Per i 150 anni. Marcinelle
Tragedia
del lavoro nel Belgio degli anni 50. Emigranti italiani tra le vittime.La
storia di Marcinelle è una storia di sfruttamento, di emigrazione,
di dolore.
(
Di
Maurizio Attanasi). Reds - Dicembre 2011.
Il Belgio
è parte attiva di quella che è stata definita la guerra del
carbone tra Belgio, Francia e Germania.
Il piccolo regno era ricco di riserve minerarie , ma gli uomini mancavano.
L’Italia, uscita anch’essa distrutta dal conflitto mondiale,
aveva migliaia di uomini senza lavoro, con le industrie devastate e senza
molte risorse.
Questa particolare condizione fece si che le due nazioni stringessero un
patto in base al quale l’Italia si impegnava a inviare uomini in Belgio
a lavorare presso le miniere e il governo di Bruxelles inviava un determinato
quantitativo di carbone per ogni operaio che si fermava in Belgio.
Gli stati, quindi, usavano uomini, donne e bambini come fossero merce.
Un vecchio minatore diceva: “qua noaitri diciamo che l’Italia
ci ha venduto per 50 chili di carbone. Il vecchio governo che c’era
allora”.
Gli italiani che partivano, quasi tutti dall’Italia centro meridionale,
non avevano spesso idea di cosa volesse dire lavorare sotto terra, cosa
voleva dire lavorare lontano dall’Italia.
L’accordo, in linea di massima, prevedeva che la repubblica Italiana
inviasse persone in buona salute, forza lavoro capace di sopportare il duro
lavoro.
In Belgio dovevano fermarsi almeno un anno; se non si rispettavano questi
accordi i nostri emigranti venivano rinchiusi in campi di prigionia, poi
in galera ed, infine, venivano rimpatriati.
E in prigione , spinti dalla fame, molti decidevano di ritornare a lavorare
nella mina, come veniva chiamata la miniera.
La partenza dall’Italia era già un traguardo. I treni per le
miniere partivano da Milano, punto di raccolta dei nostri disperati.
Potevano aspettare dei giorni in condizioni critiche per aspettare il riempirsi
dei treni.
Non era raro, poi, il caso di persone che partivano dalla Sicilia o da luoghi
lontani centinaia di chilometri da Milano per sentirsi dire che non erano
idonei fisicamente e che, quindi, non sarebbero partiti per il, comunque,
agognato lavoro.
Poi si arrivava in Belgio.
L’accordo prevedeva anche che i lavoratori venissero alloggiati in
strutture idonee e che venisse fornito loro vitto adeguato.
Le imprese minerarie in molti casi avevano riadattato campi di prigionia
della seconda guerra mondiale come alloggi per i minatori; spesso veniva
fornito un cibo scadente, in molti casi veniva vietato agli italiani di
cucinare in proprio,
Le condizioni igieniche erano impossibili: in caso di pioggia o neve le
strade adiacenti alle baracche si trasformavano in acquitrini.
C’era poi un pesante clima di ostilità con i cittadini belgi
che non facevano mancare episodi di violenza e razzismo verso la comunità
italiana.
“Salis macaronis”, sporchi maccheroni venivano chiamati dai
belgi gli italiani
Infine arriva la miniera.
Qualcuno l’aveva “vissuta” già; alcuni italiani
che venivano dall’Abruzzo erano dei minatori da generazioni. Per altri,
invece, è un incubo devastante.
Molti lasciano, anche andando incontro alle sanzioni previste dall’accordo.
Molti “se la fanno andar bene”! I soldi servono per sé
e per la famiglia rimasta in Italia; o la miniera o la fame nell’Italia
ancora lontana dal boom degli anni sessanta!
La tragedia: l’8 agosto 1956; la “catasgrofa” come si
diceva in Belgio, tra i minatori italiani.
262 uomini morti di dodici nazionalità diverse; 136 italiani provenienti
da 13 regioni.
“Tutti morti” affermarono i soccorsi dopo decine di giorni di
ricerche.
La causa fu subito individuata nell’errore umano, Un minatore non
avrebbe agganciato correttamente i carrelli che trasportano il carbone nell’ascensore;
nel corso dell’elevazione alcuni fili sono stati tranciati scoppia
una scintilla; il gas presente nella miniere prende fuoco e scoppia l’inferno
!
Ma, come al solito, è una verità troppo facile.
Uno dei sopravvissuti, testimone chiave, "scompare" dopo la tragedia
tra le lande del Canada, e nessuno ebbe interesse ad interrogarsi in quali
condizioni di sicurezza lavorassero i minatori; in altre miniere ad esempio
quei carrelli avevano un meccanismo automatico e non manuale come accadeva
a Martinelle.
Le strutture erano in legno e non in acciaio come nelle altre miniere e
ci accertarono che le condutture dell’olio passavano vicino ai cavi
elettrici.
Gli interventi erano di minima rilevanza, per non intralciare il lavoro
e abbassare i livelli di produzione della miniera.
Il Tempo, quotidiano romano, nei giorni della tragedia scriveva: “in
quelle vecchissime miniere le attrezzature non vengono sostituite per una
fredda ragione: non conviene. Molte di quelle miniere sono in agonia; il
loro sfruttamento potrà durare ancora qualche anno”.
Le lacune erano evidenti a tutti tanto che dopo l’incidente venne
introdotta nelle miniere del Belgio la maschera antigas.
“Noi italiani abbiamo lavorato come schiavi , perché quello
che interessava era la mina e il carbone non gli uomini”.
Dopo la tragedia il governo italiano dell’epoca minaccerà di
ritirare i lavoratori, ma come al solito spesso da parte dei nostri governanti,
alle parole non faranno seguire i fatti.
Martinelle è anche la tragedia del dolore dopo il disastro; corpi
riconosciuti per gli oggetti personali, bare secondo qualcuno vuote o riempite
con pietre !
Restano i morti : i 262 di Marcinelle; i centotrentasei italiani di quella
tragedia si sommano in un totale di più di seicento lavoratori morti
nelle miniere belghe tra il 1946 e il 1956.
Bibliografia
Roberto Melchiorre, Martinelle; Textus 2006
Monica Ferretti, Gueules Noires, non solo parole, 2003
Paolo Di Stefano, La catastrofa, Sellerio 2011
Filmografia
A e A Frazzi , Martinelle, 2005
Rai educational, Martinelle memorie dal sottosuolo.