Rosa Luxemburg.
Le
ragioni dell'involuzione dell'apparato sindacale. Di Antonio Moscato. (scheda)
Le ragioni dell’involuzione dell’apparato sindacale
[…] “La specializzazione della loro attività professionale
come dirigenti sindacali insieme con la naturale ristrettezza dell’orizzonte
che è connessa con le lotte economiche spezzettate in un periodo tranquillo,
portano troppo facilmente presso i funzionari sindacali al burocratismo e ad
una certa ristrettezza di vedute. Entrambi questi aspetti si manifesta-no in
una serie di tendenze che potrebbero diventare addirittura fatali per l’avvenire
del movimento sindacale. Fra queste c’è la tendenza a sopravvalutare
l’organizzazione, che da mezzo in vista di uno scopo viene a poco a poco
trasformata in un fine a se stesso, in un bene supremo a cui devono essere subordinati
gli interessi della lotta. Così si spiega quel bisogno apertamente confessato
di tranquillità che indietreggia spaventato davanti a ogni rischio un
po’ grave, davanti a pretesi pericoli per l’esistenza dei sindacati,
davanti all’incertezza [dell’esito] delle maggiori azioni di massa,
e così si spiega inoltre la sopravvalutazione del metodo di lotta sindacale,
delle sue prospettive e dei suoi successi.
Continuamente assorbiti dalla guerriglia sindacale, i dirigenti sindacali, il
cui compito consiste nello spiegare alle masse lavoratrici l’alto valore
di ogni anche più piccola conquista economica, di ogni aumento di salario
o riduzione dell’orario di lavoro, finiscono con il perdere essi stessi
a poco a poco il senso delle correlazioni e la capacità di abbracciare
con lo sguardo la situazione complessiva. Solo così si può spiegare
che parecchi dirigenti sindacali richia-mino l’attenzione con tanta soddisfazione
sulle conquiste degli ultimi 15 anni anziché viceversa metter l’accento
sul rovescio della medaglia: sul contemporaneo enorme abbassamento del livello
di vita proletario a cagione del caro-pane, dell’insieme della politica
fiscale e doganale, del rincaro dei terreni che ha determinato un così
esorbitante aumento dei fitti, in una parola su tutte le tendenze obiettive
della politica borghese che hanno in gran parte messo in dubbio le conquiste
di 15 anni di lotte sindacali. Di tutta la verità socialdemocratica che,
accanto alla accentuazione del lavoro sindacale e della sua assoluta necessità,
dà rilievo essenziale anche alla critica e ai limiti di questo lavoro,
viene in questo modo sostenuta solo la mezza verità sindacale che mette
in evidenza solo il lato positivo della lotta quotidiana. E infine dall’abitudine
di passare sotto silenzio i limiti obiettivi che l’ordinamento della società
borghese pone alla lotta sindacale deriva una diretta avversione a qualunque
critica teorica che richiami l’attenzione su questi limiti in relazione
con gli scopi finali del movimento operaio. L’adulazione incondizionata,
l’ottimismo senza limiti sono elevati a dovere.”
Rosa Luxemburg osservava che si creava così una stretta alleanza tra
chi non accettava la classica posizione socialde-mocratica (oggi diremmo “comunista”
ma fino al tradimento dell’Internazionale socialista nel 1914 anche i
rivoluzionari come Lenin o Rosa Luxemburg si autodefinivano socialdemocratici)
contro l’ottimismo acritico sul terreno sindacale, con quelli che rifiutavano
lo stesso ottimismo che portava a illusioni sul ruolo dello strumento parlamentare.
Ma il peg-gio era che a queste tendenze si ricollegava strettamente un mutamento
nel rapporto tra capi e massa:
“Al posto della direzione collegiale attraverso commissioni locali con
le loro indubbie insufficienze, subentra la direzione professionale dei funzionari
sindacali. L’iniziativa e la capacità di giudizio divengono in
tal modo, per così dire, una specialità professionale, mentre
alla massa spetta essenzialmente la virtù meramente passiva della disciplina.
Que-sti lati deboli del funzionarismo nascondono in sé sicuramente dei
gravi pericoli anche per il partito, che possono molto facilmente derivare dalla
recentissima innovazione, la creazione dei segretari locali di partito, se la
massa socialdemo-cratica non veglierà a che i segretari nominati rimangano
dei puri organi di attuazione e non vengano considerati come i titolari professionali
dell’iniziativa e della direzione della vita locale di partito.
Ma nella socialdemocrazia, per la natura delle cose, per il carattere stesso
della lotta politica, sono posti al burocratismo limiti assai più stretti
che nella vita sindacale. Qui proprio la specializzazione tecnica delle lotte
salariali, p. es. la conclusione di complicati accordi tariffari e altri simili,
ha come risultato che alla massa degli organizzati viene spesso rifiutato «uno
sguardo panoramico sull’intera vita professionale» e con ciò
si giustifica la sua incapacità di giudizio. Un fiore di questa concezione
è segnatamente l’argomentazione con la quale viene proibita ogni
critica teorica alle prospettive e alle possibilità della prassi sindacale,
perché essa rappresenterebbe un supposto pericolo per la fede della massa
nei sindacati. Si parte qui dall’idea che la massa operaia può
essere guadagnata e conservata all’organizzazione solo con una fede cieca
e infantile nella fortuna della lotta sindacale. All’opposto della socialdemocrazia,
che basa la sua influenza sulla comprensione da parte della massa delle contraddizioni
dell’ordine esistente e di tutta la complicata natura del suo sviluppo,
e sull’atteggiamento critico della massa in tutti i suoi momenti e stadi
della sua propria lotta di classe, l’influenza e la forza dei sindacati
vengono fondati secondo questa teoria assurda, sulla mancanza di critica e di
giudizio della massa. «Al popolo deve essere conservata la fede»
- questo è il principio in base al quale parecchi funzionari sindacali
bollano ogni critica alle obiettive insufficienze del movimento sindacale come
attentato al movimento sindacale stesso”.
Rosa Luxemburg si sbagliava solo su un punto: sarebbe stata rapida la trasposizione
di questo atteggiamento dai sindacati alla socialdemocrazia e successivamente
agli altri partiti operai. Il metodo di paracadutare dall’alto i dirigenti
locali è stato applicato con sistematicità anche in tutti i partiti
comunisti, a partire dal periodo staliniano, e continua ancor oggi, e ha contagiato
anche molte organizzazioni della “nuova sinistra” nate dopo il 1968.
Ma l’analisi complessiva resta attualissima. Sciopero generale, partito
e sindacati è pubblicato in varie raccolte. La citazione tratta è
da Rosa Luxemburg, Scritti politici, a cura di Lelio Basso, Editori Riuniti,
Roma, 1967, pp. 363-365.
Nel congresso di Jena dell’autunno 1905 Rosa riuscì a far passare
– utilizzando l’esempio russo - una risoluzione che approvava l’uso
dello sciopero politico di massa in determinate condizioni. Tuttavia le formulazioni
del testo, incentrato sul parlamentarismo e la difesa di esso, erano deludenti,
e il numero di compagni che condividevano realmente le sue idee le parve troppo
esiguo. Fu molto delusa soprattutto da alcuni discorsi, tra cui quello del vecchio
“padre fondatore” August Bebel. Nel suo intervento conclusivo Rosa
Luxemburg si espresse duramente su questo: “Quando si sono ascoltati i
discorsi che sono stati pronunciati qui nel corso del dibattito sulla questione
dello sciopero di massa, bisogna veramente prendersi la testa tra le mani e
domandare: viviamo davvero nell’anno della gloriosa rivoluzione russa,
o siamo nel periodo di dieci anni fa? […] Le rivoluzioni finora esistite,
e particolarmente quella del 1848, hanno dimostrato che nelle situazioni rivoluzionarie
bisogna tenere imbrigliate non le masse, ma i deputati parlamentari affinché
non tradiscano le masse e la rivoluzione.”
Queste parole irritarono così profondamente il capo del partito Bebel,
che egli dichiarò ironicamente: “quando ho sentito tutto questo,
ho guardato un paio di volte i miei stivali, per vedere se non sguazzassero
già nel sangue”.
Le citazioni sono tratte da Paul Frölich, Rosa Luxemburg, prefazione di
Rossana Rossanda, BUR, Milano, 1987, pp. 188-189.
Anche in Germania, se si aprirà una fase di lotte paragonabili a quelle
della Russia, “gli avvenimenti non si preoccuperanno minimamente di domandare
se i dirigenti sindacali hanno dato o no la loro approvazione al movimento”.
Se tenteranno di opporsi, “i dirigenti sindacali, allo stesso modo che
i dirigenti di partito, saranno semplicemente buttati fuori da un lato dall’onda
degli avvenimenti, e le lotte tanto economiche quanto politiche saranno combattute
senza di loro. Infatti la divisione tra lotta politica e sindacale, e l’indipendenza
di entrambe non che un prodotto artificioso, quantunque storicamente condizionato,
del periodo parlamentare”. Era un’intuizione giusta, anche se solo
nella Russia del 1917 arriverà a una verifica completa, per l’esistenza
di una forza rivoluzionaria co-sciente che mancherà invece nella rivoluzione
del 1919-1919 in Germania. Ma è un'altra questione da quella che vogliamo
sottolineare in questo capitolo.Rosa Luxemburg è nata il 5 marzo 1871
a Zamosc, una cittadina vicino a Lublino, che era sotto il dominio russo dal
1815 ed era abitata per un terzo da ebrei. Diplomatasi a Varsavia con ottimi
voti nel 1887, è costretta a trasferirsi in Svizzera per proseguire gli
studi, che le erano negati in base al numero chiuso che limitava fortemente
l’accesso di ebrei alI’Università. A Zurigo segue contemporaneamente
studi filosofici e giuridici, e comincia l’attività politica, protesa
sia verso il paese natale, sia verso la Germania dove si trasfe-risce nel 1898
grazie a un matrimonio di comodo con un amico, che le assicura la cittadinanza
tedesca e la possibilità di non essere espulsa.
Dirige diversi giornali del partito, e scrive articoli su molti di essi, sostenendo
un ruolo di primo piano nella battaglia contro il revisionismo teorico di Bernstein
e le posizioni scioviniste che cominciano a delinearsi. Alleata dapprima di
Bebel e Kautsky ( con la cui moglie stringe un profondo legame di amicizia)
non esita a staccarsene quan-do il “Centro marxista” kautskyano
ammorbidisce la sua polemica nei confronti dell’elettoralismo e del sindacalismo
opportunista. Dal 1907 insegna economia nella scuola di partito, che viene tuttavia
boicottata da importanti settori sindacali, che si guardano bene dal mandare
i propri militanti a studiare con chi sferza sistematicamente il loro adattamento
al sistema. La rivoluzione russa, a cui ha partecipato precipitandosi a Varsavia
e poi in Russia con documenti falsi e nel corso della quale viene arrestata
e rilasciata dietro cauzione, accelera la sua maturazione e la porta alla rottura
con i “centristi”, che non condividono le sue previsioni di un’imminente
guerra e il suo appello allo sciopero politico contro di essa.
Nel settembre 1913 incita i soldati tedeschi a non combattere se ci sarà
una guerra contro la Francia e per questo viene condannata a un anno con la
condizionale. Altre condanne le sono inflitte per discorsi in congressi o comizi.
Al momento del voto dei crediti di guerra da parte del gruppo parlamentare socialista
(compreso per il momento Karl Liebknecht, che si oppone all’interno del
gruppo ma per il momento si piega alla disciplina) Rosa insieme ad alcuni compagni
(Clara Zetkin, Franz Mehring e pochissimi altri) aveva tentato di convocare
una riunione della sinistra del partito, spedendo 200 telegrammi ad altrettante
personalità note. Solo sette risposero. Subito dopo la condizionale per
tutte le sue condanne viene revocata, e Rosa trascorre in carcere tutta la guerra.
Con pochissimi mezzi, dalla prigione fa uscire clandestinamente articoli e volantini.Le
lettere di Spartaco, che circolano in tirature inevitabilmente molto ridotte,
contribuiscono tuttavia a modificare il clima politico.
Se nel 1914 era rimasta quasi sola, nel 1916 decine di migliaia di operai scioperano
contro la guerra rispondendo agli appelli suoi e di Liebknecht, dapprima richiamato,
poi incarcerato anch’esso. Una parte del gruppo parlamentare (i “centristi”
e lo stesso Kautsky ma anche Bernstein) si differenzia timidamente dalla maggioranza
e viene subito espulso (chi dice che il comunismo è autoritario e la
socialdemocrazia tollerante?), ma forma un partito ambiguo ed esitante, il partito
socialdemocratico indipendente, che raccoglie una parte della radicalizzazione
operaia impedendo che si avvicini agli “spartakisti”. Durante la
detenzione Rosa polemizza con loro ma non se ne distacca formalmente.
Nel novembre 1918 esplode la rivoluzione, più profonda di quella russa
del febbraio 1917 dal punto di vista oggettivo, ma senza che un partito veramente
rivoluzionario sia riconosciuto dalle masse e possa proporre - come i bolscevichi
in Russia - uno sbocco positivo. Rosa rifiuta sdegnosamente la partecipazione
al governo che le viene offerta: è formalmente un governo solo socialista,
ma se i ministri sono in misura eguale riformisti e “indipendenti”,
ci sono in posizione apparentemente subalterna dei “tecnici” inequivocabilmente
borghesi. Il partito comunista “spartakista” nasce in un congresso
affrettato tra il 31 dicembre 1918 e il 1° gennaio 1919. L‘inesperienza
dei militanti facilita l’affermarsi di posizioni estremiste, e Rosa e
Karl Liebknecht vengono su molti punti messi in minoranza.
Ma la borghesia prepara la sua “controrivoluzione preventiva”, che
non trova una forza consistente e preparata a fronteggiarla. Pochi giorni dopo
il congresso una provocazione governativa (la sostituzione del prefetto di Berlino,
un “indipendente” molto stimato dalle masse) porta un milione di
manifestanti in piazza. Un milione ma senza guida. Borghesi e socialdemocratici
definiscono un’insurrezione quella manifestazione, e il ministro della
guerra, il socialdemocratico Gustav Noske scatena i mercenari dei “Corpi
franchi” che ha assoldato per far fronte al crollo di esercito e polizia.
Nella notte tra il 15 e il 16 gennaio Rosa e Karl vengono arrestati e subito
uccisi. La rivoluzione è decapitata. Borghesi e socialdemocratici brindano
allo scampato pericolo. Il mondo intero pagherà quel “successo”
dell’ordine capitalistico quando la controrivoluzione preventiva arriverà
all’ultima conseguenza: Hitler. La previsione di Rosa, “O socialismo,
o barbarie”, era terribilmente vera.