Alle origini della nuova sollevazione degli indigeni dell'Ecuador.
Di Giona Di Giacomi.
Febbraio 2001.


"La maggioranza di noi sono passati come la pioggia, come la nebbia, come il vento, burlandosi dei controlli militari. Adesso siamo più di diecimila indios a Quito. Si prevede la presa di altre città. Per essere più veri dobbiamo diventare un solo pensiero, una sola voce, una sola parola e un solo pugno. Siamo in attesa di tante azioni di solidarietà. Siamo in attesa dell'insurrezione"

(Dal proclama della CONAIE )

Un anno fa, quasi mezzo milione di indios, contadini, lavoratori, studenti avevano dato vita ad una insurrezione tanto profonda da penetrare anche nei settori dell'esercito: centinaia di tenenti e soldati erano passati dalla parte del popolo.
Nel giro di 16 ore, un presidente, Mahuad, era stato rovesciato, una giunta di salvezza popolare si era instaurata, e, poco dopo, a causa del tradimento di settori dell'esercito, era stata destituita e il potere consegnato nella mani del vice di Mahuad, Gustavo Noboa. Migliaia di indios se ne erano tornati delusi ai propri campi. Per diversi mesi la mobilitazione aveva subito un arresto, le masse avevano perso fiducia nella propria azione. Il presidente Noboa, pur portando avanti la stessa politica di dollarizzazione del suo predecessore, sembrava invece guadagnare consensi. Ma le cause che avevano generato l'insurrezione di gennaio, non erano state eliminate. Già nei mesi successivi la paura di una nuova ondata di mobilitazioni costituiva la preoccupazione più urgente della classe dominante e del governo degli Stati Uniti.

Nel febbraio 2000 il sottosegretario di Stato per gli affari politici di Clinton, Thomas Pickering, al ritorno da una sua missione in Ecuador, aveva messo in guardia il Congresso nordamericano perché " tanto la instabilità politica come la crisi economica stanno minacciando la democrazia in Ecuador" e Bill Gilman, presidente della commissione delle relazioni internazionali della Camera nordamericana, aveva aggiunto "Siamo preoccupati perché la democrazia nell'America Latina sembra non avere limiti..L'Ecuador, per esempio, si trova sull'orlo del caos". Il 9 marzo, dopo l'approvazione della legge trolebus che avviava la dollarizzazione, gli USA annunciavano un credito di 2045 miliardi di dollari concesso dal FMI, dalla Banca Mondiale e dagli USA . Tale cifra ha un profondo significato politico, se si tiene conto che per il Governo di Pastrana in Colombia, dove le FARC controllano il 40% del paese, gli USA hanno concesso un finanziamento di 1600 miliardi di dollari (il famigerato Plan Colombia), nonostante che l'Ecuador per le sue dimensioni e per la sua popolazione non arriva nemmeno al 10% della Colombia. "La cifra non fa che rivelare la profonda preoccupazione degli USA per il processo che si é aperto in Ecuador e che potrebbe avere conseguenze regionali e internazionali". Tali preoccupazioni si evidenziarono nei dettami degli USA al FMI "di abbassare considerevolmente le esigenze del FMI e sottolineando il forte contenuto sociale che si deve conferire ai prestiti verso questo paese". A differenza di altri paesi per i quali, in cambio del credito, l'FMI esige durissime condizioni, in Ecuador ha "flessibilizzato e ridimensionato gli obiettivi" (per esempio, il livello di deficit fiscale). Ma, nonostante i crediti concessi, nell'ambito della dollarizzazione che impedisce di svalutare, solo il congelamento artificiale delle tariffe dei servizi pubblici richiederebbe 1000 miliardi di dollari e la sola restituzione dei fondi congelati ai 340.000 piccoli risparmiatori richiederebbe 2.200 miliardi di dollari. Molti analisti avevano suggerito a Noboa che il problema chiave era quello si scongelare i risparmi e conquistare così la piccola borghesia, al fine di indebolire il movimento. Ma, al di là dei desideri, il governo non ha fondi per realizzare tale proposito. Così nei mesi successivi Noboa, non solo non ha potuto smantellare gli organismi di rappresentanza popolare, ma non ha nemmeno potuto conquistare settori consistenti della piccola borghesia.

Il primo anno di governo di Gustavo Noboa si era così concluso in un clima di insoddisfazione generale e di proteste popolari per respingere le ultime misure di assestamento, adottate alla fine dell'anno passato, che hanno aumentato il prezzo dei combustibili e del gas per uso domestico, le tariffe del trasporto pubblico, l'acqua, la luce, il telefono..
Tali misure fanno parte di uno dei tanti requisiti richiesti dal Fondo Monetario Internazionale affinché possa procedere la dollarizzazione, insieme ad essi occorre aggiungere l'eliminazione di ogni sussidio, l'internazionalizzazione dei prezzi dei beni e dei servizi, la privatizzazione delle imprese statali, l'aumento delle imposte, la riduzione degli investimenti nel sociale. Il 26 dicembre 2000, approfittando della vacanze nelle scuole e delle feste di fine anno, il presidente Noboa ha aumentato le tariffe del trasporto pubblico, urbano e interprovinciale, del 75%; il prezzo della benzina del 20% e del gas domestico del 100%.

L'insieme di misure approvate nel dicembre 2000 dal governo Noboa, erano orientate a pagare una parte del deficit di bilancio generato dal debito estero. A tal fine il governo pensava di raccogliere 220 milioni di dollari circa, la stessa quantità richiesta per ricapitalizzare il "Filanbanco", un banco privato passato nelle mani dello Stato. Negli ultimi due anni lo Stato ha speso 4000 miliardi di dollari per salvare banche e banchieri corrotti, molti dei quali sono fuggiti all'estero. Il regime di Noboa ha fatto ben poco per riscuotere i loro debiti o sequestrare i loro beni.

E' passato un anno da quando, Mahuad, il vecchio presidente, prima di essere abbattuto da una rivolta popolare, ha precipitosamente introdotto il dollaro come moneta nazionale al posto del sucre. Per tutto il 2000 organismi internazionali e il FMI hanno sostenuto che la dollarizzazione avrebbe permesso di controllare l'inflazione, ridurre i tassi di interesse (che erano del 10% per i dollari e del 280% per i sucre) e recuperare il potere dei salari.

Nessuno di questi obiettivi é stato realizzato: l'inflazione é esplosa, arrivando nel dicembre 2000, al 91%, la più alta di tutta l'America Latina, i tassi d'interesse in dollari si trovano attorno al 20%, mentre i prezzi di tutti i prodotti hanno ormai raggiunto quelli internazionali, il salario minimo medio é di 117 dollari, cioè appena un terzo di quello minimo per la sopravvivenza.. Dei circa 12 milioni di ecuadoriani, 8 si trovano nella povertà. Nel solo 2000 sono emigrati all'estero quasi un milione di cittadini. I risparmi inviati in Ecuador dagli emigranti hanno raggiunto il secondo posto , dopo il petrolio, per le entrate economiche dell'Ecuador. In cambio, la dollarizzazione ha ulteriormente avvantaggiato gli Usa, infatti l'Ecuador ha perso i diritti sulla zecca, cioè il guadagno che riceve un paese nell'emettere moneta. Secondo quanto sostiene l'ex presidente della Repubblica Rodrigo Borja (socialdemocratico) " Fabbricare un biglietto da 100 dollari costa 5 centesimi, ciò significa che gli Usa guadagnano 99.95 dollari nel metterlo in circolazione in Ecuador"
La dollarizzazione ha bruciato la riserva monetaria del paese, che oggi é completamente dipendente dal biglietto verde.
Il presidente Noboa, che ha iniziato il suo mandato con un 51% di popolarità il 22 gennaio del 2000, oggi si trova al 28% secondo quanto pubblicato dall'ente privato Centro di Studi e Dati, che allo stesso tempo segnala che il 54% degli ecuadoriani appoggia la protesta indios.

Solo qualche mese fa, Luis Villacis, presidente del Frente Popular, segnalava che: "L'Ecuador é un vulcano acceso. Questa é la realtà. Ogni giorno si combatte per qualsiasi motivo; per qualsiasi rivendicazione popolare; oggi si vive una nuova ondata di azioni popolari che esprimono non solo il malcontento dei lavoratori verso la situazione attuale e le condizioni di vita, ma, anche, soprattutto, la ricerca di una cambiamento definitivo". E da parte completamente opposta, quella delle classi dominanti, la tesi dei dirigenti popolari trovava una clamorosa conferma nelle parole degli economisti dell'impero nordamericano: "uno dei più grandi rischi che affronta l'Ecuador é la perdita di governabilità, poiché un elevato livello di organizzazione dei movimenti sociali, sommato alla recente instabilità all'interno delle forze armate, fornisce come risultato una situazione nella quale é difficile determinare il livello di coesione della forza pubblica per sostenere i governanti nel caso di convulsioni sociali di enormi proporzioni" (Ecuador Economia, Cornell University, luglio 2000).

Le proteste che a partire dalla fine di gennaio di quest'anno stanno paralizzando l'Ecuador, i settori coinvolti, l'ampiezza delle mobilitazioni confermano allo stesso tempo le speranze dei dirigenti dei movimenti popolari e le paure dei rappresentanti delle classi dominanti.