Alleanze elettorali: siamo alle solite?
Sinteticamente alcune ragioni che consiglierebbero al nostro partito di non allearsi con il centrosinistra. Invitiamo i lettori a intervenire sul tema: i contributi verranno pubblicati. REDS. Ottobre 2000.


Il partito sembra aver imboccato la strada di un accordo elettorale con il centro sinistra. L'accordo elettorale è stato menzionato come possibilità nei mesi estivi giustificato dalla necessità della "riduzione del danno", o "riduzione della belligeranza". E' stato detto che "potrebbe prendere varie forme". In realtà qualsiasi forma esso possa prendere dovrà per forza di regole elettorali avere qualcosa in comune con la vecchia "desistenza". In sostanza si tratta di rinunciare a presentarsi nel maggioritario in gran parte dei collegi, ed essere presenti in esclusiva, con l'accordo del centrosinistra, negli altri. Questa posizione è emersa in una serie di interviste del segretario, dopo un paio d'anni che si continuava a ripetere "mai più desistenza" ed anche "mai più con il centrosinistra". Ricordiamo anche che in occasione delle ultime regionali, in occasione delle quali il partito ha concluso accordi con il centrosinistra, i nostri dirigenti avevano più volte dichiarato che ciò non comportava l'accordo per le politiche (che invece non si riteneva possibile).

La nuova linea non è stata preceduta da alcun dibattito all'interno del partito né da decisioni di organismi statutari. Gran parte dei militanti l'hanno appresa dai giornali. Questo metodo non solo è discutibile sul piano democratico, ma è demoralizzante per la militanza, sia che questa concordi o meno con la "svolta". Se il militante si abitua a pensare che ciò che decide un Comitato Politico può essere ribaltato dall'intervista del segretario di partito ad un giornale, si rafforzerà in lui non solo lo spirito di delega e la segreta convinzione, così diffusa, ai tempi, ad esempio, tra gli iscritti del PCI, di non contare nulla perché tanto vi sono altri che pensano e decidono, ma lo porrà verso l'esterno in una posizione perennemente difensiva. Il militante del PRC è, o dovrebbe essere, inserito socialmente in un posto di lavoro, una scuola, un quartiere: parla con la gente, cerca di convincerla delle posizioni del partito; ebbene, come potrà farlo con la necessaria determinazione e sicurezza, quando ciò che dice un giorno può essere smentito il giorno dopo dal proprio segretario? Questa situazione aveva assunto contorni tragicomici ai tempi del nostro sostegno al governo Prodi. Ricordiamo con non grande nostalgia quando nei posti di lavoro giuravamo che non avremmo mai votato quella certa finanziaria perché era totalmente inaccettabile e poi, due settimane dopo, veniva approvata in Parlamento dal nostro partito con piccole modifiche ed ancor più piccole promesse, spacciate troppo spesso per "grandi vittorie" (chi oggi sa che fine ha fatto la legge sulle 35 ore?).

Questa tattica non ci fa certo credibili agli occhi degli elettori. Vi sono compagni che dicono: "ma no, è un'ottima tattica! E' una tattica sindacale, fai la voce grossa per poi trattare meglio." Non concordiamo. C'è una differenza di non poco conto tra il piano sindacale e quello politico. La contrattazione sindacale è un gioco di cui tutti conoscono e accettano le regole: i sindacati sparano alto (o dovrebbero farlo, ultimamente tendono a spararsi sui piedi), la controparte fa offerte minime, e alla fine l'accordo è situato in un qualche punto lì in mezzo. La politica però è un'altra storia. La politica implica un qualche investimento o aspettativa "ideale". In politica per esempio agli occhi degli elettori la "coerenza" è un valore. Vi sono elettori che votano un partito solo perché a loro giudizio è "coerente". Naturalmente per noi comunisti tale motivazione è inconsistente: coerente rispetto a cosa? Se è coerenza nel perseguire gli interessi dei padroni, ne facciamo a meno. Dobbiamo comprendere però che l'attrazione per la "coerenza" ha una sua motivazione profonda in un elettorato di sinistra (almeno potenzialmente) che si è sentito troppe volte tradito nelle proprie aspettative di rappresentanza. In politica un partito che dice "mai" e poi "forse" e poi alla fine ci sta, è un partito che perde d'immagine, perde forza, convince di meno. Dopo aver sparato (giustamente) a zero contro il centrosinistra, non ci facciamo ora una gloriosa figura ad allearci insieme. Questo per la "forma".

Veniamo al merito del problema. Il centrosinistra è un disastro da ogni punto di vista. Non stiamo qui ad annoiare con l'elenco delle malefatte perché in merito, speriamo, non dobbiamo convincere nessuno dei nostri lettori; del resto Liberazione ne ha fatto sempre ampia cronaca, da quando siamo all'opposizione. Ci preme solo sottolineare l'estrema stupidità autolesionistica di questa coalizione. Basti pensare alle vicende dell'ultima finanziaria. Invece di approfittare del surplus fiscale per riavvicinare intere categorie di potenziali elettori (ad esempio i lavoratori della scuola) si sono fatti scatenare addosso uno sciopero (della scuola, appunto) che ha preso dimensioni quasi doppie rispetto a quello del concorsone del febbraio scorso; invece di eliminare balzelli antipopolari come i tickets sanitari, ha diminuito di un punto percentuale il carico fiscale, "regalo" che non sarà percepito da nessuno perché di lieve entità e perché già mangiato dall'aumento della benzina. E si pensi pure alla vicenda del candidato premier: abbiamo grazie a quella finalmente capito che i brillanti capi della coalizione di centrosinistra quando ci raccontavano che la politica non è più fatta di militanti in carne ed ossa ma da partiti leggeri e dalla cura dell'immagine, ci credevano sul serio. Si immaginano, poveretti, che il disoccupato incazzato, l'operaio tradito, il piccolo borghese sull'orlo del fallimento saranno fatalmente attratti dal sorriso di Rutelli. Saranno sconfitti e nei peggiori dei modi, non per questo Cicciobello perderà il sorriso, ma la sinistra perderà la faccia.

Non si comprende per quale ragione dobbiamo essere trascinati nella voragine di una sconfitta senza gloria con questo centrosinistra. In questo modo, crediamo, il partito perderà un'occasione.

In Italia, paese dalla spoliticizzazione crescente, vi è una disponibilità al cambiamento, alla sperimentazione politica, mischiata ad una vaga spinta alla rivalsa sociale. Vi è un numero crescente di voti fluttuanti. Vi sono stati momenti in cui in parte li abbiamo intercettati anche noi. Ad esempio durante l'epoca della nostra opposizione al governo Dini. Vi sono soggetti che possono votare una volta Lega e l'altra il PRC, una volta la Bonino e la prossima Di Pietro. Non è un caso che vi sia un dilagare di terzi poli (D'Antoni, Di Pietro). Chi parla coi colleghi di lavoro o con i giovani, e non sta chiuso nelle sedi, conoscerà certo un numero crescente di tali cittadini. Ebbene un partito che si mostri con un chiaro profilo di opposizione all'esistente ha la possibilità concreta di intercettare questo voto di protesta. E di politicizzarlo a sinistra. Perché oggi in Italia come in tutta Europa incombe il fantasma dell'estrema destra nazionalista che in Italia è per ora rappresentata dalla Lega Nord, ma che presto potrebbe veder nascere altri soggetti in grado di "coprire" politicamente anche il centrosud. Questi partiti in Europa captano il voto operaio più dei partiti di sinistra (accade in Francia, in Austria, in Belgio, ecc.). Essi puntano sul ribaltamento dei piani: solleticano negli operai la loro appartenenza ad un Paese imperialista con tutti i privilegi che ne derivano, anche per gli operai (ad esempio non essere costretti ad emigrare per trovare un lavoro) per nascondere quella di classe. Se il ruolo di partito antisistema lo regaliamo a queste forze, non riusciremo più nemmeno a parlare nelle fabbriche. E l'immagine di partito "altro" sarà irrimediabilmente offuscata da un accordo con un centrosinistra che è ormai detestato dalle larghe masse di questo Paese.

Conosciamo l'obiezione a questo argomento: ma il nostro non può essere un partito che si limita a captare la rabbia sociale, perché dobbiamo puntare a conquistare l'egemonia della sinistra. Siamo d'accordo. Ed anche per questo condividiamo la frase che spesso il nostro segretario pronuncia: "dobbiamo rompere il centrosinistra", ci domandiamo però come sia possibile romperlo se ci si allea assieme, implicitamente riconoscendo così l'inevitabilità della formula. Noi dobbiamo ricominciare a parlare di "unità della sinistra". Certo, i diessini se ne faranno un baffo, ma se questa diventa la nostra linea coerente, prima o poi farà breccia in un elettorato diessino che è comunque deluso e insoddisfatto del governo e frustrato dall'opposizione dei centristi ad ogni proposta anche solo progressista, ad esempio sul terreno dei cosiddetti "diritti civili". E' comprensibile a chiunque una politica che dica semplicemente: non mi alleo con il centrosinistra perché è troppo simile alla destra, ma a certe condizioni sarei invece disposto ad allearmi coi verdi e i DS. Non ci stanno? Peccato, rimango disponibile, ma intanto sto all'opposizione.

Per concludere a noi pare che la posizione elettorale del nostro partito dovrebbe consistere in una campagna pubblica, da farsi subito, nei confronti dei DS e dei Verdi (ma anche altre forze: associazioni, centri sociali, ecc.) chiedendo loro di dar vita ad un'alleanza elettorale basata su un programma di difesa degli interessi dei lavoratori, delle donne, dei giovani, degli stranieri.

Se come probabile, questa non otterrà risposte concrete il Prc si deve presentare dovunque anche nel maggioritario. Ma non daremmo per scontato che in presenza di una nostra posizione ferma e non negoziabile alcune forze comincino a staccarsi dal centrosinistra. Non è forse accaduto questo con la candidatura di Bettin a sindaco di Venezia? Certo, la conclusione di quella vicenda non ci ha entusiasmato, con l'appoggio al secondo turno del candidato di centrosinistra. La strada però è quella giusta: indisponibilità ad un accordo di centrosinistra, formazione di un polo alternativo in cui invitare tutte le forze di sinistra. Ma saremo "attraenti" solo se riusciremo a mantenerci fermi nella nostra volontà di rottura del centrosinistra e se faremo derivare da questa strategia, tattiche coerenti.