Pensioni: la posta in gioco.
Come cambiano le cose con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Una semplice ed agile guida per capirci qualcosa riguardo al dibattito sul nostro sistema pensionistico. Di Duilio Felletti. Febbraio 2000.


È facile prevedere che in tempi brevi la concorrenza tra le imprese per la conquista di nuovi mercati diventerà più aspra, a causa della sfida intercapitalista oramai estesa su scala planetaria. I governi fino a ieri hanno favorito le proprie borghesie con la leva del fisco e provvedimenti protezionistici, ma ora il tempo che i governi europei hanno a disposizione per mettere in condizione le proprie borghesie di affrontare la sfida della moneta unica è ormai non più lungo di due anni, e in questi due anni i padroni devono avere la garanzia di non trovarsi oberati da costi che non debbano sostenere anche i concorrenti.
Entro quel momento i padroni dovranno imparare a procedere con le proprie gambe e prendere direttamente nelle proprie mani lo scontro con i propri concorrenti da una parte, e con i propri lavoratori dall'altra.
In vista di questo nuovo quadro generale che si sta delineando, l'attacco al sistema pensionistico sta assumendo una portata senza precedenti; questo a riconferma che la necessità che il padronato ha in questo momento di acquisire competitività sta diventando urgente.
Parlare di pensioni infatti significa parlare di salario (anche se di salario che viene dato al lavoratore in un secondo momento), e il metodo più semplice che il padrone da sempre conosce per ridurre il costo del lavoro è per l'appunto quello di ridimensionare il salario complessivo che è costretto a sborsare ai lavoratori.
Non passa giorno che il quotidiano della Confindustria "Il Sole 24 ore" non affronti il problema di una "riforma radicale e strutturale della previdenza", e rispetto a questo problema porta avanti una vera e propria campagna, costringendo i principali leaders della politica e del sindacato a prendere posizione nel merito che provocano divisioni e punti di incontro.
Ciò che essi vogliono è una drastica riduzione se non addirittura l'azzeramento di quel 33% sul costo del lavoro che deve essere versato nelle casse dell'INPS e viene così sottratto ai profitti, o comunque al capitale da reinvestire, necessario per stare al passo con lo sviluppo delle tecnologie e restare quindi sul mercato.
Ridurre il peso delle pensioni, inoltre, significa per i padroni avere uno Stato che per questa voce spenda meno, e crei così gli spazi per un abbattimento del carico fiscale sulle imprese.
Il massimo per i padroni sarebbe che l'intero sistema previdenziale venisse privatizzato e che lo Stato si andasse ad occupare esclusivamente delle pensioni di sussistenza dei soggetti disperati prodotti da questa società.

In quest'ottica, Governo, padroni e sindacati, spingono affinchè i lavoratori si costruiscano una pensione aggiuntiva che, per ora, andrebbe a integrare la pensione pubblica, ma che nel tempo, acquisendo sempre maggiore peso, la dovrebbe soppiantare definitivamente.
Da qui tutta la canea a cui stiamo assistendo per costringere i lavoratori a utilizzare in questa direzione i propri TFR, anche grazie alla grande e decisiva disponibilità delle principali organizzazioni sindacali, che sperano in questo modo di entrare nel mercato della previdenza integrativa.

Ma a tenere banco in queste settimane, come se già non bastasse, è il cosiddetto passaggio dal sistema retributivo di calcolo della pensione a quello contributivo: ma per capire bene il nocciolo della questione occorre comprendere come funziona oggi il sistema di calcolo delle pensioni.

La prima grande riforma delle pensioni è stata varata dal Parlamento nel 1968.

La legge introduceva il sistema a ripartizione, cioè quello basato sull'equilibrio del rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Successivamente altri numerosi provvedimenti aggiungeranno modifiche, lasciando però invariato l'impianto generale.
Il principio al quale si ispira questo sistema può essere così descritto: i contributi pagati dal singolo lavoratore non vengono accumulati per costituire una futura rendita, ma sono immediatamente utilizzati, o meglio, "ripartiti" tra le pensioni in essere.
In pratica chi oggi è un lavoratore attivo paga la rendita ai pensionati e si attende che i futuri lavoratori attivi facciano altrettanto quando sarà a riposo.

Le pensioni che vengono corrisposte sono rapportate alla retribuzione media mensile degli ultimi anni lavorativi (ecco perché si chiama metodo retributivo).

Il sistema retributivo ha avuto il grande significato politico di tenere strettamente legate le diverse generazioni di lavoratori in un rapporto solidaristico, rendendo così estremamente difficile colpire le pensioni senza sollevare la protesta e la lotta insieme dei lavoratori e dei pensionati.
A riprova di questo fatto vi è la caduta del governo Berlusconi che si è verificata proprio nel momento in cui si è voluto andare giù pesanti verso la fine del modello pensionistico a ripartizione ignorando un qualsiasi percorso di intesa con i sindacati.
Intento di Berlusconi era quello di introdurre il sistema contributivo (o a capitalizzazione); cosa che poi il governo Dini ha fatto, ma con meccanismi di gradualità e con il consenso dei sindacati.
In questo modo è stato possibile rompere quel rapporto solidale tra le generazioni e aprire varchi ad altre e ulteriori misure che è facile prevedere peggioreranno il sistema previdenziale pubblico.
Il principio a cui si ispira questo sistema che piace tanto ai padroni trova già oggi applicazione nel campo delle polizze a vita e dei fondi pensione.

I contributi pagati nel corso della vita lavorativa vengono accantonati e investiti. Il lavoratore, a differenza del precedente sistema, non perde la titolarità dei contributi versati che verranno impiegati per l'assegnazione della pensione futura. In questo modo ogni lavoratore accantona dei soldi che serviranno a pagare esclusivamente la sua pensione.

Mentre con il sistema retributivo a ripartizione in vigore anche i pensionati sono interessati a unirsi con la lotta dei lavoratori in difesa dei livelli occupazionali, perché in questo modo salvaguardano anche le proprie pensioni (d'altra parte i lavoratori hanno interesse ad unirsi alle lotte dei pensionati in difesa delle pensioni in quanto saranno quelle che percepiranno essi stessi), con il sistema contributivo sia i pensionati che i lavoratori dovranno pensare singolarmente alla tutela delle proprie condizioni.
Se la situazione avrà questa evoluzione, il lavoratore attivo si troverà ad avere l'unica preoccupazione di curare il proprio fondo pensione personale cercando di alimentarlo nel modo migliore, non facendo scioperi, facendo straordinari e fregandosene delle condizioni complessive dei suoi compagni (occupati e disoccupati).

È la fine della pensione come diritto e l'inizio della pensione come merce, ma soprattutto è la fine dei contratti collettivi di lavoro e della difesa collettiva degli interessi di classe dei lavoratori.

L'argomento che viene maggiormente utilizzato per giustificare il ricorso alla pensione contributiva è quello secondo cui nel 2025 i sessantenni costituiranno la parte maggioritaria della popolazione italiana, per cui ci sarà meno di un lavoratore attivo per ogni pensionato, pertanto non ci saranno materialmente i soldi per pagare le pensioni di tutti.

Il vero problema in realtà sta nel fatto che la disoccupazione in Italia è in continuo aumento a causa delle scelte padronali tese al sostegno dei profitti e che portano alla riduzione dei livelli occupazionali per ridurre il costo del lavoro.
Dall'altra parte vi sono le scelte del governo che per incentivare nuove assunzioni consentono ai padroni di non pagare i contributi per le pensioni, provocando un impoverimento costante delle casse dell'INPS.

Ma entrando nel merito del sistema contributivo va detto che non si tratta di una novità assoluta, in quanto, grazie alla riforma Dini del 1995, i lavoratori che in quell'anno avevano versato meno di 18 anni di contributi, avranno la loro pensione calcolata con il sistema contributivo.
Nell'arco di una ventina d'anni quindi, quando i lavoratori più anziani se ne saranno andati, tutti "godranno" del sistema contributivo.
Questo provvedimento legislativo è passato grazie al fatto che non si è andati a colpire i pensionati e i lavoratori che potevano lottare.
Questi infatti sono stati colpiti prima con i provvedimenti del governo Amato nel 1992 che stabiliva l'aumento dell'età pensionabile di 5 anni, e, in più che la pensione non sarebbe più stata calcolata sulla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni lavorativi, ma degli ultimi 10 anni con l'intento di portare gradualmente il calcolo alla media di tutta la vita lavorativa; alcune stime hanno calcolato che, così, l'ammontare della pensione in futuro non sarà superiore al 50% dell'ultimo stipendio.
Grazie ancora a questi semplici provvedimenti e alle finanziarie che si sono succedute negli ultimi 7 anni è stato possibile produrre un risparmio per l'INPS di 144.000 mld: in pratica soldi che non sono finiti nelle tasche dei pensionati. Il tutto con il pieno accordo delle maggiori organizzazioni sindacali.

Chi poteva e aveva interesse ad oppporsi a questo processo erano i giovani, ma non l'hanno fatto perché isolati dalla maggioranza dei lavoratori e perché la grande maggioranza di essi, oltre che essere desindacalizzati, si trovavano (come oggi) ad essere assunti con contratti che i sindacati amano chiamare "atipici", e che li mettevano in condizione di essere facilmente ricattati sul posto di lavoro.

Ma al di là di tutte queste considerazioni resta il fatto che il sistema contributivo porterà ad avere pensioni più basse di quelle che si ottengono oggi.

Il capitale che si forma viene rivalutato sulla base del tasso di variazione del PIL, rilevato dall'ISTAT, e sarà moltiplicato per un coefficiente che va dal 4,72% (se il lavoratore vuole andarsene all'età di 57 anni) al 6,136% (se invece lavorerà fino a 65 anni), ma nonostante ciò i risultati finali sono comunque al ribasso.

Nella tabella sotto riportata sono indicati gli importi di riduzione mensile della pensione che si verificherebbero con il passaggio al sistema contributivo a partire dal 2000.
I calcoli, relativi a una ipotetica pensione di anzianità liquidata all'età di 57 anni con 35 anni di contribuzione, sono stati elaborati considerando tre diverse anzianità alla data del 31 dicembre '99, e tre diverse basi pensionabili.

  Retribuzione pensionabile

Minor importo mensile 

 30 anni

  25 anni

  22 anni

50.000.000

 70.000

 110.000

 120.000

60.000.000 

 84.000

 132.000

 144.000

70.000.000

 98.000

 139.000

 149.000