BOLIVIA: "VOGLIAMO AUTOGOVERNARCI"
Quispe
racconta l'esperienza di lotta del movimento indio-contadino boliviano ed espone
le richieste del movimento indio Pachakuti. Intervista di "Resumen Latinoamericano",
con la collaborazione del corrispondente "Resumen" in Bolivia, Felipe
Guaman. Giugno 2001.
Felipe Quispe Huanca è uno dei leader
dell'esercito guerrigliero Tupak Katari al principio degli anni '90. Una organizzazione
armata che portava il nome del mitico aymara che alla fine del XVIII secolo
assediò la città di La Paz contro i conquistatori spagnoli. Per
la sua partecipazione in quell'esperienza fallita, Quispe alias "El Mallku"
(il condor, in lingua aymara) ha trascorso cinque anni in carcere. Lì,
ha deciso che la lotta più efficace era quella sindacale e politica.
Nel 1999 fu nominato segretario generale della Centrale Sindacale Unica del
Lavoratori Contadini della Bolivia. Nel 2000, si è posto alla testa delle
due proteste indios che hanno fatto tremare il governo di Hugo Banzer.
Un esercito di contadini affamati bloccò le strade del paese da aprile
a settembre, mettendo in pratica la mitica "guerra delle sei pietre"
una strategia che consisteva nel riempire con migliaia di pietre di ogni dimensione
le strade boliviane, che poi venivano ricollocate, poco dopo che le pattuglie
militari avevano sbloccato il cammino. In questa intervista, Quispe racconta
l'esperienza di lotta del movimento indio-contadino boliviano ed espone le richieste
del Movimento indio Pachakuti.
Intervista di Natalia Vinelli.
"Il militante di sinistra boliviano è
molto fragile, molto rachitico. Se lo mettiamo sopra una bilancia, non pesa
nulla", dice con la voglia di entrare nella polemica, Felipe Quispe, il
"Mallku", segretario esecutivo della Confederazione Unica dei Lavoratori
Contadini della Bolivia (CUTCB) e leader del Movimento indio Pachakuti (MIP).
Per Quispe il marxismo ortodosso è incapace di spiegare la realtà
india latinoamericana.
"L'indio deve essere attore sociale nel politico e nell'ideologico. Non
possiamo essere solamente una massa votante o una scala politica dei partiti
borghesi, dei partiti tradizionali che ci hanno tradito. Vogliamo autogovernarci,
vogliamo ricostruire il Quallasuyu, la società socialista comunitaria
degli ayllus", spiega.
"Vediamo che ci sono altri paesi dove il movimento indio ha il suo braccio
politico, per esempio l'Ecuador - continua - o il Messico, dove hanno avuto
sia il braccio politico che il militare, che hanno ottenuto alcune conquiste,
in Perù è in gestazione un Movimento Pachamama, e via di seguito.
Abbiamo avuto dei contatti con i nostri fratelli dell'Ecuador e di altri paesi
e con orgoglio ci dicono che in cinque nazioni siamo maggioranza indio. Si riferiscono
a Messico, Ecuador, Guatemala, Perù e Bolivia, dove l'indio deve autoliberarsi.
E noi dobbiamo lavorare per questo ed in funzione di questo. Questa è
la meta, questa è l'iniziativa dall'Alaska fino alla Patagonia, dalle
coste peruviane all'Amazzonia brasiliana, dove stiamo seminando..."
State diventando l'asse fondamentale
del movimento indio. Negli ultimi tempi ci sono correnti teoriche che stanno
criticando da destra il marxismo, e che sostengono la differenza di razza e
di genere al di sopra di quella di classe. Come si risolve questo dilemma?
Noi conosciamo il marxismo come il palmo della nostra mano, perché il
marxismo lo hanno esportato da qui come una bacchetta magica. Lo hanno tenuto
in Europa e lo hanno riportato di nuovo, perché lo si voglia credere
o no, Marx ha visto la forma comunitaria degli ayllus, o degli indios, e si
basò su di essa. Dal periodo preincaico dal Tiwanaco, l'ayllu era strutturato
come una comunità senza capitale, e fino ad ora non c'è capitale
in nessuna comunità, c'è del baratto! Io ti offro la mia produzione
tu mi dai la tua, scambiamo da uguale a uguale, in forma orizzontale e non verticale.
Questa reciprocità esiste, questa distribuzione, quindi, ancora vive.
Non sarebbe difficile da applicare negli ambienti del vero marxismo, non parliamo
del marxismo ortodosso.
Stai pensando in una lettura indoamericana
del marxismo, come per esempio quella di Mariategui?
Qualcosa di simile esiste. Nessuno è perfetto, no? Noi abbiamo un grande
pensatore, Fausto Reinaga, che ci ha dato molto come teoria. Però se
ci orientiamo da quel lato ci sono nemici che parlano, che ci dicono che siamo
razzisti, che vogliamo eliminare i bianchi, che vorremmo sostituire un sistema
di razzismo bianco con uno indio. Ciò non succederà, noi non la
pensiamo così, loro sono solo preoccupati dal fatto che l'indigenismo
avanza e si rafforza. Per questo il marxismo qui è un poco spento, in
particolare in Bolivia. Il marxista non funziona più, nonostante ci siano
alcuni trotzkisti che ne parlano, perché per 60 anni hanno predicato
la rivoluzione, l'azione diretta di massa, ma non ci sono mai arrivati. E' per
questo che dicono che il movimento indio sarebbe un movimento razzista. Non
è la verità, perché noi non siamo mai stati razzisti. Sempre
ci siamo caratterizzati per mantenere uguaglianza di condizioni. Ed è
per questo che quando arrivano dei visitatori dalla città alle comunità,
questi devono vengono considerati con tutti i privilegi, dobbiamo dargli del
buon cibo, facciamo loro ballare la nostra musica...non li abbiamo mai discriminati.
Tuttavia, quando noi andiamo dal campo alle città i bianchi ci discriminano.
Però il movimento indio, per
esempio, potrebbe stabilire una alleanza con i nuovi impresari aymara?
Guarda, se cerchiamo i nomi e i cognomi, i "mamanis", "condoris",
"quispes", (tipici cognomi indios, n.d.t.), per vedere se sono o non
sono impresari privati, o se li cerchiamo e li troviamo nella Confederazione
degli Imprenditori Privati, allora noi saremmo contro di loro, ma non ci sono.
Non ci sono quei nomi, non ci sono quei cognomi. Potrebbe esserci qualcuno,
che ha la propria casa.... allora noi dovremmo eliminarli, perché non
potremmo ammettere che ci sia disuguaglianza mentre il nostro fratello porta
i sandali, è malvestito, mentre nel campo i nostri fratelli non conoscono
la luce elettrica, non hanno strade, non hanno telefono, internet, fax, non
hanno un tetto dove vivere... Non abbiamo ospedali, ne centri sanitari, e quindi
non ci devono essere disuguaglianze. In questo modo, non possiamo stringere
patti con loro e fare un movimento.., no, questo no. Deve essere un movimento
essenzialmente dei poveri.
Ossia, dentro il progetto di società socialista degli ayllu non c'è
possibilità di convergenza con la società capitalista.
No, no. Sono due sistemi totalmente antagonisti.
Dal punto di vista teorico, si è considerata la classe operaia come l'avanguardia
della lotta politica per la liberazione. In Bolivia, per molti anni, la classe
dei minatori è stata l'avanguardia di questa lotta. Attualmente ciò
sembra esser cambiato, in funzione del protagonismo delle masse indios e contadine.
Questo ci diceva Marx, il Partito Comunista. Questo ci insegnano alcuni teorici
dei partiti politici, ci dicono che il caudillo della rivoluzione è il
proletariato. E' cieco, allora. E' miope. Occorre comprargli degli occhiali.
E' evidente che qui in Bolivia c'è stata una maggioranza di minatori,
in questo momento non ricordo esattamente il numero, ma nel 1960 c'erano circa
50.000 lavoratori. Allora era una forza motrice che si poneva all'avanguardia,
ma siccome la COB (Confederazione Operaia Boliviana) era controllata da Juan
Lechin (e Juan Lechin era un agente della CIA, e quindi dell'imperialismo),
non avrebbe mai condotto al potere la classe operaia. Per esempio, mi ricordo
che nel 1964 c'erano i minatori per le strade ed avevano occupato una quarantina
di incroci, avevano paralizzato la città. E ci si domandava dov'era il
POR (Partito Operaio Rivoluzionario) per poter distribuire i compiti, organizzare..
e stavano nascosti sotto le sottane delle loro donne, perché nessuno
si presentava!
Come è andato perduto allora
il protagonismo dei minatori?
Bene, vengono eliminati con il decreto supremo (21060, che installa ufficialmente
il neoliberismo in Bolivia), cessano di essere avanguardia perché qui
non ci sono più operai. Occorre anche considerare che qui le radici,
il troncone ancestrale è aymara e quechua. Non diciamo come in Europa,
dove il padrone è bianco e gringo e anche l'operaio è gringo.
Qui non è così, qui il muratore è indio, chi pulisce le
pareti è indio, la domestica è india... Ma con questo noi non
stiamo respingendo la classe operaia. Noi abbiamo la nostra bandiera di sette
colori, la wilpala, e la bandiera rossa potrebbe stare al suo lato perché
siamo fratelli; siamo gente che è venuta dalle comunità ed è
diventata operaia, ma quando li cacciano dalle fabbriche o dalle miniere, loro
ritornano alle comunità. Abbiamo dirigenti che sono stati minatori, anche
nel Chapare ci sono molti dirigenti minatori. Questa è la nostra realtà.
E adesso non ci sono operai, siamo obbligati a giocare un ruolo importante e
ad essere protagonisti.