Bolivia: il sollevamento di febbraio.
Cronaca del sollevamento popolare che ha costretto il presidente Gonzalo Sánchez de Lozada al ritiro dei suoi provvedimenti e in seguito alle dimissioni del governo. REDS. Marzo 2003.


L'impuestazo.

Il 10 di febbraio il governo boliviano annuncia il varo di una nuova tassa sui salari per ridurre il deficit fiscale. La perdita salariale sarebbe di circa il 12,5% in media (con applicazione più o meno progressiva a partire da chi avesse gadagnato più di 116 dollari al mese). La misura riceve le critiche sia da parte dell'opposizione politica e sociale sia da parte imprenditoriale. Il presidente della Confederación de Empresarios Privados de Bolivia, Carlos Calvo, dichiara che la misura aggraverebbe la recessione. La Central Obrera Boliviana (COB, storica confederazione sindacale, che ha perso però molta forza e rappresentatività negli ultimi 15 anni), convoca uno sciopero generale di 24 ore per il 13.

L'11 febbraio i sottufficiali di polizia denunciavano la misura ed anche il fatto che il salario di gennaio non gli è stato ancora pagato. I membri del Grupo Especial de Seguridad, reparti antisommossa, si rifiutano di lavorare chiudendosi in caserma (situata a due isolati dal palazzo di governo a La Paz). Nella notte anche la truppa entra in uno sciopero nei fatti. Calvo incontra Morales, principale leader dell'opposizione, e dichiarano entrambi la loro opposizione all'impuestazo. Ma il presidente Sánchez de Lozada non cede perché la Bolivia, dice, è sull'orlo della bancarotta.

Gli scontri del 12/13/14 febbraio

Il 12 febbraio almeno 3 persone muoiono e altre 5 risultano ferite di fronte al Palacio de Gobierno a La Paz, durante un primo scontro: scontri tra la guardia militare e poliziotti e studenti che protestavano contro la tassa sui salari. La manifestazione era cominciata con 200 poliziotti vestiti in borghese ai quali si sono uniti studenti delle superiori che hanno cominciato a lanciare pietre contro il Palacio. La guardia militare del luogo ha risposto dall'interno dell'edificio lanciando gas lacrimogeni, poi sono arrivati 100 effettivi dell'esercito che hanno comiciato a sparare. Lo sciopero dei poliziotti porta alla paralisi della sicurezza e del traffico a La Paz.

A questo primo episodio ne seguono moltissimi altri, sempre a La Paz, che fanno salire il bilancio dei morti. Molti tra questi i poliziotti. Gli scontri si verificano soprattutto nel centro della capitale, dove i manifestanti alzano barricate e incendiano edifici. L'ultima volta che La Paz ha visto scene di questo tipo è stato nel luglio del 1980 in occasione del golpe di Luis García Meza.

Gonzalo Sánchez de Lozada ritira allora precipitosamente il suo piano:"Sono rattristato nel vedere come si scontrano membri delle istituzioni fondamentali della nostra democrazia. Deve finire." La metà dei poliziotti del paese si erano uniti allo sciopero. I morti sono sinora 14 e un centinaio i feriti. Il presidente teme lo sciopero della COB del giorno seguente e per questo sospende per il 13 tutte le attività "pubbliche e private".

Nonostante gli ordini dei comandanti della polizia i poliziotti non sono tornati al lavoro. Così alla notte e il giorno successivo (13) folle di manifestanti incendiano edifici e veicoli governativi, mentre altri settori saccheggiano centri commerciali, banche, negozi. Risulta incendiata la sede della vicepresidenza, del Ministero del lavoro, del Ministero dello sviluppo sostenibile e un altro edificio che ospita vari ministeri. Vengono bruciati anche le sedi dei principali partiti della coalizione governativa: quelle del Movimiento Nacionalista Revolucionario (MNR) e del Movimiento de la Izquierda Revolucionaria (MIR).

La COB, i partiti di opposizione e altre organizzazioni sociali mantengono la convocazione dello sciopero generale con l'obiettivo di ottenere le dimissioni del presidente Gonzalo Sánchez de Lozada, e del vicepresidente, Carlos Mesa. Evo Morales chiama inoltre al blocco delle vie di comunicazione (questo blocco in realtà non si realizzerà mai).

La mattina del 14 i poliziotti non sono ancora tornati a lavorare e dunque la manifestazione, del tutto pacifica, si svolge senza il controllo della polizia (intanto è stato firmato un accordo tra polizia e governo in base al quale le famiglie dei poliziotti morti riceveranno un indennizzo di 10.000 dollari). Ma il corteo è accolto dal tiro di franchi tiratori che lasciano a terra 8 morti e decine di feriti. Tra le vittime una infermiera della Croce Rossa colpita mentre soccorreva un ferito.

La polizia ritorna a pattugliare le strade solo nel pomeriggio dopo la fine della manifestazione della COB. Le tre giornate sono costate 33 morti e più di 150 feriti.

Dopo il 14

La COB estende lo sciopero generale di altri due giorni (che non sortirà grandi effetti). Il governo dispone la ripresa delle attività, ad eccezione della scuola che riprenderà il 17. Calvo dichiara che "è inaccettabile che il governo cerchi di distruggere l'opposizione così come è inaccettabile che l'opposizione tenti di distruggere il governo".

Il 16 Sánchez de Lozada diffonde un messaggio rassicurante in cui annuncia di puntare al "dialogo" con le forze sociali. Il 17 una marcia di 6000 persone a La Paz chiede le dimissioni del presidente.

Il 18 tutti i ministri del governo presentano le proprie dimissioni. Il 19 Sánchez de Lozada annuncia un nuovo governo confermando 7 ministri, nominandone 5 nuovi e sopprimendo 6 ministeri. Tra coloro che non sono confermati anche Carlos Sánchez e Alberto Gasser, particolarmente odiati dal popolo.

Il 17 si riuniscono a Cochabamba tutte le organizzazioni popolari nel "Estado Mayor del Pueblo" che danno 15 giorni di tempo al governo per rispondere alle domande popolari.