Come stare e perchè stare nel prc
Il compito che oggi hanno i compagni di Rifondazione Comunista è quello di spingere il partito, partendo dal basso, a fare un bilancio delle scelte politiche e tattiche operate dal gruppo dirigente, a partire dall’ultimo congresso, passando dall’esperienza governativa, per finire con la disfatta elettorale. L’assise congressuale rappresenta oggi l’ambito giusto in cui dare concretezza a questo compito. Di Duilio Felletti.
REDS - Giugno 2008.


Chi scrive, in tempi non sospetti, ha sostenuto nel partito, la tattica dell’appoggio esterno al Governo, che, di volta in volta doveva essere confermato a seconda del livello di coerenza tra le scelte del Governo e la nostra linea politica. Questo per mantenere il PRC nelle condizioni migliori per poter lottare contro le leggi vergogna del Governo Berlusconi (Bossi-Fini, Moratti, Biagi, ecc..), fino alla loro abolizione.

Quello che è successo è sotto gli occhi di tutti: il gruppo dirigente del partito non è riuscito a determinare, non solo alcun cambiamento nel senso auspicato, ma nemmeno a innescare una linea di tendenza in quella direzione.
Lo starnazzare e i continui richiami al rispetto del programma dei gruppi parlamentari e del ministro Ferrero, non hanno sortito ad alcun risultato se non a quello di costrigere il PRC a uno sprofondamento nelle logiche di coalizione, ingoiando tutto quanto veniva deciso nel consiglio dei ministri. In buona sostanza il partito ha difeso con i denti (anche a costo di provvedimenti disciplinari di sapore staliniano, mai attuati prima,) la compagine governativa, nella convinzione che solo così sarebbe stato possibile mettere in atto provvedimenti in linea con gli intendimenti dichiarati.

Il PRC ha sostenuto, pur non condividendole, un serie di decisioni dell’esecutivo che lo hanno contrapposto ai soggetti sociali oppressi, nei confronti dei quali, invece, avrebbe dovuto proporsi, sul piano politico, come legittimo rappresentante delle loro istanze.

I movimenti reali che avevano preso forma durante il precedente governo Berlusconi, e che vedevano nella presenza della sinistra radicale (e del PRC in essa) nella compagine governativa, un elemento positivo che poteva dare concretezza alle speranze di un cambiamento nel campo dei diritti civili, dell’ambientalismo, del lavoro e della pace, ne sono usciti profondamente delusi, con conseguente caduta di fiducia nei confronti di Rifondazione.
La maggioranza berinottiana, uscita vincente dall’ultimo congresso nazionale, che aveva dichiarato di voler capitalizzare e investire anche in campo istituzionale la poderosa ventata di energia nuova proveniente dai movimenti per andare a cambiamenti radicali a tutti i livelli (sociale e politico), ne ha invece provocato la quasi totale distruzione.

Si è rotto, o, quantomeno, seriamente compromesso il legame di credibilità/fiducia con i movimenti su cui il PRC stesso aveva investito le sue energie (seppur con gravi llimiti e contraddizioni) ; una rottura che si è manifestata in tutta la sua concretezza nel risultato elettorale e che non sarà facile ricomporre.
I movimenti rimasti in piedi hanno preso le distanze dalle scelte fatte dai gruppi drigenti del PRC, che in tutta evidenza hanno ritenuto prioritario non interferire sulle sclelte strategiche del governo Prodi sacrificando le giuste istanze da questi espresse.
Ci riferiamo al movimento “NO TAV”, il “NO DAL MOLIN”, al movimento per i diritti di gay e lesbiche e al movimento “NO GLOBAL” ivi compreso il variegato movimento per la pace.

Anche dai settori più avanzati dei lavoratori dipendenti e dei precari, il PRC è oggi percepito come una forza politica sostanzialmente non diversa dalle altre ed incapace di mettere concretamente in primo piano i bisogni e le compatibilità della classe lavoratrice.

Nel partito tutto ciò ha prodotto sconquassi vari di cui il più serio è rappresentato dall’uscita di gran parte dei compagni della mozione 4, i quali hanno dato vita al gruppo di “SINISTRA CRITICA” : un nuovo soggetto che tende sempre di più ad assumere dei connotati di forza politica organizzata e che, con la sua presenza nella contesa elettorale, ha contribuito (con il partito fondato dal compagno Ferrando, anch’esso nato in seguito alla scelta del PRC di entrare a pieno titolo nella compagine governativa) alla disfatta del progetto arcobaleno.

Ma lo sconquasso più serio è rappresentato dalle migliaia di compagni di base che, spesso motivandolo apertamente, ma per lo più nel silenzio, se ne sono andati abbandonando ogni proposito di intervento sul piano del politico.

Sarebbe stato opportuno, andare a un congresso nazionale anticipato (non posticipato come quello che si farà a luglio) , non foss’altro per dare la parola ai compagni, sia agli assenzienti che ai dissenzienti.
Invece no. Si sono preferiti meccanismi strani di consultazione (mai attuati) questionari di vario tipo, verifiche di governo seguite da consultazioni….. tutto per togliere la parola alla base di questo partito e mantenere ben salde le burocrazie sulle loro sedie.

Oggi dopo le elezioni, siamo in una situazione obbiettivamente molto difficile della vita del Partito. Al dilà delle dichiarazioni roboanti e le lacrime di coccodrillo dei burocrati, tra i compagni è ormai radicata la convinzione che Rifondazione tra qualche mese potrebbe non esietere più. Sono molti i circoli che da tempo tirano avanti per inerzia senza più rappresentare un luogo di dibattito politico, per la ragione molto semplice che il dibattito “politico” è sempre stato fatto altrove.

E’ da questo esproprio della parola della base che è nato il progetto, dimostratosi fallimentare, della Sinistra Arcobaleno: un progetto voluto dalle burocrazie che, per autoconservarsi, hanno strumentalizzato, stravolgendolo, il desiderio genuino di unità che è nel popolo di sinìstra,mettendo in discussione l’identità stessa della sinistra, per passare alla raccolta dei voti di opinione.

E ora, in occasione del VII° congresso ecco gli stessi burocrati, responsabili del fallimento politico, che tornano a riproporsi per una rinascita del prc su basi che non mettono minimamemnte in discussione le scelte strategiche da loro stessi operate negli ultimi due anni. Chiedono anche oggi come nel passato, di avere le mani libere per non perdere il controllo di quello che resta del partito e per proseguire lungo la strada che le dovrebbe portare alla loro autoconservazione.

Ma nonostante questa situazione così intricata, chi scrive pensa che non si debba cedere alla tentazione del ritiro a vita privata. Per una ragione molto semplice, che è questa: i comunisti, con le loro analisi, il loro patrimonio di idee, la loro pratica, sono necessari agli oppressi, perché sono gli unici in grado di prospettare loro un processo di liberazione. Ma singolarmente non riescono ad assolvere a questo compito, hanno bisogno di un ambito fisico, che è il partito, per dare concretezza a questa loro azione.

Paradossalmente, oggi, l’esistenza del partito è ancora di più necessaria.

Come pure è necessario oggi più che mai costituire nel partito dei presìdi che rappresentino dei riferimenti per quei compagni che sono ancora convinti che la lotta contro la burocrazia sia necessaria (e che pertanto deve essere portata avanti nel partito) esattamente come è necessaria la lotta contro il nemico di classe.

La degenerazione burocratica è una diretta conseguenza della povertà culturale dell’organizzazione , ed è per questo che oggi si rende necessario un grosso lavoro di recupero del senso del fare intervento, non solo sul piano del politico ma anche su quello dei movimenti, dei sindacati e del lavoro di base.

Occorre ripensare a tutto l’insieme del nostro agire non dando nulla per scontato e rimettere in moto un reale processo di rifondazione.

Per cosa e come essere nei movimenti? per cosa e come essere nei sindacati? per cosa e come lavorare nei quartieri e sul territorio? a quali soggetti ci dobbiamo rivolgere? come dare respiro politico alle istanze degli oppressi? Con chi allearci?

Questi sono argomenti un po’ indigesti per i burocrati; loro preferirebbero parlare di suddivisione dei posti nelle segreterie, negli esecutivi, ecc. Ma noi non dobbiamo cadere nel trabocchetto, non dobbiamo diventare come loro.

È dall’esito di questo lavoro e dello scontro interno che nel congresso inevitabilmente ci sarà, che riteniamo sarà possibile ricostruire anche un punto di riferimento per compagni che se ne sono andati.