L'orrore della dittatura cilena.
Traduciamo
alcune testiomonianze dal sito memoriaviva,
che descrivono gli orrori della repressione del regime di pinochet. A cura di
maurizio Attanasi. Ottobre 2003.
Testimonianza in ricordo di Marco Antonio
Quando
ci fu il colpo di stato mi trovavo nel nord del paese. Mio fratello e i miei
genitori vivevano a San Bernardo. Mio fratello stava facendo il servizio di
leva nel 1973. Con difficoltà, mi comunicarono che Marco Antonio non
andava a casa da diverse settimane. Mia madre l’aveva visto solo per alcune
ore l’anno dopo il golpe. Quando arrivò a casa era malato. Aveva
quasi tutto il corpo pieno di eruzioni e ferite mal cicatrizzate. Questo me
lo raccontò mia madre, nel maggio del 1974, quando raggiunsi Santiago
prima di lasciare il paese. Alcune settimane prima, ero uscito da un campo de
concentraciòn dove ero stato rinchiuso per quasi 14 mesi. In quei pochi
giorni in cui fui a San Bernardo incontrai mio fratello e potei parlare con
lui.
Non era il giovane allegro e pieno di progetti che ricordavo quando ero nel
campo de concentraciòn. Mi trovai davanti ad un uomo taciturno, nervoso
e pallido che guardava sempre verso la porta che dava sulla strada, come un
paranoico. Cercai di farlo parlare, per fargli dire quello di cui non aveva
parlato con nessuno. Si mangiava le unghie; i polpastrelli delle dita erano
quasi deformati. Mi disse, quasi sussurrando:
Io ero alla Moneda. Due settimane prima del golpe non dormivamo quasi più. Ogni notte c’erano allarmi ed esercitazioni. Non c’erano ore fisse. Quando eravamo sui camion pronti per uscire, ci facevano scendere e ci mandavano a dormire. E ci ripetevano sempre lo stesso discorso: “Non ditelo a nessuno. Se qualcuno si avvicina e cerca di darvi del caffè, del pane o della frutta, non accettatelo, può essere avvelenato. Il nemico è dappertutto. Non fidarti neppure di tuo fratello. L’unico che si prende cura di voi è il sergente.”
L’11, il giorno del golpe, ci svegliarono alle cinque del mattino. Non salimmo sui camion. Ci diedero una aringa: “Non ditelo a nessuno; solo all’ufficiale della compagnia e ai commilitoni”.
Prima ci diedero una colazione con pane, carne con uova fritte e una tazza di latte con un liquido rosso in superficie. Sapeva di medicina, ma ci dissero di berlo. Questa volta non era una esercitazione, ci diedero armi e molte munizioni.
L’ufficiale ci diceva che stavamo andando in guerra. Pensavo e mi chiedevo contro chi. L’Argentina? Alle sei del mattino salimmo sui camion e ci fecero aspettare.
Quando arrivò l’ordine ci dirigemmo al centro di Santiago. Quando chiesi: “In quale posto di Santiago?” Mi risposero: “Alla Moneda e all’hotel Carrera”. Sembrava che tutti i ricordi ritornassero in mente e aggiunsi: il liquido che abbiamo bevuto con il latte sta facendo effetto!
Tutti eravamo nervosi, non riuscivamo a stare fermi, il respiro era corto e agitato. Quando cominciammo a sparare contro i civili l’ufficiale che camminava dietro di noi gridava: “Colpirò chiunque non spari!”
Mio fratello mi disse:
Non so quanti colpi sparai contro i ventilatori dell’Hotel Carrera ….
sulla sua faccia tornò il colore pallido e nervoso di prima, così come il suo sguardo si fece teso e nervoso come se qualcuno in qualsiasi momento potesse venire a cercarlo. Per farlo parlare gli dissi di nuovo: tu sai che parto domani, e non ti vedrò per molto tempo e quindi non potrò dire a nessuno quello di cui parliamo, mentre tu sei vivo, e te lo giuro tu vivrai più di me. Dimmi quello che è successo dopo. Dove sei stato per il tempo in cui non sei venuto a casa?
Una volta che gli aerei bombardarono la Moneda e non c’erano più spari dall’edificio ci mandarono a scortare quelli che si arrendevano. Tutti picchiavano, chi non picchiava era maltrattato dal sergente.
Aggiunse come a cercare scuse:
non conoscevamo nessuno, e tutti i prigionieri si coprivano la testa mentre li colpivamo con calci ai fianchi e alla testa se potevamo. Cosi iniziamo a colpire e a prendere la gente che usciva.
Mio fratello mi guardò sorridendo e mi disse:
pensavo sempre a te e mi preoccupavo di cosa sarebbe potuto succederti mentre eri al nord.
Quando gli dissi che la mamma mi aveva detto che non era potuto venire a casa, ribattè secco: sono venuto solo una volta, credo per due ore. Dopo aggiunse:
E’ il permesso più lungo che mi hanno dato; una jeep mi venne a prendere, e poi la mamma mi raccontò che eri stato arrestato, ma non sapevano dove. Da quel giorno pensai a come uscire dall’esercito senza commettere errori che avevano fatto uccidere altri soldati.
Come altri? Risponde come ricordando:
due della mia compagnia sbagliarono quando durante una esercitazione un capitano ci chiese: chi ha parenti socialisti o comunisti facciano un passo avanti. Voi non avete colpa, aggiunse, se i vostri parenti erano dall’altra parte. …. Due commilitoni si fecero avanti e li misero per settimane in isolamento. Dopo il golpe abbiamo saputo che erano stati ammazzati.
Tornai ad insistere: Ma cosa faceste dopo il golpe?
Nelle notti ci chiamavano per bastonare i prigionieri che scendevano dai camion dai quartieri industriali. Uccidemmo molta gente. Li tiravamo giù dai camion dei trasportatori di Villarin ………
All’alba seppellivamo i cadaveri in buche, fatte da noi stessi con le ruspe dietro a Cerro Chena. Molti dei soldati che non reggevano venivano uccisi. La faccenda era o uccidevi o ti uccidevano gli ufficiali.
Quanti uccisero più o meno? Mio fratello rispose guardando dall’altro lato:
molti
Puoi dirmi quanti? Cinquanta, cento, più di cento?
Molti di più.
E per quanti giorni durò tutto ciò? Mi guardò per essere lasciato in pace e non tormentarlo più, e poi rispose:
All’inizio tutti i giorni; dopo ci portavano in altre città e facevamo lo stesso.
Mio fratello mi disse singhiozzando:
sono felice di essere andato via da quella merda. Il mio tenente voleva che restassi, voleva mandarmi alla scuola per sottufficiali. Non volli. Fece molte pressioni. Per me restare nell’esercito era peggio che stare in carcere … Gli altri soldati e sottufficiali avevano paura e non potevamo parlare con nessuno, né uscire per strada. Eravamo sempre controllati dal SIM.
Mio
fratello mi disse prima di andarmene all’estero che sarebbe andato al
Nord per dimenticare tutto. Non so se ci riuscì. Anche la mia famiglia
si spostò, vendettero il negozio e la casa; … disse addio a San
Bernardo pensando di poter dimenticare tutto. Nel 1991 tornai in Cile, dopo
che Pinochet aveva lasciato il governo. Quando incontrai mia madre mi disse
che mio padre era morto nell’87; dopo quasi 16 anni di assenza mio fratello
non c’era più. Era morto nel 1988. Non ero mai più tornato
per vederlo. L’immagine che ricordo è quella di quando era bambino,
mentre lavoravo nel Nord nelle miniere. Non fu felice quando ritornò
nel Nord; non trovò un lavoro stabile; si era sposato ed aveva avuto
figli. Sebbene fosse al Nord, ogni volta che c’erano movimenti di truppa
lo andavano a cercare a casa e lo tenevano in prigione per alcuni giorni. Mia
madre mi ha raccontato che diventava pazzo e non riusciva più a dormire.
Mio fratello fu privato del suo futuro e fu ucciso il giorno del golpe. Quando
morì in uccidente automobilistico fu finalmente il momento in cui terminò
di soffrire. Mia madre e mia cognata quel giorno ritennero che la tragedia di
Marco Antonio fosse finita.
Quando tornai in Cile per la prima volta nel 1991 mi recai ad Antofagasta. Era
al governo Aylwin, e Pinochet mobilitò l’esercito. Quella sera
ero a cena da amici. Non ci eravamo resi conto di quello che stava succedendo.
Quando raggiunsi la casa di mia madre, stavano tutti piangendo e aspettandomi
sulla porta: temevano per me. Quando scesi dall’auto mi abbracciarono.
Mia sorella mi chiese: “Come, non sai quello che è successo?”
Io la guardavo incredulo e anche il mio amico era meravigliato. Poi ci raccontarono
che Pinochet aveva fatto scendere le truppe per strada. Quella notte, mi raccontarono
piangendo, i soldati erano andati in casa loro per cercare mio fratello. Misero
sotto sopra la casa, rovistando dappertutto come ai tempi del golpe. Mia sorella
mi disse che gridava loro che era morto, che non c’era. …solo quando
mia madre mostrò loro il certificato di morte le lasciarono tranquille.
L’ufficiale disse “merda” e se ne andarono.
Mio padre e mia madre morirono rattristati e pieni di sofferenze. Il mio caro
fratellino riposa finalmente in pace e nessuno lo cerca. Non potranno più
minacciarlo, e lui non potrà raccontare i segreti che temevano rivelasse.
Solo ora infrango la promessa che gli feci perchè è morto prima
di me e i miei genitori sono morti e non soffrono per non riuscire a dare una
risposta alle sofferenze senza ragioni che ha vissuto mio fratello.
Sono nata in un campo de concentracion
( tratto da una intervista rilasciata ad ANALISIS agosto 1988)
“Sono
nata in una cella, mia madre la torturarono mentre era incinta. Sono la prova
vivente di tutto quello che è successo, e non voglio dimenticare, nè
mi possono cancellare.”
Isabel è una adolescente come tante, e a volte è questo lo straordinario.
Lei è nata prigioniera, come Amanda, Josè Miguerl, Miguel o Chinito,
che erano nella sua cella.
Racconta la sua storia con la franchezza dei suoi 13 anni. Non vuole più
vivere tra parentesi, vuole che si conosca “anche la nostra versione di
questi anni, l’opinione dei bambini che ora sono cresciuti”.
“Quello che so è che avevo quasi tre anni e già raccontavo
che ero nata in carcere. Quando avevo cinque anni raccontavo nel collegio, in
Francia, che mia madre era stata torturata. Non sapevo bene quello che significasse.”
“I miei genitori – Francisco Plaza e Rosa Lizama- si erano conosciuti
durante il governo di Unidad Popular. Erano militanti del Mir. Li catturarono
nel 1975. Mia madre era incinta. Li portarono a Villa Grimaldi e dopo a Tres
Alamos. Sono nata in quei giorni, il 7 maggio 1975. Per il parto, mia madre
la portarono in ospedale, le fecero un cesareo e poi la dimisero con me. Ci
tenevano in una cella a Madera, ammassate, sporche e stavamo scomode. Gli uomini
erano separati dalle donne; mio padre fu informato della mia nascita. Una guardia
lo lasciò entrare per alcuni minuti. Nonostante che fossimo in carcere
era molto allegro perchè io esistevo.
Tutte le donne con figli facevano turni per lavare i panni e curare i neonati.
Ma c’erano alcune che stavano molto male. Mia madre allattò anche
Miguelito, perché la mamma di quel bambino -che veniva dal quartiere
della Bandiera- non lo accettava; il bambino piangeva e lei non voleva calmarlo,
voleva che morisse, niente altro. E così mia madre allattò tutti
e due.”
“Durante gli anni dell’esilio ho saputo di bambini che furono torturati
o che erano presenti quando torturavano i propri genitori. Ti mettevano nella
condizione di far torturare tuo figlio, e dall’altra- come se fosse l’opposto-
ti offrivano il compromesso con quello che pensavi, il tuo partito, la lealtà
ai tuoi compagni. Io ho chiesto a mia madre se era stata torturata quando era
incinta. Lei è molto restia a parlare di questo tema, ma mi confessò
che la torturarono senza aggiungere dettagli. Quando penso a queste cose, non
riesco a credere di essere stata in quell’inferno."
Manuel Cabieses Donoso, Giornalista ex direttore di Punto Final
Signori
membri della commissione internazionale delle giunta investigativa sui crimini
della giunta militare in Cile – Città del Messico
Signor presidente,
sono stato arrestato il 13 settembre 1973. Sono stato prigioniero fino al 16
gennaio di quest’anno (1975). In questo periodo sono stato detenuto prima
in un commissariato dei carabinieri, poi al ministero della difesa nazionale,
allo stadio “Chile”, allo stadio “Nacional”, al campo
di prigionia di Chacabuco, a quello di Puchuncavi, al campo di prigionia di
Tres Alamos, a Santiago, dove è di stanza il corpo dei carabinieri.
Nel novembre del 1974 il mio nome fu incluso in una lista di cento prigionieri
che il ministero degli interni, generale Benavides, annunciò che sarebbero
stati posti “in libertà” sempre che fossero cileni. Il giorno
successivo, fummo trasferiti al campo di “Tres Alamos” a Santiago,
sede dei carabinieri. Il comandante del campo è il tenente colonnello
Conrado Pacheco Cardenas, contro cui numerosi prigionieri hanno formulato denunce
di maltrattamento e vessazioni. Prima di uscire da Puchuncavi ricevetti numerose
testimonianze di compagni che furono torturati nel forte “Silva Palma”
della marina a Valparaiso, descritto come un luogo dove si commettevano torture
e a cui è proibito l’accesso alle commissioni internazionali. Uno
dei prigionieri torturati alla Palma è stato il medico Alejandro Romero,
militante del Mir, condannato a 30 anni dal consiglio di guerra delle Ande e
che attualmente è a Ritoque. Il dottor Romero fu condannato insieme ad
altri otto compagni del gruppo soprannominato Estrella a 30 anni. La sentenza
del tribunale militare lo ritenne responsabile di avere ricevuto ordini dal
Mir, per attivarsi e dare inizio alla lotta di classe all’interno del
presunto piano zeta.
A Tres Alamos ci sono circa quattrocento prigionieri, tra cui quasi 90 donne
in un edificio isolato. Ci sono quattro edifici, isolati tra loro, uno è
stato destinato al gruppo di cento cileni che saranno obbligati a lasciare il
paese. All’ingresso di uno di questi edifici c’è un cartello
che dice “pericolo, divieto di accesso, esplosivo, materiale di guerra!”
Lì non è potuta entrare la croce rossa internazionale, neppure
il comandante del campo di prigionia. Era l’edificio degli “incomunicados”
cioè di persone che erano interrogate e torturate dalla Dina.
Sono gli stessi agenti della Dina quelli che si occupavano di vigilare questo
edificio, e a qualsiasi ora del giorno e della notte, preferibilmente di notte,
trasportavano lì i prigionieri per interrogarli in quegli edifici chiamati
case del terrore, disseminati in diversi punti di Santiago.
In questi edifici di isolamento si trova la ex deputata socialista Laura Allende,
sorella del presidente assassinato l’11 settembre e madre del compagno
Andrei Pascal Allende, attuale segretario generale del Mir. Chi l’ha vista
parla di una donna con la salute minata, che però rimane forte e serena.
Il padre di Andrei Pascal, Lyon, fu arrestato e imprigionato in un altro edificio
di “Tres Alamos”.
Le donne sono spesso punite per il loro comportamento dignitoso e fiero che
conservano in prigione. Quando il Messico, dando un esempio al mondo intero,
ruppe le relazioni diplomatiche con la giunta golpista, le donne prigioniere
a “los Alamos” celebrarono l’avvenimento cantando le canzoni
della rivoluzione messicana, e per questo furono trasferite al peggiore degli
alloggi del campo.
Il cibo in questo campo è poco nutriente e di pessima qualità.
L’atteggiamento dei carabinieri, soprattutto quello degli ufficiali, è
molto più ostile che negli altri campi.
Tra i torturatori della Dina più feroci di quel campo c’è
Osvaldo Romo, il comandante Raul, un traditore della sua classe, ex dirigente
di un quartiere popolare a Santiago.
Terminati gli interrogatori e le torture, i prigionieri erano trasferiti dall’edificio
degli incomunicados agli edifici dove possono ricevere visite. Dopo diversi
mesi la tirannia ha ammesso di avere dei prigionieri. Le visite sono di 5, 10
o 15 minuti. Viene posto un tavolo tra il prigioniero e il suo visitatore, solitamente
sua moglie, e viene loro impedito di toccarsi con le mani. Le prigioniere che
sono madri possono ricevere una volta al mese i loro piccoli che sono perquisiti
dai carabinieri, che tolgono anche i pannolini ai bambini per evitare che trasportino
messaggi.
I compagni del Mir e di altri partiti, che venivano dall’edificio degli
incomunicados, mi parlarono degli interrogatori che si tenevano in case di tortura
ubicate in diverse zone di Santiago, di preferenza in aree poco abitate. Una
delle peggiori si trova a Panalolen, vicino al circolo dei carabinieri. Lì
vengono portati di preferenza i militanti o simpatizzanti del Mir, partito su
cui si è concentrata la repressione.
Uno dei prigionieri di quel campo, il sociologo Hector Hernan Gonzales Osorio,
27enne, sappiamo che fu torturato selvaggiamente applicandogli elettrodi ai
testicoli, ai denti, alle orecchie, alle gambe, pancia e testa; gli furono assestati
colpi su tutto il corpo, gli ruppero il naso, i timpani, tentarono di soffocarlo
tappandogli la bocca e il naso; gli misero la testa in cubi di acqua e lo minacciarono
di torturare sua moglie Ofelia Nistal, dentista e sua figlia di 8 mesi davanti
a lui. Stesse torture ricevette nella stessa casa del terrore un altro compagno
che stava ugualmente incomunicado a Tres Alamos, Cristian Mayol Comandari.
I prigionieri che erano da più tempo a Tres Alamos mi assicurarono di
aver visto tra le donne incomunicadas Lumi Videla Moya, il cui cadavere successivamente
fu trovato nei giardini antistanti l’ambasciata d’Italia. Anche
alcuni di questi prigionieri, in modo coraggioso, si offrirono di testimoniare
che Lumi Videla era stata imprigionata a “Tres Alamos”.
La tirrania, come si sa, ha voluto far credere che Lumi Videla, moglie di Sergio
Perez Molina, dirigente del Mir, assassinato anche lui dalla tortura, fosse
morta all’interno dell’ambasciata italiana, dove si trovavano numerosi
cileni.
Altri prigionieri, parlando della “casa del terrore” di Penalolèn
ci informarono che lì si trovavano, tra gli altri il giornalista Hernan
Carrasco, Eva Palominos, Isabella Ortega Fuentes, Wahington Cid, Claudio Silva,
Maria Teresa Bustillos, Monica Hermosilla, Juan Carlos Rodriguez (ingegnere
dell’Università Cattolica), Cecilia Castro, Diana Aaron, Alejandro
Schneider e altri di cui non ricordo il nome. Calcolavano tra le 60 e le 70
persone che sono torturate permanentemente a Penalolen.
Li tengono legati e spesso incatenati mani e piedi; la maggior parte stanno
seduti per tutto il giorno, la notte permettono loro di stendersi, ma tenendoli
sempre legati; li portano tre volte al giorno in bagno, il cibo è appena
sufficiente per non morire di fame.
In questo e in altri casi di tortura il metodo più usato è la
“parilla”, ossia un letto metallico dove mettono nudi i prigionieri.
Inoltre infliggono colpi con scosse elettriche, spesso con l’aiuto di
un medico che indica le parti da colpire; frequentemente vengono rotti i timpani
con i colpi che vengono detti “telefono” (assestati con le palme
delle mani aperte su entrambi le orecchie).
Procurano anche bruciature con il sigaro o con il fuoco e con ferri incandescente.
Molto usata è anche la procedura di tappare il naso e la bocca per far
soffocare il prigioniero e che sembra sia stata la tortura inferta alla compagna
Lumi Videla. Introdurre la testa in un cubo di acqua, violenze ripetute sulle
donne (alla presenza del marito o del compagno), donne violentate da cani, ferri
roventi nella vagina, nell’ano.
Obbligano gruppi di prigionieri a masturbarsi e mettono al centro del gruppo
una o più compagne nude; allo stesso modo usano armi psicologiche. La
più frequente è la minaccia di torturare familiari cari ai prigionieri,
o di violentare la sorella, le madri, le moglie o le fidanzate dei compagni.
Molte compagne vittime di violenza, sono rimaste incinta. Ora, infine, secondo
informazioni ricevute, la Giunta in uno slancio “umanitario” ha
permesso che medici militari facciano abortire le donne in gravidanza. Alcuni
sono torturati in coppia e sottoposti a incredibili vessazioni. Ad esempio Umberto
Edgardo Mewes e la sua compagna Adriana Urrutia Asenjo, tutti e due attualmente
prigionieri a “Tres Alamos” furono torturati insieme. A lei, tra
le altre cose, le passarono con un automezzo sulle gambe.
Lui, un uomo di 55 anni, sofferente di cuore, ebbe diverse crisi cardiache dovute
alle scosse elettriche che subiva durante le torture. Il 16 gennaio 1975, di
buon ora, fui portato dall’edificio dove ero prigioniero a Tres Alamos
e trasportato con un aereo dove incontrai mia moglie e i miei figli. In quel
momento seppi che eravamo diretti a Cuba, paese amico, che aveva concesso generoso
e fraterno esilio a molti cileni. Parlando delle migliaia di prigionieri politici,
uomini e donne, e anche bambini, che oggi soffrono nelle carceri e nei campi
di Concentracion, nelle caserme, nelle accademie di “estudios” militari,
nelle basi aeree e navali, nelle isole inospitali, nei commissariati di polizia,
e nelle maledette “casas del terror”, dove la follia omicida della
Giunta si manifesta in modi danteschi, non posso non ricordare l’indomabile
coraggio, lo spirito unitario, la fortezza morale e la grande dignità
di quelli che furono i miei compagni di prigionia per sedici mesi. Per loro,
cileni e rivoluzionari esemplari, come Laura Allende, Bautista Van Schowen,
Luis Corvalan, Pedro Felipe Ramirez e migliaia di donne e uomini del nostro
popolo, oggi incarcerati dalla tirannia, non c’è solidarietà
maggiore che, insieme a richiedere rispetto per le loro vite e che siano messi
in libertà, portare avanti la lotta popolare contro la criminale dittatura
che l’imperialismo e la grande borghesia hanno portato al potere.
Descrivendo la situazione dei prigionieri, non possiamo non concedere un omaggio
emozionato alla loro ammirevole condotta, che il Cile di domani riconoscerà
e valorizzerà in tutta la sua magnifica grandezza, e che è orgoglio
e patrimonio dei rivoluzionari e di tutto il nostro popolo.
Gli ostaggi possono essere bambini piccoli. Ai genitori mandavano messaggi dicendo
loro che i loro figli sarebbero rimasti prigionieri e che sarebbero stati torturati
o sarebbero stati sottoposti a sevizie sessuali se loro non si fossero presentati
in un determinato posto. Un bambino di quattro anni, Dagoberto Perez Videla,
fu torturato davanti ai suoi genitori, Sergio Perez e Lumi Videla, eroici compagni
che non parlarono e preferirono morire piuttosto che tradire.
Nell’accampamento “Tres Alamos”, quando vi fui imprigionato
c’era un bambino di 13 anni prigioniero, a favore del quale presentai
un ricorso di “habeas corpus” al Comitato pro pace in Cile.
Ci sono famiglie intere divise in diversi campi, caserme e carceri. I compagni
Ayress, socialista, padre di due bambini, per esempio, nel campo Puchuncavi
e a “Tres Alamos”; i fratelli Ruilova , comunisti a “Tres
Alamos” e Ritoque.
Le spose di questi compagni perseguitati sono arrestate e trattenute in carcere
a tempo indefinito. Per esempio, Soledad Jana di 24 anni, a “Tres Alamos”,
moglie di un combattente della resistenza popolare, e i suoi piccoli figli.
Maria Isabella Eyzaguirre, obbligata a cercare asilo nell’ambasciata colombiana,
dopo che sua madre e i fratelli furono arrestati torturati e vessati dagli sbirri
della Dina.
Cristian Castello Echeverria, fratello della compagna Carmen Castello, ferita
gravemente nello scontro in cui fu ucciso il compagno Miguel Enriquez, è
stato arrestato il 3 febbraio di quest’anno, a Santiago e non si conosce
la sua sorte. Le richieste di difesa o “habeas corpus”, davanti
alla corte di appello, risultano infruttuosi a causa della complicità
dei tribunali con la dittatura e con l’ossequio dei giudici ai gorilla.
Questa politica di tenere ostaggi, inclusi i bambini, e anche di torturarli,
è altra pratica della tirannia gorilla. Il caso più conosciuto
è quello della compagna Laura Allende, donna ammirabile e rivoluzionaria,
sulla cui situazione molto pericolosa richiamò l’attenzione il
Mir.
Partito che il 10 settembre 1974, denunciando e ripudiando la manovra del Servizio
di Intelligence delle Forze Armate (Sifa) che, come si sa, pretese isolare il
partito comunista per colpirlo, offrendo garanzie affinchè i dirigenti
del Mir ritornassero dall’esilio, in cambio dell’abbandono delle
armi e della rinuncia a ruolo di conduzione delle masse che abbiamo guadagnato,
insieme agli altri partiti rivoluzionari attraverso la nostra lotta, il sacrificio.
Denunciando e ripudiando questa manovra del Sifa, il nostro partito riportò
l’attenzione del mondo sul pericolo che correvano la compagna Laura Allende,
che con le altre personalità, accettò la rischiosa missione di
chiarire agli ufficiali del Sifa, conosciuti per il sadismo delle torture che
eseguivano nella tetra Accademia dell‘Aeronautica, i termini della inacettabile
proposta.
In effetti la repressione non tardò a farsi sentire.
Laura Allende, madre del segretario generale del Mir, Andres Pascal, rimase
prigioniera a “Tres Alamos” dove ci fu anche fino a poco tempo fa
Gaston Pascal, padre del nostro dirigente in clandestinità. I familiari
della moglie di Andres Pascal, Mary Anna Beausire sono stati perseguitati per
il solo fatto di essere parenti del dirigente del Mir. William Robert Beausire
di 26 anni, fratello della compagna di Andres Pascal, fu arrestato a Montevideo,
Uruguay, e torturato nella casa del terrore di Penalolèn, a Santiago
e fu poi trasferito a “Tres Alamos”. La signora Ines Alonso de Beausire
di 66 anni, madre della compagna di Andres Pascal fu arrestata il 2 novembre
1974 e fu liberata soltanto il 21 di gennaio del 1975, grazie alle pressioni
che aveva esercitato in suo favore l’ambasciata inglese a Santiago.
Un'altra sorella, Juan Francisca Beausire di 29 anni, si nascose dalla polizia
e alla fine ottenne l’asilo dall’ambasciata italiana, con la piccola
figlia di Andres Pascal, Francisca Pascal Beausire di due anni, ricercata anche
lei.
La repressione toccò a tutti i livelli il nostro popolo; per esempio
a proposito dell’arresto della signora Ines Alonso, madre della compagna
di Andres Pascal, gli agenti della Dina arrestarono anche Luis Opporto Trucco,
del quale la signora Alonso era segretaria in un ufficio di pubblicità
di Santino, e che nulla ha a che vedere con il nostro dirigente. Una donna che
si trovava con la signora Alonso, donna Silvia Erlwein de Hunneus, fu anche
lei arrestata, e rimase a Tres Alamos quasi due mesi, per il solo fatto di visitare
una sua amica al momento dell’arresto. Un altro caso è quello di
Jorge Monte, dirigente comunista, attualmente in prigione, la cui moglie e figli
furono arrestati e torturati. La compagna di Montes fu arrestata e condotta
a Tres Alamos.
Gli ostaggi, in particolare donne e bambini, e i prigionieri la cui esistenza
la dittatura nega di ammettere con l’evidente proposito di assassinarli
in qualsiasi momento, costituiscono il fulcro della nostra preoccupazione.
Il nostro compagno Bautista Van Schowen, membro della commissione politica del
Mir, e altri dirigenti come Roberto Moreno, Arturo Villavela, Luis Reamal, Riccardo
Ruz, Victor Toro etc, sono prigionieri e sono stati barbaramente torturati.
Ma la tirannia fino ad ora non ha riconosciuto che sono in loro potere, e lo
stesso succede con centinaia di militanti della resistenza popolare.
Ben conosciuto è il caso del nostro compagno Bautista Van Schowen, medico
di 31 anni, dirigente rivoluzionario di conosciuta e brillante fama. Van Schowen
fu arrestato il 14 settembre 1973. Gli sbirri della tirannia hanno fatto il
possibile per impedire che si sapesse come stava e il luogo dove si trovava.
Tuttavia, a gennaio del 1974 la generosa e infinita solidarietà con cui
il popolo circonda i combattenti della resistenza, permise al nostro partito
di ottenere l’accesso all’ospedale militare di Santiago. Nonostante
la gravità delle lesioni che gli provocarono, tra le altre cose la paralisi
parziale delle gambe, Bautista Van Schowen continuava ad essere torturato. Il
sadismo della dittatura gorilla raggiunse, in questo caso, livelli incredibili.
Come si ricorderà, attraverso la testimonianza di una valorosa infermiera
dell’ospedale militare, l’opinione pubblica seppe che Bautista Van
Schowen, eroe del nostro popolo, continuava ad essere torturato in quel centro
ospedaliero.
Queste rivelazioni frutto del nostro lavoro clandestino e dell’appoggio
popolare che ci circonda, provocò un ondata di indignazione e di proteste
internazionali. Questo si manifestò in manifestazioni di solidarietà
che ricevono la nostra gratitudine.
Oggi possiamo informare questa commissione investigativa, e attraverso di essa
il mondo che, grazie alle valorose attività di un marinaio, patriota
e rivoluzionario, legato al nostro lavoro politico all’interno delle forze
armate, disponiamo di una testimonianza inconfutabile del domicilio e della
situazione in cui si trova Bautista Van Schowen. In effetti, vogliamo mettere
a vostra disposizione, nella speranza che muovano manifestazioni di solidarietà,
una foto di Bautista Van Schowen. Fu scattata all’interno dell’ospedale
navale di Valparaiso, l’8 febbraio scorso. Questa fotografia fu ottenuta
in condizioni difficili, poiché la presenza del compagno Van Schowen
nell’ospedale di Valparaiso era un segreto militare, che si circondava
delle più severe misure di sicurezza. In quell’ospedale sono portati,
segretamente, i compagni torturati al forte “Silva Palma”, sede
della fanteria della marina di Valparaiso, il principale porto cileno.
La fotografia che oggi portiamo alla Vostra conoscenza, ci permette di affermare
che Bautista Van Schowen è vivo e che la pressione internazionale potrà
ottenere che la giunta militare permetta che lo visitino testimoni. Van Schowen,
eroico e fermo, continua a non rilasciare dichiarazioni che cercano di estorcergli
con la tortura.
Il nostro compagno marinaio che cercò di rompere attraverso questa foto
il segreto che circonda la presenza di Van Schowen nell’ospedale navale
di Valparaiso potè copiare, inoltre, il foglio giornaliero del paziente,
documento interno di quell’ospedale datato 5 febbraio 1975. Le annotazioni
a questo documento sono fatte a mano da un medico, il cui nome non lo conosciamo
perchè la firma e le iniziali sono illeggibili. Ma i sintomi che lì
si registrano, indicano che Bautista Van Schowen è in condizioni che
permetteranno, se questa commissione investigativa mobiliterà la solidarietà,
di chiedere che il prigioniero sia portato davanti ad una commissione internazionale
di medici, alla delegazione in Cile della Croce rossa internazionale o che,
in ogni caso, Van Schowen riceva il trattamento di altri prigionieri, permettendo
di prendere contatto con i suoi parenti o con un’avvocato.
La cartella clinica dell’ospedale navale a cui mi riferisco dice testualmente:
“Infermo sonnolento, non coopera, risponde con monosillabi. Le contusioni,
gli ematomi e le escoriazioni negli arti stanno migliorando. Lo stesso dicasi
per l’avambraccio sinistro. Gli ematomi sull’addome e la spalla
si stanno riassorbendo. La contusione della spalla destra continua.
Reagisce in maniera insufficiente agli stimoli dolorosi agli arti inferiori.
La mobilità passiva dimostra ipotonia. Riflessi diminuiti. Si richiedono
radiografia torace e della colonna dorsale e lombare.”
Crediamo fermamente che lo stato descritto di Batista Van Schowen, dirigente
rivoluzionario, giovane medico e esperto quadro della resistenza popolare cilena,
permette di dedurre che il nostro compagno è sottoposto nuovamente a
torture. Ma che, sebbene così, ha recuperato abbastanza in relazione
allo stato che mostrava fino a poco più di una anno fa, quando potemmo
informare per la prima volta sulla situazione.
Sollecitiamo, signori membri della commissione investigativa dei crimini della
giunta “gorilla”, i governi, i partiti popolari e le organizzazioni
di massa di tutti i paesi, i medici rivoluzionari e democratici, colleghi del
Dottor Van Schowen, tutta l’umanità che ripudia la giunta militare,
che richiedano la fine immediata delle torture del nostro compagno che si garantisca
la sua vita dopo tanti mesi di orrore.
Signori, il mondo capisce già perché la resistenza popolare del
mio paese, costruita passo dopo passo dopo la sanguinosa sconfitta che subì
il popolo l’11 settembre del 73, non è finita ma lotterà
con tutte le sue forze, in ogni forma e modo per raggiungere l’obiettivo
della caduta della tirannia e impedire che mai più la nostra patria torni
a soffrire questo orrore.
Noi, in nome del Mir e di tutto il popolo cileno, accusiamo l’imperialismo
nordamericano di organizzare, consigliare e finanziare la mostruosa repressione
che sta devastando il Cile.
Sosteniamo qui, e lo possiamo provare, che la Dina, costituita alla fine del
‘73 per perseguire e annichilire le organizzazioni popolari e rivoluzionarie,
corrisponde ad un disegno repressivo yankee attuato anche in altri paesi, come
Brasile e Uruguay. Le caratteristiche e i livelli che raggiunse la repressione
furono preparati prima dell’11 settembre. Gli istruttori della Dina furono
istruiti a Miami (Usa) tra il luglio e l’ottobre del 73. Oggi conta, inoltre
un gruppo di consiglieri che unisce specialisti statunitensi e brasiliani e
anche alcuni ex nazisti, esperti in torture e interrogatori.
Gli sbirri della Dina che dispongono di più di 500 membri e quasi 1300
collaboratori sono stati reclutati nel sottoproletariato e tra i militanti di
organizzazioni fasciste come il Partito Nazionale “Patria e Libertà”
e una piccola parte della Democrazia Cristiana. Inoltre nell’ultimo periodo
il corpo dei carabinieri, che era relativamente indipendente, è passato
alle dipendenze della Dina per diverse operazioni. Il sistema che usa la Dina
per pattugliare la città alla caccia di membri della resistenza, corrisponde
ad un metodo ampiamente usato dalla repressione in Brasile, e che sono stati
introdotti nella Dina dai consiglieri brasiliani che stanno lavorando in Cile.
Dispongono di una ampia rete di delatori pagati nelle industrie, hotel, bar,
università, negozi, cinema, taxis, etc. …….. Le case del
terrore o “vendas”, come le chiama la Dina, sono distribuite in
tutta la città, lì si tortura e si interrogano i prigionieri che
rimangono incappucciati e ammanettati in modo permanente. Molti di loro sono
inviati successivamente al Centro nazionale di tortura a Tejas Verdes, località
situata vicino al porto di San Antonio, e che appartiene ad un reggimento di
ingegneri militari.
E’ opportuno che il mondo conosca le caratteristiche di questo organismo
che dipende direttamente dal generale delle forze aeree e membro della giunta
militare, Gustavo Leigh Guzman, incaricato della sicurezza dello Stato.
Per ora ci limitiamo a sottolineare in modo preciso e netto che la responsabilità
dell’imperialismo yankee nella tragedia che si è abbattuta sulla
nostra patria; responsabilità che non si è limitata alle operazioni
del pentagono e della Cia nel periodo precedente al golpe e nella sua esecuzione
materiale. La responsabilità imperialista, per cui devono pagare i propri
agenti e aguzzini, e le sue imprese e interessi in Cile, continua nel presente
con una repressione generalizzata che ruba, uccide, tortura, umilia, e colpisce
migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini cileni che fomentano un odio incolmabile
contro la giunta militare, i suoi sbirri e i suoi consiglieri stranieri.
Credo che sia importante per la causa del popolo cileno, che oggi lotta contro
un abominevole tirannia, il successo della commissione investigativa internazionale.
Per tutti noi, coloro che sono passati nelle carceri e nei campi di concentracion
della dittatura gorilla, è un dovere portare davanti agli organismi come
questa commissione le nostre esperienze e i precedenti che possono contribuire
a mostrare in forma inconfutabile tutto l’orrore e la tragedia che soffre
il nostro paese.
Non possiamo accettare poi il ricatto dei gorilla che pretendono il nostro silenzio
all’esterno, in cambio di un po’ di rispetto per i familiari innocenti,
amici e compagni che sono rimasti nel paese. Io so, sono sicuro, che tutti quelli
che soffrono il regime di terrore, di fame e di miseria che si è installato
in Cile amano la loro patria sopra tutte le cose e anelano a vederla libera.
Il nostro popolo vuole che l’isolamento e il ripudio più assoluto
cada sulla giunta militare. Comprendete che lo screditamento della dittatura
militare renderà relativamente più facile il combattimento che
sta conducendo contro i gorilla. Questa battaglia -che riveste mille forme-
culminerà necessariamente con la vittoria e con il castigo implacabile
degli assassini, torturatori, violentatori e delatori, ossia del gruppo che
illegittimamente e arbitrariamente governa il mio paese contro la volontà
di tutto il popolo. La solidarietà mondiale con il Cile non ha paragoni,
e, lontano dallo scemare, aumenta ogni giorno.
L’umanità deve aver coscienza che l’imperialismo non ha abbandonato
i militari che installò in Cile. Sebbene evita di apparire al suo fianco
e prova vergogna per il primitivismo e l’orribile sadismo dei suoi uomini
di paglia, cerca molteplici e segreti canali per aiutarli.
La solidarietà di cui abbiamo oggi bisogno dovrebbe pertanto scoprire
e neutralizzare gli aiuti politici, finanziari e in armi che l’imperialismo
sta inviando segretamente alla Giunta.
Siamo pienamente consapevoli che, in definitiva, sarà la nostra stessa
lotta quella che sconfiggerà la dittatura gorilla. Il popolo della mia
patria conosce quale è il suo dovere e non rinuncerà. La nostra
classe operaia , vittima principale dell’odio insano della tirannia, i
nostri giovani e le donne, che oggi soffrono la repressione, la fame e lo sfruttamento
a cui li sottopone l’imperialismo e la grande borghesia attraverso l’esercito
di occupazione, è gia in lotta.