Comunisti: quali alleanze?
A proposito di alleanze ascoltiamo spesso nel PRC frasi del tipo: "prima discutiamo di programma e poi decidiamo con chi stiamo"; "proponiamo a tutte le forze politiche 5 o 6 punti irrinunciabili e chi ci sta ci sta". Sembra, di primo acchito, un modo di procedere che trabocca di ragionevolezza. In questo nostro scritto cercheremo invece di dimostrare che i comunisti devono prima capire con chi allearsi e dopo discutere su quali contenuti. Una proposta di metodo. REDS. Gennaio 2000.


 

A proposito di alleanze ascoltiamo spesso nel PRC frasi del tipo: "prima discutiamo di programma e poi decidiamo con chi stiamo"; "proponiamo a tutte le forze politiche 5 o 6 punti irrinunciabili e chi ci sta ci sta"; "non possiamo chiuderci, dobbiamo saper dialogare con chiunque"; "prima di tutto i contenuti e poi verifichiamo se c'è lo spazio per le alleanze".

Sembra, di primo acchito, un modo di procedere che trabocca di ragionevolezza. Non possiamo negare che si tratti d'una maniera di pensare piuttosto popolare, in qualche modo vicino a quello di chi, ad esempio, fa sindacato. Non si parla forse di "contenuti" quando si tratta con la controparte? Non si affronta forse una vertenza col padrone muniti di "5 o 6 punti irrinunciabili"?

In questo nostro scritto cercheremo invece di dimostrare che i comunisti devono prima capire con chi allearsi e dopo discutere su quali contenuti. E ciò perché il piano del politico è altro rispetto a quello sindacale e di movimento.


COSA SONO I PARTITI

Quando ci occupiamo del piano del "politico" parliamo qui e oggi soprattutto di elezioni perché è questa la sembianza che prende, in questi tempi e in questi luoghi, la lotta intrapresa dai vari soggetti sociali per il potere, ovvero per conquistare o influenzare il governo dello stato. I partiti costituiscono la "forma" in cui si cristallizza la "volontà", o se vogliamo il "progetto", di una o più forze sociali in lotta per il potere, o una sua quota.

Tradizionalmente i marxisti rivoluzionari suddividono i partiti in "borghesi" ed "operai", intendendo con quest'ultimo termine l'insieme dei salariati. Questa partizione non è sbagliata perché in effetti ogni partito rappresenta gli interessi fondamentali di una sola classe sociale. Non è però completa perché ogni partito non rappresenta solo gli interessi di una classe sociale, ma anche di soggetti sociali che non possiamo far rientrare nelle classi sociali.

Ogni partito è la risultante di un equilibrio di forze sociali, tra le quali vi sono le classi. A volte la componente classista non è quella fondamentale.

Facciamo degli esempi. La vecchia DC era la risultante di due soggetti sociali: uno di natura classista, la borghesia, ed uno di natura burocratica, la gerarchia ecclesiastica. La DC non era l'espressione pura, diretta, della borghesia (che nell'immediato secondo dopoguerra avrebbe preferito affidare le proprie sorti ai liberali), ma la cristallizzazione del compromesso tra la laica (e a suo tempo anticlericale) borghesia italiana e la gerarchia ecclesiastica. La prima ha dovuto rinunciare ad un po' di liberalismo avendo in cambio una base di massa fornita dal radicamento della chiesa cattolica per contrastare il movimento operaio più forte d'Europa; e la seconda accettando qualche freno (il finanziamento alle scuole private bloccata per decenni) in cambio dell'appoggio del capitalismo nostrano al clericalismo (ad esempio ponendo il bavaglio ai giornali, al cinema, ecc. su temi che urtavano gli interessi dei vescovi).

Quando la "risultante" (cioè l'equilibrio di forze sociali che si cristallizza in una forma partito) cambia perché muta l'equilibrio che l'ha originata, allora si produce uno "scarto" tra realtà sociale e partito, e quest'ultimo non sopravviverà se non adeguandosi al nuovo equilibrio (e dunque "cambiando pelle"), pena la sparizione.

Ad esempio la DC ed il PSI non sono riusciti, nella seconda metà degli anni ottanta, ad adeguarsi al nuovo equilibrio di forze determinato dall'irrompere di un nuovo attore: l'accresciuta concorrenza interimperialista che ha spinto alla rincorsa verso la formazione di un polo economico europeo che fronteggiasse USA ed Asia. E sono stati spazzati via.

La difficoltà ad adeguarsi alla realtà sociale che muta è dovuta al fatto che i partiti generano un personale politico che quasi mai è "diretta espressione di" un certo soggetto sociale, ma un prodotto di un "equilibrio" complesso e per questo il personale politico gode di una relativa autonomia. Questa autonomia può produrre interessi propri di "ceto" che prescindono dagli interessi delle forze sociali che, in diversa misura, in ultima analisi hanno generato quel certo ceto politico. Quest'ultimo col tempo dunque, può divenire insensibile o sordo, in modo più o meno interessato, ai richiami e ai messaggi che quelle forze sociali gli inviano.


COSA SONO I "CONTENUTI" DEI PARTITI

I "contenuti" cioè l'insieme di parole espresse dai partiti, costituiscono la "copertura" ideologica della risultante di forze sociali che li hanno originati. Queste parole non esprimono in forma trasparente l'equilibrio di cui parliamo, dato che ogni partito tende ad andare al di là del consenso che gli viene dalla propria "risultante". Ad esempio se la DC avesse dichiarato apertamente di rappresentare gli interessi di borghesi e vescovi (che insieme costituiscono una percentuale irrisoria della popolazione) non avrebbe certo raggiunto il 40% alle elezioni.

I contenuti espressi dai partiti però non sono nemmeno casuali; diciamo che tendono ad essere compresi all'interno di una "banda di oscillazione" che non supera mai certi limiti. La forza dei partiti infatti dipende dal consenso che ottengono nell'elettorato.

Un partito borghese quindi può essere, a seconda dell'equilibrio di forze di cui è o vuole essere espressione, fascista, centrista, clericale, populista, liberale, ecc. Ma, ad esempio, un partito borghese populista nella sua propaganda, a parole a favore dei ceti popolari, non può superare certi limiti antiborghesi. Deve cioè inviare dei segnali che, in mezzo alla retorica antiricchi, in qualche modo rassicurino gli stessi ricchi che non si sta facendo sul serio. Il Chavez venezuelano, parente stretto dei Vargas brasiliani e dei Peròn argentini, tuona contro l'"egoismo" dei latifondisti, ma sta bene attento a non mettere in campo la parola "esproprio".

Allo stesso tempo un partito espressione dei lavoratori può avere dei dirigenti che muoiono dalla voglia di servire gli interessi del grande capitale ma non può superare certi limiti poiché altrimenti alle elezioni successive (come spesso è accaduto) la propria base sociale (la "risultante") li farebbe crollare. Così oggi i DS non possono permettersi una riforma pensionistica senza il consenso sindacale e non possono permettersi una campagna elettorale che abbia al suo centro la "libertà" di licenziamento.

Questa è la ragione per cui vi possono essere partiti borghesi che sono all'estrema sinistra della propria "banda di oscillazione" dei contenuti e dunque a parole schierati più a sinistra di certi moderatissimi partiti operai. Per questo i "contenuti" cioè le parole espresse non possono costituire l'unico metro in base al quale giudichiamo la natura sociale di un partito, cioè l'insieme delle forze sociali delle quali esso è espressione.


LE ALLEANZE

Anche il nostro partito è prodotto di una "risultante" e più precisamente è espressione di un settore di classe, prevalentemente impiegatizio, adulto, del centro nord. Dobbiamo ovviamente puntare ad essere espressione di un arco più vasto di forze sociali. Sul piano di classe: gli operai, i disoccupati, i lavoratori precari, la piccola borghesia che non sfrutta forza lavoro. Sul piano delle oppressioni non di classe: donne, giovani, minoranze etniche, omosessuali.

Nell'arena politica esistono già formazioni che sono espressione di uno o più dei soggetti sociali sopra descritti. Per individuarle, quando analizziamo un partito, dobbiamo chiederci: di quali forze sociali è espressione? Se le forze sociali di cui quel partito è espressione sono almeno in parte tra quelle che anche noi ambiamo rappresentare, allora con quel partito deve interessarci l'alleanza, perché questa rappresenta in forma mediata la costruzione dell'unità degli oppressi.

Per compiere l'analisi di cui sopra non possiamo basarci solo sui "contenuti", cioè sulle parole sparse dai partiti, perché queste spesso, come abbiamo visto, "coprono" la vera risultante di cui essi sono espressione. Rischieremmo di considerare un partito fascista, per la sua retorica anticapitalista, più vicino a noi di un partito socialdemocratico. Non compiere una seria e pubblica disamina delle forze sociali di cui i partiti sono espressione ci porterebbe in ultima analisi a non riconoscere i nostri avversari, perché ci fermeremmo alla rivestitura, all'abbigliamento, alla forma (i "contenuti") senza andare alla sostanza, a ciò che le parole spesso nascondono.

Se non compiamo questa operazione di analisi pubblica, e dunque di denuncia, non educhiamo le masse ad andare al di là delle parole (i "contenuti"), ma le illudiamo ogni volta che sia possibile spremere sangue dalle rape.

E in effetti è ciò che puntualmente è accaduto nella storia del movimento operaio italiano. Ad ogni elezione grazie alla "banda di oscillazione" dei contenuti programmatici (per cui ogni partito può entro certi limiti, a seconda dei momenti e delle convenienze, esprimere contenuti più di destra o più di sinistra) si possono sempre trovare dei punti in comune tra partiti che esprimono forze sociali antitetiche. Quante volte abbiamo visto dirigenti di sinistra "intenzionati a porre con forza 5 o 6 punti irrinunciabili" a possibili alleati pescando quei punti proprio tra quelli che l'altra parte era già disposta ad accettare.

Il metodo di questi dirigenti nei fatti è quello di cercare il minimo comun denominatore, ovvero cercare di evitare più contraddizioni possibili e in questo modo si rinuncia nei fatti a battersi contro quelle forze di cui quei partiti sono espressione. Dovendo far l'accordo con un partito cattolico "si sa" che non si deve includere tra i "5 o 6 punti irrinunciabili" il diritto all'aborto ad esempio; allo stesso modo con un partito borghese "si sa" che non si deve parlare di 35 ore a parità di salario. Ma in questo modo si rinuncia a battersi sul serio contro la gerarchia ecclesiastica e gli industriali e a favore delle donne e degli operai.


IL PIANO DEL POLITICO

Si dirà: ma possibile che su punti specifici non sia possibile fare alleanze con chi ci sta? E qui veniamo al nodo del problema.

Se si tratta di punti specifici vuol dire che stiamo parlando di battaglie esplicitamente limitate e non di battaglie per il potere. Ad esempio è giusto contro il finanziamento pubblico alle scuole private battersi insieme ad un arco di forze che comprenda tutti coloro che condividono questa battaglia. Non si creano illusioni in nessuno: noi non diciamo "ci alleiamo con i repubblicani perché con loro salvaguardiamo gli interessi dei lavoratori", ma molto semplicemente: "coi repubblicani non siamo alleati di governo perché loro difendono gli interessi di classe dei nostri avversari ma facciamo tutte le manifestazioni possibili insieme a loro sulle scuole private perché su questo punto specifico siamo d'accordo".

Se noi ci alleiamo con i repubblicani alle elezioni (nazionali, regionali, comunali) noi illudiamo le masse che sia possibile per i lavoratori governare insieme ai loro avversari di classe. I repubblicani infatti sono espressione diretta di una frazione di borghesia. Allo stesso modo se ci alleiamo, o anche semplicemente cerchiamo l'accordo, con il PPI diciamo che è possibile per le donne allearsi insieme ai propri avversari di genere; e così via. In poche parole le alleanze nel politico (al contrario di quelle sul piano dei movimenti, dei sindacati, ecc.) implicano per forza di cose non la condivisione di "5 o 6 punti irrinunciabili", ma la condivisione della gestione di milioni di punti, perché nel governo (locale o nazionale) anche il non fare delle cose ha un valore politico.

Con i partiti che invece sono espressione seppur moderata, burocratizzata o deformata dei soggetti sociali dei quali anche noi vogliamo essere espressione, si deve sempre mostrare il massimo interesse alle alleanze nel politico, e li si deve incalzare proprio a partire dai contenuti.

Ciò significa oggi in concreto battersi per staccare i DS dal centro-sinistra nella prospettiva di un'alleanza della sinistra unita. A noi interessa sino ad un certo punto la risposta dei dirigenti dei DS, ma puntiamo con questa parola d'ordine direttamente alla sua base sociale. Dato che sappiamo che quel partito deve rispondere volente o nolente alla nostra stessa classe, ha un senso proporre loro 5 o 6 punti programmatici qualificanti e che creino contraddizioni coi nostri avversari, perché ciò equivale a dire, sul piano mediato della politica: "lavoratori, noi ci teniamo tanto a che siamo uniti ad affrontare i nostri avversari che chiediamo di allearci, la sinistra, su alcuni punti che esprimano sul serio i nostri interessi".

Questa alleanza può innescare una dinamica nelle forze sociali sottostanti ai partiti contraenti che va al di là dei 5 o 6 punti programmatici.

Discriminare i partiti borghesi nella ricerca di alleanze significa educare le masse a saper distinguere destra e sinistra. In effetti una delle ragioni per cui in Francia, un Paese per vari aspetti simile all'Italia, la sinistra ha più consensi elettorali che in Italia (50% in Francia e 30% in Italia), sta proprio qui: i dirigenti storici del movimento operaio in Italia nel secondo dopoguerra hanno constantemente e affannosamente ricercato l'alleanza con partiti borghesi dovendone sempre nascondere la natura di classe agli occhi della propria base sociale, che piano piano è stata portata a pensare che bene o male tra sinistra, centrosinistra e centro non ci sia poi tutta questa differenza.