Gli Oromo schiacciati tra
due oppressori
L’8
Giugno almeno 36 studenti sono stati uccisi dalla polizia ad Addis Abeba mentre
manifestavano contro i brogli elettorali, sono migliaia gli arrestati. Il regime
di Zenawi ha mostrato il suo volto sanguinario e oggi la richiesta di cambiamento
viene cavalcata dall’opposizione ufficiale che ha partecipato alle elezioni,
ma essa costituisce davvero un’alternativa democratica per i popoli dell’Etiopia?
Associazione Bilisummaa (bilisummaa@interfree.it).
Agosto 2005.
Massacri di studenti, specialità di Zenawi.
Una Addis Abeba spettrale, quella che segue il massacro di studenti dell’8
Giugno, ci viene raccontata su “Il Manifesto” dall’inviato
Emilio Manfredi che proprio in quei giorni rischia l’arresto e si rifugia
nell’ambasciata italiana. E’ un massacro di studenti scesi in strada
a manifestare pacificamente contro i brogli elettorali.
Il “democratico” Zenawi contro i giovani manifestanti ha schierato
i tanks delle forze speciali, e non si è limitato solo a spaventare,
smentendo quanti avevano parlato di una Etiopia “libera” e “democratica”.
L’ipotesi per ora più probabile rispetto alle proteste e alle sue
ragioni politiche ci sembra quella che descrive centinaia e centinaia di studenti,
di diversa origine etnica, manifestare la stanchezza di gran parte del paese
nei confronti della dittatura. Non è detto che chi ha protestato vada
per forza collegato all’opposizione ufficiale (la CUD-coalizione per l’unità
e la democrazia), che ha poi chiesto e ottenuto la revisione del voto( e di
cui parliamo più avanti in maniera più approfondita).
Se guardiamo indietro negli ultimi anni di governo Zenawi ci rendiamo conto
che la persecuzione degli studenti rappresenta non un incidente di percorso
quanto una costante della politica di questo governo e una pratica quotidiana
nei confronti dei giovani Oromo (gruppo etno-linguistico più vasto del
paese e popolo da sempre oppresso in Etiopia della cui storia abbiamo scritto
nell’articolo “La lotta degli Oromo”).
Nel 2004, 300 studenti Oromo sono stati espulsi dalle università, nel
maggio dello stesso anno, dai 400 ai 700 ragazzi dai 14 anni ai 20 anni sono
fuggiti in Kenia a causa delle persecuzioni (IRIN news). Nel marzo 2002 le manifestazioni
di studenti delle superiori sono state represse in tutta l’Oromia con
un bilancio di 5 morti e centinaia di arrestati; nell’aprile 2001, 45
studenti oromo furono uccisi e migliaia arrestati perché chiedevano la
rimozione di un preside legato al regime; nel maggio 2000, mille studenti oromo
furono arrestati perché manifestavano contro il mancato soccorso del
regime nei confronti delle foreste della zona del Bale devastate dagli incendi.
E come se non bastasse bisognerebbe anche ricordare il massacro di Sidama (altro
popolo oppresso del sud) e il coinvolgimento del regime nel genocidio degli
Anuak in Gambela.
Per non parlare della quotidiana repressione del dissenso nelle scuole dell’Oromia,
testimoniata da un ampio e recente rapporto di Human Rights Watch, che ci racconta
di studenti oromo torturati e arrestati per aver espresso un’opinione,
o degli insegnanti arrestati e torturati per non aver denunciato i propri studenti
per le proprie idee. E per quanto riguarda l’Oromia va aggiunto al conto
degli orrori il capillare controllo delle campagne (dove vive l’80% della
popolazione), e la situazione di sistematica repressione: contadini cacciati
dalle proprie terre, torturati e arrestati senza aver commesso alcun reato,
terrorizzati, e costretti in diversi casi al lavoro forzato ( il tutto testimoniato
da Human Rights Watch, e trattato da noi nell’articolo “Nessuna
democrazia per gli Oromo”).
Inoltre, dopo l’8 luglio, mancano ancora i risultati definitivi delle
elezioni e Zenawi in un discorso alla nazione, sull’unico canale televisivo
etiope, ha minacciato altro sangue se ci saranno altre proteste: “per
chi passa la linea rossa, c’è solo la guerra” ha affermato.
L’Occidente
chiude tutti e due gli occhi
Calchi Novati su “Il Manifesto” firma “L’Occidente e
L’Etiopia” (16 Giugno 2005), analisi puntuale dei forti legami tra
l’Occidente e l’Etiopia. Zenawi è infatti addirittura uno
dei membri della commissione istituita da Blair a sostegno del suo Grande Progetto
per l’Africa, ed è apprezzato soprattutto dagli Usa per la sua
democraticità (qui la farsa supera la tragedia!). L’Etiopia è
uno dei più grandi alleati degli Usa nel Corno d’Africa per la
sua importante posizione geo-strategica: ad essa è infatti- all’interno
della strategia americana di lotta al terrorismo- affidato il compito di contenere
l’ascesa dell’Islam politico nel Corno d’Africa che dalla
Somalia potrebbe “contagiare” la metà musulmana della popolazione
etiope. La lotta al terrorismo giustifica così l’appoggio ad una
dittatura che si macchia costantemente di atti di terrorismo contro la propria
popolazione.
Meglio
la dittatura spietata di Zenawi e dell’elite tigrina o il ritorno all’impero
coloniale amarico?
L’alternativa democratica al regime di Zenawi è la Cud (Coalizione
per l’unità e la democrazia, la principale coalizione d’opposizione
che ha partecipato all’ultima tornata elettorale)?
Hailu Shewal, leader del principale partito dell’opposizione, critica
duramente - intervistato da “Il Manifesto” (“Ha le mani sporche
di sangue, Zenawi ha già perso” 17 giugno 2005) - la repressione
sfoggiata dal regime tigrino e aggiunge: “il problema di questo Paese
non è etnico”.
Un paladino della democrazia? L’opposizione ufficiale porterà un
giorno ad un cambiamento democratico e alla fine delle discriminazioni etniche?
L’Associazione per i Popoli Minacciati non la pensa così, anzi.
L’ascesa di questa opposizione potrebbe addirittura peggiorare l’oppressione
del popolo oromo e degli altri popoli emarginati come sostiene l’Associazione
per i Popoli Minacciati nel documento “Rischio di nuovi conflitti etnici
in Etiopia” del 10 Giugno. Questa opposizione rappresenta un manipolo
di etiopi benestanti tornati da poco dagli Usa in Etiopia, una elite amarica
(gli Amara sono il 25% della popolazione etiope, gli Oromo il 40%) che vorrebbe
cambiare la costituzione abolendo il diritto all’autodeterminazione dei
popoli, reintrodurre l’amarico come unica lingua ufficiale e privatizzare
ogni proprietà pubblica. Se oggi grazie al federalismo etnico ogni popolo
gode in teoria di una forte autonomia, di fatto quotidianamente
negata dalla dittatura dell’elite tigrina e dai partiti fantoccio al governo
delle regioni-stato, per l’opposizione questa autonomia andrebbe tolta
anche dai principi della costituzione nata dopo la caduta della dittatura di
Menghistu. Sembra quasi -da questa analisi- che la Cud auspichi un ritorno all’impero
coloniale amarico nel quale affondano le radici storiche dell’oppressione
del popolo oromo e degli altri popoli del sud emarginati e spesso perseguitati.
E’ verso la fine dell’1800, infatti, che l’impero amarico
sottomette gli Oromo e gli altri popoli del sud e li riduce in schiavitù,
dando inizio ad un’oppressione economica, politica, militare e culturale
che si avvale della presenza in Oromia di coloni armati ovviamente non Oromo
(gli antropologi parlano a questo proposito di un “colonialismo
domestico” che in nulla differisce dal colonialismo europeo,
se non nel fatto che si tratta del dominio di Africani su altri Africani, si
veda Bernardo Bernardi “Dai galla agli oromo”Saggi occasionali 1996).
Da allora, qualunque cambio di regime non muta la situazione degli Oromo, sempre
e costantemente oppressi: da Haile Salassie che reprime ogni espressione culturale
che non sia amarica e vieta l’utilizzo della lingua oromo (afaan oromoo)
alla dittatura stalinista e a maggioranza amarica di Menghistu che li vede come
le principali vittime delle deportazioni all’attuale Zenawi.
Un
popolo in gabbia
La storia del popolo oromo è una storia di vite spezzate, perseguitate,
spesso finite in una cella sotto i colpi della tortura.
Qualche esempio: Lammessa Boru, un membro della “Mecha e Tulama”-
associazione per i diritti socio-culturali degli Oromo-, è stato imprigionato
per 7 anni sotto Haile Salassie, ha speso 10 anni in carcere sotto Menghistu,
e sotto il governo Zenawi è stato arrestato nel 1992 e di lui ora non
si sa più niente; Yosef Ayale Bati è stato prigioniero politico
per 9 anni sotto Menghistu e poi è stato arrestato da Zenawi e mai più
visto; suo padre spese quasi tutta la vita nelle carceri del negus Haile Salassie
(United Nations, commission on human rights 18 Marzo 2005).
Da oltre un secolo è questa la vita in Etiopia per chi ha osato dire
che gli Oromo hanno diritti come tutti gli altri.
Chissà se per Shewal -leader del principale partito d’opposizione-
questo è “un problema etnico”? Chissà cosa ha da dire
sulle “mani sporche” delle elite amariche del passato?
Ancora oggi gli Oromo vengono perseguitati quando si oppongono al dominio culturale
amara: nel Gennaio 2005 più di dodici giovani oromo sono stati arrestati
e picchiati per aver festeggiato con un pic-nic l’anno nuovo il Primo
di gennaio secondo il calendario europeo e non secondo la cultura amarica (fonte:Human
Rights Watch). Colpevoli di aver fatto un pic-nic!
Democrazia
e diritti per gli Oromo!
L’associazione che firma questo articolo è composta da un piccolo
gruppo di persone che vuole fare informazione in Italia sulla sistematica violazione
dei diritti umani degli Oromo e sulla situazione politica in Etiopia senza però
esprimere nessuna simpatia né antipatia verso nessun preciso movimento
o progetto politico oromo.*
Il punto è proprio che gli Oromo dovrebbero avere il diritto di esprimersi
liberamente, di associarsi liberamente, di costituire movimenti -politici e
non- per la difesa dei propri diritti, dovrebbero avere il diritto a trovare
loro una soluzione democratica e pacifica per la loro “questione”.
La nostra associazione condanna ogni atto di terrorismo contro civili, ma il
punto è proprio che le principali vittime del terrorismo di stato in
Etiopia sono proprio gli Oromo.
Il punto è che non si potrà parlare di democrazia in Etiopia fin
quando il potere sarà detenuto in maniera tirannica da una minoranza
e si fonderà sull’esclusione del popolo più numeroso dell’Etiopia,
portatore di una cultura e di una lingua unica ed erede di una storia di incredibile
oppressione ma anche di grande dignità e lotta.
Gli Oromo dovrebbero potersi esprimere democraticamente sul proprio futuro,
dovrebbero poter decidere insieme attraverso una libera discussione: come secondo
la tradizione democratica e egualitaria degli Oromo, che erano soliti prendere
decisioni insieme seduti in cerchio sull’erba all’ombra dei sicomori.
* Nel
conseguimento del nostro obiettivo può essere molto utile il nostro lettore
inviando ad altri questo articolo e gli altri che troverà sempre nella
rivista Reds.
L’informazione aiuta i popoli oppressi! Libertà! Bilisummaa!