Il Brasile, i primi passi di Lula, e noi.
Un'analisi dell'elezione di Lula, una lettura dei suoi primi passi come presidente, un panorama della sinistra brasiliana, una discussione sui limiti dell'azione e della tattica del PT. Di Michele Corsi. Gennaio 2003.


Il Brasile non è, per la sinistra italiana, un Paese come un altro. Del resto anche l'Italia ha un qualche significato per i militanti brasiliani. Il movimento "noglobal" vede il Brasile come la patria di Porto Alegre e del bilancio partecipativo, per il cattolici impegnati è la patria delle Comunità Cristiane di Base e della Teologia della Liberazione, per tutti è la patria del Movimento Sem Terra (MST). D'altra parte in Brasile la sinistra italiana è popolare. A suo tempo, anche su coloro che propendevano per altre tradizioni ideologiche, il PCI ("il più forte partito comunista d'Occidente") esercitava un certo fascino. Altro esempio, oggi possiamo affermare senz'altro che Gramsci è più studiato e letto là che qua: in Brasile non passa anno senza che vengano pubblicati opere di o su di lui, mentre in Italia non accade da un pezzo. Le relazioni tra le due sinistre hanno comunque le stesse caratteristiche di quelle, più generali, tra sinistre europee e latinoamericane: pochi contatti concreti, scarsa conoscenza reciproca, grande spazio ai reciproci immaginari, e, su tutto, l'ingombrante mantello del mito. Per la sinistra latinoamericana l'Europa è la terra delle lotte che portano a dei risultati, delle organizzazioni solide ed efficienti che mobilitano grandi masse e si sono conquistate lo stato sociale (la Svezia per molti è qualcosa di simile al socialismo realizzato), di elaborazioni teoriche raffinate. Per la sinistra europea invece, presso la quale Che Guevara e Marcos godono di una popolarità di gran lunga superiore a quella visibile di là dall'Atlantico, l'America Latina è la terra della sovversione possibile, della vicinanza tra sinistra e masse diseredate, dell'azione che travolge il tatticismo.

Come in ogni mito, vi è del vero in queste percezioni. Quel che invece vi è di fuorviante (e non è poco) è dovuto essenzialmente al bisogno che ognuna delle due sinistre ha di trovare nell'altra ciò che non può o non vuole o non è capace di fare nella propria terra. Ognuna vede l'altra come specchio di ciò che essa vorrebbe essere, o avrebbe dovuto essere, ma non è.

I commenti che leggiamo ultimamente sul Brasile nella stampa della sinistra nostrana, sono riflesso di questa speciale relazione [1]. Ad esempio oggi in Italia è impossibile trovare qualche scritto anche vagamente critico verso l'esperienza (peraltro interessantissima) del bilancio partecipativo, quando in Brasile invece è oggetto di dispute e dibattiti. Allo stesso modo la vittoria di Lula è descritta come una sorta di stazione di arrivo della sinistra mondiale, come se gli oppressi del Brasile, e di riflesso gli oppressi del mondo, avessero scalato finalmente il loro cielo. La vittoria di Lula è un grande avvenimento, ma intimamente contraddittorio. Su questo aspetto ci soffermeremo in special modo, perché non siamo convinti che gli approcci mitizzanti facciano bene alla nostra sbrindellata sinistra.

I risultati elettorali del PT dell'ottobre 2002

Il Brasile è una repubblica presidenziale (il presidente è anche capo del governo) e federale [2]. Nel corso del primo turno delle presidenziali Luiz Inacio da Silva, Lula, candidato per il Partido dos Trabalhadores (PT) ha raccolto 37,7 milioni di voti, il 46,5% dei voti validi. José Serra, arrivato secondo, sostenuto dal presidente uscente Henrique Fernando Cardoso (FHC, come brevemente viene chiamato in Brasile), ha raccolto 19,5 milioni di voti. Al secondo turno Lula ha ottenuto il 61% dei voti (52.793.364) contro il 38,73% di Serra (33.370.739).

Anche nelle elezioni parlamentari il PT ha conosciuto una crescita notevole. Nel 1998 aveva 59 deputati all'Assemblea Federale, e oggi ne dispone di 91, divenendo il primo partito con il 17,7% dei deputati. Al senato il PT aveva 8 senatori, oggi ne ha 14. Nelle assemblee dei singoli stati sono stati eletti 147 deputati mentre prima ne aveva 90 [3].

Nei singoli stati il PT ha vinto negli stati di Acre [4] e Mato Grosso do Sul [5] dove già governava, ha conquistato per la prima volta il piccolo Piauì [6], ma ha perso al secondo turno lo strategico Rio Grande do Sul (lo stato la cui capitale è Porto Alegre) dove invece aveva vinto nel 1998 [7].

La vittoria di Lula dunque è stata spettacolare, accompagnata da una grossa crescita del partito, pur con qualche ombra.

Il contesto della disputa elettorale

Anche il Brasile è stato spazzato dall'ondata neoliberale che ha portato ad un secco aumento delle diseguaglianze sociali e ad una accresciuta dipendenza dal capitale internazionale. La fase iniziale di questa ondata ha preso piede con la presidenza di Fernando Collor de Mello (presidente dal 1990 al 1992) [8], ma si è pienamente dispiegata sotto le due presidenze di FHC (1994-1998 e 1998-2002), eletto per il PSDB [9]. Queste politiche hanno prodotto numerosi cambiamenti nel tessuto sociale brasiliano: le infrastrutture produttive sono state fortemente disarticolate, si è assistito a massicci fenomeni di deindustrializzazione, la classe lavoratrice ha subito processi di frantumazione, la disoccupazione è schizzata verso l'alto [10] e una serie di aziende strategiche in mano allo stato sono state privatizzate (l'opposizione calcola in un 70% quello finito in mano a multinazionali straniere), il tutto nello sforzo di integrare il Brasile "al mercato mondiale".

La vittoria di Lula dunque va intepretata nel quadro di un rifiuto di massa della politica neoliberale, incarnata da FHC. E' notevole che lo scontento sia stato canalizzato da un partito di sinistra e attraverso un candidato di origini operaie (il che conferisce all'elezione di Lula anche un significato "simbolico" di cui hanno parlato vari commentatori [11]).

La volontà di cambiamento nella stessa base sociale di FHC non fu colta dal PSDB, che ha imposto Serra nel segno della continuità con il passato ed ha lasciato le classi dominanti senza un candidato con un progetto alternativo e chance di vittoria. Alla fine lo stesso Serra è stato costretto, ma troppo tardi, a presentarsi come fautore del cambiamento, mentre gli altri due maggiori candidati, Ciro e Garotinho, per essere credibili come alternative hanno dovuto radicalizzare il loro discorso scontrandosi con Serra. Incapaci di far decollare la candidatura di Serra, le forze sociali che sostenevano FHC non hanno potuto impedire l'ascesa di Lula, ed hanno dunque preferito evitare lo scontro frontale (da qui la "neutralità" della reazionaria Rede Globo), cogliendo i segnali di moderazione che venivano dalla direzione del PT e "mettendoli alla prova".

Cos'è il PT

Per avere un'idea dei principali momenti che hanno caratterizzato l'esistenza del PT rimandiamo alla traduzione su questa rivista del lavoro della Fundação Perseu Abramo. L'impostazione però è "ufficiale", un po' "a tutto tondo", e non dà un'idea precisa di che cosa sia questo partito nella quotidianità. Cercheremo di spiegarlo anche tramite qualche parallelo (un po' forzato) con la nostra realtà politica.

Il PT è un partito solo parzialmente radicato nella sociatà brasiliana. Pur essendo formalmente basato sull'esistenza di "nuclei" (come i "circoli" del PRC o le "unità di base" dei DS), nella realtà questi funzionano pochissimo (persino meno degli omologhi italiani). L'essenza della vita interna del PT sono le sue correnti interne (che là si chiamano "tendenze") e le battaglie che queste si danno negli organismi dirigenti del partito, in occasione dei congressi e della scelta dei candidati per le elezioni, nei movimenti. La militanza si riunifica in occasione delle campagne elettorali (ve ne sono quasi tutti gli anni) anche se parzialmente: sostanzialmente ogni tendenza compie il massimo sforzo quando c'è da far eleggere il proprio candidato. Per la sinistra italiana questa modalità non è del tutto comprensibile: noi abbiamo avuto un PCI monolitico ed una estrema sinistra frammentata e separata in partiti distinti sino alla fine degli anni ottanta. In qualche modo però sia i DS che il PRC negli ultimi tempi si stanno avvicinando alla realtà brasiliana: le dinamiche tra le correnti interne a quei due partiti cominciano ad assomigliare a quelle del PT. Per chi non ha esperienze di partito può pensare alle battaglie che ci sono nel nostro movimento noglobal tra le varie "anime" (lilliput, cobas, attac, ecc.). In meglio la dinamica brasiliana ha il fatto che la lotta tra correnti è più evidente e trasparente di quella che c'è in Italia e ciò si traduce in una maggior leggibilità delle battaglie politiche da parte della base ed anche in una qualità media della preparazione politica del militante superiore a quella italiana. Il militante medio brasiliano, grazie a lotte di tendenza molto aperte (e spesso senza esclusione di colpi), è più abituato a discutere di "strategia", di questioni di fondo, di programmi teorici, quello italiano di oggi è affondato fino al collo nella "tattica" (la manifestazione che ci dovrà essere da qui a tre mesi, ecc.). Le tendenze costituiscono in Brasile straordinarie scuole quadri: per lottare contro le altre infatti ogni tendenza ha bisogno di formare rapidamente nuovi militanti, preparati a reggere il confronto. Molti dei membri del governo Lula (compresi i più moderati), nonché dei candidati presidenziali, vengono da organizzazioni e tendenze dell'estrema sinistra.

Anche riguardo al radicamento la situazione della sinistra italiana comincia ad assomigliare a quella petista. Il PT, come del resto PRC e DS, non ha una presenza di partito nei posti di lavoro, se non nominalmente, e la presenza territoriale è sostanzialmente legata alle scadenze elettorali. Sia in Italia che in Brasile i partiti non organizzano la propria presenza nei movimenti, in Brasile però le tendenze lo fanno. Così nel sindacato o in altri ambiti (vi sono movimenti di quartiere, sindacati di studenti, ecc.) le elezioni per eleggere le direzioni sono sempre l'occasione per misurare i rapporti di forza tra tendenze: si presentano le varie "chapas" (cioè le liste di candidati), che assai raramente sono quelle del "PT" ma più sovente quelle delle tendenze interne al PT, a volte alleate tra loro a volte no. Nei movimenti comunque le tendenze devono misurarsi anche con organizzazioni esterne al PT, deboli elettoralmente, ma agguerrite nel sociale, tra tutte il Partido Comunista do Brasil (PCdoB) e il Partido Socialista dos Trabalhadores Unificado (PSTU) che invece non hanno tendenze interne.

Teniamo comunque presente che vi sono movimenti sociali impermeabili alle lotte delle frazioni politiche, e che sono dediti ad un lavoro più di base che di movimento, i loro dirigenti a volte hanno in tasca la tessera del PT, ma non vi partecipano attivamente e non si fanno invischiare dalle dinamiche interne. E' il caso del Movimento Sem Terra, di alcuni sindacati operai affiliati alla Central Unica dos Trabalhadores (CUT) e di organizzazioni sindacali del campo non affiliate alla CUT. L'origine dei gruppi dirigenti di queste formazioni è, generalmente, cristiana radicale. Su questo apriamo una piccola parentesi. Anche se oggi si tende a dimenticarlo, Wojtila ha operato nel corso degli anni ottanta una dura repressione nei confronti della Teologia della Liberazione brasiliana (e non solo) riuscendo in qualche modo a normalizzare le gerarchie. Il movimento delle Comunità di Base aveva però già formato i suoi quadri che hanno continuato a impegnarsi nella costruzione del PT, della CUT e dei movimenti. Una parte di questi sostengono la maggioranza moderata del PT, un'altra ha mantenuto e approfondito un orientamento radicale. Questi cristiani sono assai diversi da molti di coloro che oggi sono impegnati in Italia nel movimento noglobal. Tanto per fare un esempio non si dichiarano non violenti, e preferiscono invece definirsi rivoluzionari. Sono prevalentemente questi settori che mantengono un intervento costante nelle favelas e nel campo, dai quali invece le tendenze e le organizzazioni classiche di sinistra si tengono alla larga. Di ciò non dovremmo meravigliarci più di tanto: anche in Italia quale organizzazione di sinistra fa intervento costante e continuativo nei quartieri popolari? E' più facile trovarvi organizzazioni di volontariato.

Altre differenze. In Italia vi è una gran quantità di gente che è impegnata in un qualche movimento senza avere in tasca la tessera di un partito, oppure ce l'ha ma, nel partito, non si fa mai vedere. In Brasile un attivista sociale ben difficilmente non ha in tasca la tessera del PT (o di altri partiti di sinistra). Infine: nel PT è considerato ovvio che un militante di partito sia impegnato anche in quello che viene chiamato "fronte di massa": sindacato o movimento. Sappiamo bene invece che oggi molti attivisti di partito dei DS e del PRC non sono contemporaneamente militanti di altro.

Due parole infine sui sindacati. In Brasile all'interno di uno stesso territorio (generalmente comunale) e di una stessa categoria per legge non può esistere più di un sindacato. Dunque periodicamente ci sono delle elezioni tra i lavoratori di un certo territorio e di una certa categoria per determinare chi avrà la guida di quel sindacato. La chapa che vince prende tutti i posti del direttivo (ed ha generalmente diritto a distaccare parecchi suoi membri). La CUT dunque non è una vera e propria confederazione, ma una unione di sindacati locali di categoria che, singolarmente, si affiliano ad essa. I sindacati gialli invece (che quando sono padroni di un sindacato usano ogni mezzo, anche cruento, per vincere le elezioni) usano affiliarsi a Força Sindical. La struttura sindacale dunque non è solida, anche se questo sistema "obbliga" in qualche modo le direzioni locali a guadagnarsi ogni volta la fiducia della base, altrimenti devono tornare a lavorare. Si tenga anche conto però, com'è il caso della gran parte dei sindacati affiliati a Força Sindical, che una direzione priva di scrupoli può manipolare le cose (controllando attentamente il tesseramento ad esempio) in modo da impedire "fisicamente" che qualcun altro possa vincere le elezioni. I gruppi che non riescono a conquistare un sindacato (a volte per l'appunto a causa di brogli, irregolarità, ecc.) si costituiscono in "opposizioni sindacali", e, se riconosciute, possono essere affiliate alla CUT.

La varia sinistra

La tendenza maggioritaria del PT, e che ha in Lula il suo massimo esponente, è al suo interno piuttosto variegata, ma possiamo definirla socialdemocratica, anche se la gran parte dei suoi esponenti rifiuta questa etichetta (dato che è stata compromessa dal PSDB di FHC). Pur forzando un po', le idee degli intellettuali di punta di questo settore (Mercadante, Dirceu, ecc.), anche se con la raffinatezza che distingue la sinistra brasiliana (nei cui discorsi raramente si fa a meno di citare un qualche pensatore europeo, Bloch, Gramsci, Heller...) dalla rozzezza di un D'Alema, sono assimilabili a quelle della componente maggioritaria dei nostri DS. Si tratta di una corrente sostanzialmente modernizzatrice: essa immagina che il Brasile possa diventare un Paese "normale", cioé avanzato, efficiente, industrializzato, e che ciò sia possibile con un accordo tra un settore illuminato della sinistra (loro) e il settore "produttivo" della borghesia brasiliana. Le prospettive "socialiste", sono state apertamente abbandonate, oppure rimandate ad una seconda lontana fase. La fraseologia che viene utilizzata è quella dell'"allargamento inclusivo della cittadinanza", della "transizione verso un paradigma repubblicano", della "democrazia ampliata" [12].

La sinistra interna al PT è divisa in una quantità infinita di correnti interne dalle più moderate a quelle più radicali. La gran parte sono collettivi locali, che devono allearsi in occasione di "battaglie" nazionali con le tendenze nazionali. La tendenza più strutturata si chiama Democracia Socialista (DS) [13]. La sinistra interna critica costantemente i "cedimenti" di Lula, anche se in molti casi non ha dato mostra, nella direzione dei sindacati e nelle amministrazioni in cui si è trovata maggioranza, di una radicalità particolarmente evidente. Come vedremo, dopo essersi distanziata dalle scelte di alleanza elettorale, ha accettato di integrare il governo a fianco di esponenti della destra brasiliana. Nonostante dunque questi militanti si autodefiniscano "rivoluzionari" (con ciò creando sempre molte preoccupazioni nella stampa brasiliana che li chiama "i radicali del PT"), pensiamo, con una qualche forzatura, che qui in Italia potrebbero coprire un arco che va dalla sinistra DS al settore maggioritario del PRC.

Fuori dal PT vi sono altre cinque organizzazioni che si definiscono di sinistra e che si presentano alle elezioni.

La prima è il Partido Popular Socialista (PPS) che ha presentato un proprio candidato a presidente, Ciro Gomes, in alleanza (Frente Trabalhista, che ha ottenuto il 12,05% con 9,7 milioni di voti) con il PDT (populista) e il PTB (centro) e avendo come vice Paulinho, padrone indiscusso di Força Sindical. E' l'erede del Partido Comunista Brasileiro (PCB) che dopo la caduta del Muro ha seguito un processo simile a quello del PCI nella sua trasformazione in PDS. Oggi ha posizioni che con grande fatica possono definirsi di sinistra (potremmo paragonarle, continuando il nostro gioco, ai miglioristi DS).

Il Partido Socialista Brasileiro (PSB) è un partito estremamente eterogeneo, non strutturato e la cui sigla "è usata" da leader locali che a volte, anche in questo caso, sono difficilmente collocabili a sinistra. Il PSB si è presentato con un proprio candidato, Anthoni Garotinho, in alleanza con partiti di centro (Frente Brasil Esperança, che ha ottenuto il 17,67% con 14,3 milioni di voti).

Il PCdoB ha integrato l'alleanza PT-PL ed ha sostenuto dunque Lula sin dal primo turno. Ha un agire pratico che non si discosta molto da quello della maggioranza del PT pur variandone la giustificazione ideologica (sono coinvinti che prima del socialismo il Brasile debba passare attraverso una modernizzazione capitalista). Quando è nato era maoista, poi filoalbanese, oggi si dichiara filocastrista (forse qui in Italia andrebbe d'accordo con il PdCI). Aveva 7 deputati nel 1998, ne ha ottenuti 12 nel 2002, passando, nelle elezioni per i deputati federali, da 869.000 voti a 1.967.000.

Vi è poi il PSTU che si è presentato alle elezioni in maniera indipendente (candidato: Zé Maria) e raccogliendo 378.000 voti (0,47%). E' una organizzazione trotskista (tradizione "morenista") che prima di essere espulsa era una tendenza del PT (col nome di Convergencia Socialista). I suoi militanti sono dediti ad un attivismo forsennato (che comporta un certo turn over nelle loro file) e ad un incessante propagandismo, ma, a differenza di altri gruppetti simili che esistono in Italia, il PSTU sta sempre ben attento a collocarsi dentro i movimenti di massa. Per questo il suo radicamento (nei sindacati, ad esempio) è di molto superiore ai suoi risultati elettorali.

Infine ha presentato un proprio candidato indipendente anche la piccolissima Causa Operaria, organizzazione trotskista ultrasettaria [14] che ha ottenuto una percentuale irrisoria.

Il PT degli anni novanta

Gli anni ottanta per l'America Latina sono stati qualcosa di simile ai nostri anni settanta: un periodo di grandi speranze di cambiamento e di mobilitazioni sociali. Le batoste degli anni novanta hanno demotivato parte della militanza, fatto crollare il numero di scioperi, indebolito i movimenti. Vi è stato un altro effetto indesiderato. Parallelamente alla diminuzione della mobilitazione sociale, il PT guadagnava maggiori consensi ed eleggeva una gran quantità di sindaci, consiglieri, deputati e qualche governatore [15]. Il contatto con le strutture della stato da parte di forze radicali di sinistra ha sempre avuto un certo effetto moderatore sulle stesse.

Non è andata diversamente anche in Italia, basti pensare al PSI che si dichiarava marxista solo fino a 15 anni prima che ne assumesse in controllo Craxi, o, per venire ad esempi più attuali, pensiamo alla maggioranza DS la cui forza (che tiene tuttora Cofferati in minoranza) risiede nella presenza istituzionale in regioni, province e comuni di Emilia Romagna e Toscana. La forza di cooptazione dello stato però in un Paese del Terzo Mondo è ben più potente. Vi sono prospettive di ascesa personale e di sicurezza economica che per gli elementi più brillanti della classe media e del proletariato costituiscono una forte motivazione, magari inconscia, al raggiugimento e alla conservazione del posto, ed anche considerazioni più "politiche": i partiti di questi Paesi non possono certo contare, come qui in Europa, su campagne di sottoscrizione o quotizzazioni da parte di iscritti che per la gran parte hanno seri problemi economici. Ad un deputato statale ad esempio vengono pagati oltre che un lauto stipendio (che spesso, come in Italia, viene in parte versato al partito o alla tendenza di appartenenza) anche le spese per l'assunzione di molti portaborse, che è una maniera per il PT (e le sue tendenze interne) di costruirsi un "apparato". Ma si tratta di un apparato indissolubilmente legato allo stato. Quando si conquista un posto da sindaco (per non parlare dei governatori) i posti stipendiati che si possono distribuire sono tantissimi. Così il PT è diventato nel corso degli anni novanta, lentamente, un partito istituzionale: i suoi migliori quadri hanno priorizzato la "battaglia nelle istituzioni" a scapito della presenza nei movimenti. E ciò ha riguardato, in diversa misura, anche la sinistra del PT che pure ha numerosi rappresentanti nelle istituzioni (nelle ultime elezioni ha ottenuto 28 su 91 deputati federali, raddoppiando la propria consistenza). E' solo così che può essere spiegato l'atteggiamento del PT nei confronti della campagna contro ALCA, di cui parleremo più sotto, o altri paradossi per cui oggi i settori cristiani dei movimenti sono senz'altro più a sinistra dei "trotskisti" della DS, la più forte tendenza della sinistra PT. La spiegazione è semplice: questi settori (come il Movimento Sem Terra) anche durante gli anni novanta hanno continuato a stare vicini alla propria base sociale senza partecipare alle istituzioni e contando unicamente sulla mobilitazione, gli altri, pur essendosi nutriti di intense letture su ogni aspetto della rivoluzione d'Ottobre, no.

Così nel corso degli anni si può constatare una costante regressione della partecipazione dei militanti alle campagne del PT. E in occasione di queste elezioni presidenziali questa tendenza è aumentata.

La vicenda ALCA

Ci occuperemo qui della campagna ALCA portata avanti dalla sinistra brasiliana nel 2002, perché essa è piuttosto familiare nel movimento noglobal (su questo vedi ALCA: un progetto egemonico). Si tratta di un accordo continentale sul quale spingono gli USA per arrivare a fare dell'intero continente americano una zona di libero scambio sotto dominazione statunitense. Per questo l'ALCA è diventata la bestia nera della sinistra latinoamericana e del movinemto noglobal internazionale. Una larga coalizione che comprendeva PT, CUT, PCdoB, PSTU, UNE (il sindacato studentesco), le Pastorali Sociali, l'MST, la Marcia Mondiale delle Donne, ecc. hanno così organizzato un referendum autogestito (simile a quello promosso dagli zapatisti alcuni anni fa), chiamato "plebiscito nazionale sull'ALCA" in cui si formulavano tre domande:
1. il governo brasiliano deve firmare il trattato di ALCA?
2. Il governo brasiliano deve continuare a partecipare alle negoziazioni su ALCA?
3. Il governo brasiliano deve consegnare una parte del nostro territorio, la base di Alcântara, al controllo militare USA?

Nella riunione di luglio del Coordinamento Nazionale si produsse però una spaccatura: da un lato la componente maggioritaria del PT e una parte della sua sinistra interna, il PCdoB, la direzione maggioritaria della CUT e della UNE si dichiararono favorevoli al cambiamento delle domande che erano state precedentemente approvate da una plenaria nazionale e che aveva riunito tutte le entità. La sostanza della motivazione era: in caso di vittoria di Lula non gli si volevano "legare le mani", in modo che potesse negoziare nelle migliori condizioni con gli USA. A questo scopo chiedevano la cassazione della terza domanda (quella su Alcântara) che avrebbe irritato gli USA e la modifica della seconda, in modo da rendere meno perentorio l'obbligo a rinunciare alle negoziazioni.

Contro la modifica delle domande si schierarono l'MST, le Pastorali Sociali e le altre componenti cristiane, il PSTU, una parte della sinistra del PT e molti sindacati locali della CUT. A nome delle Pastorali Sociali Padre Alfredinho sottolineò che la campagna stava superando tutte le aspettative di mobilitazione e che le domande approvate erano già state ampiamente divulgate e che le modifiche avrebbero demotivato gli attivisti. Risultò inoltre che gran parte dei coordinamenti statali e delle singole entità sindacali e studentesche si erano pronunciate a favore del mantenimento delle domande. A quel punto il PT si ritirò dalla campagna, e Lula dichiarò (pochi giorni prima che la gente si recasse a votare): "Il PT é un partito che tra pochi giorni sarà al governo e non può giocherellare coi plebisciti" (O Globo 25/8/02). Grazie alla pressione della base, però, la CUT, pur essendo diretta da una maggioranza solidale con Lula, dovette lo stesso star dentro la campagna [16], così come il PCdoB (nonostante l'adesione di quest'ultimo non sia risultata in alcun impegno militante).

Il risultato del plebiscito è stato spettacolare. Tra il 1º e il 7 settembre hanno votato 10,14 milioni di brasiliani [17]. Tenendo conto che potevano votare anche i sedicenni (in Brasile hanno diritto di voto), che la popolazione è tripla rispetto a quella italiana, ma formata per un terzo da giovani sotto i 16 anni (mentre in Italia sono meno di un quarto) il risultato è paragonabile a quello raggiunto dalla CGIL con la raccolta di 5 milioni di firme sull'art.18. Ma a rendere più notevole il risultato brasiliano è un elemento: la raccolta (si tenga presente che la gente doveva portare un documento di identità) si è concentrata in 7 giorni, quella della CGIL in quattro mesi; e poi: non vi è nulla di paragonabile in Brasile alle risorse, alle strutture e al personale della CGIL, se non l'apparato istituzionale del PT, che non ha partecipato quasi per nulla, bloccato dal veto centrale, alla campagna. Lo sforzo è stato gigantesco, retto soprattutto dai sindacati locali: sono state approntate 41.000 urne in 4.000 comuni, e più di 100.000 volontari vi si sono impegnati. Così l'obiettivo iniziale di 6 milioni di voti, cioè lo stesso risultato raggiunto nel 2000 con il plebiscito sul debito estero organizzato dallo stesso arco di forze, è stato ampiamente superato.

L'atteggiamento del settore maggioritario del PT sulla questione ha avuto una ulteriore conferma durante l'Incontro Continentale di Riflessione e Scambio - Un'Altra America è Possibile svoltosi a Quito tra il 27 di ottobre e il 1 novembre e che ha visto insieme i maggiori movimenti sindacali, contadini, popolari del continente, una sorta di Firenze latinoamericana. Essa si svolgeva anche per contestare la parallela riunione dei rappresentanti governativi e che dovevano dibattere per l'appunto sull'ALCA (e dove si è deciso che il Brasile assumerà insieme agli USA la copresidenza delle negoziazioni sull'ALCA, Lula si troverà dunque insieme a Bush a presiederle). All'incontro dei movimenti (dove si è deciso un calendario di lotte contro l'ALCA e l'indizione di plebisciti analoghi a quello brasiliano in altri 13 paesi) il PT non ha inviato alcuna delegazione ufficiale. In compenso ha inviato un delegato, Paulo Delgado, all'altra riunione, quella governativa, ad accompagnare l'equipe di FHC.

Il fatto è che la componente maggioritaria del PT (e una parte della sua sinistra interna) immagina sia possibile "svuotare l'accordo dal di dentro" oppure negoziare da "posizioni di forza", sulla base di un patto con la borghesia "produttiva" brasiliana. Che non ha alcuna intenzione di rinunciare ad ALCA, dato che non esiste una borghesia brasiliana davvero indipendente dal capitale internazionale. Horácio Lafer Piva, presidente della potente Fiesp (l'associazione degli industriali dello stato di São Paulo), ha dichiatato che "l'ALCA è inesorabile" (Folha on Line 28/10/2002). Lo stesso vice di Lula, José Alencar, uno dei più grandi industriali brasiliani, ha affermato: "a volte le persone si posizionano contro l'ALCA senza sapere quel che significa. Libero commercio significa fine delle frontiere economiche, per essere esatti. Significa che i paesi vivranno in una economia rigorosamente aperta. E' un bene per il Brasile? Io penso di sì". (Folha de São Paulo 26/10/2002). E i dirigenti del PT aggiungono: "che male c'è a negoziare? Si fa sempre in tempo a dire no". A loro João Pedro Stédile, leader del MST, ha risposto: "le negoziazioni sono come una gravidanza indesiderata: o si abortisce subito all'inizio o al nono mese il bimbo nascerà".

I compromessi di Lula

Fatte queste premesse ora appariranno chiare tutta una serie di scelte fatte dal PT e che altrimenti parrebbero o bizzarre o "tattiche". Prima di tutto la scelta del candidato alla vicepresidenza di Lula, un esponente del Partito Liberale (PL). Si tratta di una alleanza che non arriva nemmeno ad essere di "centrosinistra" (e che sarebbe stata comunque assai stravagante: il governo FHC era proprio un governo di centrosinistra): il PL è un partito di destra. Questa alleanza è stata presentata come "ineluttabile" dalla direzione maggioritaria del PT. Così José Alencar, industriale tessile (Coteminas, con 18000 operai alle sue dipendenze), è oggi vice di Lula.

Poi. L'accordo con il Fondo Monetario Internazionale, siglato ad agosto da FHC, prevede, in cambio di nuovi prestiti, tagli al bilancio, precisi limiti di inflazione, cambio fluttuante, l'accelerazione delle negoziazioni ALCA, oltre ovviamente al puntuale pagamento degli interessi sul debito. Si tratta di una stretta tutela delle scelte economiche governative per i seguenti 15 mesi. Tutti i maggiori candidati alla presidenza hanno dato il loro appoggio, ed anche Lula.

Ancora. Durante la campagna Lula ha parlato insistentemente di un "patto sociale" tra capitale "produttivo" e lavoro, che rilanci la produzione nel Paese. Una volta eletto, ha subito dato gambe a questo proposito dando vita al Conselho de Desenvolvimento Econômico e Social (CDES) alla cui prima riunione in novembre hanno partecipato i maggiori rappresentanti dei gruppi finanziari, industriali e ... sindacali. Unico assente: l'MST. Secondo Antônio Palocci, capo dell' equipe di transizione del governo Lula, "il CDES sarà consultivo e vincolato alla presidenza della Repubblica e da lì usciranno le basi e i consensi per le riforme del lavoro, della previdenza, politica, agraria, tributaria, ma senza far concorrenza al parlamento" (Folha Online, 7/11/2002).

Poi l'annuncio da parte di Lula, il 12 dicembre, che sarebbe stato nominato come presidente della Banca Centrale Henrique de Campos Meirelles, ex-presidente (dal 1996 all'agosto 2002) della Fleet Boston Bank, una delle maggiori banche statunitensi, grande creditrice del Brasile. Il personaggio è stato eletto deputato del PSDB (ricordiamolo, il partito di FHC) nello stato di Goiás, protagonista della campagna più dispendiosa delle elezioni 2002. A questo annuncio si sono subito fatti sentire, entusiasti, il presidente della Fiesp Horacio Lafer Piva, il presidente della Borsa di Sao Paulo Raymundo Magliano Filho, il presidente della FEBRABAN, e l'attuale presidente della Banca Centrale Arminio Fraga. L'annuncio ha suscitato invece non poco sconcerto nella base del PT.

Infine, il governo di Lula. Il 23 dicembre Lula ha reso nota una lista di 25 ministri e 8 segretari di stato. Tra questi due ministri chiave avevano appoggiato il candidato presidenziale José Serra: Luiz Fernando Furlan (allo "Sviluppo dell'industria e del commercio esterno"), già dirigente di una grande azienda agroalimentare brasiliana (Sadia SA) e nel consiglio di amministrazione della Amro (grande banca olandese), e Roberto Rodrigues (al ministero dell'agricoltura), manager dello stato in faccende agricole e proprietario terriero nello Stato di Sao Paulo e del Maranhao. Al suo fianco (ministro per lo sviluppo agrario) Miguel Soldatelli Rossetto, membro della corrente di sinistra del PT, DS. La compagine governativa viene definita dalla stampa brasiliana "pluralista", senz'altro è inedita, dato che va dalla destra ai trotskisti. Ma, come giustamente sottolinea Maurizio Matteuzzi sul Manifesto (pur all'interno di un servizio il cui ottimismo mitizzante non condividiamo), ai ministeri economici sono andati i moderati, a quelli sociali i radicali.

Pensiero capitale

Gli esponenti del capitale brasiliano (soprattutto il blocco più potente, quello di São Paulo) e di quello internazionale hanno lavorato di fino. A mano a mano che diminuivano le possibilità di far eleggere Serra, si sono via via spostati su Lula, chiedendo sempre più "rassicurazioni": da un lato negoziando la transizione in modo da assicurare la continuità con la politica economica precedente, e dall'altro agitando lo spauracchio dell'Argentina (destabilizzazione finanziaria, fuga di capitali, ecc.). Prima o poi il boccone Lula se lo dovevano ingoiare. Il momento non lo hanno scelto loro, l'ha scelto la voglia di cambiare della gente, ma loro hanno stabilito il quadro in cui ciò doveva avvenire. Come ha detto l'ex presidente José Sarney (uno dei primi grandi avversari del PT) "dobbiamo passare per quel giogo, dobbiamo passare per il PT, e allora passiamoci subito" (Folha de São Paulo, 03/10/2002), "dato che si tratta di un presidente che viene dal lavoro" per la prima volta ci sarebbe "la possiblità di fare sul serio un patto sociale" (vecchio cavallo di battaglia per l'appunto di Sarney).

Sul Financial Times del 26/9/2002 Kenneth Maxwell scrive che "Lula e il PT hanno imparato dalle sconfitte passate. Il PT ha passato l'ultima decade modernizzando la sua ideologia e muovendosi verso il centro politico." L'editoriale del The New Tork Times del 30/10/2002 diceva "il presidente eletto sta lavorando con lena per rassicurare gli investitori e i mercati finanziari che non è un folle agitatore marxista. Nonostante il tono relativamente moderato che Lula ha adottato nella sua quarta disputa per la presidenza, gli investotori temevano che non avrebbe riconosciuto il debito estero e avrebbe fatto marcia indietro sul cammino della liberalizzazione economica." Ma, visti i primi atti, "le istituzioni finanziarie devono dare un 'respiro' al nuovo governo". L'editoriale del Financial Times del 30 settembre andava nella stessa direzione dicendo di "dare una chance al Brasile e a Lula", "perché speculare sul crack non fa che renderlo più probabile."

Conclusioni

Contrariamente a quel che sembra, non siamo pessimisti. Ma è importante comprendere da parte nostra, noi militanti di base, su "chi puntare". Come minimo ci si preserva da cocenti delusioni, che hanno poi conseguenze nefaste sulla nostra militanza e sul nostro fegato. In breve: pensiamo che sia un errore nutrire grandi illusioni sulla direzione del PT. E questa volta facciamo fatica a distinguere tra maggioranza e sinistra interna. La sinistra interna, correndo ad integrare una compagine ministeriale così composita da poter essere paragonata ad una sorta di Frankenstein politico dopo aver criticato per vent'anni i cedimenti di Lula, ci pare che, ad occhio e croce, si sia messa da sola in un gran guaio. La borghesia brasiliana ovviamente non mollerà nulla, perché non ha margini ed è legata mani e piedi agli interessi USA (ed europei). Solo governi di rottura con l'esistente potrebbero portare a qualche risultato concreto. Anche solo la riforma agraria (che non è neppure una riforma "socialista", ma semplicemente "democratica") non sarà possibile con una simile coalizione, anche perchè non vi è in Brasile un solo capitalista che non sia anche proprietario terriero. Prima o poi, più prima che poi, i nodi verranno al pettine, e le aspettative della gente si scontreranno con le illusioni della dirigenza petista.

Ma, in fondo, sono scene che abbiamo già visto in tante parti del mondo, Italia compresa. Quel che ci fa sperare invece, è che in Brasile esistono anche i centomila volontari del plebiscito, il Movimento Sem Terra, tanti gruppi che sono alla base e lavorano con la base. Speriamo anche che alla lunga la sinistra interna (ma anche una parte della base della maggioranza) della CUT e del PT, si stanchi di ingoiare troppi rospi. Speriamo che tutti questi settori possano aprire una nuova stagione di lotte, ad esempio una ondata di occupazioni di terra, che metta in difficoltà l'idillio tra il gruppo dirigente del PT e i responsabili di dieci anni di folle neoliberismo.

Se non ci sarà questo, beh, dovremo rassegnarci a far da spettatori a questa sinistra (italiana, brasiliana, ...) che non smette di contare sulla bontà dei nostri più acerrimi avversari invece che sulla forza e la speranza dei milioni che chiedono di rappresentarli. Ci annoieremo a morte a rivedere questo film malinconico, perché il finale lo conosciamo già. Si scopre nell'ultima scena che di borghesie "buone" non ce ne sono. I dirigenti della sinistra sono così: entrano al cinema del potere immaginando di andarsi a vedere Disney, e invece trovano Dracula. Scappano via a gambe levate, allora, ma troppo tardi: quello s'è già pappato tutto il loro sangue.

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NOTE:

per tutti i riferimenti a riviste e siti si rimanda alla pagina dei links

[1] Si veda a titolo di esempio l'impostazione della prima pagina del Manifesto del 31 dicembre 2002. Titolo di testa: "Meglio il Brasile", foto grande di Lula che occupa metà pagina e saluta la gente, sottotitolo: "Nonostante i venti di guerra che spirano sul mondo, e in Italia un governo pessimo, il 2003 si apre con una buona notizia. Domani Luiz Inacio Lula da Silva si insedia alla presidenza del Brasile. Per il più grande paese del sudamerica è una svolta storica. Ma è anche un messaggio di speranza per tutto il resto del mondo. Speranza che anche la politica possa dare delle risposte alternative al liberismo e sappia ritrovare un confine tra destra e sinistra. Come, invece, non avviene da noi." torna su

[2] Vi sono dunque vari livelli di potere. Il Congresso Nacional composto da una Camera dei deputati (513 membri, che sono denominati deputati federali) e da un Senato Federale (81 membri). I 26 stati della Federazione (la capitale, Brasilia, ha un suo Distretto Federale indipendente) dispongono di proprie autonome Assemblee statali (in questo caso i deputati si chiamano statali) e di propri governatori. L'elezione per il Presidente e per i governatori è su due turni nel caso il candidato non raggiunga il 50% al primo turno. Clicca qui per vedere la cartina degli stati della federazione. torna su

[3] Clicca qui per vedere tutti risultati dei partiti di tutte le elezioni per deputato federale dal 1982 al 2002. torna su

[4] L'Acre è un piccolo stato del centro-est del Brasile, già in mano al PT, e il candidato petista, Jorge Viana, ha vinto già al primo turno. torna su

[5] Il Mato Grosso do Sul è uno stato, già in mano al PT, del sud-ovest del Brasile, José Orcilio ha vinto al secondo turno. torna su

[6] Il Piauì è un piccolo stato del Nordest brasiliano che non era precedentemente governato dal PT. Wellington Dias è stato eletto al primo turno ed ha ricevuto l'appoggio dell'ex-governatore, membro del PMDB, destituito per abuso di potere. torna su

[7] Il governatore dello stato era prima Olivio Dutra, esponente della sinistra del partito (il vice era Miguel Rossetto, membro della DS, tendenza che egemonizza completamente la sinistra PT del Rio Grande do Sul), poi sconfitto nelle "primarie" interne da Tarso Genro, membro della componente di maggioranza del PT, che per l'appunto si è candidato come governatore a queste elezioni, perdendo. torna su

[8] Implicato in eclatanti episodi di corruzione, fu oggetto di una grande campagna di massa per la sua destituzione che culminò in una manifestazione nazionale a São Paulo  di un milione di persone che costrinse il Congresso a destituirlo nell'agosto del 1992. torna su

[9] Partito Socialdemocratico Brasiliano. Fernando Henrique Cardoso fu uno dei fautori della "Terza Via" insieme a Veltroni/D'Alema, Blair e Clinton quando questa andava ancora di moda tre anni fa. torna su

[10] Clicca per vedere la tabella della progressione del numero di disoccupati in Brasile. torna su

[11] vedi l'articolo di Ricardo Antunes (professore alla UNICAMP) in Alencontre N°10 "Il Brasile di Lula e le sfide della sinistra sociale" e quello di Alexandre Fortes (professore alla USP) nel sito della Fundação Perseu Abramo ("la possibilità che un immigrato nordestino, operaio, socialista, abbia conquistato la presidenza della repubblica è già di per sè un fatto inedito e di rilevanza storica indiscutibile"). torna su

[12] Frei Betto è come sempre il più sofisticato nel coprire a sinistra le scelte del settore di maggioranza del PT. Egli afferma che occorre distinguere tra "potere" e "governo". Lula oggi avrebbe conquistato il governo e non il potere, quest'ultimo è un compito di là da venire, per il quale oggi si possono preparare le condizioni. torna su

[13] Legata internazionalmente alla Quarta Internazionale, la cui sezione in Italia è Bandiera Rossa, che oggi sostiene la maggioranza bertinottiana all'interno del PRC. torna su

[14] In Italia i suoi omonimi sono i militanti della minoranza del PRC Proposta/Progetto Comunista. torna su

[15] Si veda la progressione degli eletti del PT, prima delle elezioni del 2000, i cui dati purtroppo non siamo riusciti a rintracciare, ma che hanno segnato un ulteriore balzo in avanti nell'espansione della rappresentanza istituzionale del partito. torna su

 

 

82

 

85

 

86

 

87

 

88

 

90

 

92

 

94

 

96

 

98

Sindaci

  2

  1

  -

  1

  36

  -

  54

  -

  115

  -

Consiglieri comunali

118

  -

  -

  -

900

  -

1100

  -

1985

  -

Governatori

  0

  -

  0

  -

  -

  0

  -

  2

  -

  3

Deputati Statali

  12

  -

  40

  -

  -

  81

  -

  92

  -

  90

Deputati Federali

  8

  -

  16

  -

  -

  35

  -

  50

  -

  59

 

 

 

 

 

 

 

[16] Del resto per la CUT fare un passo indietro sarebbe stato ben clamoroso: come risulta dal suo stesso sito, essa è stata una delle forze più impegnate nella denuncia dell'accordo: "di fronte a questa grave minaccia per il nostro popolo, la CUT è stata tra le prime organizzazioni del continente americano a sostenere l'opposizione all'ALCA. Nel 1997, durante una riunione di minisrri responsabili per la negoziazione dell'ALCA la CUT ha organizzato una plenaria di centrali sindacali e ONG coinvolgendo paesi di tutto il continente, seguita da una manifestazione di 10000 attivisti contro ALCA. Nel 1998, ha organizzato insieme ai movimenti sociali cileni il primo vertice dei popoli delle Americhe a Santiago, parallelo all'incontro dei presidenti. In questo processo si è costituita la Aliança Social Continental (ASC) come espressione di un accordo strategico tra movimenti sociali e Ong di tutto il cotinente e della necessità di una mobilitazione unificata per impedire la realizzazione di questo accordo. Alla fine del 2000, a Florianópolis, ha organizzato con la Coordenadora de Centrais Sindicais do Cone Sul (CCSCS) una plenaria con 700 sindacalisti dei paesi del Mercosul che ha respinto l'ALCA e ha lanciato l'esigenza di sottomettere l'accordo a plebisciti nei vari paesi. Questa proposta fu raccolta nel secondo Vertice dei popoli delle Americhe in Quebec, organizzato dalla ASC, che ha riunito 60000 persone ed ha lanciato una campagna continentale per il plebiscito in opposizione ad ALCA. In aprile del 2001 il congresso dell'ORIT ha approvato una proposta presentata dalla CUT e si è posizionato contro l'ALCA."  torna su

[17] La partecipazione al Plebiscito su ALCA secondo gli stati della federazione:






Acre 
Alagoas 
Amapá 
Amazonas 
Bahia 
Ceará 
Distrito Federal 
Espírito Santo 
Goiás 
Maranhão 
Mato Grosso 
Mato Grosso do Sul
Minas Gerais 
Pará 
Paraíba 
Paraná 
Pernambuco 
Piauí 
Rio de Janeiro 
Rio G. Norte 
Rio Grande do Sul 
Rondônia 
Roraima 
Santa Catarina 
São Paulo 
Sergipe 
Tocantins

Totale

12.333
96.472
16.404
88.527
770.067
424.238
91.397
380.975
219.406
263.388
138.710
140.403
1.297.750
270.888
224.528
706.009
226.884
108.103
742.254
104.565
548.512
171.893
12.085
531.764
2.337.063
186.194
38.730

10.149.542

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