IL PERONISMO
SCHEDA SUL MOVIMENTO POLITICO ARGENTINO


gennaio 2002, di Pino Patroncini.


Le vicende che in questi giorni stanno scuotendo l'Argentina hanno riacceso un'attenzione verso quel paese e verso i fenomeni politici che lo animano. Fenomeni politici a loro volta resi più indecifrabili dal crocevia storico che in quel paese è rappresentato dal fenomeno peronista. Sembra soprattutto impossibile alla nostra cultura europea e di sinistra che un movimento operaio forte e combattivo come quello argentino si sia lasciato egemonizzare dall'ideologia indubitabilmente fascista che ispirava Peron.
Il fenomeno nasce nel 1943, con il colpo di stato che dà luogo alla formazione di un governo militare in cui Peron ricopre la carica di Ministro del Lavoro. Ma le sue origini vanno ricercate più indietro: nella struttura della società argentina, retta da un'oligarchia di cui fanno parte i grandi allevatori e i commercianti di carne con un proletariato rurale impiegato nell'allevamento, un proletariato urbano in crescita e una classe media urbana, nel quadro di un'economia fortemente caratterizzata dalla presenza di capitali britannici e nord-americani (circa il 50% delle industrie è in mano a capitali stranieri) e con fenomeni di migrazione interna e dall'Europa, che ne arricchiscono la complessità e ne mettono in discussione, insieme alla grande crisi del 1929, gli equilibri interni.
Lo scontro politico storico è quello tra i conservatori, espressione dell'oligarchia, e i radicali, espressione dei ceti medi urbani. L'industrializzazione e l'immigrazione hanno però favorito lo sviluppo, soprattutto nelle aree urbane, del partito socialista e di un movimento sindacale che si esprime in tre centrali sindacali: una anarchica, una anarco-sindacalista, e una socialista. Esiste fin dal 1915 anche un partito comunista che ha una propria organizzazione operaia la cui influenza si sviluppa soprattutto tra i lavoratori edili.
Il colpo di stato militare del 1943 non è il primo nella storia argentina. Nel settembre 1930 il colpo di stato del gen. Uriburu, aveva già messo fine allo stato liberale. Il modello è quello di una società corporativa e autoritaria con venature populistiche, ispirato al modello fascista italiano. Il golpe è ispirato dall'oligarchia, ma segna comunque la fine dell'equilibrio tra questa e i ceti medi radicali.
Il ritorno alla democrazia avviene nel 1932 a vantaggio dei conservatori e a spese degli altri partiti. Una frattura tra i radicali darà vita alla Unione Civica Radicale, ma anche alle tendenze golpiste di giovani ufficiali, che recuperano l'originario antimperialismo in chiave nazionalista e militarista.
Nel 1930 i sindacati si uniscono formando la C.G.T. con circa 200.000 affiliati. Ma la C.G.T. è comunque divisa tra una linea autonomista di origine anarco-sindacalista e una subordinata al Partito socialista. Dal 1935 si assiste anche a una ripresa del movimento sindacale con scioperi e agitazioni.
Fino al 1940 si registra una crescita del movimento sindacale sia in termini di rivendicazioni che di adesioni. Ma lo scoppio della guerra sposta i problemi politici sul piano della politica di appoggio alla guerra antifascista, spingendo i socialisti a frenare le rivendicazioni. Ne approfittano i comunisti che aumentano la loro influenza nei sindacati. Ma dopo l'attacco tedesco all'URSS anche i comunisti moderano le rivendicazioni e subordinano l'azione sindacale a quella politica dell'Unione Democratica Nazionale, il fronte antifascista argentino. Ciò produce la spaccatura nella C.G.T. tra l'ala socialista e quella autonomista, forte soprattutto tra i lavoratori dei trasporti.
La questione dell'atteggiamento da tenere nei confronti della guerra non porta divisioni solo nel campo operaio, dove dal 1942 esistono due C.G.T., ma anche nel campo borghese: nel 1940 va al potere l'ala più filofascista dei conservatori, espressione anche dei settori germanofili dell'esercito, contrari all'entrata in guerra a fianco degli alleati. Questi stessi settori compiono nel 1943 un colpo di stato. Peron va alla guida del Ministero del lavoro e della previdenza. Una posizione che lo tiene in contatto con un movimento sindacale indebolito dalla divisione.
Nondimeno l'Argentina è in una situazione di forte crescita economica favorita dall'impegno di Stati Uniti e Gran Bretagna nella guerra, dal fabbisogno di carne delle nazioni europee sconvolte dal conflitto e dallo spostamento della produzione industriale in aree pacifiche. Una situazione che sviluppa le richieste operaie e consente risposte positive da parte dei poteri economici. In questa veste Peron si lega alla C.G.T. 2, autonomista, con una politica di discriminazioni verso i settori sindacali incontrollati e di concessioni verso quelli più addomesticati. Ma complessivamente i lavoratori ottengono nel periodo 1943-1945 quanto avevano richiesto nelle lotte degli anni precedenti: la giornata di otto ore, le ferie pagate, l'indennizzo in caso di incidenti, l'estensione del sistema pensionistico, lo statuto dei giornalieri e miglioramenti retributivi.
Non tutte le misure sono condivise dai militari al governo né dall'oligarchia dominante. Tanto che nel 1945 si tenta di destituire Peron, provocando una sollevazione che testimonia la sua popolarità. Di qui la scelta di Peron di correre in proprio alle elezioni del 1946 con l'improvvisata formazione di un Partito Laburista, espressione dei settori sindacali che lo appoggiavano e che lo portarono alla vittoria.
Il primo governo peronista poté godere di una congiuntura favorevole: il paese disponeva di abbondanti riserve d'oro e di divise, con un saldo commerciale positivo e un'espansione del mercato interno che aveva prodotto il pieno impiego, sicché per un certo tempo una politica di redistribuzione della ricchezza poté essere sopportata dalle imprese. I sindacati che nel 1941 contavano complessivamente 450.000 iscritti, passarono a 1.500.000 nel 1947 e a quasi 3.000.000 nel 1951. L'alternativa peronismo-antiperonismo che animava la vita politica in termini drammatici, visto il carattere autoritario e antidemocratico del governo, non coinvolgeva i lavoratori, impegnati piuttosto in un processo di integrazione sociale con la mediazione dello Stato e con lotte che portano nel 1949 al riconoscimento delle commissioni interne. Questo processo cambia anche la composizione del movimento operaio, che vede ora la prevalenza degli operai industriali rispetto a quelli dei trasporti.
A questi fenomeni si accompagna la sapiente gestione dell'immagine di Peron, imperniata sul ruolo della moglie Evita Duarte, già intrattenitrice radiofonica di umili origini, dotata di carisma e di capacità comunicativa che ne fanno la Madonna dei "descamisados". Quando nel 1952 Evita muore, Peron è al suo secondo mandato, eletto questa volta non più alla testa di un partito laburista, ma di un Partito Peronista. Il sistema che si è realizzato vede l'allontanamento dei potentati economici britannici e americani e si concretizza come un'alleanza tra una borghesia industriale nazionale e i lavoratori. Per dargli un connotato che lo vorrebbe come una terza via tra capitalismo e comunismo si conia il nome di giustizialismo. Anche la chiesa cattolica è ampiamente coinvolta: soprattutto per iniziativa di Evita il regime non si limita all'integrazione sociale attraverso le istituzioni, bensì l'assistenza passa attraverso fondazioni cogestite tra movimento peronista e Chiesa cattolica.
Ma sarà proprio il cambio di umore della Chiesa, unitamente all'ostilità nordamericana, a determinare il crollo del regime. Sullo sfondo vi è tuttavia la fine del contesto economico favorevole dovuto allo sforzo bellico delle nazioni europee e degli Stati Uniti, che, spostando produzioni e richieste di beni di prima necessità verso l'Argentina, aveva consentito ai lavoratori di richiedere e ottenere benefici e alle classi dominanti di concederli.
In questo contesto il peronismo finirà con lo spaccarsi tra un'ala populista, sempre più attratta, a partire dagli anno sessanta, nell'orbita dei movimenti rivoluzionari della sinistra latinoamericana, fino alla lotta armata di stampo guevarista (i cosiddetti "montoneros") e un'ala conservatrice. All'inizio degli anni settanta il breve (morirà di lì a poco) rientro in patria di Peron dopo l'esilio (significativamente trascorso nella Spagna franchista), pur nel quadro di una possibile rinascita sociale e antimperialista dell'America Meridionale (erano gli anni di Allende in Cile, di Velasco Alvarado in Perù e di Torres in Bolivia), persino col tentativo di riprodurre un'improbabile surrogato di Evita nella seconda moglie Isabelita, non produrrà altro che la precipitazione di questo scontro tra le due ali, preludendo al colpo di stato militare e al periodo più cupo delle dittature argentine.
Il peronismo che ne è sopravvissuto, pur con una sua retrovia nel movimento sindacale argentino, eternamente diviso in due C.G.T. entrambe peroniste (più un'altra confederazione non peronista) è sembrato, al pari di altri fenomeni politici, sempre più risucchiato nel vortice del liberismo spinto.