COSA STA ACCADENDO
IN MACEDONIA?
UNA
SINTESI DELLA QUESTIONE MACEDONE ALLA LUCE DEGLI SCONTRI DEL MARZO
2001
aprile 2001, REDS
In Macedonia guerriglieri albanesi-macedoni hanno occupato alcuni villaggi ai confini con il Kosova e la Serbia, e poi le montagne intorno a Tetovo. Tutti territori abitati da albanesi di Macedonia. L'esercito macedone ha sferrato un'offensiva per costringerli al ritiro. La crisi scoppiata ricorda terribilmente da vicino l'inizio di altre guerre che hanno insanguinato i Balcani. Con la significativa differenza che la gran parte degli esperti e del grande pubblico sembra già aver individuato il colpevole: gli albanesi. In questo articolo esamineremo tutti i fattori della crisi senza dare nulla per scontato. Ma anticipiamo che questa analisi ci porterà a identificare ben altri colpevoli.
Macedonia, nazione perdente
Quella della Macedonia è la storia di una nazione oppressa, una nazione "perdente", il cui territorio è stato più volte spartito, la cui popolazione è stata sottoposta a forti processi di assimilazione forzata. Tuttora in Grecia vi è una minoranza macedone (residuo di quella ben più numerosa presente in quel territorio sino all'inizio del secolo scorso) della cui entità nessuno sa dare valutazioni precise (si parla di 200.000 individui), dato che lo stato greco non la riconosce, considerando "macedoni" gli abitanti grecofoni dell'omonima regione (Dytiki Makedonia). A causa della pressione della Grecia, paese piccolo ma imperialista, membro della NATO e dell'UE, l'ONU nel 1993 ha riconosciuto la Macedonia solo con il nome di FYRoM (Former Yugoslav Republic of Macedonia) poiché il nome vero poteva far sorgererivendicazioni irredentiste nell'omonima regione greca.
Fig.1 La Valle del Presevo e alcune città della Macedonia teatro degli scontriLa nazione macedone ha molte comunanze con la nazione bulgara, specie per quanto riguarda la lingua. Sia il bulgaro che il macedone dal punto di vista linguistico fanno parte insieme a serbi, croati, sloveni della famiglia degli "slavi del sud".
Sino alle guerre balcaniche (1912-1913) la Macedonia, come il resto dei Balcani meridionali, era parte dell'Impero Ottomano. Dopo la rivolta autonomista del 1903 costata ai macedoni una sanguinaria repressione da parte ottomana, si sviluppò una guerriglia molto radicata ed efficace che mirava all'indipendenza. Le guerre balcaniche videro la spartizione del territorio abitato da macedoni tra Serbia e Grecia (e un pezzetto alla Bulgaria). Ognuno dei due stati, sino ai tempi nostri, ha sempre considerato una fetta della Macedonia (il sud per la Grecia e il nord per la Serbia) come parte del proprio territorio "storico". E ciò in barba al fatto che le persone che su quella terra ci vivevano non volessero avere nulla a che fare coi due pretendenti. Di fatto la Macedonia del sud è tuttora integrata alla Grecia che ne ha assimilato brutalmente la popolazione (Salonicco ad esempio era a maggioranza macedone) così da confinare la Macedonia realmente esistente all'alta valle del Vardar, all'interno. Il resto della terra abitata da macedoni fu integrata alla prima Jugoslavia (quella monarchica tra le due guerre mondiali), dove il macedone non venne mai riconosciuto nella sua specificità, e quindi integrata come repubblica autonoma, dopo la seconda guerra mondiale, alla Jugoslavia titina. Negli intermezzi (durante la prima e la seconda guerra mondiale) la Bulgaria ne approfittò per invaderla e tentare una rapida e brutale assimilazione della popolazione (tuttora la Bulgaria considera il macedone un "dialetto"). Sotto il regime di Tito, la Macedonia godette di una certa autonomia culturale, sorsero università in lingua, venne incoraggiato l'uso del macedone, ecc. Con la disgregazione della Jugoslavia, la Macedonia proclamò l'indipendenza nel 1991, confermata da un referendum. Le truppe di Milosevic furono per un po' indecise se aprire un secondo fronte al sud oltre a quello di Croazia e di Bosnia, e alla fine desistettero, andandosene l'anno seguente.
La minoranza degli albanesi di Macedonia
Come accade spesso nella storia, un popolo oppresso dal punto di vista etnico non per questo è immune a sua volta dall'oppressione verso terzi. E' il caso dei macedoni e della dura discriminazione cui sottopongono la minoranza albanese.
In Macedonia (Paese di 1.945.000 abitanti) vivono, oltre ai macedoni, anche altre minoranze etniche. Tra queste i turchi (4%), i rom (2,2%), i serbi (2,1%), ecc. Gli albanesi, secondo il censimento del 1994, costituiscono il 22,8% della popolazione di Macedonia. Questa percentuale è, secondo gli albanesi, largamente sottostimata: ritengono che il censimento sia stato gestito dai macedoni in modo da ridurre la consistenza della loro nazionalità attraverso un formulario scritto in macedone, e senza che siano stati registrati tutti gli albanesi. Ad esempio gli abitanti del villaggio di Tanusevci, oggi famoso perché ha costituito il primo teatro delle operazioni dell'UCK macedone, erano tutti senza cittadinanza. Vi sono alcuni quartieri derelitti di Skopje dove la popolazione albanese non è registrata (per non alterare gli "equilibri etnici" ) e dunque vive come vivevano gli ebrei nelle città degli zar: di piccolo commercio, dato che senza documenti non possono aspirare ad altro. In effetti è difficile trovare oggi un mezzo di informazione (in larga parte schierati contro le rivendicazioni degli albanesi) che non parlino di "un terzo" della popolazione di lingua albanese.
Gli albanesi occupano la fascia di territorio a ovest, contigua con l'Albania e a nord a ridosso del Kosova e della Valle del Presevo. La ragione della contiguità di questi territori con regioni abitate da altri albanesi è ovvia. La nazione albanese è separata da confini arbitrari stabiliti dai potenti e che suddividono un popolamento largamente omogeneo e contiguo in cinque diverse entità statali o semistatali: Albania, Serbia, Macedonia, Kosova, Montenegro. Anche quella albanese è dunque una nazione storicamente oppressa, nel senso che, come nel caso di quella macedone, non le è stata data l'opportunità riservata alle moderne nazioni europee: unificarsi in un'unica entità statale.
Gli albanesi di Macedonia soffrono di una pesante discriminazione etnica. Le percentuali di disoccupazione e sottoccupazione sono superiori tra gli albanesi che tra i macedoni. La percentuale di occupazione da parte albanese di posti di responsabilità nella pubblica amministrazione non supera il 5% a fronte di una percentuale della nazionalità albanese sul totale della popolazione come minimo cinque volte superiore. Gli alti gradi dell'esercito e della polizia sono ricoperti da macedoni. La TV statale e' in mano macedone e diffonde una immagine ritenuta offensiva della popolazione albanese (dipinta come dedita a traffici, arretrata culturalmente, ecc.). L'albanese non e' considerata lingua ufficiale. Non esiste una università albanese. Per questo gli albanesi ne hanno autofinanziata una, a Tetovo, la città più popolosa a maggioranza albanese, ma il governo, dopo aver tentato più volte di spazzarla via con la violenza, la considera illegale.
Fig.2 L'area di popolamento maggioritario albanese secondo il censimento del 1991.
Quando si tentò di istituire corsi di albanese nell'università di Skopje ci fu una vera e propria rivolta degli studenti macedoni.
Gli albanesi di Macedonia hanno da sempre rivendicato una propria autonomia. La repressione delle loro rivendicazioni fu costante da parte del regime titino in maniera parallela a quanto avveniva nel Kosova, sino agli anni sessanta. Poi dopo un periodo di distensione riprese, come in Kosova, negli anni settanta e soprattuto, poi, con l'ascesa di Milosevic. Gli albanesi si astennero dal processo che portò alla separazione della Macedonia dalla Jugoslavia e realizzarono nel 1992 un referendum per l'autonomia. Creazioni di associazioni, manifestazioni, scontri con la polizia hanno caratterizzato tutti gli anni novanta con la richiesta di maggiori diritti, continuamente negati dai partiti espressione della maggioranza macedone. Le ultime manifestazioni di massa, ignorate da gran parte dei media occidentali, si sono svolte tra febbraio e marzo coinvolgendo decine di migliaia di albanesi di Macedonia.
L'espressione politica che dopo l'indipendenza la popolazione albanese si è data, è stata quella del PPD (Partito per la Prosperità Democratica). Questo partito ha tenuto sempre una politica estremamente moderata e di collaborazionismo coi vertici politici macedoni e per questo ben presto ha visto la scissione di un'ala più radicale: il PDA (Partito Democratico degli Albanesi). Quest'ultimo si è adeguato rapidamente ai costumi politici del primo: oggi si trova nella coalizione di governo senza riuscire ad ottenere alcuna seria riforma a favore degli albanesi, e preoccupato solo di curarsi i vantaggi derivanti dall'occupazione di posti di potere. Così a marzo viene fondato il PDN (Partito Democratico Nazionale) che si è dichiarato a favore dell'autonomia amministrativa dei territori albanesi. Nel febbraio 2001 poi ha fatto la sua prima apparizione operativa l'UCK (l'acronimo è lo stesso dell'UCK kosovaro, ma in quello macedone la "K" sta per "nazionale"), quando ha occupato Tanusevci e quindi le colline intorno a Tetovo. L'UCK chiede la federalizzazione dello stato, e che la nazione albanese sia considerata "costituente" dello stato macedone. Mentre inizialmente i mass media parlavano di infiltrazioni di albanesi kosovari, oggi non vi è più nessuno, a parte a fasi alterne il governo macedone, che non ammetta che si tratta di albanesi di Macedonia.
Gli imperialismi e la crisi macedone
La Macedonia é sempre stata considerata un'area a rischio a causa del suo equilibrio demografico. E dunque i vari imperialismi, specie quello USA, non hanno mai lesinato mezzi per assicurare la stabilità di quello stato, che in ultima analisi però, ha significato la continuazione sotto protezione internazionale della discriminazione della minoranza albanese, verso la quale gli USA non hanno mostrato mai nessuna seria obiezione. All'inizio del 1993 su mandato ONU è stata schierata ai confini con Serbia e Kosova una forza di prevenzione internazionale, rafforzata poi dall'arrivo di truppe USA. Durante la guerra del Kosova lo stato macedone ha ospitato in pessime condizioni tra i 300.000 e i 400.000 profughi kosovari, protestando a varie riprese, ma comunque nel quadro di una complicità complessiva con la guerra della NATO, organizzazione della quale vuol divenire membro. Nel corso del 1999 i soldati NATO raggiungevano le 12.000 unità; poi rapidamente diminuite dopo la fine della guerra.
Al momento dello scoppio della crisi, la NATO ha prima chiamato alla calma, poi è passata alle minacce verso gli albanesi, quindi è passata ai fatti. Robertson, segretario della NATO, ha rilasciato una gran quantità di dichiarazioni del tipo: "Dobbiamo continuare a isolare e controllare gli estremisti albanesi che fomentano la violenza in Macedonia. Non bisogna permettere loro di destabilizzare un Paese che è dimostra alla regione che comunità etniche diverse possono vivere fianco a fianco senza paura e senza violenza. Questo è il motivo per cui venimmo a difendere la comunità albanese del Kosovo. In difesa dello stesso principio ci opponiamo a tutti i tentativi di destabilizzazione dell'ex repubblica jugoslava di Macedonia" (CNN 26 marzo). "Siamo determinati e fermeremo questo piccolo gruppo di estremisti" (CNN 19 marzo). Solana, responsabile UE per la sicurezza in visita a Skopje, ha dichiarato che ai "ribelli" si doveva applicare la stessa strategia che in Spagna è riservata all'ETA: totale rifiuto di trattative politiche. La NATO ha deciso di consentire alle truppe e alla polizia serba di accedere di nuovo alla fascia smilitarizzata (cinque chilometri di ampiezza), proprio a ridosso del confine macedone. Il 21 marzo anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità una risoluzione di condanna degli "estremisti albanesi" ai quali ha ingiunto di deporre le armi, dando mandato alla NATO di bloccarne i rifornimenti.
Non da meno le dichiarazioni del ministro degli esteri Dini che ha apostrofato i guerriglieri di "terroristi", accompagnato in questo dall'opinione unanime di tutta la stampa italiana. Quella centrista chiama apertamente con toni razzisti all'intervento armato da parte dell'Italia (L'editoriale di Franco Venturini del 23 marzo: "gli albanesi hanno scelto la debole Macedonia per lanciare una sfida che supera di molto i suoi confini. L'Occidente deve trovare il coraggio di raccoglierla oggi che può ancora farlo"), quella di sinistra lo fa in maniera indiretta, criticando l'Occidente e la NATO per la sua "inerzia complice". Liberazione del 25 marzo titola "Macedonia, italiani in prima linea" senza esprimere nemmeno in una riga la propria contrarietà al trasferimento di un reparto della Folgore ai confini con la Macedonia.
Gran parte dei mezzi di informazione italiani (sia di destra che di sinistra) hanno ironizzato su un supposto cambio di simpatie degli occidentali, che prima avrebbero difeso gli albanesi in Kosova e ora sarebbero "paradossalmente" ricorsi ai serbi per fermarli in Macedonia. Il che dimostra la totale incomprensione della precisa e coerente strategia occidentale nei Balcani.
La strategia dell'Occidente, con varie sfumature, obbedisce sostanzialmente ad un solo obiettivo: garantire la stabilità. Vogliono evitare cambiamenti di confini, ad esempio. Non perché siano contrari in linea di principio, ma perché sanno che cambiarne uno significherebbe incoraggiare le rivendicazioni dei popoli oppressi non solo dei Balcani. Si oppongono a quei nazionalisti le cui stragi e pulizie etniche superano un certo livello di guardia. Non perché gli occidentali siano contrari ai massacri, dato che sono loro i responsabili dei più grandi massacri della storia moderna, ma solo perché ondate di profughi minaccerebbero la stabilità della regione. Che se ne fanno della stabilità? Perché è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per il dispiegamento del loro dominio economico e politico sull'intera regione. Solo la stabilità garantisce loro un tranquillo sfruttamento economico nella regione. Nessuno investe in un Paese che può precipitare da un momento all'altro nella guerra civile. Questa è la chiave ad esempio per comprendere le ragioni della politica altalenante dell'Occidente nei confronti di Milosevic. Milosevic è andato bene in tutti quei momenti in cui assicurava la stabilità (ad esempio subito dopo la pace di Dayton); male invece quando con la rivolta delle masse albanesi da un lato e la determinazione serba di risolvere in via definitiva la questione del Kosova dall'altro (con la pulizia etnica "finale"), hanno spinto la NATO all'intervento per evitare una marea di profughi e la prospettiva di una guerriglia di resistenza che prima o poi avrebbe coinvolto tutti i vicini in una generalizzata guerra balcanica. La stessa altalena per quanto riguarda l'UCK: erano terroristi quando erano deboli e senza sostegno della popolazione, e dunque erano un potenziale di destabilizzazione che si poteva sperare di distruggere subito; per questo l'Occidente dette via libera a vaste offensive serbe tese ad eliminarli. Poi sono diventati degli alleati (che non dovevano però essere armati in eccesso) al momento della guerra, quando si trattava di costringere Milosevic al ritiro; per poi pretendere subito dopo il conflitto il loro rapido disarmo.
La guerriglia albanese in Macedonia oggi è debole, dunque, per raggiungere il fine della stabilità, si deve tentare di stroncarla nel sangue finché è piccola. Per questo i vari imperialismi sono disposti ad aiutare la Macedonia, cioè, in ultima analisi, l'etnia maggioritaria slavo macedone. Raccomandano però di "contenere la risposta". Se infatti la risposta di Skopje fosse simile a quella di Milosevic (pulizia etnica totale), l'intera regione ne verrebbe destabilizzata, dato che l'Albania non potrebbe stare a guardare e Grecia e Bulgaria subito coglierebbero l'occasione per un interessato intervento "pacificatore". E la stabilità è l'unico valore difeso dall'Occidente nei Balcani.
Il solito vicolo cieco
I mezzi di informazione, soprattutto quelli italiani, si sono lanciati in una forsennata campagna antialbanese che non ha lesinato bugie. La prima è stata quella di dare a intendere che la crisi fosse determinata da "infiltrazioni" kosovare, giocando sulla confusione dei due acronimi "UCK". Poi quando non potevano più nascondere che si trattava di albanesi di Macedonia, hanno cercato di sottostimarne il numero e la presa tra la popolazione.
La Macedonia poi, viene dipinta come un'oasi di pace sino all'arrivo di quelli che tutti i media definiscono "estremisti", "terroristi", "ribelli". Il che conferma paradossalmente le tesi dei guerriglieri: sino a che non parlano le armi delle nostre sofferenze nessuno si occupa. Chi infatti prima d'ora aveva mai sentito parlare delle pacifiche lotte degli albanesi di Macedonia?
Si noti inoltre il cinismo che ha accompagnato l'operazione che ha portato all'arretramento dei guerriglieri dalle colline sopra Tetovo. Il regime macedone e i media occidentali sostengono che l'UCK conti solo su 200 combattenti in tutta la Macedonia. Se così fosse non si capisce come mai per metterli sulla difensiva è occorso bombardare dei villaggi. Poniamo che 200 guerriglieri occupassero in Italia un paese appenninico: riterremmo normale che l'esercito cercasse di riconquistarlo bombardando il paese sapendo che è ancora abitato da civili? Eppure di ciò nessuno si è scandalizzato, sia per un riflesso razzista nei confronti dei Balcani, considerati "normalmente" sanguinari, sia perché, sotto sotto, tutti ritengono naturale che l'esercito macedone consideri come territorio ostile e straniero, quello che però si ostina a pretendere a sovranità slava.
Per denigrare la guerriglia si utilizzano stereotipi quali lo spauracchio della Grande Albania. A parte il fatto che non ci scandalizza affatto pensare che una nazione divisa possa, se lo vuole, unificarsi (gran parte degli stati europei l'ha già fatto da più di un secolo, Italia compresa), il problema è che tutte le forze albanesi di Macedonia, UCK compreso, chiedono la permanenza degli attuali confini. Le richieste dell'UCK sono assolutamente ragionevoli, e nei fatti sono applicate sui propri territori da tutti gli stati europei. La Macedonia è l'unico stato europeo che non consideri lingua ufficiale un idioma che è parlato da più del 20% della propria popolazione. In Gran Bretagna dove tra inglesi e scozzesi vi sono di gran lunga meno differenze che tra albanesi e macedoni, agli scozzesi è stato concesso un parlamento. In Finlandia lo svedese è riconosciuto come lingua ufficiale nonostante gli svedesi costituiscano il 5% della popolazione. Minoranze etniche che costituiscono meno dell'1% della popolazione godono di una quantità di diritti impensabili per gli albanesi di Macedonia, basti pensare al bilinguismo del Sudtirolo. Eppure il nostro Dini non smette di gridare contro le "pretese" degli "estremisti" albanesi e si è affrettato ad inviare truppe nella zona. Quanto alla nostra sinistra filoserba dovrebbe ricordarsi di quando attaccava Tudjman perché aveva rifiutato di considerare la nazione serba come nazione "costituente" dello stato croato.
Si rimprovera agli albanesi di non voler uno stato multietnico. Che ipocrisia! Come se lo stato macedone attuale lo fosse! Uno stato multietnico dove la lingua di tutte le etnie, meno una, sono represse.
Notiamo in Italia una crescita preoccupante del razzismo e del pregiudizio antialbanese. Un pregiudizio che da parte della sinistra ha qualcosa di inquietante: esso coincide con la politica imperiale dell'Italia in Albania, dove il capitalismo selvaggio italiano sfrutta vergognosamente in condizioni disumane la manodopera locale, senza che alcun giornale faccia un minimo di inchiesta. Oggi si è stretta una santa alleanza che va dalla NATO alla Russia (che chiede di fare come in Cecenia), dall'estrema destra antialbanese della Padania all'estrema sinistra filoserba. Oggi,persino i dirigenti del disciolto UCK kosovaro hanno venduto i loro fratelli per il piatto di lenticchie di un pallido riconoscimento internazionale. Tutti hanno lasciato soli gli albanesi di Macedonia. Lo spettatore televisivo italiano si domanda: "ma che diavolo vogliono ancora questi albanesi!" senza domandarsi perché un popolo è costretto a prendere le armi per far sentire la propria voce. E i suoi governanti, soddisfatti di tanto sostegno popolare, affilano la spada. Tutti questi signori gridano dalle loro comode poltrone: "stabilità! stabilità!" E una pace che significa solo la rassegnazione degli oppressi, gli affari dei potenti, e l'oblio del satollo grande pubblico d'Occidente.