Timor Est. La drammatica storia dell'indipendenza fino all'intervento ONU.
Recensione e riassunto del libro di Giuseppe Montagnana, unico libro italiano che narri la storia della resistenza del popolo di quest'isola contro i suoi vari colonizzatori. REDS. Dicembre 1999.


Il testo é l'unico in italiano che affronti la questione di Timor Est (oggi chiamata dalla resistenza Timor Loro Sae). L'autore é un giornalista che si é occupato in passato anche di altre nazionalità oppresse ed ha costruito questo libro sulla base dei pochi materiali che anche internazionalmente sono disponibili. Il suo taglio é di netta adesione alle ragioni del popolo maubere, ragioni sulle quali pochi oggi possono dubitare.
Il libro comincia con un rapido sunto sulle confuse origini del popolamento dell'isola, frutto di continue migrazioni di popolazioni melanesiane a partire dal VII millennio a.C. e proseguite nei millenni successivi e che hanno dato vita ad una sedimentazione etnologica delle più varie (in un territorio relativamente ristretto si parlavano decine di lingue: non si sa oggi, a causa delle stragi, quante ne siano sopravvissute), favorita dalla conformazione del territorio che facilita l'isolamento di singoli gruppi umani (e che ha in qualche modo reso fisicamente possibile la pluriventennale resistenza).
Al momento dell'invasione portoghese esistevano a Timor tanti piccoli regni con a capo i liurais (piccoli re), che riunivano una sorte di principati chiamati sucos (a loro volta divisi in villaggi). Pare che ad un certo momento ci fosse anche un sovrano che esercitasse la propria autorità su tutta l'isola. La conquista portoghese portò alla caduta dei regni locali nel 1641. Il Portogallo era interessato all'isola per la sua posizione strategica, e per la presenza di un legno pregiato, il sandalo (che una volta sparito, fu sostituito da altre colture da esportazione, come il caffé).
Il Portogallo si scontrava nell'area con un'altra potenza imperialista: i Paesi Bassi, che conquistarono tra l'altro anche la parte occidentale di Timor. Tra i due colonizzatori si produssero continue tensioni risolte, per quanto riguarda Timor, solo nel 1859 quando, con il Patto di Lisbona, l'isola fu spartita. Il Patto fu poi perfezionato da ulteriori successivi accordi.
È in questo periodo che si forma la nazionalità timorense, formazione alla quale concorrono vari fattori. Il primo é quello della divisione del territorio che impediva la prosecuzione dei rapporti tra le due parti dell'isola, come era avvenuto nei millenni precedenti. Inoltre i due colonizzatori avevano stili di dominio differenti: gli olandesi favorivano l'uso di un idioma locale, mentre i portoghesi quello della propria lingua; i portoghesi poi accompagnavano la loro presenza con un'intensa opera di cattolicizzazione. Nella parte orientale inoltre la popolazione vide l'arrivo di altri gruppi che si mescolarono ai residenti dando vita ad una entità peculiare: non solo i portoghesi e i meticci, ma anche abitanti di altre colonie portoghesi dell'area: Goa e Macao, prime tra tutte.
A Timor Est si susseguirono ad ondate tentativi di ribellioni contro i portoghesi. Queste ribellioni non avevano un aperto carattere indipendentista, ma si battevano contro aspetti della colonizzazione come le imposte o la cristianizzazione (la maggioranza era ancora animista). Vi fu una prima serie di ribellioni tra il 1719 e il 1769 ed un'altra tra il 1861 e il 1907, quest'ultima caratterizzata dall'opposizione del tentativo portoghese di sostituire le autorità locali a vantaggio di altre scelte dai colonizzatori. Particolarmente sanguinosa fu quella del 1911 capeggiata da Dom Boaventura contro le imposte, a fatica repressa dai portoghesi l'anno seguente e che costò ai timorensi 3000 morti. Il Portogallo decise allora di puntare sul coinvolgimento di uno strato locale di fedeli amministratori nativi, dando però così il via alla lenta formazione di una intellettualità locale che sarà poi la spina dorsale del futuro movimento indipendentista.
Nel 1926 un colpo di stato militare portò in Portogallo all'instaurazione di un regime di tipo fascista che mantenne neutrale il Paese nel corso della seconda guerra mondiale, la scelta quindi coinvolgeva anche Timor Est. Australia e Paesi Bassi, temendo che l'isola potesse divenire una base dei giapponesi, ne violarono però la neutralità occupandola. Due mesi dopo, nel febbraio 1942, sbarcarono i giapponesi. Olandesi ed australiani scapparono e, mentre a Timor Ovest i nuovi venuti furono accolti come liberatori, ad est i nativi resistettero, anche a causa dei metodi di dominio attuato dagli invasori. Questa resistenza costò ai timorensi 60.000 morti, ma alla fine della guerra furono ricompensati con la riconferma dell'autorità portoghese sull'isola.
Il libro descrive poi con un breve ed incisivo riassunto il carattere assunto dalla formazione dello stato indonesiano, liberatosi dal dominio coloniale olandese ma, già nell'ideologia nazionalista del suo gruppo dirigente, con marcati caratteri imperialisti. In realtà il nazionalismo indonesiano era (ed é) l'espressione della nazionalità dominante giavanese e della sua volontà di espansione territoriale anche al di là dei territori prima in mano all'Olanda (e che comprendevano popolazioni affatto diverse), come era il caso ad esempio del Borneo Settentrionale, già colonia inglese. Questo nazionalismo, allo stesso tempo anticoloniale ed imperialista, porterà l'Indonesia, con la complicità dell'Occidente, all'occupazione ed all'annessione della Nuova Guinea Occidentale.
L'Indonesia di Suharto dunque cominciò ad elaborare e mettere in pratica continue strategie di destabilizzazione della colonia portoghese con il fine di annettersela. Nel 1959 ispirò una rivolta, che aveva anche come componente una legittima spinta anticoloniale, che fu subito repressa dai portoghesi.
A Timor Est intanto si era formato uno strato di intellettuali che cominciava a rivendicare un approccio nazionale. Alcuni di questi, tra i quali José Ramos-Horta, fondò una rivista che si chiamava Seara, che fu presto soppressa dalle autorità coloniali.
Nel 1974 in Portogallo un colpo di stato militare dai caratteri "progressisti", pose fine al fascismo e si ripromise la decolonizzazione in Africa ed in Asia. A Timor Est viene concessa la libertà di formare partiti politici. Si fondò così l'União Democratica Timorense (UDT) formata da esponenti della borghesia locale, di tendenze conservatrici e favorevole all'autonomia. Nello stesso periodo nacque la Associacão Social Democratica Timorense (ASDT), formata da impiegati statali, insegnanti ed ex seminaristi. Tra questi molti avevano partecipato alla rivista Seara ed erano di formazione cattolico progressista, anche se divisi in varie correnti (tra le quali una minoritaria marxista). Un terzo raggruppamento politico era favorevole all'integrazione con l'Indonesia: l'Associacão Popular Democratica Timorense (APODETI). Questo processo si attuò in un clima di crescente radicalizzazione di massa, che portò in pochi mesi l'ASDT a denominarsi Frente Revolucionaria de Timor-Leste Independente (FRETILIN) con accentuati caratteri anticoloniali, indipendentisti e socializzanti. Da questo movimento sorse anche l'abitudine a denominare la propria nazionalità "maubere".
Il FRETILIN, grazie al suo attivismo e alle posizioni avanzate, superò rapidamente nei consensi l'UDT. Nel gennaio 1975 comunque tutti e due questi soggetti politici si ritrovarono nel governo di coalizione che doveva pilotare l'isola verso il suo assetto istituzionale definitivo. L'Indonesia intanto manovrava approfittando del fatto che l'UDT non poteva tollerare una così rapida caduta delle proprie speranze di potere e così dopo le elezioni del 29 luglio (dove l'UDT prendeva il 10%, contro il 55% del FRETILIN e il 5% dell'APODETI) attuò, con l'appoggio indonesiano, un colpo di stato preceduto da due giorni di campagna di uccisioni di esponenti del FRETILIN. Ma il braccio militare del FRETILIN, cioé le Forças Armadas de Libertacão Nacional de Timor-Leste (FALINTIL) riuscì in due giorni, grazie all'appoggio popolare, a sgominare i golpisti. Intanto però l'Indonesia moltiplicava le provocazioni ai confini, arrivando ad occupare diverse zone. I preparativi dell'invasione erano palesi. A novembre il FRETILIN inviò un messaggio di aiuto alle Nazioni Unite senza ricevere risposta e il 28 novembre proclamò l'indipendenza, sperando che questa misura avrebbe potuto ostacolare i disegni indonesiani. Il Portogallo però non la riconobbe. Il 7 dicembre 1975 cominciò l'invasione indonesiana, che però sino all'ultimo il governo di Giakarta avrebbe tentato di negare parlando di guerra civile tra timorensi. Il Portogallo si limitò a proteste verbali e a rompere le relazioni diplomatiche, di fronte all'occupazione di un territorio che, non avendo riconosciuto l'indipendenza, considerava ancora suo.
I militari appena sbarcati cominciarono subito col compiere stragi ad una velocità e con un arbitrio che era senza precedenti sull'isola. Dili in pochi giorni si riempì di migliaia di cadaveri (in breve tempo l'80% della popoalzione di Dili sarebbe stata uccisa). Gli indonesiani organizzarono inoltre un meticoloso saccheggio degli edifici di Dili, caricando la refurtiva su navi che aspettavano al largo. Poi lo stesso lavoro fu ripreso in altre città. I sopravvissuti del FALINTIL raggiunsero l'interno e da lì cominciarono la resistenza, mentre gli indonesiani controllavano, e così sarebbe stato per molto tempo ancora, solo parte della costa. Gli USA decretarono un embargo sulla vendita di armi puramente formale, mentre Inghilterra ed Australia, pur informati dei massacri, fecero di tutto per coprirli. L'invasione sino a quel momento era costata 60.000 morti, un massacro di dimensioni tali che persino l'UDT, che era stata messa dall'Indonesia a capo di un governo fantoccio, orrorizzata, tentò un'insurrezione a Dili, subito repressa. Nel luglio 1976 l'annessione fu formalizzata da parte dell'Indonesia.
Riproduciamo poi brani del capitolo "La pulizia etnica" per capire come certi metodi non sono solo "balcanici", ma tipici delle lotte imperialiste che oppongono nazionalità che opprimono a nazionalità oppresse, nella più assoluta complicità occidentale.
Come dice Miguel Faria Bastos "il genocidio a Timor Est é impressionante se comparato a qualsiasi altro. L'occupazione indonesiana di Timor ha rappresentato dal punto di vista della percentuale la maggior causa di genocidio in tutto il mondo dai tempi della prima guerra mondiale con una percentuale del 44,3%, ancora più grande di quella occorsa agli ebrei durante la seconda guerra mondiale." Dal 1975 al 1995, dunque escludendo i morti dell'ultimo anno (cioé diverse decine di migliaia di vittime) i morti furono 308.000 su una popolazione prima del genocidio di 696.000.
Il libro descrive poi l'indomita resistenza del FALINTIL (l'esercito indonesiano non sarebbe mai riuscito ad ottenere il controllo completo dell'isola), la lenta presa di coscienza a livello mondiale e gli ultimi avvenimenti che portarono all'indipendenza, non prima di un ultimo tributo di sangue le cui esatte dimensioni sono ancora sconosciute.
L'unico appunto che possiamo fare a questo libro, é di non approfondire due aspetti che a noi paiono fondamentali. Il primo: non sono chiari i dibattiti, le divisioni e le dinamiche unitarie dei movimenti di resistenza. In secondo luogo manca la descrizione di un fattore che é stato fondamentale per smuovere alla fine i governi occidentali: il movimento di solidarietà che in Australia e Portogallo ha assunto dimensioni di massa. Nonostante questa pecca, il libro é senz'altro un utilissimo strumento di comprensione della epica lotta del popolo maubere.