Cosa succede
in Congo?
Una
analisi controcorrente della grave situazione in Congo, che fa capire le ragioni
e gli interessi che stanno dietro al dramma attualmente in corso.
Di José
García Botía (dei Comitati di solidarietà con l’Africa
Nera-Umoya - http://www.umoya.org)
Chi
si occupa da anni di questioni internazionali, impara ad orientarsi in situazioni
poco chiare, in cui bisogna lavorare su ipotesi che solo il futuro può
confermare o smentire. Sappiamo che le dichiarazioni ufficiali, abitualmente,
nascondono ciò che capita davvero, e che spesso sono menzogne diffuse
allo scopo di confondere e impedire la comprensione dei fenomeni reali.
I Comitati di Solidarietà con l’Africa Nera seguono da vicino
la situazione del Congo dal 1991, attraverso i contatti con religiosi spagnoli
e i rappresentanti locali di organizzazioni a difesa dei diritti umani. Ora
abbiamo anche delle fonti nella regione di Kivu, persone che vivono in diretta
ciò che appare nei nostri televisori.
Nel periodo 1998-2003 la situazione del conflitto nella regione orientale
del Congo era ben peggiore di adesso, ma la paura della popolazione è
che si ripetano i fatti di quei cinque anni, in cui morirono circa 4 milioni
di congolesi.
Ciò che sorprende è che quando Ruanda, Uganda e Burundi invasero
il Congo, quella guerra rimase del tutto ignorata dai media. Casualità?
Perché allora le telecamere rimasero spente, mentre ora ci informano
della massa di profughi in fuga dalle città occupate dall’esercito
del signore della guerra Laurent Nkunda?
Sembra che l’esercito congolese non riesca a frenare l’avanzata
delle forze di Nkunda, e che fra i dirigenti della politica internazionale
circoli l’idea di aumentare la presenza di caschi blu sul campo.
Alcuni dirigenti europei valutano addirittura la possibilità di mandare
una forza d’intervento rapido della UE, per evitare la catastrofe umanitaria.
Credo che l’intenzione di diffondere l’informazione di un’emergenza
umanitaria nell’est congolese, nasconda una ragione occulta che per
ora possiamo solo cercare d’interpretare.
L’idea è aumentare la presenza dei caschi blu. Sommiamo a quell’idea
l’adulazione di Javier Solana per la missione dei caschi blu (si chiama
MONUC) per il suo comportamento esemplare su un terreno tanto rischioso. Aggiungiamo
una contraddizione: le manifestazioni di massa delle popolazioni di Goma e
Bukavu, le capitali, rispettivamente, del Kivu del Nord e del Sud, per chiedere
l’allontanamento proprio dei caschi blu. Mettiamo in conto un altro
elemento: in settembre è stato nominato al comando di MONUC il Tenente
Generale spagnolo Diaz de Villegas, che adducendo motivazioni personali, si
dimette appena due mesi dopo.
Che significa?
Secondo fonti locali, testimoni oculari hanno visto caschi blu rifornire di
armi le forze di Nkunda, cioè rifornire quelle forze cui dovrebbero
impedire le violenze sulla popolazione civile. Altri riferiscono di traffici
illeciti di caschi blu con oro e diamanti; i caschi blu userebbero gli elicotteri
per trasportare minerali in Ruanda (è il Ruanda che ha creato Nkunda
e che lo finanzia). Altri ancora riferiscono di abusi sessuali su minori a
carico di caschi blu.
Questi sono casi che potrebbero essere dei fenomeni isolati, particolari casi
di corruzione di qualche militare dei caschi blu. Ma c’è ben
altro.
Le forze MONUC scompaiono se le truppe di Nkunda vincono, si interpongono
se l’esercito congolese sta per avere la meglio. In altri casi facilitano
l’avanzata dell’esercito di Nkunda sguarnendo all’improvviso
le loro posizioni nell’area cuscinetto di competenza, consentendo alle
forze di Nkunda di sorprendere l’esercito congolese. Inoltre, Nkunda
è stato visto usare elicotteri della missione MONUC per spostarsi.
Ma quello che è successo giusto alla vigilia delle dimissioni del Tenente
Generale Villegas, potrebbe essere stata la goccia che ha fatto traboccare
il vaso. Le truppe di Nkunda occupano la base miliare di Rumangabo con un
attacco a sorpresa facilitato dall’uso di uniformi della missione MONUC,
ripetendo l’espediente tattico già usato da Nkunda nell’occupazione
di Bukavu nel giugno del 2004.
In entrambi i casi il comando MONUC non ha avvisato l’esercito congolese
dello stratagemma.
Non sembra strano, dunque che i congolesi ritengano che la funzione della
missione MONUC sia proprio evitare che l’esercito congolese sconfigga
l’esercito di Nkunda.
Insomma, i caschi blu favorirebbero situazioni in cui possono perdere la vita
centinaia o migliaia di civili innocenti. Perché?
Per capire il conflitto bisogna ricordare che il Congo è uno dei paesi
più ricchi del pianeta in risorse naturali, specialmente minerarie.
Oro, diamanti, rame, cobalto, uranio, stagno e una lunga lista di minerali
che hanno qualità fuori dal comune. Ricco di minerali rari e strategici;
il caso più noto è quello del coltan, indispensabile per la
costruzione dei telefonini e che in Congo è presente in quantità
tali da costituire la riserva mondiale assoluta, quasi una specie di monopolio.
Il coltan ed altri minerali stanno uscendo dal Congo attraverso il Ruanda
(e l’oro dall’Uganda) dal 1998. E per le multinazionali il sistema
funziona bene così. Il problema è che questo stesso sistema
sta arricchendo il clan di Paul Kagame, che ostenta il suo potere e mantiene
milizie ruandesi di vario tipo (hutu ma anche tutsi, come quella di Nkunda).
La volontà del governo congolese è di farla finita con questo
sistema, il cui “beneficio” per i congolesi si riduce al lavoro
schiavile minorile nelle miniere e alle violenze sulla popolazione civile
da parte delle solite milizie.
Ma quale dirigente occidentale è disposto ad appoggiare azioni contro
Kagame e i trafficanti che dominano il traffico di coltan, assumendosi i rischi
per l’economia? Potrebbe collassare il mercato internazionale del coltan,
con gravi conseguenze per le imprese di telefonia e le aziende ad esse legate.
Specie in questo periodo di crisi.
Un problema aggiuntivo è che le forze ruandesi, caratterizzate dalla
brutalità e dalla crudeltà delle loro azioni contro i civili,
sono coscienti della loro posizione di forza ed esigono il totale silenzio
da parte della comunità internazionale.
Il FPR (Fronte Patriottico Ruandese) ha compiuto dei veri massacri in suolo
ruandese e congolese, assassinando centinaia di migliaia di ruandesi - hutu
soprattutto - e congolesi. Eppure i media si sforzano di mantenere pulita
l’immagine del Ruanda, portandolo ad esempio dello sviluppo in Africa.
Questo spiega perché per anni le truppe ruandesi hanno invaso il Congo
facendo strage di civili, senza che il fatto abbia mai assunto il valore di
“notizia”.
Un altro aspetto della questione è il ruolo della Cina. La Cina può
soddisfare in Congo l’enorme necessità di materie prime di cui
abbisogna il suo sviluppo economico, e in cambio può fornire l’aiuto
necessario al governo congolese per sostenere la guerra in corso. E’
già stato firmato un accordo in forma di scambio: rame per la Cina
in cambio della costruzione di aeroporti, ospedali, scuole, autostrade…
Si tenga conto del fatto che a causa della debolezza, il governo congolese
non è in grado di difendere il suo territorio, e per questo le multinazionali
europee e statunitensi stanno pagando al Congo tra il 5 e il 12% delle ricchezze
(dichiarate) che sono oggetto di sfruttamento. I cinesi, al contrario, offrono
il 30% di quello che sfruttano.
Questo fatto ha provocato forti pressioni occidentali sul governo congolese
per recidere il contratto con i cinesi, ma in agosto per tutta risposta, il
governo congolese ha dichiarato che quel contratto sarebbe stato rispettato.
Proprio alla fine di agosto (casualità?) le milizie di Nkunda hanno
scatenato l’offensiva con l’appoggio del Ruanda, alla conquista
della regione di Kivu.
La missione MONUC è presente a vigilare sugli interessi della “comunità
internazionale” (o per meglio dire, in questo caso, sugli interessi
di USA, Gran Bretagna, Belgio, Olanda e altri) e in ultima istanza risponde
agli ordini di Alan Doss, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale
dell’ONU per la Repubblica Democratica del Congo, britannico e capo
supremo della MONUC. Ecco perché questa missione non è lì
per proteggere i civili.
Un'altra sfumatura della complessa questione qui esposta, è l’ambizione
di Kagame e del progetto che avrebbe ideato: la spartizione di un pezzo del
Congo. Il Ruanda annetterebbe la regione del Kivu e si spingerebbe anche oltre,
in direzione del Kenia.
Quanti milioni di morti ci saranno ancora, nel più completo silenzio
in questa zona d’Africa mentre noi parliamo al telefonino? Tra Ruanda
e Congo il conto è già di 7 o 9 milioni di morti.
Oppure fermeranno Kagame perché vuole andare troppo lontano?