviluppati sulla base di prove documentali nel capitolo conclusivo, di una sessantina di pagine, dal titolo "Funzionari e confidenti tra epurazione e continuità dello Stato". L'elenco è riportato in appendice al volume (doc. 69, pp. 643-686). Il grosso dell'opera è invece una ricerca che si propone programmaticamente degli obiettivi, strettamente collegati tra loro:
* "favorire una maggiore comprensione delle dinamiche collegate con la gestione del potere nel Ventennio", mediante lo studio dei meccanismi attivati dalla polizia politica mussoliniana per reprimere il dissenso, l'antifascismo, e nel contempo monitorare il consenso nell'opinione pubblica;
* ricostruire il fenomeno spionistico durante il Ventennio, individuando figure e storie di confidenti e collaboratori, operazione finora ostacolata da interessi di parte, giustizialisti o minimizzatori che fossero, e da anacronistiche censure che ancora perdurano su molta documentazione;
* "documentare in che modo le polizie del regime collaborassero attivamente alla preparazione di attentati che avrebbero dovuto prevenire".

I meccanismi polizieschi
Scrive Franzinelli nell'introduzione: "Il baricentro di questa ricerca è costituito dall'analisi degli informatori della polizia politica, reclutati specialmente nei movimenti di sinistra [...]. La storia degli apparati si giustappone alla storia degli individui intersecando vicende organizzative, itinerari esistenziali e percorsi ideologici stravolti dall'impatto col sistema investigativo-repressivo. [...] Il tema del tradimento [...] accomuna centinaia di 'sovversivi' trasformatisi in delatori o addirittura in agenti provocatori. Delineato il quadro sociale, politico e biografico entro il quale maturarono e si risolsero crisi ed esigenze interiori, restano da comprendere le ragioni per cui diversi aderenti ai partiti di sinistra si adattarono alla collaborazione con la polizia. I motivi sono parecchi: le circostanze avverse, il cedimento dinanzi ai ricatti, l'esaurimento delle spinte ideali, la convinzione dell'irrimediabile sconfitta dell'antifascismo, le profferte d'impunità, l'inganno della buona fede da parte degli inquirenti".
In effetti una delle attività a cui gli apparati polizieschi si dedicarono particolarmente e in cui acquisirono grande abilità fu quella di attirare nelle maglie della delazione e della collaborazione una serie impressionante di ex-militanti, simpatizzanti e sostenitori delle forze politiche antagoniste al fascismo, oltre che di cittadini comuni. "L'esame comparativo della documentazione d'archivio [...] permette di evidenziare i meccanismi attivati dalla polizia agli inizi degli anni trenta, secondo tecniche poi entrate nel patrimonio genetico degli apparati di sicurezza italiani, con metodi quali l'infiltrazione di provocatori prezzolati e/o ricattati, il collegamento tra 'operazioni coperte' e strategie politiche liberticide, la falsificazione di documenti ufficiali, l'addomesticamento di processi, la montatura di accuse infondate contro gli oppositori per demolirne la credibilità agli occhi dei loro stessi compagni, la difesa a oltranza di delatori, l'uso disinvolto di fondi riservati al di fuori di ogni controllo". In questi compiti la polizia era altresì facilitata dalle divisioni spesso insanabili del fronte antifascista tra anarchici, comunisti, massimalisti, riformisti, popolari, giellisti, repubblicani, liberali, ecc. , che fu, soprattutto tra gli esuli, "il principale fattore dell'infiltrazione poliziesca". In un clima di generale sospetto "l'accusa di essere agenti di Mussolini rimbalzava polemicamente dall'uno all'altro schieramento, con esiti deleteri sulla credibilità e sull'incisività dell'antifascismo nel suo complesso".
I confidenti e gli informatori della polizia, così come gli antifascisti, i dissidenti, ecc., venivano schedati in maniera scrupolosa e scientifica. Questa opera di investigazione sistematica raggiunse un alto livello quantitativo e qualitativo verso la fine degli anni venti, parallelamente cioè alla costituzione dell'Ovra. Il Casellario politico centrale raccoglieva fascicoli personali di sovversivi, sorvegliati e informatori. "Il servizio della cartella biografica, affidato a funzionari specializzati, si andò via via affinando, sino a diventare all'inizio degli anni trenta uno dei più importanti Servizi di Polizia Giudiziaria preventiva e repressiva. In sostanza gli addetti al Casellario, intestato un fascicolo a una determinata persona, lo alimentavano periodicamente, completandolo con le informazioni sui precedenti, politici e penali, forniti dalla Questura di origine e, poi, curava di seguire, attraverso la Questura interessata, tutta la sua vita, la sua condotta, i suoi spostamenti all'interno e all'estero, la sua attività politica; l'individuo, insomma, attraverso il Casellario Politico Centrale non veniva più perso di vista. Caratteristiche fisiche e attitudini psichiche salienti dei dissidenti venivano segnalate secondo i dettami di una griglia piuttosto dettagliata, ripartita in quattro tipologie:
I) Intelligenza - capacità professionale - cultura.
II) Emozionabilità - eccitabilità - irritabilità.
III) Tendenze morali: oziosità - parassitismo - vagabondaggio; intolleranza alla disciplina - scarso rispetto verso l'autorità - inadattamento alla vita sociale; insensibilità ai doveri verso la personalità dello Stato; rispetto alla proprietà - avidità di godimenti - alcool, uso di stupefacenti - giuoco - dissipatezza; scarso rispetto alle persone - sfruttamento - prepotenza - crudeltà; erotismo e deviazioni sessuali; capacità di simulazione; associazione con delinquenti e prostitute.
IV) Debolezza di volontà - suggestionabilità - impulsività".

Agenti, confidenti e collaboratori
Il processo di potenziamento e di affinamento delle strutture e delle tecniche di controllo poliziesco ebbe la sua fase decisiva tra la fine del '27 e il '30, che può considerarsi il "periodo d'incubazione dell'Ovra". Il termine, dal significato sinistro e misterioso che richiama piovra e Ochrana (la polizia segreta zarista), fu coniato da Mussolini stesso nel dicembre 1930, e nel giro di poche settimane acquisì "un'inquietante forza di condizionamento dell'opinione pubblica, richiamando nell'immaginario collettivo qualcosa di proteiforme e di terribile, interpretata come l'emblema di una struttura in grado di scoprire i segreti più reconditi e di punire spietatamente i dissidenti".
L'Ovra infatti era una struttura investigativa segreta e centralizzata, alle dipendenze dirette del capo della polizia, in collegamento col Viminale, cioè con il duce in persona, che resse personalmente il ministero degli Interni quasi ininterrottamente per tutto il ventennio. L'organismo era composto da Ispettorati di investigazione politica (dal dicembre 1930 denominati "Zone Ovra"), divisi per zone territoriali interregionali, e quindi indipendenti dalle autorità locali (questure, prefetture, ecc.), che "consentì loro di muoversi con agilità e dinamismo", senza i "limiti di competenza territoriale tipici delle questure e pertanto in grado di seguire le fila degli oppositori in una vasta area geografica, avvalendosi altresì dell'ausilio fornito dai propri schedari". La struttura copriva l'intera penisola con compiti di spionaggio e di polizia politica, intesa alla repressione di ogni attività contraria al regime fascista e allo stato, avvalendosi di funzionari e agenti professionalmente preparati, grazie ai cospicui fondi messi a disposizione dal governo. Il primo nucleo dell'intera struttura si costituì a Milano nel maggio del 1927, sotto la direzione dell'ispettore di P.S. Francesco Nudi. La I° Zona Ovra aveva competenze su tutto il Nord Italia. Successivamente nacquero altre zone, che controllavano il resto della penisola. Le Zone Ovra di Milano e di Roma avevano anche competenza per le operazioni internazionali, rispettivamente sull'Europa centro-settentrionale e sui paesi dell'area mediterranea.
Il numero di agenti segreti era inizialmente abbastanza esiguo; alla fine del 1929 la I° Zona poteva contare su un organico di 18 agenti, che "da quel momento in avanti si sarebbero accresciuti costantemente, col progredire delle investigazioni e dei risultati conseguiti". Gli agenti tenevano i capi di una ramificata rete spionistica e gestivano le operazioni di infiltrazione e controllo.
L'ampia rete dei fiduciari e dei collaboratori è ricostruita da Franzinelli con la scrupolosità e la pazienza con cui si costruisce un puzzle. Le condizioni oggettive delle dinamiche e del contenuto della ricerca inducono l'autore a dedicare ampi spazi all'analisi di vicende individuali, che si dipanano in maniera molto differente l'una dalle altre, benché gli esiti finali siano spesso i medesimi. L'azione poliziesca, che veniva intrapresa con tecniche studiate e collaudate, nell'approccio concreto con le persone coinvolte si specificava e si variegava in ragione della peculiarità di ogni singolo caso. In tal modo è vanificata per lo studioso la possibilità di affrontare l'analisi del fenomeno per categorie e classificazioni troppo precise. D'altro canto il materiale a cui ha potuto avere accesso, benché vastissimo, è ancora limitato non solo da impedimenti burocratici, ma anche dai "vuoti" generati dalla distruzione di numerosi documenti riservati, attuata da Leto tra la fine della guerra e i primissimi anni della repubblica. Tra le carte su cui vige tuttora un'anacronistica riservatezza c'è la "Rubrica della Divisione polizia politica", che contiene "l'elenco nominativo di centinaia e centinaia di confidenti e l'indicazione del numero di codice loro assegnato", senza dubbio "un documento di estremo rilievo per lo studio degli apparati riservati del regime", conservato presso l'Archivio centrale di Stato ma escluso dalla consultazione.
Tra le tante storie ricostruite da Franzinelli, ve ne sono alcune di paradigmatiche e meschine: quella di Bruno Cassinelli, avvocato socialista in possesso di elementi che avrebbero potuto incastrare gli omicidi di Matteotti, che divenne invece un emissario della prima ora della polizia politica; di Carlo Del Re, anch'egli avvocato, vicino a Giustizia e Libertà, di cui divenne tra i più spietati persecutori per poter mantenere un tenore di vita assai superiore alle sue possibilità; del romanziere di successo Dino Segre, in arte Pitigrilli, indotto a divenire collaboratore organico dell'Ovra in veste di "informatore per la Francia" per timore di vendette da parte dell'amante di una poetessa con la quale aveva avuto una relazione. Ve ne sono altre di tragiche e spietate: quella del giellista Umberto Ceva, suicidatosi per non finire tra i confidenti dell'Ovra; del popolare Giuseppe Donati, accusatore del regime ai tempi dell'affare Matteotti, costretto all'esilio e oggetto di azioni persecutorie e diffamatorie da parte di emissari fascisti, che lo posero in cattiva luce coi fuoriusciti e lo condussero a morte precoce per il peso del dolore, della diffidenza e dell'isolamento; di Romolo Tranquilli, fratello minore di Silone, coinvolto ingiustamente nella strage di Milano del 1926, morto il 27 ottobre 1927 nel penitenziario di Procida in seguito alle torture subite.

Spie e informatori nel Partito comunista
Riportiamo ora ampi stralci del capitolo 10, che riguarda i contatti tra polizia segreta e militanti comunisti, argomento che a noi interessa in maniera particolare, anche se di contenuto assai spiacevole. Esso è organizzato in 3 paragrafi: 1. Un partito permeabile. 2. Le contromisure dell'apparato. 3. Unione Sovietica: patria del socialismo e fucina di spie.
Franzinelli esordisce affermando che la tesi secondo cui "i comunisti, a differenza degli altri partiti e movimenti antifascisti, reggessero la pressione poliziesca, con eccezioni tutto sommato marginali [...] è assolutamente infondata, sia a livello dei militanti di base sia per quadri e dirigenti [...]. Le misure di carattere straordinario adottate dal regime aprirono ampi varchi tra le schiere comuniste [...] L'obiettivo principale della polizia politica fu proprio il Partito comunista: le direttive impartite da Bocchini ai prefetti in materia d'infiltrazione nelle organizzazioni antifasciste privilegiarono, infatti, il reclutamento tra gli aderenti al PCI". Le divisioni ideologiche interne al partito agevolarono anche in questo caso il compito della polizia, "che tentò più volte di insinuarsi nella lotta di fazione per accentuare le contrapposizioni. Le divergenze intestine toccarono punte così accese da indurre esponenti del partito a denunziare identità e recapiti degli avversari interni, con la giustificazione machiavellica di favorire, insieme alla prevalenza della propria corrente, l'interesse generale del movimento comunista [...]. La polizia utilizzò una tattica lungimirante con gli appartenenti ai gruppi della 'sinistra comunista': una volta individuati li si lasciò operare tranquillamente, controllandone i movimenti o addirittura agevolandoli, nel conto di trarre profitto dalla loro opera disgregatrice, col frastornamento dei compagni di base a distinguere tra linee inconciliabili ma egualmente richiamantesi al bolscevismo. Alcuni emissari della sinistra furono arrestati e convinti a continuare il consueto lavoro di frazione, confidando le informazioni via via recuperate. In breve tempo questi militanti si trovarono legati mani e piedi al carro dell'Ovra, emarginati dai loro stessi compagni e trasmutati in fiduciari dei servizi segreti".
Non ci furono solo aderenti alla sinistra a cadere nella rete dell'Ovra, né semplici militanti, ma anche esponenti di rilievo dell'apparato e delle organizzazioni proletarie, come Ignazio Silone, o come Guglielmo Jonna, "il primo dirigente nazionale a passare al nemico". Ex-dirigente di Soccorso rosso, Jonna fu arrestato nel 1927 e indotto a collaborare "dal pensiero della moglie e del figlio [...], assunto in pianta stabile all'ispettorato speciale, fornì indicazioni di prima mano sui quadri del partito, sulle sedi clandestine, sui metodi di lavoro, sui cifrari segreti, sui collegamenti col Centro estero e coll'Internazionale. Impiegato nelle azioni contro la rete clandestina del PCI, sommò al ruolo di fiduciario la mansione di archivista della I° Zona Ovra, incarico rivestito sino al 1943 con risultati - a detta degli ispettori succedutisi alla direzione dell'organismo - lusinghieri, per la sua conoscenza personale di numerosi sovversivi e dei metodi cospirativi".
Di fronte a questi cedimenti il Centro esteri del PCI corse ai ripari creando a sua volta un "apparato investigativo comunista, composto da elementi fidati e decisi a tutto", che "si mosse tra mille difficoltà come braccio armato del partito nel complicato intreccio di spie, controspie e doppiogiochisti". Diversi compagni furono espulsi dal partito con l'accusa di collaborazionismo, ma dall'analisi delle carte della polizia si ricava che non sempre costoro lo erano effettivamente, risultando anzi talvolta "del tutto sconosciuti".
"Nel 1934 l'apparato del PCI approntò un elenco folto di oltre cinquecento nominativi tra individui sospetti e militanti 'passati al nemico', suddivisi a livello geografico per ambiti regionali o interregionali e ripartiti in quattro categorie: 'Spie e provocatori - Elementi sospetti - Espulsi per tradimento - Espulsi perché inoltrarono domanda di grazia o per altri motivi'. Il tabulato fu distribuito a funzionari e quadri del partito, onde agevolare la vigilanza contro l'infiltrazione [...]. L'impostazione del tabulato rivela l'impronta staliniana e l'atmosfera da caccia al deviazionista, al trockijsta e all'agente nemico: il dilagare dei sospetti allungava ombre sinistre su un elevato numero d'individui estranei a pratiche compromissorie. Scorrendo i nominativi e verificando i rispettivi percorsi biografici [...] si nota che soltanto una ristretta minoranza degli schedati era effettivamente 'passata al nemico'. D'altro canto il censimento ignorava numerosi elementi effettivamente in contatto con la polizia politica, e spesso si trattava dei più insidiosi.
La Direzione generale della Pubblica sicurezza, procuratasi l'elenco, ne trasmise copia ai responsabili zonali dell'Ovra e ai prefetti del Regno [...]. Il passo successivo consistette nel consolidamento delle situazioni di collaborazione embrionale o nell'aggancio d'individui sul cui conto non si conosceva alcunché. In definitiva fu colta al volo l'inattesa occasione di estendere la rete dei collaboratori, attingendo nell'area dei militanti e dei fiancheggiatori della sinistra e puntando sul disappunto e sulla delusione di persone che si sentivano immotivatamente emarginate".

Attentati e stragi
I massimi dirigenti degli apparati di polizia, oltre che organizzare una fitta rete spionistica, concertarono e manovrarono "al di sopra della congerie d'infiltrati e doppiogiochisti" con mezzi eversivi per cementare e giustificare agli occhi dell'opinione pubblica il carattere autoritario e repressivo del regime. "Tra i criteri ispiratori vi fu una sottile 'strategia della tensione', perseguita sia tramite la corruzione di elementi vendutisi agli apparati riservati sia attraverso il pilotaggio di oppositori ingenui e malaccorti". Tra le numerose vicende paradigmatiche di questa strategia vi è quella legata all'attentato, sventato in extremis, a Mussolini, del 4 novembre 1925, descritto alle pp. 18-22. Esso fu organizzato dal socialista e massone Tito Zaniboni, "sotto l'occhiuta sorveglianza poliziesca, attraverso Carlo Quaglia, il più stretto sodale dell'aspirante tirannicida, che procedette passo passo sulla strada di un complotto da operetta, agevolato e controllato dal ministero dell'Interno".
Dell'esistenza di questa linea politica eversiva da parte degli alti apparati dello stato, di cui l'episodio descritto è solo il primo atto, in altre parole "di questo disegno esistono negli archivi fascisti solo tracce indirette, per la prudenza con cui si annotavano determinate 'operazioni sporche'. Esso si rivela nondimeno tramite un'analisi comparativa retrospettiva di fatti e di personaggi. Individuati gli elementi idonei (preferibilmente esuli individualisti, portati per temperamento e per opzione politica all'azione diretta), li si segnalava ai più abili doppiogiochisti che - accattivatesene le simpatie anche con sovvenzioni finanziarie presentate quale aiuto solidaristico al compagno bisognoso - li sospingevano verso iniziative dinamitarde. In questo gioco furono maestri il n. 6 (l'anarchico Bernardo Cremonini, nome di copertura: 'Bero') e il n. 51 (il socialmassimalista Alessandro Consani, nome di copertura 'Tirteo 200'). La miriade di microattentati attuati nel 1928 e nel 1931 da alcuni esuli di orientamento anarchico e repubblicano in Italia e in Francia fu favorita occultamente dall'Ovra, in quanto ritenuta funzionale alla legittimazione dello Stato di polizia e al discredito dell'antifascismo sul piano internazionale.
Un filo rosso che si dipana in più capitoli del libro è l'uso politico-poliziesco della strage di Milano del 12 aprile 1928, di volta in volta utilizzata per incarcerare con l'accusa di terrorismo gruppi di comunisti, di repubblicani, di anarchici, di giellisti. Il tentativo più insistente di rigettare la colpa dell'eccidio sull'opposizione fu rivolto contro Giustizia e Libertà, in una sequenza avviatasi col contributo determinante di un doppiogiochista provocatore (Carlo Del Re) incaricato di coinvolgere un nucleo di antifascisti milanesi (Riccardo Bauer, Umberto Ceva, Ernesto Rossi...) in attentati dimostrativi; il successivo passaggio, gestito dall'ispettore Nudi (capo del primo nucleo Ovra), consistette nel ricollegare gli arrestati - attraverso pressioni di ogni genere e con carte truccate - alle responsabilità della strage. Ceva, intravisto il piano tendente a incolparlo di un reato gravissimo al quale era estraneo e intuito che gli si lasciava come alternativa alla condanna il ruolo di accusatore dei coimputati, si suicidò, vanificando le trame di Nudi. Il teorema accusatorio fu poi riesumato da Leto ancora nell'estate 1943, avallato politicamente da Badoglio e spazzato via dallo sconvolgimento determinato dall'armistizio dell'8 settembre".

Queste tecniche di cui agenti e funzionari dell'Ovra e della polizia politica fascista furono maestri fecero presto scuola: i nazisti appena saliti al potere impressero una svolta autoritaria con l'incendio del Reichstag (27 febbraio del 1933), di cui accusarono i comunisti. Un insegnamento che non è andato perduto col tempo: se si cambiano date e nomi alle vicende della strage alla Fiera del 1928, sembra di leggere il racconto delle fasi dell'istruttoria della strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969). Certo che tutto è più semplice (e tutto risulta più chiaro) se si delega a un maestro quale Guido Leto il comando della scuola di polizia!

In conclusione, il libro di Frassinelli è avvincente e istruttivo, valido supporto all'analisi politica e alla comprensione della realtà di ieri come di oggi. Ne consigliamo quindi la lettura a tutti i compagni, augurando loro fraterni saluti rivoluzionari.




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