Per i 150 anni. la fame, i cannoni, Bava Beccaris e il re buono.
Il giovane stato italiano vive una gravissima crisi economica, che, aggravata dal contesto internazionale, spinge spesso la classe dirigente del paese a reprimere nella violenza le legittime richieste di un popolo affamato. Di
Maurizio Attanasi. Reds - Aprile 2011.


Tra i problemi post-unificazione che il governo si trovò ad affrontare c’erano lo sviluppo economico, l’unificazione di leggi, monete e bilanci degli stati pre-unitari.

La nuova classe dirigente italiana cercò, tra i primi atti del suo governo, il pareggio del bilancio; tale misura fu perseguita con tenacia dai politici di quella, che fu definita la destra storica erede del Cavour e dei suoi progetti risorgimentali.
L’ultimo atto di questa politica, completamente avulsa dai problemi sociali causati da tali scelte, fu la tassa sul macinato introdotta con legge nel 1869.

Nonostante la lunga preparazione del provvedimento legislativo, la legge che introduceva la tassa sul macinato fu approvata con elementi tali da rendere difficile la sua applicazione. Si trattava di un'imposta sul cereale che sarebbe stato macinato; incaricati della riscossione erano gli stessi proprietari dei mulini.
La confusione e superficialità caratterizzavano questa imposta che avrebbe dovuto regolamentare un settore delicato e vitale come quello cerealicolo.
La tassa “finiva per colpire le mense degli strati sociali più poveri, andandosi a sommare a una teoria oramai troppo lunga di tasse e balzelli che già minavano i redditi dei ceti meno abbienti” (1)

Al momento dell’entrata in vigore della legge, molti mulini rimasero chiusi perché non volevano essere gli esattori di quell’ingiusto balzello e perché erano terrorizzati dalla folla armata che avrebbe potuto assaltarli.

Tuttavia, alcuni forni furono costretti ad aprire e a macinare senza richiedere l’odiosa nuova tassa al popolo inferocito; in altri casi, furono le autorità governative che spinsero i mulini ad aprire per evitare che la tensione montasse in aree che erano ancora, apparentemente, tranquille.

Dopo gli episodi violenti dei primi mesi e dopo gli scontri con le forze dell’ordine su tutto il territorio nazionale, la protesta contro la tassa assunse forme diverse nelle regioni.
Nel nord esplosero le più violente rivolte spesso represse nel sangue dall’esercito ma poi la tassa fu sostanzialmente pagata; nel sud, invece, dove inizialmente sembrava non ci fossero gravi problemi nell'imposizione del tributo, alla lunga si registrarono le più alte punte di evasione.
La tassa venne abolita definitivamente nel 1884, dopo varie modifiche all’impianto originario dell’imposta.

L’Italia della fine dell’ottocento continuava ad essere un paese di analfabeti (al secondo posto in Europa) con il 43 % dei giovani di leva dichiarato riformato o rivedibile per denutrizione, l’emigrazione più che raddoppiata, rispetto all’immediato periodo post-unitario.

Una serie di fattori internazionali come la crisi agraria mondiale degli anni ottanta, la concorrenza cerealicola americana, la guerra commerciale con la Francia la crisi del vino e dello zolfo, minarono l’economia italiana e siciliana in particolar modo.

Negli anni 80-90 si era formato un movimento, quello dei fasci dei lavoratori, diffusi in tutta l’isola siciliana, con una variegata composizione sociale (presenti operai, contadini, impiegati, domestici).
Il Fascio , recitava l’articolo 4 dello statuto del Fascio di Catania del 1891, si compone di operai d'ogni arte e mestiere, di ambo i sessi e d'ogni età, purché provino di vivere col frutto del proprio lavoro e alla dipendenza dei padroni capitalisti, ecc. Non è considerato operaio colui che ha sotto la sua dipendenza uno o più lavoratori. (2)
I fasci nacquero in Sicilia nel 1888 e, secondo la tradizione, il primo a nascere fu quello di Messina.

Nel 1893 per una controversia territoriale con il comune scoppiarono i primi tumulti. Da allora sarà un moltiplicarsi di episodi in tantissimi comuni di tantissime province dell’isola.
I motivi della protesta e degli scioperi sono tanti: scioperano i braccianti agricoli, i minatori, i mietitori e i contadini.
Si protesta per le controversie territoriali con i comuni, per l’aumento dei salari, per la modifica dei patti coloniali, contro la determinazione del prezzo del grano e per il dazio sullo zolfo, contro il dazio sulla farina.
Ma ci sono manifestazioni contro il parroco o contro il medico condotto o per chiedere efficaci misure anticoleriche.

Spesso la forza pubblica compie arresti, disperde i manifestanti (e a volte ci scappa il morto); mai per episodi di violenza durante le manifestazioni ma sempre dopo l’intervento dei militari o degli agenti di p.s : 1 morto ad Alcamo,11 a Giardello e a Learcara, 8 morti a Pietraperzia, fino ai 14 morti di Villarmosa (3 gennaio 1894) dopo che Crispi, presidente del consiglio, aveva dato pieni poteri al generale Morra.
Morra proclama lo stadio d’assedio in tutta la regione; i fasci vengono sciolti per legge, si dispone l’arresto dei membri del comitato centrale, si da inizio ad una cieca repressione e a processi di massa.
“Erano … le masse dei contadini poveri, miseri, analfabeti e oppressi da secoli di dominazioni baronali, che si avanzano sulla scena della storia per rivendicare diritti” (3)

E ,orgogliosamente, nella sua autodifesa Nicola Barbato, uno dei dirigenti dei fasci affermava :“ Certo la nostra propaganda è stata energica, essa fa rialzare la testa alla gente che andava curva…. Essi hanno acquisito la coscienza di essere uomini. Non domandano più l’elemosina chiedono ciò che è loro diritto”.

Il 13 gennaio 1894 veniva indetto a Carrara lo sciopero di protesta contro lo stato d'assedio in Sicilia e di solidarietà con gli uomini dei Fasci siciliani arrestati. Da Carrara lo sciopero e la protesta dilagarono in tutta la provincia con gli inevitabili scontri e morti.
Crispi decretò lo stato d’assedio il 16. “Cominciano le repressioni e i processi davanti ai tribunali militari, per direttissima, con pene pesanti. Circa trecento sono gli arrestati per sedizione e duecentonove gli anarchici arrestati in quanto tali. Chi non finisce in carcere, viene spedito al domicilio coatto (...). Per il solo fatto della presenza alle dimostrazioni, si ebbero condanne a venti anni” (4)

La grave crisi già descritta agli inizi degli anni 90, peggiora sul finire del decennio a seguito di nuovi fattori internazionali (la guerra ispano-americana del 98 per Cuba) e di varie situazioni interne: crisi degli agrumi e dello zolfo per la Sicilia, la difficoltà, in diverse regioni, dei mezzadri a trasformare la produzione capitalistica delle colture, la distruzione provocata dalle alluvioni e la scarsità della vendemmia, l’aumentare di contadini senza lavoro e mezzadri senza terra.

“Dopo uno stillicidio ininterrotto di manifestazioni di piazza e di piccole agitazioni locali che dura dall’autunno del 1897, i primi tumulti scoppiano all’inizio di gennaio 1898 in Sicilia e Puglia …con l’assalto ai municipi e agli uffici catastali, l’incendio dei casotti daziati, il saccheggio dei magazzini dei fornai, la distruzione dei circoli dei nobili” (5)
Il governo si muove in due direzioni: da un lato cerca di rispondere alle richieste che provengono dalla piazza (creazione di forni per la distribuzione di pane gratis, riduzione del dazio doganale, istituzione di spacci comunali e cucine economiche) ma richiama anche sotto le armi 40 mila uomini pronto ad usare il pugno di ferro, nelle piazze particolarmente critiche.
E' molto forte il timore di essere alla vigilia della rivoluzione proclamata dai socialisti; un timore spesso strumentale che porta i governanti a fare scelte autoritarie nell'ambito della politica governativa.

E a maggio la scintilla scoppia a Milano !
Tutto inizia con un volantino scritto dai socialisti in cui si invita alla calma, in cui si leggeva che era dovere dei lavoratori far si che la disperazione non andasse oltre la misura per evitare nuove stragi.
I questurini sequestrano i volantini all’ingresso della fabbrica Pirelli, arrestando l’operaio che li stava distribuendo. Un gruppo di operai insorge chiedendo la sua liberazione, ne seguono i primi scontri, con ulteriori arresti e i primi morti.
La mattina successiva, gli operai della Pirelli (per metà donne) decisero di scioperare per protesta per quanto era successo il giorno precedente.
Lo sciopero si estende a tutta la città, nonostante, l’opera di dissuasione della Camera del Lavoro, che temeva che si sarebbe fornito il destro per l’attività repressiva delle forze dell’ordine.

I socialisti, in quelle giornate, ammonivano il proletariato: “non fate dimostrazioni che sarebbero un pretesto per una feroce repressione; il governo è pronto, voi no!” (Nicola Colajanni).

Migliaia di operai e sottoproletari si trovavano per strada, disarmati.
Nella tarda mattinata iniziarono gli scontri e iniziarono a innalzarsi deboli e fragili barricate, i corpi degli operai che coprono le strade, a decine, uccisi in alcuni casi con colpi alla spalle.
Nelle stesse ore a Bava Beccarsi, comandante del terzo corpo d’armata, venne demandato il ristabilimento dell’ordine pubblico.
Gli scontri durarono anche nel pomeriggio; in via Torino a pochi passi da piazza Duomo un reparto di bersaglieri apre il fuoco contro la folla provocando decine di morti.
Nel pomeriggio fu proclamato lo stato d’assedio; gli scontri continuarono e le autorità iniziarono a chiudere giornali definiti “sovversivi” e ad arrestare politici dell’opposizione (radicali, repubblicani e socialisti).
Nella notte l’ordine era ristabilito ma furono fatti accorrere nel capoluogo lombardo altre truppe dalle province vicine.
La mattina dell’8, domenica, si formarono di nuovo cortei che, inevitabilmente, si scontrarono con le truppe che spararono con le mitragliatrici provocando decine di morti e feriti.
Nel pomeriggio si raggiunse il culmine: fu usato il cannone in Porta Ticinese, e gli scontri continuarono cruenti sino a notte per tutta la città.
La mattina del 9 le fabbriche erano chiuse per ordine del Bava Beccarsi e si ebbero ancora incidenti.
Nel pomeriggio l’episodio più tristemente noto: il convento dei cappuccini preso a cannonate perché i mendicanti che erano li in attesa di un pasto caldo come tutti i giorni, furono scambiati per rivoltosi; dopo la presa del convento i frati furono arrestati perché furono considerati insorti che si erano travestiti.
Il bilancio degli scontri di Milano fu nella versione ufficiale di 80 morti e 450 feriti, ma il dato più attendibile sembra debba essere di 130. Gli arrestati più di tremila.
Gli scontri nelle settimane successive continuarono in altre parti d’Italia, dove sulla scia di Milano, fu proclamato lo stato d’assedio.

Quella del 98 fu senza dubbio la forma di contestazione più diffusa e massiccia che avesse fino ad allora investito lo stato unitario.
Non fu solo repressione delle manifestazioni e degli scioperi: fu una scelta politica reazionaria con la chiusura di giornali non in linea con il governo, lo scioglimento di consigli comunali in cui erano presenti i socialisti.
Vennero chiuse a tempo indeterminato le università di Napoli, Bologna, Padova, Pisa e Roma.

In questo clima, gli industriali e gli agrari approfittarono per un giro di vite, sostenuti dal governo: provvidero a licenziare tutti coloro che erano sospettati di avere simpatie politiche antigovernative, ridussero i compensi già pattuiti con i braccianti ; ottennero, poi, la presenza dell’esercito durante la mietitura per evitare possibili azioni di forza dei lavoratori!
Il socialista Olivetti scrive: ” Non furono cause immediate e attuali … ma cause economiche superevolute in una sofferenza politica, in una inquietitudine morale. Furono le stragi degli innocenti per tutte le terre d’Italia, le donne assassinate, i bambini massacrati, fu l’eco delle cento città italiane piene di sangue e urlanti di fame, fu lo strazio dei contadini scioperanti a spingere il proletariato milanese per il sublime disprezzo, per l’immane e malvagia putrefazione della vita politica del paese, per la vergogna del sistema dominante.”

Il sovrano, Umberto I, si sentì in dovere di inviare un telegramma in cui si complimentava con Bava Beccaris e in cui gli preannunciava la concessione di una onorificenza per lui e per i suoi uomini che sarebbe arrivata di li a poco. (6)

Secondo una canzone popolare, invece, il giudizio che veniva dato era diverso: “Alle grida strazianti e dolenti di una folla che pan domandava, il feroce monarchico Bava gli affamati col piombo sfamò”.

Questa onorificenza fu, probabilmente, una delle motivazioni che spinsero Gaetano Bresci a compiere due anni dopo, nel 1900, a Monza l’assassinio del cosiddetto re “buono”.
Bresci, anarchico toscano dichiarato, viveva ormai negli Stati Uniti ed era legato pubblicamente agli ambienti dell’anarchismo statunitense.
Il Bresci, riuscì laddove altre attentati (ben due) avevano fallito.
Come corollario delle indagini che la polizia svolse immediatamente dopo l’evento ci furono l’arresto di molti che avevano occasionalmente conosciuto il Bresci, senza trascurare i mesi di carcere preventivo che dovettero subire tutti i suoi familiari, in Toscana.
Si è discusso molto se quella di Bresci fu un azione isolata, come altre tipiche in ambienti dell’anarchismo di quel periodo, o se si trattò, invece, di un complotto in cui l’anarchico toscano fu o meno soggetto consapevole della sua missione.
Resta il gesto violento, con cui un uomo volle colpire un simbolo che impersonava l’autorità e l’autoritarismo e che era collegato a doppio filo a fatti tragici e repressivi come quelli delle rivolte del 98, senza dimenticare i moti siciliani e della Lunigiana di qualche anno prima.


(1) Stefano Camelli, I moti del macinato, in Storia della società italiana volume 18
(2) http://mnemonia.altervista.org/antimafia/fasci.php
(3) F Renda, I fasci siciliani 1892-1894, Einaudi 77 pg 320
(4) Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani nell'epoca degli attentati,
(5) Umberto Levra, La crisi del 1898, in in Storia della società italiana volume 19
(6) “Ho preso in esame la proposta delle ricompense presentatemi dal Ministro della Guerra a favore delle truppe da lei dipendenti e col darvi la mia approvazione fui lieto e orgoglioso di onorare la virtù di disciplina, abnegazione e valore di cui esse offersero mirabile esempio. A Lei poi personalmente volli conferire di motu proprio la croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia, per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della Patria. Umberto Roma 6 giugno 1898 h 21,20BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
AA.VV, Storia della società italiana volume 18, TETI EDITORE. 1981
AA.VV, Storia della società italiana volume 19, TETI EDITORE. 1981
Massimo L.Salvatori, Sorita dell’età moderna e contemporanea vol. I, Loescher editore , 1990
Denis Mack Smith, Storia d’Italia 181-1869
F Renda, I fasci siciliani 1892-1894, Einaudi 77
L.D’Angelo, Lotte popolari e stato nell’italia umbertina, ed carecas 79
Aldo Mola, Declino e crollo della monarchia in Italia, Mondadori 2006
Arrigo Petacco, L’anarchico che venne dall’america; Mondatori 2000