Siamo come la paglia delle
nostre montagne che quando brucia torna a germogliare.
Cronistoria
e indagine sulle cause del movimento di lotta degli indigeni dell'Ecuador. Di
Giona Di Giacomi. Gennaio 2000.
Era da un mese che in Ecuador si preannunciava l'insurrezione, la data era già stata fissata: il 15 di gennaio. Infatti, dopo una settimana di mobilitazioni, marce, scioperi e scontri, venerdì 21 gennaio, una moltitudine di indios, contadini, operai e studenti ecuatoriani, con l'appoggio di un gruppo di giovani colonnelli dell'esercito, ha occupato gli edifici del parlamento ed il tribunale ed ha instaurato una giunta di salvezza nazionale.
Davanti a questi avvenimenti, i mezzi di comunicazione borghesi di tutto il mondo, che avevano mantenuto un muto silenzio durante tutta la settimana, hanno cominciato a gridare che un colpo di stato aveva fatto cadere il governo di Jamil Mahuad.
Per poter comprendere il meraviglioso movimento di massa che ha scosso l'Ecuador in questi giorni, bisogna tornare indietro almeno all'inizio degli anni '90, quando tutta una serie di governi di destra e di "sinistra" hanno cominciato ad applicare fedelmente le ricette del FMI. I risultati sono stati subito evidenti: i due terzi della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, iperinflazione, disoccupazione di massa, ecc.
Nel 1995 Abdalà Bucaram vince le elezioni, con un programma di carattere populista, facendo presa soprattutto sui settori del sottoproletariato urbano della costa ed appoggiato anche dai partiti di sinistra. Subito dopo il giuramento, Bucaram dichiara: "Questo è l'ultimo giorno del governo dei ricchi ed il primo del governo dei poveri", ma dopo appena pochi mesi, con un clamoroso voltafaccia, adotta in pieno i piani del FMI: in pochi giorni l'elettricità aumenta del 500%, il gas del 340%, il telefono del 700%. La reazione dei lavoratori è immediata, i sindacati convocano uno sciopero generale indefinito. Bucaram dichiara lo stato di emergenza e fa uscire l'esercito nelle strade, ma senza alcun risultato. Il movimento di massa cresce e si trasforma in una vera e propria insurrezione. Bucaram è costretto alla fuga prima e all'esilio poi.
Nel 1998, dopo
una serie di governi di transizione, vince le elezioni Jamil Mahuad, un democristiano
che immediatamente si mette all'opera per continuare la politica economica dei
suoi predecessori. Ma ogni tentativo viene respinto dalle mobilitazioni dei
lavoratori. Per ben due volte, in marzo e in agosto, dopo mobilitazioni che
in certe città assumono l'aspetto di una vera e propria insurrezione,
Mahuad è costretto a ritirare i suoi provvedimenti.
Nel marzo del 1999, dopo aver trasferito milioni di dollari all'estero, la metà
delle banche dell'Ecuador dichiarano il fallimento. Mahuad interviene in soccorso
delle banche, decretando il congelamento dei conti correnti e l'emissione di
sucre (la moneta nazionale) per "aiutare" gli istituti finanziari.
Tale manovra genera un'inflazione che nel 1999 raggiunge il 60%, la più
alta di tutto il Sudamerica; una svalutazione del Sucre del 70% (sempre nel
'99), una rallentamento dell'economia del 7,2%, e un debito estero pari al prodotto
interno lordo. Gravi le conseguenze sociali: il 62% della popolazione sotto
il livello di povertà, il 70% dei lavoratori disoccupati o sottoccupati;
chi aveva un conto corrente con dei risparmi in Sucre (soprattutto gli indios
e i lavoratori) ha visto prima congelare il conto e, giorno dopo giorno, ha
assistito alla rapida svalutazione e perdita di potere dei propri risparmi.
La dollarizzazione
Davanti a tale situazione, sotto la pressione del FMI, Mahuad gioca la carta della "dollarizzazione": ritirare la moneta nazionale ed adottare il dollaro. Tale manovra può servire ad incentivare gli investimenti stranieri, ma significa la fine dell'industria nazionale, inoltre, come è avvenuto nel caso dell'Argentina, gli investimenti dall'estero, non puntano a creare nuove fabbriche, ma si limitano ad acquistare attività già esistenti e i settori privatizzati dallo Stato. Come sostiene il giornalista Josè Martin "con la dolarizzazione, perdendo la propria autonomia politica ed economica, gli unici mezzi che può adottare un governo in caso di recessione, saranno: più tagli al settore pubblico, privatizzazioni, attacchi ai salari ed ai sussidi, ecc. A breve, la dollarizzazione potrebbe avere l'effetto di controllare l'inflazione, ma solo a costo di paralizzare l'attività economica. È chiaro che nel mezzo di una recessione i prezzi non salgono. Nel caso concreto dell'Ecuador, la dollarizzazione a 25.000 sucre rappresenta un regalo per tutti quei banchieri e capitalisti che hanno conti correnti in dollari comprati quando il sucre si cambiava a 15.000 per dollaro".
La dollarizzazione dimostra ancora una volta il fallimento della borghesia nazionale nello sviluppare una propria forza produttiva. Tornando all'Argentina, che in tale misura la si può considerare un paese pioniere, essa ha il tasso di disoccupazione più alto di tutta l'America Latina: il 20%, il suo deficit raggiunge i 12.583 miliardi di dollari, con un'esportazione che raggiunge appena i 23.000 miliardi di dollari. L'economia argentina ha triplicato il suo debito estero negli ultimi 10 anni. L'Argentina dimostra anche che l'inflazione bassa non risolve i problemi dell'economia: nel 1999 questo paese ha avuto una deflazione del 2,2% (cioè i prezzi si sono abbassati), ma la sua economia è caduta del 3,3%.
Un altro esempio di dollarizzazione è Panama, dove ormai i suoi governanti sono a tutti gli effetti funzionari nordamericani.
La controffensiva
di Mahuad inizia ai primi di gennaio del 2000, con l'annuncio della dollarizzazione.
Nello stesso tempo, per evitare possibili disordini, inizia la repressione:
durante la seconda settimana dell'anno vengono arrestate 150 persone, tra dirigenti
politici, sindacali e studenteschi. Il 13 la polizia entra nell'Università
Centrale dell'Ecuador arrestando 80 studenti. Più di 30.000 soldati vengono
mobilitati per contrastare l'insurrezione.
Diverse organizzazioni di difesa dei diritti umani denunciano il maltrattamento
sistematico degli indios da parte della polizia e dell'esercito. Senza un motivo
alcuno vengono fatti scendere dagli autobus, anche se hanno pagato il biglietto,
e vine loro intimato di tornare al proprio villaggio.
Ma la CONAIE, l'organizzazione degli indios dell'Ecuador, proclama, come annunciato
da settimane, l'inizio dell'insurrezione nazionale per il 15 di gennaio, facendo
appello alla presa della capitale, Quito. Il 17 gennaio i lavoratori del settore
petrolifero dichiarano lo sciopero generale indefinito.
Il carattere del
movimento rivela un salto quantitativo. L'obiettivo dichiarato è la creazione
di Parlamenti popolari a livello nazionale, provinciale e locale, come unici
organismi di potere riconosciuti, e l'abbattimento dei tre settori del potere
statale (esecutivo, politico, giudiziario).
Il giorno 16 gennaio, il giornale della borghesia ecuatodoreña "El
Comercio", scrive: "I movimenti indios e sociali hanno cambiato la
loro condotta e piattaforma politica da quando hanno fatto la loro prima apparizione
all'inizio degli anni '90. E questo cambio, a proposito dell'insurrezione attuale,
ha prodotto una rottura irreversibile con la forma del potere stabilito. Le
manifestazioni, a tal riguardo, sono diverse; è come se volessero cercare
di formare uno Stato parallelo, con le proprie regole del gioco ed i propri
rappresentanti [...] e la destituzione del Presidente o del Congresso, non rappresenta
neanche il fine ultimo di questo movimento. Questo lo hanno già fatto
e non hanno ottenuto risultati. Da ciò, stabiliscono la necessità
di costruire nuove forme di organizzazione. Il percorso scelto è che
non solo devono continuare a funzionare i cosiddetti parlamenti popolari, ma
ne debbono essere creati di nuovi in ogni località. Una democrazia
che essi chiamano diretta, nella quale non sono necessari intermediari,
perché con essi hanno già cercato di risolvere i loro problemi,
ma non hanno ottenuto risultati".
L'insurrezione
L'insurrezione
acquista subito un carattere nazionale. Procede lentamente, gli indios devono
scendere dalle montagne, devono entrare a Quito di notte, a piccoli gruppi,
per evitare gli sbarramenti della polizia e dell'esercito. La cosa induce molti
giornali (incluso il nostro "Il Manifesto") a dichiarare il fallimento
della mobilitazione. Ma era solo una questione di tattica; infatti, dopo pochi
giorni le province del Sud e del Nord sono completamente paralizzate: i mercati
sono chiusi, i trasporti fermi, manca la benzina e i carburanti, iniziano a
scarseggiare le merci nei negozi. Gli insorti occupano ovunque gli edifici governativi
e costituiscono parlamenti popolari. Le manifestazioni quotidiane a Quito ogni
giorno sono sempre più numerose e più decise.
Il giorno 18 gennaio tutto l'Ecuador è paralizzato e nessuno può
più impedire il concentramento di lavoratori e di indios davanti al parlamento.
Anche la frattura nell'esercito comincia ad evidenziarsi. Già i soldati
avevano inviato propri rappresentanti al Parlamento popolare e numerosi giornali
avevano denunciato la presenza di soldati nelle manifestazioni di piazza. Un
gruppo di indios al loro arrivo a Quito si imbatte in un battaglione di soldati
di guardia, un rappresentante dei militari si rivolge ai manifestanti con queste
parole: "Sentite, noi siamo obbligati a stare qui, però non stiamo
nemmeno con il governo. Passate pure, non vi daremo alcun fastidio" ("La
Jornada" del 19/01/00).
Dopo la fine umiliante della guerra con il Perù e con la crisi economica
che aveva colpito vasti settori di classe media, dalla quale provengono la maggior
parte dei quadri dell'esercito, un'ondata di malcontento si stava sviluppando
tra i settori intermedi dei militari. Tale situazione è apparsa chiaramente
quando la mattina del 21 gennaio i soldati che proteggevano il Parlamento si
sono uniti all'insurrezione. Ecco come descrive gli avvenimenti l'Agenzia di
stampa "Pulsar": "Il fatto si è prodotto quando la gran
massa di indios e di contadini che si trovavano a Quito ruppero l'accerchiamento
nella sede del Parlamento e l'occuparono. All'inizio ci fu resistenza da parte
dei soldati, ma subito arrivarono centinaia di militari a bordo di carri blindati,
provenienti dalla Scuola Militare ed appoggiarono l'occupazione". Ed è
proprio un colonnello della scuola militare di Quito (ESPE), Lucio Gutierrez,
che dichiara il suo appoggio all'insurrezione.
Alle 6 di sera, Gutierrez esorta la popolazione a "marciare fino al palazzo
del governo e mostrare la volontà del popolo" ("La Jornada"
22/01/00). Per il presidente Mahuad non c'è più nulla da fare:
viene arrestato dall'esercito.
La sera di venerdì 21 gennaio "i comunardi" (come vengono soprannominati
dai giornali) hanno già occupato il Parlamento, il Tribunale, e il palazzo
del Governo. Nel frattempo si è costituita una Giunta di salvezza nazionale,
formata dal colonnello Gutierrez, il rappresentante degli indios, Antoni Vargas,
ed un ex magistrato, Carlos Solorzano.
Il programma del nuovo governo viene esposto dallo stesso Gutierrez: "Garantire
al paese un governo provvisorio e più democratico. Non si tratta di una
dittatura militare, perchè saranno le organizzazioni degli indios, dei
contadini ed i movimenti sociali che prenderanno parte alla conduzione dello
Stato". Per quanto riguarda il programma economico: "rottura immediata
di tutti gli accordi economici lesivi per il paese, no alla dollarizzazione.
Controlli nei diversi settori soprattutto in quello sociale e rafforzamento
delle imprese pubbliche". Dichiara inoltre la neutralità dell'Ecuador
davanti al conflitto colombiano e annuncia la chiusura di tutte le basi straniere
(in particolare la base USA nel porto di Manta). ("El Universo" 22/01/00)
A questo punto il comandante delle forze armate, il generale Carlos Mendoza, che assiste impotente a come il potere gli sta sfuggendo dalle mani, decide, con una mossa astuta, di unirsi all'insurrezione che aveva trionfato per poterla tradire, e sostituisce il colonnello Gutierrez nella Giunta di salvezza nazionale.
Il sabato l'Ecuador
si sveglia con la notizia che il generale Mendoza ha consegnato il potere al
vice Presidente Gustavo Noboa, le cui prime dichiarazioni sono che "continuerà
le misure economiche portate avanti dal deposto Presidente Mahuad". La
decisione di consegnare il potere al vice-Presidente la prende Mendoza dopo
una visita all'ambasciata degli USA.
Il risultato dell'insurrezione era così evidente che il sottosegretario
USA, responsabile dell'America Latina, Peter Romero, in un'intervista a Radio
Luna di Quito, balbettando e con voce alterata, minacciava: "Vogliamo ricordare
a tutti che non attentino contro la legittimità del governo costituzionale
dell'Ecuador, perchè avranno conseguenze disastrose per tutti gli ecuadoreñi.
Qualsiasi regime che nasca da un tal processo non costituzionale, dovrà
affrontare l'isolamento politico e economico, portando così una miseria
ancora peggiore sul popolo ecuadoreño"
La minaccia esplicita di un embargo simile a quello cubano determina la scelta
ultima del generale Mendoza di abbandonare la Giunta di Salvezza nazionale e
di consegnare il potere nelle mani di Noboa, uomo gradito agli USA. Oggi il
nome di "Mendoza traditore" è scritto su tutti i muri di Quito.
Il ruolo dell'esercito
Nell'analizzare
il significato del passaggio di un settore dell'esercito dalla parte dell'insurrezione
occorre tenere in considerazione differenti fattori. Da una parte è chiaro
che un settore importante dei soldati, sottoufficiali, compresi alcuni uffuciali
si identificano con la lotta degli operai e dei contadini che alla fine sono,
come dice Antonio Vargas "i loro fratelli". D'altra parte è
possibile che settori dell'esercito si sentano onestamente schifati dalla politica
economica del governo che solo favorisce un pugno di banchieri che "consegnano
il paese all'imperialismo a prezzi di saldo".
Un esempio di questo settore di ufficiali patriottici che vogliono ripulire
il paese dalla corruzione e dall'intervento straniero, è il movimento
di Chavez in Venezuela, che presenta le stesse caratteristiche. La cosa significativa
di questi movimenti è che è la prima volta, da anni, che vediamo
l'ingresso di settori dell'esercito al fianco dei settori oppressi della società.
Nel periodo successivo
alla 2a guerra mondiale l'impasse del capitalismo nel mondo coloniale portò
settori dell'esercito a prendere il potere in diversi paesi nel tentativo di
sottrarli alla dipendenza dell'imperialismo. In alcuni casi presero come modello
il regime stalinista dell'URSS e nazionalizzarono l'economia espropriando l'imperialismo
e la rachitica borghesia nazionale. Il modello stalinista era loro utile poiché
l'economia pianificata permetteva lo sviluppo economico del paese e, allo stesso
tempo, l'assenza di una autentica democrazia operaia consentiva a questi settori
di ufficiali dell'esercito di acquisire una serie di privilegi come casta dominante.
Questo è ciò che accadde in Paesi come la Siria, la Birmania,
l'Etiopia, l'Afganistan e la Libia, tra gli altri.
Oggi però non esiste un modello come quello dell'URSS che possa servire
da esempio a questi settori, tuttavia l'impasse completo del capitalismo in
questi Paesi li obbliga ad entrare nell'arena politica con un programma molto
confuso, un insieme di populismo, antimperialismo e rifiuto delle politiche
neoliberali.
Probabilmente il gruppo dei 70 colonnelli ecuadoreñi che decidono la
mattina di venerdì di appoggiare l'insurrezione, possono essere catalogati
nella categoria dei "patriottici". Sembra che i contatti tra i dirigenti
indios e dei movimenti sociali e questo settore dell'esercito, risalgano al
mese di dicembre. Non è chiaro dove sarebbero potuti arrivare sotto la
spinta delle masse. (Josè Martìn)
"È vera stabilità?" ("New York Times" 26/01/00)
Lo stesso giornale
statunitense afferma che "sebbene l'intervento dei militari nella politica
latinoamericana è stato raro negli ultimi decenni, il caso dell'Ecuador
rappresenta un'eccezione preoccupante" ed aggiunge che l'Ecuador, anche
dopo la destituzione di Mahuad rappresenta "un caso inquietante".
È vero che in questo momento la repressione sta colpendo tutti i leader
dell'insurrezione, con l'arresto di 300 ufficiali, il mandato di arresto verso
i capi indios e i sindacalisti, ma è anche vero che il movimento di massa
resta intatto, senza aver subito alcuna sconfitta, né repressione. Anzi,
con la caduta di Mahuad ha saggiato le proprie forze, ha stabilito collegamenti
con tutti i settori degli oppressi, ha rafforzato i propri organismi di democrazia
diretta e, soprattutto, ha imparato dagli avvenimenti. Ha capito che non basta
confidare solo sull'appoggio di settori delle forze armate. Come ha dichiarato
Vargas: "È mancato un nostro proprio fronte armato". Inoltre,
la dollarizzazione, che illude ancora settori, anche popolari, non tarderà
a mostrare i suoi nefasti effetti, convincendo anche i più retrivi ad
appoggiare i settori di massa, che non tarderanno a riprendere l'iniziativa.
Come ha recentemente affermato il dirigente indios della CONAIE, Angel Gende,
"Il movimento indios si trova in una fase di analisi e di valutazione degli
avvenimenti della settimana passata e sta progettando nuove azioni. L'insurrezione
non è stata un fallimento, le organizzazioni indios si sentono orgogliose
di mantenere il loro programma di cambiamento. Siamo ancora un movimento solido".