Perchè ci serve
Rosa Luxemburg.
Rosa
Luxemburg ha avuto un ruolo straordinario nelle battaglie politiche e teoriche
della socialdemocrazia negli anni in cui aveva raggiunto i maggiori successi
e marciava a passi spediti verso il suo crollo. Aveva soprattutto previsto quella
fine assai prima di Lenin, che pure era assai meglio inserito negli organismi
dirigenti dell’internazionale socialista, e che per questo fu così
sconvolto da quello che gli sembrava un sorprendente tradimento. Di Antonio
Moscato (scritto nel febbraio 2004)
La maggior parte del “popolo
di sinistra” oggi nomina almeno tre volte al giorno il cosiddetto “crollo
del comunismo”, ma nessuno si ricorda della fine ignominiosa della seconda
internazionale allo scoppio della Grande Guerra, né le mette in conto
i milioni di morti di cui fu la socialdemocrazia fu correspon-sabile con quella
vergognosa capitolazione.
Proprio per la sua lungimiranza Rosa fu odiata e presto dimenticata nella socialdemocrazia,
a parte qualche tentativo di riappropriazione truffaldina da parte di esponenti
craxiani come Claudio Martelli o Margherita Boniver, una decina d’anni
fa, quando il bel film Rosa L della von Trotta riaccese l’interesse per
la sua figura. Un operazione miserabile, che peraltro fu possibile solo perché
non si sapeva praticamente più nulla di lei.
Perché tanta ostilità verso Rosa
Un’altra ragione dell’oblio fu l’ostilità nei suoi
confronti manifestata anche da Stalin. Già nel 1925, quando imperversava
la cosiddetta “bolscevizzazione” che avrebbe portato in pochissimi
anni a imporre il centralismo staliniano a tutti i partiti comunisti e alla
loro subordinazione alla burocrazia sovietica, una risoluzione del Comitato
esecutivo allargato dell’IC aveva messo in guardia contro i “luxemburghisti”,
sostenendo che era “impossibile assimilare il leninismo” (cioè
la codificazione dogmatica fattane da Stalin) “senza tener conto degli
errori di parecchi eminenti marxisti” tra cui Rosa Luxemburg. “Più
questi teorici sono vicini al leninismo, più le loro concezioni sono
pericolose nei punti dove ne divergono”. C’era già
completa la concezione di una “linea giusta” (una sola, quella decisa
dal gruppo dirigente) e della pericolosità di ogni “divergenza”
o “deviazione” dalla retta strada. Un ingrediente essenziale dello
stalinismo, e il più tenace a morire.
In quel caso almeno la si collocava ancora tra gli “eminenti marxisti”
e si rendeva “omaggio alla grandezza dell’opera di Rosa Luxemburg,
che fu tra i fondatori dell’Internazionale comunista”. Ma era tra
l’altro una doppia bugia: Rosa morì prima del Congresso di fondazione,
e aveva comunque espresso il parere che non ci fossero ancora le condizioni
per farlo. La stessa tesi fu sostenuta al primo congresso dal delegato tedesco
Hugo Eberlein, le cui resistenze furono vinte solo grazie al clima di entusiasmo
ge-nerale creato da alcune notizie – risultate poi infondate – sul
dilagare della rivoluzione in Europa cen-trale e in particolare a Vienna
Ma nel 1932 Stalin, divenuto ormai “padrone” quasi assoluto del
partito e dell’internazionale aveva sferrato un attacco ben più
pesante a Rosa, assimilandola tra l’altro all’odiato Trotskij (tanto
in URSS nessuno poteva più leggere né l’uno né l’altra).
Come era sua abitudine, Stalin accusava i suoi avversari di “errori”
diametralmente opposti alle loro reali posizioni. Così nell’articolo
A proposito di alcuni problemi della storia del bolscevismo Rosa viene accusata
di conciliazionismo con i centristi alla Kautsky. in contrapposizione a un Lenin
implacabile loro nemico. In realtà era accaduto esattamente il contrario,
come Lenin stesso ha ammesso in diversi suoi scritti.
Le falsificazioni di Stalin
Stalin, per trasformare Lenin in oggetto di culto, da venerare in un mausoleo,
e da studiare zelantemente sotto la guida di sommi sacerdoti e di un “pontefice”
del “leninismo”, doveva cancellare ogni traccia della sue evoluzione,
che ha seguito “una curva ininterrottamente ascendente”, scrive
Trotskij, ma è pur sempre un’evoluzione che supera una concezione
per assumerne un’altra. Ammettere fasi diverse nel “leninismo”
per Stalin ha lo stesso significato sacrilego che ha per un papa un’analisi
storica e filologica della Bibbia, che la riconduce ai diversi momenti in cui
fu scritta.
Impossibile per Stalin ammettere che “Lenin non è nato come un
Lenin bell’e pronto, come viene raffigurato dagli sbavanti imbrattacarte
che ne hanno fatto una ‘divinità’, ma si è venuto
formando fino a di-ventare il Lenin che conosciamo. Lenin ha sempre allargato
i propri orizzonti, ha imparato da altri e si è elevato quotidianamente
a un livello più alto di quello del giorno precedente. Il suo spirito
temerario trovò espressione in quella perseveranza, in quella tenace
ricerca di una continua crescita spirituale tesa al superamento di se stesso.
Se nel 1903 Lenin avesse capito e formulato tutto ciò che che era necessario
per i tempi a venire, allora non gli sarebbe rimasto che ripetersi per tutto
il resto della vita. In realtà non fu affatto così. Stalin non
fa che imprimere il proprio marchio su Lenin, adattandolo ai suoi meschini passaggi
da una citazione numerata a un’altra.”
Nello stesso articolo su Rosa Stalin aveva formulato un’altra calunnia
in quel momento e ai suoi occhi era ancora più grave: diceva infatti
che “i sinistri della socialdemocrazia tedesca, Parvus e Rosa Luxemburg
[…] fabbricarono lo schema utopistico e semimenscevico della rivoluzione
permanente. […] Più tardi questo schema semimenscevico della rivoluzione
permanente venne ripreso da Trotskij (in parte da Martov) e trasformato in uno
strumento di lotta contro il leninismo”.
La calunnia è articolatissima: prima di tutto per l’attribuzione
della “rivoluzione permanente”. Lo stesso Stalin nel 1925 aveva
scritto col solito stile rigidamente chiesastico, che piace ancora a tanti nostalgici:
“Non è vero che la ‘teoria della rivoluzione permanente’
sia stata formulata nel 1905 da Rosa Luxemburg e da Trotsky. In realtà
questa teoria è stata formulata da Parvus e da Trotsky”. Sei anni
dopo proclama solennemente il contrario, tirando in ballo Martov, che era stato
sempre un avversario della rivoluzione permanente (ma ormai “menscevico”
era diventato un insulto demonizzante, e quindi l’accostamento serviva
per gettare un po’ di fango in più su Trotskij). In ogni caso attribuire
a Rosa il ruolo di ispiratrice dell’odiato Trotskij voleva dire che era
ormai considerata anch’essa una nemica.
Stalin era abituato a fare queste giravolte, tanto più che quando cambiava
idea faceva ritirare i libri in cui aveva sostenuto il contrario di quel che
diceva in quel momento (e comunque nessuno si azzardava a ricordarglielo). Così
nell’aprile del 1924 nelle Questioni del leninismo pubblicate a puntate
sulla Pravda aveva sostenuto l’impossibilità di costruire il socialismo
in un paese solo, ma già nella nuova edizione dell’autunno dello
stesso anno aveva sostituito quel passo con una frase che proclamava che il
proletariato “può e deve” costruire il socialismo in un paese
solo.
Questa era il ruolo che Stalin attribuiva alla “teoria”: la giustificazione
delle sue scelte contingenti del momento. L’attribuzione della “colpa”
della rivoluzione permanente a Rosa corrispondeva alla necessità di lottare
più duramente contro ogni traccia di “luxemburghismo” nel
partito comunista tedesco e in quello polacco. In particolare nel partito comunista
tedesco Stalin aveva scatenato una caccia alle streghe di cui si era fatta interprete
la sciagurata Ruth Fischer, che per settarismo coniò il termine di “lue
luxemburghiana”, e che poi finirà a sua volta fuori dal partito,
e per qualche tempo si avvicinerà anche a Trotskij, che era sempre fiducioso
sulla possibile evoluzione di qualsiasi compagno, mentre altri suoi collaboratori,
a partire da Alfonso Leonetti, non la sopportavano. Quanto a quello polacco,
la “lue luxemburghiana” fu considerata talmente indelebile che anche
dopo averne sostituito più volte la direzione, Stalin nel 1938 –
alla vigilia della guerra e della spartizione con Hitler – non si accontentò
di sterminare i dirigenti sopravvissuti alle prime purghe ma sciolse lo stesso
partito, lasciando il proleta-riato polacco senza uno strumento al momento dell’invasione
nazista.
Ma lasciamo da parte Stalin e torniamo al lungo passo di Trotskij che abbiamo
citato poco sopra sull’evoluzione di Lenin. Ci sembra che possa essere
applicato allo stesso Trotskij, che modificò profondamente le sue concezioni
del partito nel corso della guerra mondiale, e a Rosa, i cui ultimi scritti
come vedremo rivelano una forte rivalutazione di quel partito bolscevico che
aveva tanto criticato, a ogni vero rivoluzionario.
Anche senza arrivare alle coscienti falsificazioni staliniane, continua a essere
molto diffusa (essendosi consolidata in decenni di dogmatismo) la pessima abitudine
di ricavare citazioni da un testo di un autore senza tenere conto del contesto
in cui è stato scritto e del livello di elaborazione che egli aveva raggiunto
in quel momento. Lo si fa spesso con Guevara, anche a Cuba, estraendo frasi
singole dai suoi scritti, col risultato di impedire di cogliere la sua profonda
evoluzione, e magari assolutizzando le banalità sul “marxismo-leninismo”
che si trovano in certi suoi articoli e discorsi precedenti al 1962-1965, e
che derivano semplicemente dal fatto che non aveva ancora cominciato uno studio
sistematico delle fonti, di Marx e soprattutto di Lenin, e si basava ancora
sui libricini divulgativi e sui manuali di origine sovietica.
Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per lo stesso Marx, il cui pensiero
maturo sarebbe stato stimo-lato nel corso degli anni non solo dallo studio sistematico
dell’economia e della storia, ma anche dalle ricche esperienze fatte ad
esempio dalla Comune di Parigi.
Tornando a Lenin, molte sciocchezze di suoi ingenui inesperti ammiratori sono
state provocate da una lettura acritica ed assolutizzante del Che fare?, senza
tenere conto delle riflessioni e correzioni fatte dallo stesso Lenin dopo l’esperienza
della rivoluzione del 1905 nell’introduzione alla raccolta Dodici anni
dopo, e soprattutto della loro concretizzazione nella pratica del partito
bolscevico (ad esempio nei criteri di reclutamento).
Come recuperare il pensiero di Rosa
Come tutti i grandi, Rosa ha sofferto sia per le falsificazioni e denigrazioni
coscientemente calunniose dei suoi nemici, ma anche per le banalizzazioni e
stravolgimenti fatti dai suoi sostenitori. Marx e Lenin pagano e continueranno
a pagare per colpa dei “marxisti-leninisti” dogmatici, lo stesso
Guevara è stato impoverito non solo dalla mitizzazione strumentale alimentata
dai mass media borghesi, ma anche dalla riduzione al “guerrigliero eroico”,
e peggio ancora al modello da proporre ai bambini cubani nelle scuole elementari
(facendo imparare a memoria lettere e discorsi a quei poveri bambini). Trotskij
ha pagato e paga a caro prezzo che al suo nome facciano – indebitamente
– riferimento varie sette dogmati-che, che hanno ben poco a che fare col
suo pensiero critico e con le sue reali concezioni organizzative (soprattutto
perché hanno tutte una concezione feticistica del partito, che è
assai più vicina a quella stalinista). Molte di queste usano la calunnia
nei confronti delle altre tendenze rivoluzionarie e in questo quadro fanno un
uso assai strumentale della teoria. Una di queste, Socialismo rivoluzionario,
ha cominciato recentemente a sostituire il riferimento a Trotskij con quello
a Rosa, senza avere molto a che fare con le reali concezioni dell’uno
e dell’altra.
Già negli anni Venti e Trenta a Rosa si rifacevano varie correnti centriste
e spontaneiste, dentro la socialdemocrazia o in piccole organizzazioni autonome,
in contrapposizione alle concezioni marxiste rivoluzionarie che facevano riferimento
a Trotskij e a Lenin. Di fronte al tentativo di costruire un “luxemburghismo”
da contrapporre a chi tentava di costruire la Quarta Internazionale, Trotskij
rispon-deva seccamente che “noi abbiamo più volte preso le difese
di Rosa Luxemburg contro le impudenti e stupide deformazioni che ne hanno fatto
Stalin e la sua burocrazia. E continueremo a difenderla. Facendo questo non
obbediamo ad alcuna considerazione sentimentale, ma soltanto alle esigenze della
critica storico-materialista. La nostra difesa di Rosa Luxemburg non è
però incondizionata. I lati deboli del suo insegnamento sono stati messi
a nudo sia nella teoria che nella prassi”.
I gruppi che si aggrappavano a un presunto “luxemburghismo” come
la SAP tedesca, lo Spartacus francese, l’Action socialiste in Belgio,
ecc., osservava Trotskij, “prendono in considerazione soltanto questi
lati deboli, le carenze che in Rosa non erano affatto preponderanti, essi generalizzano
ed esagerano all’estremo queste debolezze, costruendo su tale base un
sistema profondamente assurdo.”
E’ quello che in quegli anni è capitato anche allo stesso Trotskij,
di cui alcuni intellettuali hanno ripreso e valorizzato gli scritti giovanili
in polemica con Lenin, come il Rapporto della delegazione siberiana, scritto
a caldo nel 1903 dopo il Congresso in cui avvenne la prima separazione tra bolscevichi
e menscevichi (pare nelle 48 ore successive alla chiusura dei lavori), e che
era indubbiamente fazioso e pieno di incomprensioni. Il fatto che Trotskij lo
considerasse un errore di gioventù, non ha significato nulla per chi
voleva contrapporlo a Lenin nel momento in cui – quasi solo – ne
difendeva le idee.
Per Rosa questo atteggiamento continua ancora, anche in Italia. Il suo pensiero
– al momento delle polemiche con Lenin - è stato semplificato e
ridotto a un’esaltazione assoluta della spontaneità, prescindendo
da quello che aveva fatto concretamente nell’organizzazione del piccolo
partito polacco (SDKPiL) che diresse per anni insieme a Leo Jogiches con polso
fermo e una pratica centralizzatrice che non aveva nulla da invidiare al partito
bolscevico, ma anche sorvolando sull’ammirazione e rispetto per esso espressi
nello scritto su La rivoluzione russa, tanto citato ma evidentemente pochissimo
letto.
Trotskij ha ricostruito molto bene questo aspetto: non c’è dubbio,
scrive, che “Rosa Luxemburg ha appassionatamente contrapposto la spontaneità
delle azioni di massa alla politica conservatrice “coronata dalla vittoria”
della socialdemocrazia tedesca, soprattutto dopo la rivoluzione del 1905. Questa
opposizione ebbe un carattere profondamente rivoluzionario e progressivo. Rosa
capì – e cominciò a combatterlo molto tempo prima di Lenin
– il ruolo di freno giocato dall’apparato fossilizzato del partito
e dei sindacati. Tenendo conto dell’inevitabile acutizzazione delle contraddizioni
di classe, ella ha sempre pronosticato il carattere ineluttabile della venuta
alla ribalta indipendente ed elementare delle masse contro la volontà
e contro la linea delle istanze ufficiali. In questa prospettiva storica generale,
Rosa Luxemburg ha avuto ragione. Infatti la rivoluzione del 1918 è stata
proprio ‘spontanea’, vale a dire che è stata realizzata dalle
masse nonostante tutte le previsioni e le precauzioni delle istanze del partito.
Ma d’altronde tutta la storia ulteriore della Germania ha ampiamente dimostrato
che la spontaneità, di per se stessa, non permette di vincere. Il regime
di Hitler costituisce un argomento di un certo peso contro la spontaneità
concepita come una panacea.”
Trotskij precisava inoltre che in effetti Rosa “non si è
mai limitata alla pura teoria della spontaneità. […] Contrariamente
a Parvus, Rosa si è sforzata di educare in anticipo l’ala rivoluzionaria
del proleta-riato e di unificarla per quanto possibile sul piano organizzativo.
Ella ha costruito in Polonia un’organizzazione indipendente estremamente
rigida. Tutt’al più si potrebbe dire che, nella sua valuta-zione
storico-filosofica del movimento operaio, la selezione preliminare dell’avanguardia
non rivestiva un’importanza sufficiente a paragone delle azioni di massa
che ci si sarebbe dovuti aspettare, mentre in-vece Lenin, senza consolarsi al
pensiero dei miracoli delle azioni a venire, raccoglieva instancabilmente gli
operai avanzati in solidi nuclei legali e illegali, in seno alle organizzazioni
di massa e clandestina-mente, attorno a un programma rigorosamente definito.
La teoria della spontaneità di Rosa costituì un’arma salutare
contro l’apparato fossilizzato del riformismo. Il fatto che essa sia stata
talvolta diretta contro il lavoro di Lenin nel campo della costruzione di un
apparato rivoluzionario, ne ha messo a nudo - soltanto embrionalmente, beninteso
– gli aspetti reazionari. Ma in Rosa stessa questo aspetto era soltanto
episodico. Ella era fin troppo realista, in senso rivoluzionario, per sviluppare
i vari elementi della sua teoria della spontaneità in un sistema metafisico
compiuto. Nella pratica, con ognuna delle sue iniziative, lei stessa minava
quelle teorie:
Si noti con quanto rispetto Trotskij, ormai profondamente convinto di aver avuto
– insieme a Rosa – torto di fronte a Lenin nel dibattito del 1903
sul partito, esprima la sua critica: “si potrebbe dire che nella sua valutazione
storico-filosofica del movimento operaio, la selezione preliminare dell’avanguardia
non rivestiva un’importanza sufficiente”. E in altri scritti, sempre
a proposito della grande rivoluzionaria, Trotskij riprese una efficace espressione
di Lenin nell’elogio funebre: “Sebbene alle aquile possa acca-dere
di scendere fino al livello delle galline, le galline non riusciranno mai ad
alzarsi tra le nuvole del cielo, nemmeno dispiegando le proprie ali”.
Si noti che ricordando Rosa assassinata anche Lenin non nascose le vecchie polemiche,
in base al principio che la verità è rivoluzionaria, e non a quello
borghese che rende un omaggio retorico e ipocrita al morto.
Agli adoratori della spontaneità, Trotskij obiettava che avevano “tanto
poco il diritto di fare riferimento a Rosa Luxemburg quanto i meschini burocrati
del Komintern di richiamarsi a Lenin. Lasciamo da parte ciò che è
accessorio e che non ha retto alla prova della storia, e potremo allora porre,
con pieno diritto, il nostro lavoro per la Quarta Internazionale sotto il segno
delle “tre L”, cioè non soltanto sotto il segno di Lenin,
ma anche sotto quello della Luxemburg e di Liebkhnecht.”
Anche in Italia alcuni settori della nuova sinistra hanno fatto oggetto Rosa
di un piccolo culto in chiave "antileninista", basato su una profonda
distorsione dei termini reali del dibattito che si sviluppò tra i due
grandi rivoluzionari. Ad esempio in Democrazia proletaria era rituale l'omaggio
a Rosa «che sul partito aveva ragione contro Lenin». Ad esempio,
Giovanni Russo Spena, nella relazione al VI Congresso di Riva del Garda, il
4 maggio 1988 aveva scritto che l'esperienza sandinista aveva “spiegato
in maniera definitivamente persuasiva» che “nel 1918 aveva ragione
Rosa Luxemburg e avevano torto i bolscevi-chi” e anche Luigi Vinci aveva
ripreso successivamente l’argomento elogiando la «splendida polemica
di Rosa Luxemburg nel 1918 contro l'ipercentralismo bolscevico» (Luigi
Vinci, Economia di transizione e democrazia politica, in “Notiziario comunista”,
13 febbraio 1992). In entrambi il riferimento al 1918, è basato evidentemente
su una vaga reminiscenza dello scritto su La rivoluzione russa, che tutta-via
contiene critiche interessanti che meritano di essere discusse, ma su altri
problemi: l'assegnazione della terra ai contadini, il diritto all'autodeterminazione
e soprattutto la mancata rielezione dell’assemblea costituente (non il
suo scioglimento in sé) La mitizzazione di Rosa Luxemburg contro Lenin
è probabilmente una tardiva ricaduta della lettura spontaneista fattane
da Lelio Basso (pur all'in-terno di un lavoro di edizione abbastanza rigoroso),
e sorvola sulle molte ammissioni di Rosa, proprio in quel fatale 1918, sui meriti
essenziali dei bolscevichi.
Nel 1918 Rosa si batteva con decisione per trasformare l'informe e semianarchico
movimento spartachista in un partito centralizzato, e aveva ripreso anche formalmente
molti degli argomenti di Lenin. È noto che la Luxemburg, insieme a Liebkhnecht
e ai più sperimentati quadri spartachisti, fu messa in minoranza dalle
giovani leve estremiste nel I Congresso della KPD, non solo sulla tattica verso
i sindacati o sulla partecipazione alle elezioni, ma anche sulla concezione
del partito: per reazione alla rigidità burocratica della SPD, contro
cui aveva combattuto per anni, la maggioranza dei giovani delegati rifiutò
perfino l'elementare principio della subordinazione delle strutture locali a
quelle centrali.
Il contributo fondamentale di Rosa alla teoria marxista
La sua opera più impegnativa, L'accumulazione del capitale, criticata
aspramente per diverse ragioni, tra cui una presunta revisione di Marx, ha perso
ben poco della sua attualità. Se la parte più strettamente teorica
è di non facile lettura, quella storica è accessibilissima, e
soprattutto attualissima, perché spiega i meccanismi con cui alla fine
del secolo scorso i prestiti internazionali hanno creato le premesse per la
perdita dell'indipendenza dell'Egitto e dello stesso impero ottomano. Meccanismi
che sono gli stessi usati nuovamente dall'imperialismo negli ultimi venticinque
anni. L 'accusa di revisionismo (in se molto discutibile, dato che Marx non
si sognava affatto di essere infalli-bile) era anche infondata. Rosa polemizzava
con alcuni capitoli del primo libro del Capitale senza sapere che nel terzo
volume e in altri scritti pubblicati solo negli anni Trenta lo stesso Marx aveva
affinato le sua analisi arrivando alle stesse conclusioni a cui sarebbe arrivata
poi Rosa. Che comunque non temeva, se necessario, di criticare anche Marx. Era
il metodo di tutti i veri marxisti rivoluzionari.
Anche sul terreno della dialettica spontaneità-organizzazione, e quella
tra coscienza politica e coscienza sindacale, Rosa Luxemburg ha molto da insegnarci.
Ad esempio, già nel 1893, quando era ai primi passi in politica si era
indignata che la maggior parte dei socialdemocratici tedeschi, incluso il "padre
fondatore" Bebel, approvassero la posizione di alcuni socialdemocratici
polacchi che sostenevano che nella Polonia prussiana non era possibile avere
sindacati, ma solo un partito politico polacco. Come è possibile, scriveva,
che proprio "in un paese in cui le masse sono completamente indifferenti
e mute e possono essere smosse soltanto mediante gli interessi più immediati
e la lotta per i salari" si pensi di poter saltare la fase della lotta
economica? Frölich commenta a questo pro-posito che Rosa "si rifiutava
di prendere per realtà i propri desideri. Era pronta ad utilizzare i
più piccoli accenni di vita per un movimento. Ma non voleva lasciare
il partito affondare nella lotta quotidiana, voleva anzi che il partito avesse
davanti agli occhi l'intero percorso dello sviluppo futuro in conformità
alla conoscenza storica e che ogni passo dell'azione pratica venisse dettato
dal pensiero dello scopo finale. La rivoluzione borghese non le appariva solamente
una tappa oggettivamente inevitabile dello sviluppo della Russia, ma i diritti
democratici da conquistare in questa lotta e la lotta stessa per questi diritti
erano per lei mezzi mediante i quali la classe operaia sarebbe matu-rata da
un punto di vista intellettuale, morale e organizzativo, e sarebbe diventata
capace di lottare per la conquista del potere politico". E' praticamente
la stessa concezione che sta dietro il programma di transizione.
La dialettica tra lotte parziali e su obiettivi modesti e la strategia rivoluzionaria,
viene affrontata con un'ottica pedagogica basata sull'autoeducazione delle masse
attraverso l' esperienza delle lotte. Ma Rosa è stata anche una straordinaria
pedagoga in senso proprio. Agli inizi del 1907 venne chiamata a insegnare economia
politica alla scuola di partito appena costituita e che rappresentò un'esperien-za
di grande interesse. Rimangono come traccia di quel lavoro alcune dispense pubblicate
anche in Italia col titolo Introduzione all'economia politica, Jaca Book, Milano,
1970. In particolare la prima lezione (Che cos’è' l’economia
politica) dà il senso del carattere iconoclastico dell'insegnamento della
Luxemburg, che comincia facendo a pezzi con una mordente ironia tutta la scienza
accademica ufficiale tedesca.
Ma il contributo più prezioso di Rosa Luxemburg, quello che ce la rende
una compagna di lotta in-sostituibile è la sua analisi della burocrazia,
giustamente valorizzata da Ernest Mandel nel saggio dallo stesso nome come parte
integrante dell'elaborazione della Quarta Internazionale.
Il ruolo della burocrazia
Questo fenomeno è stato colto molto lucidamente da Rosa Luxemburg prima
che esso si manifestasse nelle forme peggiori, diventasse tradimento vero e
proprio, e arrivasse al crimine per mettere a tacere le voci più scomode:
Rosa fu assassinata dai Corpi Franchi assoldati dal ministro socialde-mocratico
Gustav Noske!
In uno straordinario scritto del 1906, Sciopero generale, partito, sindacati,
la Luxemburg aveva os-servato che la grande crescita del movimento sindacale
e soprattutto di un vasto strato di funzionari sindacali era “un prodotto
storico pienamente spiegabile” degli anni di alta congiuntura economica
1895-1900, anni di prosperità economica e di bonaccia politica. Questo
apparato, anche se inseparabile da certi inconvenienti, è un “male
storicamente necessario. Ma la dialettica storica dello sviluppo comporta che
questi mezzi necessari della crescita sindacale, a una certa altezza dello sviluppo
organizzativo e a un certo grado di maturità dei rapporti, si convertano
nel loro contrario, in ostacoli a una crescita ulteriore.” Erano parole
particolarmente profetiche, giacché appena un anno dopo, la socialdemocrazia
avrebbe per la prima volta perso voti nelle elezioni politiche, spezzando una
curva ascendente che sembrava definitiva, e scendendo in percentuale dal 31,7
al 29 % e in deputati da 81 a 43. All’origine dell’insuccesso relativo
c’era stata l’incapacità di fronteggiare un forsennato attacco
sciovinista ai socialdemocratici che avevano osato denunciare i crimini compiuti
dalle truppe coloniali contro gli ottentotti del territorio che oggi si chiama
Namibia; con un conseguente relativo isolamento che impedì apparentamenti
e “desistenze”, ma la destra socialdemocratica ne ricavò
la convinzione che bisognava rinunciare ad ogni critica al colonialismo e al
militarismo.
La spiegazione del processo involutivo fornita da Rosa è particolarmente
interessante e dialettica: ne riportiamo per questo una piccola parte in una
scheda. La straordinaria ricchezza di questa analisi comunque non fu capita
subito dallo stesso Lenin.
Rosa invece metteva a frutto la sua straordinaria esperienza nel più
forte e strutturato partito della Seconda Internazionale, e quella che proprio
nel 1905 aveva fatto in Polonia e in Russia durante la prima rivoluzione. Analizzando
gli scioperi generali “spontanei” in Russia e in altri paesi, sempre
prodottisi al di fuori ed anzi in contrapposizione delle organizzazioni sindacali,
Rosa aveva ricavato queste conclusioni: “È chiaro dall’esame
dettagliato degli scioperi di massa in Russia come dalla situazione stessa della
Germania, che una qualunque azione di massa un po’ importante, se essa
non deve limitarsi soltanto ad una dimostrazione una volta tanto, ma deve diventare
una vera azione di lotta”. E non può essere diretta solo dai sindacati,
dato che “ogni azione diretta di massa diretta od ogni periodo di aperte
lotte di classe sarebbe nello stesso tempo politico ed economico”.