Protesta
dei minatori di Escondida
In
agitazione da due settimane, ieri hanno votato lo sciopero ad oltranza dopo
il fallimento della mediazione del governo cileno. Di Omero Ciai.
Fonte: www.repubblica.it (22 agosto 2006). Reds - Settembre 2006
Sono
i minatori di Che Guevara, quelli del deserto dell'Atacama, nel nord del Cile,
che lui e Granado attraversarono a piedi nel marzo del 1952 curiosi di osservare
le condizioni di vita in una delle regioni più povere, aride ed inospitali
del pianeta. In agitazione da due settimane, ieri hanno votato lo sciopero ad
oltranza dopo il fallimento della mediazione del governo cileno.
Escondida ("nascosta" in spagnolo), è la più grande
miniera di rame del mondo. Il metallo rosso indispensabile per l'industria,
dall'automobile all'elettronica che, trascinato dal boom economico cinese, ha
quintuplicato il suo costo e il suo valore negli ultimi tre anni.
A Escondida, duemila operai ne estraggono dalla terra 3.600 tonnellate al giorno,
1,3 milioni di tonnellate all'anno. E, mentre sul mercato di Londra, il prezzo
dei filamenti rossicci vola oltre i 3,5 dollari alla libbra (ieri ha chiuso
con un nuovo aumento dello 0,6 percento), la più importante miniera del
mondo è ferma. Produzione zero.
Il conflitto è iniziato il 6 agosto quando i minatori del deserto hanno
respinto l'ultima proposta di conguaglio salariare dell'azienda. Escondida è
una miniera privata ed appartiene ad un consorzio del quale fanno parte la multinazionale
anglo-australiana Bhp Billiton e la corporation giapponese Mitsubishi. L'anno
scorso ha dichiarato un utile netto molto prossimo ai due miliardi di dollari
diventando, sul fronte dei guadagni, il primo gruppo industriale cileno. Così,
scaduto il contratto (nel settore minerario i convegni si rinnovano ogni tre
anni), il sindacato del rame ha chiesto un consistente aumento dei salari, il
13 percento, e un bonus una-tantum di 30 mila dollari per ogni minatore. "Una
parte della torta tocca anche a noi", è stato il grido di guerra
di Pedro Marin, il combattivo leader del sindacato.
Bhp ha risposto proponendo un aumento molto inferiore, il 3 massimo il 4 per
cento, e dimezzando l'entità del premio: quindicimila dollari.
Lo sciopero è partito subito dopo e, nel giro di pochi giorni, la produzione
della miniera s'è ridotta prima al 60 percento, poi al 40 e, infine,
dopo la prima settimana di proteste, a meno del 10 per cento.
A quel punto l'impresa ha giocato la carta della sostituzione dei minatori in
sciopero chiamando al lavoro un altro gruppo di un migliaio di operai a giornata.
Ma il sindacato ha reagito con l'occupazione degli impianti e i blocchi lungo
la strada che porta alla miniera.
L'intervento dei carabineros, la polizia militare cilena, ha fatto esplodere
la situazione trasformando l'accesso alle gallerie in un campo di battaglia.
Una giornata di scontri conclusasi, a metà della settimana scorsa, con
la chiusura della miniera, la rottura delle trattative sindacali e la minaccia
di una dichiarazione di fallimento da parte del consorzio di proprietari.
L'intervento del governo cileno ha riaperto le scommesse convincendo la Bhp
a riprendere le trattative scongiurando la serrata. Ma, come dimostra l'ultimo
rifiuto dei minatori, le posizioni sono ancora lontanissime. Tanto lontane che,
da ieri, Pedro Marin ha dichiarato lo sciopero a oltranza.
In realtà, sullo sfondo della dura vertenza di Escondida, c'è
in gioco una prospettiva sindacale molto più ampia. Il sindacato centrale,
la Cut, ha garantito ai minatori in lotta un vasto movimento di solidarietà
anche concreto, un assegno di duemila dollari ad ogni famiglia per il primo
mese di sciopero, e la promessa che, comunque vada, si farà carico del
loro futuro.
L'obiettivo, sul quale Arturo Martinez, il presidente della Cut è stato
molto chiaro, è quello di costringere
Michelle Bachelet e il suo governo socialista, a rimettere in discussione -
come ha fatto Morales in Bolivia - la proprietà e lo sfruttamento delle
materie prime. Dunque prima fra tutte il rame di cui il Cile è il più
grande produttore mondiale. "Noi vogliamo - ha detto Martinez - che i lavoratori
guadagnino meglio e che spendano in Cile, non che le grandi multinazionali portino
fuori dal paese i loro miliardari guadagni. Il rame è nostro e i signori
australiani (la Bhp) devono sapere che il sindacato cileno scommette fino in
fondo sulla vittoria di questo sciopero".
Nazionalizzare, riprendere il controllo totale sulla maggior fonte di guadagno
del paese (solo Escondida vale il 2,5% del Pil cileno) per evitare che della
straordinaria bonaccia delle materie prime approfittino soltanto le imprese
multinazionali.
Così mentre la Bhp difende la sua proposta di accordo al ribasso sottolineando
che quello in corso è soltanto un aumento passeggero per quanto molto
consistente del valore del rame, l'obiettivo del sindacato è quello di
fare con il giacimento di Escondida quello che Allende nel 1971 fece con la
miniera di Chuquicatama (quella visitata nel '52 da Guevara e Granado) togliendola
con decreto di nazionalizzazione alla multinazionale Usa dei fratelli Guggenheim
e consegnandola alla Codelco, l'impresa di Stato cilena.
Il giacimento di Escondida venne individuato da un gruppo di geologi nel deserto
di Atacama il 14 marzo
del 1981. Il nome, "nascosta", sorse spontaneo perché in quell'area,
tra Chuquicatama e Potrerillos, 1400 km a nord della capitale cilena, da anni
si cercavano senza successo nuovi giacimenti di rame. Passata l'epoca delle
nazionalizzazioni, in piena dittatura di Pinochet, lo sfruttamento della miniera
venne consegnato con una gara d'appalto ai consorzi stranieri. L'ultimo dei
quali è l'anglo australiano Bhp. La società multinazionale paga
royalties irrisorie allo stato cileno, non essendoci stata alcuna rinegoziazione
in tempi recenti. Anche da qui la pressione dei sindacati per la nazionalizzazione.
La maggior parte dei minatori di oggi in Cile sono aristocrazia operaia molto
lontani da quelli che incontrò Che Guevara. Guadagnano in media fra i
2300 e i 2800 dollari al mese, hanno garanzie e diritti. Ma, vincano o perdano,
questa battaglia per un salario adeguato agli utili della compagnia, hanno per
la prima volta messo al centro del conflitto, anche in Cile, quel vento di rivolta
che scuote tutto il sub continente dopo cinque secoli di spoliazioni dall'oro
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