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uomini sotto terra: una fatalità?
Ciò che guida la Compania Minera San Esteban a portare
avanti operazioni spregiudicate, a rischio della vita, è l’avidità
per il rame. Gli incidenti in miniera accadono talvolta per fatalità.
Ma il rischio non è ovunque lo stesso. Reds –Settembre 2010
I ladruncoli che rubano il rame dalle linee ferroviarie rischiano la propria
vita; la compagnia San Esteban, guidata in Cile dagli imprenditori Alejandro
Bohn e Marcelo Kemeny, in nome del profitto, mettono in repentaglio la vita
dei minatori, dimenticando anche le più elemantari norme di sicurezza.
Gli incidenti in miniera accadono talvolta per fatalità. Ma il rischio
non è ovunque lo stesso.
In Cile – paese in cui l’economia è sostenuta in gran parte
dall’industria mineraria e in particolare da quella del rame, di cui è
il primo produttore mondiale – in quanto a sicurezza non gode di una cattiva
fama: il tasso di mortalità nelle sue miniere è paragonabile a
quello degli Stati Uniti. Anzi nel 2008 era stato addirittura inferiore: 43
vittime contro 53.
Nel paese sudamericano la normativa sulla sicurezza è adeguata, assicurano
gli esperti. Il problema è che ad applicarla – e a dotarsi delle
più moderne tecnologie estrattive – sono soltanto le società
più grandi, che operano sotto lo sguardo attento degli investitori, del
governo e dei potenti sindacati del settore. Che invece non vogliono –
o in qualche caso forse non possono – controllare le migliaia di compagnie
minerarie, talvolta piccolissime, che spuntano come funghi proprio nei periodi
di maggiore appetibilità delle quotazioni del rame, per poi magari chiudere
i battenti quando queste tornano a scendere, cancellando la difficile redditività
di miniere vecchissime, a tratti abbandonate, in cui occorre scavare sempre
più a fondo per inseguire le vene residue di metallo.
La miniera San Josè non è piccolissima. Di certo è vecchia
– la sua scoperta risale a 129 anni fa – e insicura. Ma racchiude
rame, un metallo il cui prezzo è risalito ai massimi da 4 mesi e che
è uno dei cavalli di battaglia preferiti dai fondi di investimento, convinti
che abbia eccezionali prospettive di ulteriori rialzi. Esperti del settore affermano
che il prossimo anno la domanda di rame supererà l’offerta.
È questo il contesto in cui si è prodotta la tragedia della miniera
San José, quella de Los 33, i sepolti vivi che attendono d'esser tirati
fuori. Sono lì dentro dal 5 agosto scorso, il giorno del cedimento, quando
una blocco di roccia di 700mila tonnellate, qualcosa di simile a un palazzo
di quattro piani, è crollato e ha ostruito la risalita dei minatori.
Non si tratta quindi di una fatalità, o di un incidente imprevedibile.
Proprio no. Oltre alle questioni sopra descritte e che sono tutte dentro la
logica del capitale, ci sono almeno cinque fattori che avrebbero dovuto imporre
la chiusura della miniera, ben prima di quel maledetto pomeriggio d'agosto.
Le uscite di emergenza
Oltre ai tunnel, le miniere dovrebbero prevedere l'installazione di uscite di
emergenza. In questo caso, qui alla miniera di San José, si è
parlato di scale montate lungo i fori che garantiscono l'areazione. La miniera
di San José non le aveva o almeno non dappertutto. Avrebbero dovuto esser
costruite da E-minning Operations, cui i proprietari, la famiglia Bohn, avevano
delegato la gestione operativa della miniera.
Il responsabile della sicurezza del giacimento, Vincenot Tobar, che ha lasciato
San José nel 2009, ha dichiarato che i Bohn non ne volevano sapere di
applicare i protocolli internazionali.
Le fortificazioni del tetto
Chi lavorava a San José, boca mina, ovvero dentro, sapeva da tempo che
all'apertura della nuova vena non erano seguiti i lavori di fortificazione sul
tetto della miniera. In altre parole, un nuovo fronte minerario provoca una
maggiore debolezza delle pareti e del tetto che devono essere rinforzati. Ma
questo non era avvenuto.
Le norme di sicurezza
I problemi strutturali della miniera, che solitamente pesano in una percentuale
vicina al 10% sul rischio di collasso della struttura, nel caso di San José
superavano il 60 per cento. Nel 2007 morì un topografo, Manuel Villagran:
venne schiacciato dalla caduta di una roccia all'interno del giacimento. In
quel momento la miniera venne chiusa. Un geologo, Anton Hraste, direttore generale
di Sernageomin, ha spiegato che «in precedenza le norme di sicurezza venivano
rispettate, la tecnologia era adeguata. Ora (ed era il nel 2007, ndr) non più
e quindi è necessario chiudere la miniera».
Le tangenti
Perché un anno dopo è stata riaperta, quindi? L'imputazione di
omicidio colposo è stata superata, in fase giudiziaria, con un indennizzo
di 180mila dollari alla famiglia del topografo. Tuttavia, secondo gli avvocati
de Los 33, ciò non spiega perché la miniera sia stata riaperta
nel 2008. I responsabili tecnici, Antonio Vio, direttore del giacimento, e il
suo vice, Patricio Leiva, si palleggiano le responsabilità ma non è
chiaro se l'autorizzazione finale alla riapertura sia stata ottenuta con il
pagamento di una tangente ai responsabili del ministero.
La riapertura
Resta poi un grande punto interrogativo: anche qualora fosse stata pagata una
tangente - si chiede ora il ministro delle Miniere, Laurence Golborne - «perché
prima della riapertura non è stata costruita la scala di risalita?».
Era questa infatti la condizione tecnica per riprendere le attività.
I proprietari, la famiglia Bohn
Gli imprenditori minerari, a queste latitudini, sono figure onorevoli e rispettate.
Prima di tutto dai minatori che conoscono il rischio d'impresa e il pericolo
che le quotazioni del rame possano crollare.
La famiglia Bohn non godeva però di nessuna fiducia, qui nella Tercera
Region, nel nord del Cile. Alejandro Bohn, proprietario della miniera San José,
vantava un passato professionale in una multinazionale che nulla aveva a che
fare con il settore minerario. Quando assunse la direzione della miniera, nel
2004, volle accelerare fin da subito i margini di produttività, senza
aumentare i margini di sicurezza. L'altro socio, Marcelo Kemeny, figlio di Jorge
Kemeny, un vecchio imprenditore minerario molto rispettato, conosceva bene questa
realtà ma venne messo ai margini della società.
Un'altra conferma della cattiva gestione dei Bohn arriva dalla posizione finanziaria
dell'impresa, in particolare dall'insolvenza nei confronti dei fornitori e dall'evasione
fiscale registrata negli ultimi anni.