Paesi
imperialisti e Paesi dipendenti.
La
ricchezza che viene prodotta nel mondo viene distribuita tra i vari stati
in maniera diseguale. Una serie di stati cioè si appropriano di una
fetta della ricchezza nello stesso momento in cui ad altri viene sottratta.
Chiamiamo imperialisti i Paesi che prendono, e dipendenti quelli
che danno. Materiale introduttivo al documento Cosa
è la globalizzazione. Luglio 2002. REDS.
indice Paesi imperialisti e Paesi dipendenti oggi Le modalità del prelievo imperialista La struttura sociale dei Paesi imperialisti
e dei Paesi dipendenti Appendice. Nota terminologica. In realtà
si tratta di un meccanismo assai vecchio. Anche gli imperi del mondo
antico mantenevano questo rapporto con territori dipendenti. L'Impero
Romano ad esempio esigeva determinati quantitativi di grano dall'Egitto. Altri
pretendevano oro, merci, contingenti di soldati Quando una provincia o una
tribù colonizzata si ribellava era la guerra. L'imperialismo
moderno è legato alla nascita del sistema capitalistico. E più
precisamente del capitalismo commerciale nel XV secolo. Sino a quel momento
vi erano intere aree del pianeta che vivevano indipendentemente senza sostanziali
contatti tra loro. Al momento dello sbarco di Colombo in America, accanto
alle monarchie europee e all'Impero Ottomano, c'erano ad esempio l'Impero
Inca e l'Impero Azteco, in Africa l'Impero Songhay e lo stato d'Abissinia,
in Asia innumerevoli entità politiche indipendenti tra le quali l'Impero
Ming e le monarchie della penisola indiana. Tra entità contigue vi
erano scambi e molto spesso guerre (ad esempio tra il mondo "cristiano"
e quello "musulmano"), ma in generale ognuno aveva la propria storia
separata dalle altre. All'appuntamento
fatidico del 1500, le varie "civiltà" arrivarono, per ragioni
che qui non indaghiamo, con gradi diversi di sviluppo economico e quindi militare
e tecnologico. Gli europei erano più avanti ed ebbero così la
meglio riuscendo ad imporre il proprio dominio sul resto del mondo. Questa
lotta per imporre la propria "civiltà" al resto dell'umanità
durò quattro secoli: dalla conquista dell'Impero Azteco ad opera dello
spagnolo Cortés nel 1519 sino al 1935, quando l'Italia di Mussolini
realizzò l'ultimo attacco coloniale, contro l'Abissinia (oggi Etiopia).
Durante questo periodo molti dei territori coloniali si resero indipendenti,
al prezzo di lotte sanguinose (ad esempio gran parte dell'America Latina si
liberò nella prima metà del sec. XIX, ma erano già stati
trasformati dall'imperialismo in un'altra cosa. Dalla fine della
seconda guerra mondiale sino agli anni settanta una serie di guerre di liberazione
portò all'indipendenza politica di gran parte delle colonie (anche
se ancora ne permangono alcune: Guyana, Nuova Caledonia, ecc.). Ma, di nuovo,
l'imperialismo le aveva comunque plasmate: pur non dominando in maniera
diretta, continuava a dominarle economicamente. In poche
parole i Paesi imperialisti non hanno mai abbandonato di propria volontà
alcun territorio coloniale, perché lo sfruttamento pareva loro più
diretto e semplice, e soprattutto esclusivo. E' come se un cacciatore
di volpi avesse a disposizione un proprio privato territorio di caccia: certo,
per lui, meglio così che un territorio aperto anche ad altri cacciatoriDa
parte di un imperialismo rinunciare al controllo territoriale diretto significa
dichiarare quel posto terreno di caccia anche per gli altri imperialismi.
. Facciamo notare di passata comunque che, per la volpe, la differenza non
è molta. Dopo la fine del colonialismo i vari imperialismi hanno affinato
i loro strumenti di dominio pur in assenza di controllo diretto, ed oggi essi
preferiscono di gran lunga questa situazione, assai meno foriera di complicazioni,
dispendio di denaro, e creazioni di pericolosi rivoluzionari nazionalisti. La conquista
territoriale, la colonia, alimenta in effetti i malumori tra i diversi imperialismi.
I movimenti di liberazione dell'America Latina dell'inizio del XIX ad esempio
furono aiutati, nella loro lotta contro gli spagnoli, dagli inglesi. Proprio
la volontà da parte dell'imperialismo tedesco e austriaco di assicurarsi
territori di caccia che invece erano stati accaparrati dagli altri
imperialismi, fu la causa profonda della prima guerra mondiale. Dunque da
qualche decennio essi si sorvegliano vicendevolmente perché nessuno
torni alla tentazione del colonialismo. Non per questo comunque rinunciano
a un ruolo di gendarmi, spartendosi il mondo in zone di influenza, e intervenendo
con le armi o altri strumenti. Ad esempio la Francia "controlla"
l'Africa subsahariana, gli USA l'America Latina, l'Italia l'Albania. Ogni
tanto litigano: nella crisi che ha coinvolto la regione dei Grandi laghi (Ruanda,
Uganda, Zaire, Burundi) è ben leggibile uno scontro sotterraneo tra
imperialismo USA, francese, belga, inglese. Gli imperialismi
comunque non rinunciano mai, in nessun caso, alla lotta contro un territorio
che si sottrae al dominio del loro sistema economico, dominio che chiamano
romanticamente "libertà di mercato". E utilizzano tutti gli
strumenti necessari per "aprirli", come dicono loro, anche senza
arrivare alla conquista territoriale. Così ad esempio nel 1853 l'ammiraglio
statunitense Perry costrinse sotto la minaccia delle cannoniere il Giappone
a riaprirsi al commercio internazionale. E la Cina pur non essendo mai stata
invasa per intero dagli europei fu spinta dalle guerre dell'oppio (1839-1842
e 1856-1860), mosse da francesi e inglesi, ad aprire i propri porti. Del resto
anche la lotta degli USA contro l'URSS durante la guerra fredda non va vista
tanto nell'ottica della guerra "ideologica" al comunismo, dato che
la burocrazia sovietica dimostrava in maniera plateale una scarsissima voglia
di esportarlo, quanto della necessità di aprire immensi territori "al
mercato", farne cioè terreno di caccia aperto per gli imperialismi. I Paesi resisi
via via indipendenti dal punto di vista politico, scoprirono ben presto
che non lo erano affatto dal punto di vista economico. La presenza
straniera aveva devastato le loro potenzialità. Ancora oggi tra i Paesi
dipendenti se la cavano meglio in generale quelli che non hanno dovuto subire
una lunga permanenza straniera: l'Europa dell'Est, la Cina, la Corea, ecc.
La presenza coloniale ha orientato la crescita dell'apparato produttivo di
quei Paesi in maniera dipendente. Ad esempio gli inglesi del XIX sec.
distrussero l'industria dei tessuti in India, per favorire la propria nel
Regno Unito. I sostenitori del modello occidentale chiamano questa situazione:
interdipendenza. In fondo, dicono, si tratta di uno scambio alla pari, dato
che uno non può vivere senza l'altro. Nella realtà i Paesi dipendenti
sono costretti ad esportare poiché, essendo poveri, il loro
mercato interno è ristretto e dunque devono orientare la produzione
sui bisogni dell'impero. I Paesi imperialisti hanno invece un mercato interno
ricco, in grado di assorbire gran parte dei loro prodotti, cioè hanno,
in parole povere, dei cittadini in grado di spendere. Paesi
imperialisti e Paesi dipendenti oggi torna
in alto Possiamo
dire dunque che intorno alla fine del sec.XIX inizio XX "i giochi
erano fatti". A quell'epoca si ebbero infatti gli ultimi ingressi nella
schiera dei Paesi imperialisti, quello del Giappone (che durante la "restaurazione
Meiji", approfittando di non essere mai stato devastato da un processo
di colonizzazione, compì una vera e propria rivoluzione politico-sociale
che portò alla dissoluzione del feudalesimo e alla costituzione di
uno stato moderno), del Canada, dell'Australia e della Nuova Zelanda. Poi
la porta si è chiusa. Vi sono stati vari altri Paesi che hanno provato
in questi decenni ad entrare "nel giro", ad esempio la Corea del
Sud, ma hanno fallito perché la distanza che separa ormai i due tipi
di Paesi è tale che il gap potrebbe essere colmato solo da specialissime
condizioni interne e da forti prestiti. Ma quando una ricchezza è costruita
sul debito, quella ricchezza in ultima analisi è la ricchezza del creditore.
Ed è quel che è accaduto alla Corea del Sud, additata dieci
anni fa a modello da seguire per i Paesi dipendenti, oggi oppressa dai debiti
e dalla depressione economica. Cosa accade
invece quando un Paese dipendente viene annesso politicamente a un Paese imperialista?
Che il nuovo stato rimane un Paese imperialista, con al suo interno un territorio
più "arretrato". E' accaduto al Meridione ai tempi dell'unità
d'Italia, e oggi alla Germania Est dopo il crollo del Muro. L'Unione Europea
nel suo allargamento si accinge ad integrare con lo stesso spirito una serie
di altri Paesi oggi dipendenti (Polonia, Slovenia, ecc.): essi faranno così
parte di un potente blocco imperiale, ma in una posizione nella sostanza subalterna:
terreno di caccia esclusivo di chi è già forte. I Paesi imperialisti
sono oggi: gli stati dell'Unione Europea (Portogallo, Spagna, Francia, Germania,
Danimarca, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Regno Unito, Svezia, Finlandia,
Italia, Grecia, Austria) e gli altri dell'Europa Occidentale (Norvegia, Islanda,
Svizzera), Canada, USA, Australia, Nuova Zelanda, Giappone. Sono Paesi dipendenti
tutti gli altri: quelli dell'Europa Orientale, dell'Asia ad esclusione del
Giappone, le piccole isole dell'Oceania, l'Africa, l'America Latina. Come si riconosce
un Paese imperialista da uno dipendente? Ci dobbiamo servire di alcune statistiche.
Un buon indicatore è il debito estero. Un Paese indebitato in
maniera continuativa e strutturale con i Paesi imperialisti (o i loro organismi
internazionali) è certamente dipendente. Alcuni Paesi dipendenti però
non sono indebitati: si tratta di territori che per una qualche ragione geopolitica
o di altra natura sono finanziati e sovvenzionati dai Paesi imperialisti:
è ad esempio il caso di Israele, che crollerebbe subito se gli USA
decidessero di tagliare gli aiuti a fondo perduto che eroga annualmente; è
il caso anche di Cipro, sostenuto dalla Grecia da un lato e dalla Turchia
dall'altro perché ambedue ambiscono a dominarlo. Altri Paesi dipendenti
non sono indebitati perché si sono trovati seduti su una qualche "miniera
d'oro", una materia prima particolarmente preziosa. E' il caso di molti
Paesi produttori di petrolio (Kuwait, Brunei, Qatar, ecc.) e con una popolazione
così ridotta da non dover sostenere grandi spese al proprio interno;
rimangono dipendenti perché non hanno un proprio sviluppo, ma vivono
sostanzialmente di rendita: se il petrolio finisse crollerebbero nella miseria
in cui si trovavano cinquanta anni fa.
DEBITO
ESTERO (debito estero
come % delle esportazioni, 1998)
4,5
9,7
11,2
42,0
7,6
...
34,4
28,4
23,6
58,2
12,8
7,6
8,9
16,4
8,6
2,3
9,8
5,3
9,1
19,5
28,3
10,6
25,6
9,7
2,0
8,2
23,5
30,2
18,7
16,9
2,7
20,6
12,1
74,1
33,0
23,2
22,1
20,2
18,2
10,7
...
6,4
40,0
13,0
15,9
1,5
18,8
...
22,3
9,4
12,2
15,2
6,3
6,6
20,9
8,4
9,8
10,6
2,5
...
22,3
18,7
13,7
8,6
3,3
20,8
30,7
13,0
19,2
3,3
14,7
5,7
1,2
14,7
10,2
12,9
8,7
15,1
26,1
12,6
21,2
7,6
27,7
42,0
8,9
11,3
11,4
4,2
20,8
23,6
28,8
18,5
27,3
9,5
6,3
23,5
10,4
23,0
13,2
1,5
18,0
27,4
2,1
5,3
8,9
11,3
7,0
4,2
11,8
25,5
17,7
12,0
18,4
38,2
Fonte:
Banca Mondiale elaborato da Instituto del Tercer
Mundo
Un'altra
maniera di individuare i Paesi imperialisti è scorrere l'elenco delle
multinazionali: nessuna multinazionale privata di rilievo è di un Paese
dipendente. Una
multinazionale infatti per farsi largo nel mondo ha la necessità di
avere le "spalle coperte" da uno stato forte, imperialista, appunto.
Altrimenti fa la fine della Daewoo.
Fonte:
Fortune elaborato da Instituto del Tercer Mundo
Le modalità
del prelievo imperialista torna
in alto Abbiamo detto
che l'imperialismo è in ultima analisi il trasferimento di ricchezza
da un gruppo di Paesi a un altro. Esso è
reso possibile dal semplice fatto che vi è già una situazione
in cui vi sono Paesi dipendenti e Paesi imperialisti, dove questi ultimi godono
di vantaggi permanenti e di una distanza crescente dai primi. Del resto è
la stessa nostra esperienza di vita ad insegnarci che se è vero che
ogni tanto qualche povero diviene ricco, la regola comunque è
che chi è ricco continui ad esserlo, e a trasmettere questa ricchezza
ai figli. I ricchi cioè godono di vantaggi di partenza, corrono contro
gli altri in una gara dei cento metri truccata, perché scattano con
una cinquantina di metri di vantaggio. Ma, se è pur vero che nella
vita reale qualche operaio diviene capitalista, non è invece mai accaduto
che un Paese dipendente divenisse imperialista. I vantaggi
di partenza sono innumerevoli. Ad esempio i Paesi dipendenti non riescono
a formare uno strato di tecnici e scienziati residenti. I migliori se ne vanno
perché nei Paesi imperialisti godono di migliori prospettive. Ma se
quelli se ne vanno, anche la qualità delle università e dei
politecnici sarà scarsa, dato che mancheranno professori all'altezza.
Così, anche se vi fossero le risorse, e non ve ne sono, le aziende
locali o le istituzioni statali non avrebbero la possibilità di fare
ricerca, dunque di registrare brevetti, dunque di imporre le proprie merci
ai Paesi imperialisti. L'India ad esempio ha investito molto denaro nella
formazione di tecnici informatici, e oggi Germania e USA fanno a gara per
rubarseli: il guadagno è doppio, non hanno dovuto pagare nemmeno la
loro formazione. Poi. Se un
Paese fornisce continuamente materia prima, prodotti agricoli o manufatti
a basso contenuto tecnologico e un altro, in cambio, fornisce le macchine
con cui quel Paese produce le sue povere merci, lo scambio non è
alla pari, anche se i prezzi fossero, diciamo così, "equi".
Se una tribù cosiddetta primitiva che fonda la sua economia sulla caccia
con l'arco riuscisse, vendendo la cacciagione, ad acquistare dei fucili, la
sua economia rimarrebbe comunque quella dell'arco, e non dei fucili,
perché i fucili non sarebbero un prodotto suo, ma di altri. I Paesi dipendenti
hanno un mercato interno molto ristretto. Significa concretamente che vi è
una gran massa di gente che non ha soldi per comprare nulla. Dunque le aziende
locali che volessero competere con le multinazionali non potrebbero partire
da un livello di sicurezza minimo, i consumatori del proprio Paese, ma dovrebbero
rivolgersi direttamente ai consumatori dei Paesi imperialisti dove però
operano già da tempo i loro concorrenti. Di questa povertà diffusa
poi approfittano le multinazionali (che sono in gran parte dei Paesi imperialisti)
che impiantano nei Paesi dipendenti delle filiali che assumono la manodopera
a basso costo con due tipi di imprese: quelle che producono direttamente per
i mercati esteri, ad esempio le maquiladoras della frontiera messicana (fabbriche
USA che si limitano a montare i pezzi delle auto prodotti altrove e a riesportare
subito il prodotto di là dal confine) e le fabbriche che producono
per il mercato interno servendosi dei macchinari dismessi dalle fabbriche
dell'impero (ad esempio la FIAT in Brasile). In tutti e due i casi si tratta
di impianti che non allargano il mercato interno (perché gli operai
sono comunque pagati al limite della sopravvivenza e dunque non si trasformano
in consumatori), ma rendono dipendenti le aziende locali: esse si vedono costrette
a divenire fornitrici e subappaltatrici delle multinazionali con profitti
ridotti all'osso. Vi sono poi
meccanismi di trasferimento diretto di ricchezza. Il meccanismo più
conosciuto è quello dell'indebitamento. La dinamica non è
molto diversa da quella del normale prestito a usura: le banche dei Paesi
imperialisti prestano denaro ai Paesi dipendenti, questi per pagare gli interessi
sono costretti a indebitarsi ulteriormente, gli interessi crescono ancora
di più, sino a che questi divengono una vera e propria tassa permanente
sulle esportazioni e un formidabile strumento per imporre ai Paesi dipendenti
le politiche economiche più favorevoli ai Paesi imperialisti. Dopo
ogni crisi del debito, c'è una "rinegoziazione" che implica
sempre misure di "riaggiustamento strutturale" che obbligano ad
esempio quei Paesi a privatizzare aziende pubbliche e servizi, che solo aziende
dei Paesi imperialisti hanno le risorse per comprare. Gran parte delle compagnie
telefoniche dei Paesi dipendenti che sono state privatizzate sono cadute nelle
mani di aziende europee, americane o giapponesi. Anche i Paesi imperialisti
si indebitano, ma con le loro stesse banche o con i propri cittadini. Spesso,
come è il caso dell'Italia, lo stato finisce per pagare alti interessi
sul debito, ma ciò va ad arricchire i propri cittadini, e i propri
capitalisti, e non altri Paesi. I Paesi dipendenti però, essendo poveri,
devono necessariamente ricorrere all'esterno. Vi sono anche
altri meccanismi di trasferimento diretto di ricchezza. I Paesi imperialisti
dispongono della gran parte dei brevetti (ad esempio in campo medico o in
quello delle sementi geneticamente modificate): ciò permette loro di
incassare dei sovrapprofitti da monopolio nei Paesi dipendenti, dato che nella
loro vendita sanno che non potranno essere disturbati da concorrenti locali.
Poi. Dato che il mercato finanziario è nelle mani dei Paesi imperialisti,
anche i profitti da rendita di quei Paesi dipendenti che dispongono ad esempio
di risorse petrolifere finiscono comunque nelle banche imperialiste. Ad esempio
gran parte dei proventi petroliferi dei Paesi del Golfo (Arabia Saudita, Kuwait,
ecc.) viene depositata nelle banche occidentali (i famosi petrodollari). L'insieme
di questi vantaggi fa sì che i Paesi dipendenti siano in balia dei
Paesi imperialisti. Questa situazione è formalizzata in alcune istituzioni
internazionali dove, in maniera scoperta, il potere decisionale è riservato
ai più ricchi: il FMI, la BM, ecc.
17,82%
5,55%
5,55%
5,00%
5,00%
4,00%
3,70%
5,00%
4,64%
56,26%
La struttura
sociale dei Paesi imperialisti e dei Paesi dipendenti torna
in alto Nei Paesi
imperialisti ci si allarma quando vi è una disoccupazione che raggiunge
il 10%. Il resto però sono impieghi reali, anche se magari malpagati
e precari. Nei Paesi dipendenti invece l'indice di disoccupazione non dice
granché sulla situazione reale. Gran parte della gente infatti è
ai margini del mercato, permanentemente sottoccupata. Una parte consistente
di questo esercito di sottoccupati è costituita da contadini, la gran
parte dei quali non produce per il mercato, ma per la sopravvivenza. Ciò
non è solo dovuto alla mancanza della riforma agraria in molti di questi
Paesi (Brasile, India, ecc.), ma alla presenza di un rapporto di dipendenza
con il mercato imperialista. La sottoccupazione agricola c'è anche
in Cina dove non vi è latifondo. I piccoli agricoltori infatti si trovano
a dover fronteggiare una concorrenza impari con le aziende agricole capitaliste
che usano macchine, diserbanti e semi geneticamente modificati. Dunque i loro
prodotti non possono essere orientati al mercato, ma servono solo a garantire
una sopravvivenza sempre più precaria. Nelle zone urbane inoltre vanno
concentrandosi moltitudini di lavoratori sottopagati e "marginali",
dediti al piccolo commercio o ad altre attività fuori dal mercato capitalista.
I Paesi dipendenti hanno delle proprie borghesie, ma che sono a loro volta
in qualche modo dipendenti da quelle imperialiste. Da questa posizione
di vassallaggio esse traggono numerosi vantaggi, anche se non comparabili
con quelli delle borghesie dell'impero, e questo spiega perché siano
così riluttanti a rompere i rapporti politici tra i loro Paesi e quelli
imperialisti. Le borghesie
dei Paesi imperialisti sono spesso in lotta tra loro ed utilizzano i loro
stati per uscire vincitori da questa lotta. Si trovano però uniti tra
loro quando devono imporre i propri privilegi ai Paesi dipendenti. Del resto
non accade diversamente all'interno di ognuno dei nostri Paesi: i nostri capitalisti
si fanno una fortissima concorrenza, ma quando si tratta di opporsi a delle
richieste contrattuali da parte dei lavoratori, si trovano unitissimi. I Paesi
imperialisti si sono dati degli strumenti per cercare di comporre i propri
interessi a danno dei Paesi dipendenti: i grossi organismi internazionali,
periodiche riunioni (G8), ecc. Quando non riescono a ridurre alla ragione
un qualche Paese dipendente i Paesi imperialisti ricorrono alla guerra. Hanno
dato vita del resto ad apposite alleanze militari (la NATO ad esempio) per
poterlo fare senza pestarsi i calli tra loro. Quando non ricorrono alla guerra
i Paesi imperialisti utilizzano i loro formidabili mezzi finanziari per influenzare
politicamente i Paesi dipendenti: ad esempio tramite l'informazione (le agenzie
di stampa appartengono ai Paesi imperialisti), il complotto (in cui la CIA
è maestra), la corruzione dei politici locali, il blocco economico.
I Paesi dipendenti hanno pochi strumenti per salvaguardare una vera indipendenza
politica: i loro stati sono strutturalmente deboli, con poche risorse, poco
personale, apparati con scarsi mezzi e ridotti all'osso. Che fare? torna
in alto Il meccanismo
infernale che abbiamo descritto non si può risolvere certo con una
qualche riforma di qualche organismo internazionale. Se si riuscisse sul serio
a "democratizzare" il FMI, semplicemente i Paesi imperialisti ne
inventerebbero un altro o farebbero a meno di organismi internazionali. Il
meccanismo imperialista non può che essere abbattuto, solo una vera
e propria rivoluzione mondiale può "democratizzare" il mondo.
Naturalmente ciò appare ai nostri occhi di satolli europei come qualcosa
di "esagerato", estremista e di cattivo gusto. Di opinione un po'
diversa avrebbero potuto essere le dieci persone che sono morte di fame nel
tempo in cui queste ultime due righe sono state lette. Naturalmente non pensiamo
che una rivoluzione cada dal cielo. Le condizioni vanno costruite pazientemente
nel tempo. Ma è importante interiorizzare verso cosa si fanno i pur
piccoli passetti che sono necessari. Una volta che c'è questa chiarezza
è certamente giusto lottare anche per conquiste parziali che ci avvicinino
all'obiettivo. In questo senso sono un'ottima cosa le campagne di boicottaggio,
di denuncia, il commercio equo e solidale, ecc. perché pur essendo
azioni che di per sé non modificano nella sostanza i meccanismi sopra
descritti (anche se consentono, e non è poca cosa, di far "respirare"
un po' di gente) comunque hanno una importanza decisiva per avvicinare i soggetti
sociali oppressi (pur in diversa misura) dei Paesi dipendenti e dei Paesi
imperialisti. Una rivoluzione
mondiale infatti non può che avvenire sulla base di una grande alleanza
tra i soggetti sociali oppressi dei Paesi imperialisti e quelli dei Paesi
dipendenti. Ma qui occorre una precisazione. In un Paese
imperialista tutti stanno meglio che in un Paese dipendente. Ovviamente
all'interno di un Paese imperialista vi sono i ricchi e i poveri, ma globalmente
la massa delle persone sta molto meglio che nei paesi dipendenti. Un
borghese imperialista è molto più ricco di un borghese dipendente.
Un operaio di un Paese imperialista ha un salario che come minimo è
dieci volte superiore al suo omologo di un Paese dipendente. Persino un mendicante
di un Paese imperialista se la passa meglio di un mendicante in Africa. Per
comprendere questo privilegio imperialista che riguarda, in diversa
misura, tutti, dobbiamo rivolgerci alle statistiche. Un buon indicatore
è l'indice di sviluppo umano che mette insieme indicatori come
la speranza di vita, il livello di istruzione e il PIL procapite: i primi
posti sono ricoperti tutti dai Paesi imperialisti.
Fonte:
UNDP, Mondiale elaborato da Instituto del Tercer
Mundo
Dunque i
soggetti sociali oppressi dei Paesi imperialisti non hanno un interesse immediato
ad allearsi con quelli dei Paesi dipendenti. Hanno però un interesse
strategico, a più lunga scadenza, ma non meno concreta. Il dominio
imperialista sul mondo, che è fondato sulla ricerca del profitto immediato,
porta infatti a degli effetti nocivi molto ben visibili a tutti, e che vanno
a svantaggio dell'intera umanità e dunque anche degli abitanti dei
Paesi imperialisti. Disastri climatici, inquinamento crescente, alimenti dannosi,
distruzione della natura La crescente povertà dei Paesi dipendenti
inoltre creerà una sempre più forte instabilità, l'aumento
di guerre e una situazione che vedrà i Paesi imperialisti trasformarsi
in una sorta di cittadella assediata da moltitudini affamate. Gli stessi lavoratori
dei Paesi imperialisti saranno sottoposti a crescenti ricatti sull'occupazione
e sui salari: la crescente facilità con cui i capitalisti possono spostare
le produzioni in Paesi dipendenti aumenterà la precarietà e
diminuirà i salari anche nell'impero. Per costruire questa alleanza
è necessaria una politica fatta anche di riforme, richieste parziali,
pratiche di solidarietà che partano dal basso, e che abbiano il fine
di rafforzare la coscienza, la possibilità e la pratica di questa alleanza.
Ma con la chiarezza che il meccanismo imperiale non è riformabile nella
sostanza. Appendice.
Nota terminologica torna
in alto Alcune osservazioni
sul termine imperialismo. Non gode oggi di grande popolarità
ed è ritenuto troppo "vetero". Non ci rifiutiamo di utilizzare
altri termini, e non ci salterebbe mai in mente di litigare sulle parole,
quando si è d'accordo sulla sostanza, ma qualche precisazione forse
è meglio che la facciamo. Da circa
trent'anni è in voga, quando si parla delle differenze tra stati, parlare
di Nord e Sud del mondo. Se serve a denunciare la situazione
che abbiamo sopra descritto, ci va anche bene. A noi comunque quei due termini
sembrano meno precisi di imperialista e dipendente. Nel Nord
del mondo vi sono molti Paesi dipendenti, ad esempio la Russia, o la Mongolia,
o la Georgia. Nel Sud del resto troviamo Paesi imperialisti: l'Australia e
la Nuova Zelanda. Inoltre perché considerare Nord la parte dell'emisfero
dove si trova l'Europa? E' solo una convenzione razzista collocare nelle cartine
Africa e America Latina nell'emisfero sud cioè in una disposizione
spaziale che li fa sembrare meno importanti, secondari. Nella realtà
nell'universo non vi è alcun punto di riferimento assoluto che ci consenta
di collocare a Nord Europa, USA, ecc. Potremmo inventare delle cartine
con tutto ribaltato. Ma le cartine le hanno inventate i Paesi imperialisti
cui piace stare su e non giù. A volte abbiamo l'impressione
che spesso il termine imperialismo non sia utilizzato perché
considerato troppo duro, diretto, crudo, polemico. Dato questo sospetto, noi
continueremo a usarlo. Altre volte
si utilizza il termine Terzo Mondo. Quando questa terminologia è
stata inventata c'era anche il cosiddetto secondo mondo, dove vigevano
regimi che si autodefinivano comunisti. Dunque si tratta di una terminologia
superata, dopo la fine dell'URSS e l'apertura della Cina al mercato mondiale.
Agli organismi internazionali piace inoltre utilizzare il termine di Paesi
in via di sviluppo: che ipocrisia! In realtà, stante il meccanismo
imperialista dovrebbero chiamarsi Paesi che non si svilupperanno mai.
Altri ancora parlano di Paesi ricchi e Paesi poveri. Sono termini
che si possono anche utilizzare, ma non ci entusiasmano: è come se
si prendesse atto di una certa situazione ma senza vederne il legame, un Paese
è povero perché ve ne è un altro che è
ricco. Un'ultima
precisazione. Il termine imperialismo che abbiamo utilizzato qui non
lo intendiamo in termini politici, ma economici, anche se come
abbiamo visto tra i due ambiti vi è spesso un legame assai stretto.
Non ci sfugge che per ragioni geopolitiche anche un Paese dipendente può
portare avanti una politica imperialista verso territori ancora più
deboli. E' ad esempio il caso della Russia nei confronti della Cecenia. In
questo caso diremo che la Russia è un Paese dipendente economicamente
dal capitale internazionale, ma attua una politica imperialista nei confronti
della Cecenia (e non solo). Lo stesso dicasi della Cina nei confronti del
Tibet, dell'Indonesia nei confronti di Aceh, di Israele nei confronti dei
palestinesi, ecc.
Albania
Gambia
Nigeria
Algeria
Georgia
Oman
Angola
Ghana
Pakistan
Argentina
Giamaica
Panamà
Armenia
Giordania
Papua
Azerbaigian
Guatemala
Paraguay
Bangladesh
Guinea
Perù
Benin
Guinea
Bissau
Polonia
Bielorussia
Haiti
Romania
Bolivia
Honduras
Ruanda
Botswana
India
Russia
Brasile
Indonesia
Senegal
Bulgaria
Iran
Sierra
Leone
Burkina
Faso
Iugoslavia
Siria
Burundi
Kazakistan
Slovacchia
Cambogia
Kenya
Somalia
Camerun
Kirghizistan
Sudafrica
Ceca,
repubblica
Laos
Sri
Lanka
Centraficana,
Rep.
Lesotho
Sudan
Ciad
Lettonia
Swaziland
Cile
Libano
Tagikistan
Cina
Lituania
Tanzania
Colombia
Macedonia
Thailandia
Congo,
Rep.
Madagascar
Togo
Congo
Rep. Dem.
Malawi
Trinidad
e Tobago
Corea
del Sud
Malaysia
Tunisia
Costa
D'Avorio
Mali
Turchia
Costa
Rica
Mauritania
Turkmenistan
Croazia
Maurizio
Ucraina
Dominicana,
Rep.
Messico
Uganda
Ecuador
Moldavia
Ungheria
Egitto
Mongolia
Uruguay
El
Salvador
Marocco
Uzbekistan
Eritrea
Mozambico
Venezuela
Estonia
Myanmar
Viet
Nam
Etiopia
Nepal
Yemen
Filippine
Nicaragua
Zambia
Gabon
Niger
Zimbabwe
LE
PRIME CINQUANTA MULTINAZIONALI IN ORDINE DI FATTURATO (1999)
General
Motors
USA
Matsushita
Giappone
DaimlerChrysler
Germania
Philip
Morris
USA
Ford
USA
ING
Group
Paesi
Bassi
Wal-Mart
Stores
USA
Boeing
USA
Mitsui
Giappone
AT&T
USA
Itochu
Giappone
Sony
Giappone
Mitsubishi
Giappone
Metro
AG
Germania
Exxon
USA
Nissan
Giappone
General
Electric
USA
Fiat
Italia
Toyota
Giappone
Bank
Of America
USA
Royal
Dutch/Shell Group
R.Unito/Paesi
B.
Nestlé
Svizzera
Marubeni
Giappone
Credit
Suisse
Svizzera
Sumitomo
Giappone
Honda
Giappone
Inti.
Business Machines
USA
Assicurazioni
Generali
Italia
AXA
Francia
Mobil
USA
Citigroup,
Inc.
USA
Hewlett-Packard
USA
Volkswagen
Germania
Deutsche
Bank
Germania
Nippon
Tel. & Teleph.
Giappone
Unilever
R.Unito/Paesi
B.
BP
Amoco
Regno
Unito
State
Farm Insurance
USA
Nissho
Iwai
Giappone
Dai-ichi
Giappone
Nippon
Life Insurance
Giappone
Veba
Group
Germania
Siemens
Germania
HSBC
Holdings
Regno
Unito
Allianz
Germania
Fortis
Belgio
Hitachi
Giappone
Toshiba
Giappone
Unitated
States Postal S.
USA
Renault
Francia
RIPARTIZIONE
DEL DIRITTO DI VOTO DEGLI AMMINISTRATORI (24) DEL FONDO MONETARIO
INTERNAZIONALE
USA
Germania
Giappone
Regno
Unito
Francia
Italia
Canada
Belgio
Paesi
Bassi
Totale
I
PRIMI VENTI PAESI IN ORDINE DI VALORE ISU, 1999
1)
Canada
11)
Francia
2)
Norvegia
12)
Svizzera
3)
USA
13)
Finlandia
4)
Giappone
14)
Germania
5)
Belgio
15)
Danimarca
6)
Svezia
16)
Austria
7)
Australia
17)
Lussemburgo
8)
Paesi Bassi
18)
Nuova Zelanda
9)
Islanda
19)
Italia
10)
Regno Unito
20)
Irlanda