Fermate il governo dell'Ecuador prima che ci uccida!
Arrestato e scarcerato all'inizio della rivolta, il capo della Conaie Antonio Vargas
(*) firma con Paulina Garzon (**) una disperata petizione alla commissione interamericana per i diritti umani. Quito è piena di indios che cercano di manifestare contro gli effetti della dollarizzazione, a migliaia sono rinchiusi nell'Università, per le strade della capitale la polizia dà loro la caccia. Febbraio 2001.


Signor ambasciatore Jorge Enrique
Tatiana, segretario esecutivo della
Commissione interamericana
di diritti umani, Washington Dc

Presentiamo rispettosamente alla sua Commissione la seguente petizione contro il governo della Repubblica di Ecuador, in rappresentanza degli indigeni che dal 22 gennaio del 2001 partecipano a manifestazioni pacifiche in opposizione alle misure economiche decretate dal governo del dottor Gustavo Noboa Bejarano. Sosteniamo che gravi violazioni sono state commesse dal governo ecuadoriano, rappresentato dal dottor Noboa Bejarano in qualità di presidente della repubblica, dal dottor Juan Manrique come ministro dell'interno e della polizia, dal viceammiraglio Hugo Unda, ministro della difesa, che hanno ordinato comportamenti e misure che violano diritti fondamentali consacrati nella costituzione politica della repubblica, alcuni trattati internazionali ratificati dall'Ecuador come il Patto internazionale dei diritti civili e politici, la Convenzione americana sui diritti del bambino, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro la donna e il Capitolo 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro. L'Ecuador affronta una persistente crisi sociale, economica e politica nel quadro di una regione altamente conflittiva e instabile. E' assolutamente irresponsabile che il governo affronti le richieste e le proteste pacifiche della sua popolazione chiudendo la strada del negoziato. Sostituire il dialogo con la repressione è una politica inadeguata che provoca solo maggior violenza, rottura delle garanzie costituzionali e violazioni dei diritti umani, instaurando nel paese una spirale di conflitto inaudita.

Per la sua fragilità politica, corruzione e crisi economica, in Ecuador negli ultimi anno sono stati destituiti due presidenti senza versare una sola goccia di sangue, ma già oggi la violenza e la repressione senza misura, ordinate dal governo del dottor Gustavo Noboa, registra già molti indigeni con ferite d'arma da fuoco e circa cinquemila indigeni detenuti di fatto, perché di questo si tratta, circondati dalla polizia nazionale e dall'esercito nel patio dell'Università politecnica salesiana. In modo sospetto, in coincidenza con l'arrivo degli indigeni alla capitale della repubblica, il giorno 1 gennaio dell'anno in corso hanno cominciato a comparire scritte sui muri della città, con frasi come "Fai la patria, uccidi un indio", e sono stati lanciati cani morti nel parco El Arbolito, il luogo di concentramento della marcia india, con striscioni che dicevano "Non giocate col fuoco, andrete al massacro". I precedenti. Molte organizzazioni indigene, studentesche e di lavoratori dell'Ecuador hanno cominciato proteste e mobilitazioni pacifiche dai primi giorni del 2001, contro le dure misure economiche prese dal governo nazionale a compimento della "Carta di intenzioni" sottoscritta con il Fondo monetario internazionale. Queste proteste sono state cominciate dopo un anno di fallimenti nel cercare una trattativa con il governo. Il 26 gennaio le organizzazioni indigene (Conaie, Ecuarunari, Feine, Fenocin e le affiliate del Seguro social campesino) hanno convocato una mobilitazione indigena nazionale, iniziando marce pacifiche da differenti comunità di base del paese e dirette a Quito, oltre ad altri atti in diverse città del paese. Le proteste indigene sono il risultato di una lunga storia di discriminazione, abbandono e povertà, sofferta soprattutto dai popoli indigeni. L'Ecuador ha vissuto reiterate crisi sociali. Oggi come oggi il paese ha un tasso di diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza tra i pù alti al mondo. Gli indigeni rappresentano circa il 40% della popolazione, ma si trovano nell'estremo più povero di questa diseguaglianza: possiedono solo il 3% dei mezzi di produzione e vivono con una media di 2 dollari al giorno. La povertà è arrivata a livelli mai visti prima: si considera che il 70% della popolazione viva sotto la linea della povertà, e tra loro il 20% sono del tutto indigenti.

Questi popoli e nazionalità soffrono una terribile limitazione nella partecipazione e nella rappresentanza politica. Meno del 3% dei membri del parlamento nazionale sono indigeni, non c'è un solo indigeno nel governo. Molti degli spazi ufficiali e dei mezzi di comunicazione non tengono aperta alcuna porta al dialogo o a una partecipazione attiva di questo settore della popolazione. Per loro, uno dei pochi strumenti per esprimere le proprie opinioni, essere ascoltati e partecipare alla vita politica del paese è attraverso la mobilitazione fino alla capitale. Per ragioni culturali, le decisioni delle comunità indigene sono prese in assemblee attraverso meccanismi tradizionali, con un procedimento decentralizzato e generale che tiene conto dell'accettazione e della partecipazione di tutti i membri della comunità. Tra gli 8.000 e i 10.000 indigeni sono arrivati alla città di Quito negli ultimi cinque giorni, tra loro si contano un gran numero di donne e bambini. Dalla domenica 28 gennaio l'università politecnica salesiana li ha accolti nel proprio edificio.
Il governo dell'Ecuador ha preso la decisione di rispondere con violenza a queste mobilitazioni pacifiche disperdendo gli indigeni nelle strade con lacrimogeni e spari, impedendo loro di viaggiare fino alla capitale su mezzi di trasporto e obbligandoli a camminare centinaia di chilometri, confiscando le auto che dalle province portavano cibo ai manifestanti. Al loro arrivo il 28 di gennaio una formazione di polizia sotto gli ordini diretti del presidente Noboa e dei ministri Manrique e Unda ha impedito a queste persone di riunirsi nel parco El Arbolito, un parco pubblico.

Per disposizione del governo dalle prime ore del 29 gennaio non è stato permesso ai manifestanti accerchiati nell'Università di ricevere aiuti umanitari dalla cittadinanza di Quito e di organismi internazionali. In più, sono stati tagliati i servizi di luce, acqua potabile e telefono in tutta l'Università. Parallelamente è stata esercitata una massiccia discriminazione contro gli indigeni ai quali è stato impedito di camminare nelle strade vicine all'Università per l'unico e esclusivo fatto di essere indigeni e avere vestiti indigeni. Un fatto allarmante che deve essere denunciato per le profonde implicazioni di discriminazione e razzismo è l'azione di polizia nella provincia di Imbabura che ha arrestato gli autisti e requisito i veicoli di cooperative di trasporto per il "delitto" di avere nomi indigeni.

Durante questi giorni l'Università è stata mantenuta in stato d'assedio e si è impedito spesso violentemente l'accesso di macchine, camion e persone con donazioni di beni essenziali come acqua, medicine e cibo. L'uso dei lacrimogeni è stato costante e indiscriminato, provocando asfissie specie tra le donne, i bambini e gli anziani. Questa situazione si sta aggravando specialmente dopo che la notte del 2 febbraio il governo ha dichiarato lo stato di emergenza in tutto il territorio nazionale e sospeso le garanzie della Costituzione sulla libera circolazione, la libera associazione e l'inviolabilità del domicilio. Questi fatti ci permettono di denunciare che se il governo ha esercitato atti di violenza durante la vigenza della Costituzione, è probabile che a partire da oggi le azioni violente potranno essere più dirette e mettere a rischio della vita gli indigeni circondati nell'Università. Le azioni del governo hanno violato i seguenti diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione: diritto alla libertà di opinione e di espressione, diritto alla libera circolazione, diritto di riunione e associazione pacifica, diritto all'uguaglianza. Il governo ha violato questi diritti fondamentali prendondo misure repressive per impedire l'esercizio della libera espressione e associazione. In modo pacifico, senza armi, pubblicamente, accompagnati da gruppi di canto e danza, camminando, gli indigeni hanno manifestato il proprio rifiuto alle misure economiche del governo e hanno sofferto un livello di repressione poliziesca e militare smisurato e inusuale nella storia politica recente del Paese. Diritto a protezioni speciali per bambini e donne, diritto alla salute, diritto all'integrità personale, il governo li ha violati rifiutando di consegnare alimenti e tagliando i servizi di base, impedendo il ricevimento di aiuti umanitari. Così ha messo a rischio la vita e l'integrità di bambini, donne e anziani a cui la Costituzione concede lo status di gruppi vulnerabili. Diritto a non essere detenuto arbitrariamente e diritto ad un giusto processo: il governo dell'Ecuador impedendo la libera circolazione fuori del perimetro dell'Università ha incarcerato di fatto circa 5.000 indigeni nei giorni 29 e 30 gennaio. Diritto all'eguaglianza senza discriminazioni per ragioni di etnia o cultura: il governo ha adottato misure razziste obbligando ogni indigeno (sia o no partecipante alla mobilitazione) ad abbandonare i mezzi di trasporto e circolare nella città. Per il carattere di stato sociale di diritto posseduto dall'Ecuador, e per avere sottoscritto e ratificato patti e dichiarazioni internazionali in materia di diritti umani, il paese è sotto la giurisdizione della Commissione interamericana dei diritti umani e pertanto è soggetto a investigazioni sulla natura, l'ammissibilità e la ragionevolezza delle misure adottate dal governo in relazione ai fatti qui raccontati. Se non saranno stabilite queste responsabilità, le conseguenze immediate per il nostro paese saranno la perpetuazione di un modello politico basato sulla segregazione, la repressione e l'esclusione razziale per ragioni di povertà, che la giustizia che si occupa di diritti umani è obbligata a impedire.

In conseguenza sollecitiamo che la Commissione istruisca questo caso in modo conforme a quanto denunciato e adotti tutte le procedure stabilite con il proposito di chiarire e provare i fatti denunciati in questa petizione. Considerando che i fatti riportati esigono l'adozione urgente di misure eccezionali di protezione per garantire l'integrità ed evitare danni irreparabili alle migliaia di indigeni che si trovano nell'Università davanti alle minacce di uno sgombero forzato da parte della forza pubblica, sollecitiamo che in modo immediato la Commissione interamericana dei diritti umani adotti misure cautelari urgenti davanti al governo ecuadoriano per impedire che si realizzino azioni violente e sgomberi contro gli indigeni dentro l'Università. In virtù della natura e del contenuto del decreto esecutivo n. 1214 con il quale si dichiara lo stato di emergenza nazionale, limitando e restringendo le libertà e garanzie civiche, per i presentatori di questa petizione - e in modo particolare per gli indigeni che si trovano accerchiati nell'Università - diventa impossibile presentarsi davanti alle istanze giuridiche e nazionali per chiedere una sentenza d'emergenza su questa petizione e, soprattutto, per assicurare le misure cautelari di protezione urgente dei diritti davanti all'imminenza di atti di forza che possono causare gravi danni ai diritti fondamentali degli indigeni. Nei prossimi giorni trasmetteremo i documenti probatori (video, foto, testimonianze) che permettono di sostenere e dimostrare le affermazioni di questa petizione.


(*) Presidente della Confederazione indigena (Conaie), arrestato e rilasciato nei giorni scorsi
(**) Coordinatrice generale del Centro di diritti economici e sociali (Cdes) dell'Ecuador