Rivolta in Ecuador.
Migliaia
di indios dell'Ecuador hanno conseguito il loro primo obiettivo: cacciare il
presidente Jamil Mahuad, sostenuto dagli USA, e bloccare la sua proposta di
dollarizzazione del Paese. Gennaio 2000.
Hanno preso il
palazzo del Parlamento in 15 minuti. Migliaia di indios dell'Ecuador, sostenuti
da un settore di giovani militari, dopo una settimana di manifestazioni e di
scioperi che hanno paralizzato il piccolo Paese andino, hanno conseguito il
loro primo obiettivo: cacciare il presidente Jamil Mahuad, sostenuto dagli USA,
e bloccare la sua proposta di dollarizzazione del Paese.
La rivolta, promossa dalla potente organizzazione degli indios dell'Ecuador
(CONAIE) e sostenuta da consistenti settori di lavoratori (tra i quali quelli
del settore petrolifero), da studenti, commercianti e da settori nazionalisti
delle forze armate, si trova in una fase di stallo politico. Il potere, dopo
un temporaneo triumvirato, composto da un militare, un rappresentante degli
indios e da un ex presidente della Corte Suprema, è passato nelle mani
del vice-presidente Noboa, un potente imprenditore, su suggerimento degli USA.
Ma gli Indios non riconoscono Noboa e la mobilitazione continua. Dal canto loro
gli USA minacciano ritorsioni e un embargo come quello ai danni di Cuba se in
Ecuador non si torna al "rispetto delle garanzie costituzionali";
in altre parole se gli insorti non accettano Noboa. Comunque sia la politica
imperialista statunitense non avrà vita facile. Questo travagliato Paese
vanta infatti il record di aver respinto con la mobilitazione popolare ogni
tentativo di soluzione neoliberista alla crisi: 6 presidenti deposti negli ultimi
4 anni.
L'Ecuador doveva rappresentare per il FMI il primo e più avanzato esperimento
di dollarizzazione. Un provvedimento che si era reso "necessario"
a causa della grave crisi economico-finanziaria che stava attraversando il Paese.
All'inizio del 1999 i più grandi istituti bancari avevano dato vita ad
una grossa speculazione sulla moneta nazionale, il sucre, dirottando ingenti
quantità dei risparmi depositati dai cittadini in compagnie di comodo
straniere. Alla dichiarazione di fallimento della metà delle banche dell'Ecuador,
il presidente Mahuad aveva risposto con misure che andavano a favorire le banche
stesse: congelamento dei conti correnti dei cittadini e rimborso alle banche
attraverso l'immissione di una ingente quantità di sucre. Tale provvedimento
aveva prodotto un crollo della moneta nazionale che in un solo anno ha visto
la sua quotizzazione rispetto al dollaro passare da 7.000 a 25.000 sucre. La
maggior parte dei risparmiatori hanno così perso i loro risparmi, dissolti
dalla svalutazione. A questo punto, Mahuad, avversato secondo un sondaggio dall'80%
dei cittadini, ha giocato la carta della dollarizzazione. Fissare il cambio
dollaro-sucre a 25.000 e procedere al ritiro della moneta nazionale dal mercato.
In pochi mesi, il dollaro sarebbe diventato la moneta ufficiale dell'Ecuador.
Ma i settori popolari del Paese non si sono fatti trarre in inganno. Già
alcuni economisti avevano messo in guardia dalle conseguenze della dollarizzazione;
lo stesso "Economist" aveva espresso il proprio scetticismo riguardo
al provvedimento, soprattutto a causa, secondo il giornale statunitense, del
sistema dei rapporti di lavoro ancora troppo rigidamente a favore dei lavoratori.
La moneta nazionale svolge infatti un ruolo di ammortizzatore delle tempeste
economiche mondiali; svalutando la propria moneta, il Paese difende dalla concorrenza
i propri prodotti sul mercato internazionale. In presenza di un cambio fisso
o di una dollarizzazione questi meccanismi saltano e la competitività
delle proprie merci si scarica sulla riduzione del costo del lavoro e quindi
dei salari.
A tal proposito, proprio il 19 gennaio, Mahuad, su consiglio di esperti USA,
aveva presentato il suo piano di dollarizzazione, accompagnato da un legge di
flessibilità del lavoro che prevedeva la possibilità per una impresa
di contrattare i lavoratori addirittura ad ore.
Ma "l'esperimento Ecuador" sembra già aver deluso le ambizioni
del governo USA: le mobilitazioni popolari hanno rimesso in discussione i delicati
rapporti politici nella zona. L'Ecuador doveva rappresentare per gli USA anche
la pedina da giocare in caso di trionfo della guerriglia in Colombia: non a
caso, proprio sotto lo stesso Mahuad, gli USA hanno installato una base militare
presso il porto della città di Manta. Ora, alla polveriera colombiana,
si aggiunge quella ecuadoreña, ed anche nello stesso Perù, proprio
in questi giorni, si sono svolte numerose e massicce mobilitazioni popolari
contro la dittatura civil-militare di Alberto Fujimori. Il Presidente del Perù
costituiva il modello politico che lo stesso Mahuad aveva cercato di imitare,
anche se con scarso successo.
Piuttosto si dovrà accontentare di imitare alcuni dei suoi predecessori:
quei presidenti neoliberisti condannati all'esilio dalla mobilitazione popolare.
In allegato comunicati del Parlamento Nazionale dei Popoli dell'Ecuador