Perché la sinistra italiana vuol governare sempre con il centro?
Rassegna storica degli episodi di cogoverno tra centro e sinistra in questo secolo, per scoprire poi alla fine le ragioni profonde di questa caratteristica tutta italiana. REDS. Dicembre 2000.


La questione del governo divide da generazioni i militanti della sinistra. Con chi si deve governare? Governi di sinistra o di centro-sinistra? Allearsi con il centro o solo con la sinistra? Ma é lecito allearsi con la sinistra moderata? E alla fine: é utile porsi il problema del governo?
Nel corso della nostra breve esistenza di partito siamo stati all'opposizione di sei governi (Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, D'Alema e Amato) e abbiamo integrato la maggioranza di un altro (Prodi). È stato giusto opporsi ad alcuni ed appoggiare altri? Come dobbiamo comportarci in futuro?

È giusto battersi per andare al governo?

Certo. L'intento non é affatto moderato. Sia nei periodi di ascesa che nei periodi di riflusso (vedi anche "Periodi di ascesa e riflusso") gli oppressi si pongono il problema del potere. Naturalmente questo problema si colloca al livello consentito dalle condizioni storiche concrete. Nel '17 si poneva ad una larghissima avanguardia sotto la forma della conquista del Palazzo d'Inverno. In una situazione di consolidata democrazia borghese e in un periodo di riflusso il problema del potere si rappresenta, nell'immaginario di massa, sotto la veste dell'andata al governo. Questa é la ragione per cui nei Paesi in cui gli oppressi sentono di poter sostenere forze politiche che possono competere per conquistare il governo, o poterlo influenzare, vanno in massa a votare. Questa é la ragione per cui i comunisti hanno il dovere di dare di volta in volta una risposta al livello di dove si situa la coscienza media della massa. E da quel livello far compiere un passo in avanti. Non é semplice. Le masse da una parte mostrano un realismo pessimista che le spinge a votare per il meno peggio e comunque per quelle forze che si propongono di cambiare appena un po' la situazione, e dall'altra si mostrano utopiste quando immaginano che da governi di questo tipo possano uscire davvero chissà che miglioramenti. Da questo doppio atteggiamento ne discendono sempre iniziali entusiasmi al momento delle vittorie elettorali e puntuali delusioni dopo i primi mesi di prove governative.

Belle speranze e ossa rotte

Purtroppo la storia della sinistra in Italia sulla questione del governo si é sempre divisa in due tronconi: il riformismo e l'estremismo infantile. I riformisti (PSI e PCI dal secondo dopoguerra) si sono sistematicamente rifiutati di governare da soli cercando sempre accordi con forze della borghesia. Gli estremisti (PCI bordighista, estrema sinistra dei primi anni settanta, autonomia, ecc.) hanno semplicemente saltato ed ignorato la preoccupazione spontanea delle masse per la competizione politico-elettorale, anteponendo, quando andava bene, una propaganda ideologica che non aveva alcuna presa.
Noi non abbiamo la verità in tasca ma proponiamo una prima regola: battersi sempre per governi di sinistra e non accettare mai coalizioni con partiti della borghesia.

Le esperienze di cogoverno con la borghesia

In Italia la borghesia ha spesso utilizzato in periodi di crisi la tecnica di allearsi con la sinistra moderata, dando vita alla seguente sequenza: se ne serve per brevi periodi per farle compiere il lavoro sporco (misure economiche antipopolari, freno alle mobilitazioni, ecc.), la sinistra perde così l'appoggio popolare (le masse mica votano a sinistra per farsi spennare!), la borghesia la molla (a meno che la forza di sinistra coinvolta non si trasformi in partito della borghesia, come accaduto al PSI a partire dalla seconda metà degli anni settanta) e ricomincia a governare da sola. La sinistra cioé é uscita sempre con le ossa rotte dai governi di coalizione con la borghesia (governi normalmente chiamati di centro-sinistra).

L'appoggio del PSI al governo liberale Zanardelli-Giolitti nel 1901 comportò una secca sconfitta socialista alle elezioni del 1904. Nel 1903 Giolitti aveva già dato il benservito a Turati (a capo del PSI) costituendo un governo di centro-destra. Ma la lezione non bastò, sicché ci furono altri e vari sostegni del PSI a governi borghesi (uno breve nel 1906 al governo Sonnino per "mettere il nuovo governo alla prova dei fatti", nel 1910 a Luzzatti, nel 1911 al quarto ministero Giolitti). Fino a che al XIII congresso nel 1912 (il partito era passato ad avere 23.500 iscritti dai 51.000 del 1902) l'ala sinistra del PSI guadagnò la maggioranza. Con una politica di opposizione il partito raddoppiò i suoi iscritti nel giro di due anni, nelle elezioni del 1913 raddoppiò i deputati, l'anno dopo conquistò alle amministrative 300 comuni e arrivò nel 1919 a triplicare i suoi deputati ed a raggiungere gli 87.000 iscritti.

PCI e PSI parteciparono dal giugno 1945 a governi insieme ai partiti borghesi (DC, PLI, ecc.): quello Parri e i primi De Gasperi. La sinistra aveva ottenuto propri ministeri. La DC le fece fare il lavoro sporco e la scaricò nel 1947, varando a maggio un governo (il quarto De Gasperi del maggio 1947) che faceva a meno di PCI e PSI. I risultati: nelle elezioni del 2 giugno 1946 PCI e PSI insieme arrivavano al 39, 6%, in quelle del 18 aprile 1948 crollarono al 31,0%.

Il PSI diede il via al primo governo di centro sinistra nel febbraio 1962 concordando l'astensione nei confronti del quarto ministero Fanfani. Il primo governo con alcuni ministri socialisti ("centro sinistra organico": DC+PSI+PRI+PSDI) si ebbe nel dicembre 1963 con Moro come presidente del consiglio. Nenni, a capo del PSI, divenne vicepresidente del consiglio. Da allora in poi il PSI ha sempre votato a favore o si é astenuto (salvo il governo Andreotti del giugno 1972) nei confronti di governi a prevalenza DC. Il PSI partiva nel 1958, partito d'opposizione, con il 14,2%, nel 1972 dopo vari sali scendi era al 9,6%. All'antica percentuale tornò solo con le elezioni del 1987 quando il PSI non era più un partito operaio. In tutto questo periodo invece il PCI, che era all'opposizione, si rafforzava passando dal 25,3% del 1963 al 34,4 del 1976.

Il PCI e il PSI si astennero in occasione del varo nell'agosto 1976 del terzo ministero Andreotti, monocolore democristiano. Nel marzo 1978 votarono a favore del quarto governo Andreotti, pur non chiedendo ministeri. Si trattava dei governi di unità nazionale. Quando nel marzo 1979 il PCI chiese propri ministri, la DC (dopo averlo utilizzato per varare le varie politiche di austerità) lo scaricò e si andò così alle elezioni anticipate. Il risultato per il PCI non poteva essere più disastroso: passò dal 34,4% del 1976 al 30,4% del 1979, il governo Cossiga che seguì lo vedeva di nuovo all'opposizione. Da allora ebbe inizio anche il lungo declino del PCI sul piano degli iscritti.

Anche il PRC ha cominciato a perdere voti per la prima volta dalla sua nascita (nelle amministrative parziali del 1997) proprio durante il nostro sostegno al governo Prodi; e non va certo meglio ai DS.

Perché la partecipazione ai governi borghesi ha sempre comportato sconfitte per i partiti operai (o la trasformazione della loro natura sociale come nel caso del PSI)? Perché questi partiti hanno deluso il loro referente sociale.

L'eterno millerandismo

Le argomentazioni della sinistra che accompagnano le esperienze di cogoverno con la borghesia sono sempre le stesse. La prima: "é la maniera per entrare nella stanza dei bottoni", espressione coniata dal PSI quando andò al governo negli anni sessanta. Si basa sull'idea che le riforme siano possibili se si hanno in mano dei ministeri. Idea questa ancora più antica: l'irrefrenabile spinta ministerialista dei deputati di sinistra una volta veniva chiamata "millerandismo", dal nome di Alexandre Millerand, deputato socialista francese che fu il primo rappresentante di un partito operaio nella storia a entrare in un governo borghese, in qualità di Ministro del Commercio, nel 1899. Più tardi divenne un forsennato guerrafondaio, espulso dal PS ed eletto alla fine Presidente della Repubblica (nel 1920). Ovviamente a partire dai ministeri di governi di coalizione con la borghesia la sinistra non ha mai ottenuto alcuna riforma. Anzi. Da qui l'inevitabile delusione delle masse di cui sopra.

L'illusione é sempre stata quella di poter "condizionare" il governo di coalizione. È sempre avvenuto il contrario. Ed é ovvio che sia così: perché mai i borghesi dovrebbero accettare di allearsi con partiti operai se non per garantire meglio i propri interessi? Così durante il governo Zanardelli-Giolitti, il primo governo appoggiato da una forza di sinistra, il PSI rinunciò alla lotta contro le spese militari, alla lotta per la riforma tributaria e alle riforme politiche (poteva votare solo il 6% delle persone). In compenso vi furono numerosi eccidi di contadini ed operai. Durante un altro governo sostenuto dai socialisti (il quarto ministero Giolitti) si fece addirittura guerra alla Turchia e si invase la Libia. Nel secondo dopoguerra i governi di unità nazionali si incaricarono di disarmare i partigiani, liberare i fascisti, far ritornare i padroni nelle fabbriche, calmierare i salari, dare il via libera ai licenziamenti, posticipare la riforma agraria, ecc. in cambio, dice la retorica della sinistra, si ebbe però la Costituzione! I borghesi, come qualunque persona dotata di buon senso, ben volentieri concede un pezzo di carta in cambio della pelle: il pezzo di carta si può sempre stracciare (é mai stata rispettata la Costituzione?). Il PSI di Nenni all'inizio degli anni sessanta giustificò con roboanti progetti a favore di "riforme di struttura" la sua entrata nei governi a guida DC. Ma l'unica riforma fu quella della nazionalizzazione dell'energia elettrica (per la quale parteggiava anche la grande borghesia), con lauti indennizzi per gli espropriati. I governi di unità nazionale DC-PSI-PCI della seconda metà degli anni settanta produssero una quantità impressionante di decreti liberticidi (era l'epoca dell'"emergenza terrorismo") oltre a segnare l'inizio della politica dei sacrifici. Non é accaduta una cosa diversa con il nostro sostegno e quello ben più corposo del PDS-DS al governo Prodi: l'illusione era quello di un "compromesso sociale dinamico" che condizionasse la maggioranza, in realtà ci hanno usato per far passare due finanziarie definite oggi da tutti (noi compresi) "lacrime e sangue" senza ottenere assolutamente nulla in cambio.

Letteralmente nessuna riforma di rilievo che andasse a favore delle classi subalterne é mai stata varata in Italia da un governo di coalizione tra movimento operaio e borghesia. Le riforme sono sempre state ottenute con le lotte dall'opposizione. Il suffragio universale maschile ottenuto nel 1912 vedeva i socialisti all'opposizione; la scala mobile, lo statuto dei lavoratori, ecc. il PCI all'opposizione, ecc.

Al lupo al lupo...

Seconda argomentazione usata solitamente per giustificare il sostegno o la partecipazione a governi di coalizione con la borghesia: "per battere la destra". L'argomentazione non é priva di una qualche destrezza. Visto che non si riuscirebbe a spiegare in termini ragionevoli a positivo perché ci si allea con certa gente, si accentua il carattere spregevole degli altri, di fronte ai quali i primi diventano così "dei meno peggio". Ovviamente al peggio non c'é mai fine ed é evidente che una simile argomentazione può servire potenzialmente a giustificare qualsiasi alleanza.

Del resto di destre in Italia non ne sono mai mancate, e per tutti i gusti. Turati per giustificare l'appoggio al liberale Giolitti all'inizio del secolo, affermava di non voler arrecare "vantaggio alla reazione in agguato". Togliatti nel secondo dopoguerra ammoniva i perplessi dell'unità ciellenista adducendo che il fascismo, sconfitto, "poteva rialzare la testa"; nel 1964 a Nenni venne un accidente quando gli parlarono di possibili golpe (De Lorenzo) e si affrettò a dare il via al secondo governo Moro, che affossava programmaticamente i già deboli intenti riformatori del centro sinistra: "la sola alternativa che si é delineata nei confronti del vuoto di potere conseguente ad una rinuncia del centro-sinistra é stata quella di un governo di emergenza ... che nella realtà del paese qual é, sarebbe stato il governo della destra, con un contenuto fascistico-agrario-industriale, nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito". La tattica del compromesso storico, cioé della necessità di arrivare ad un governo DC-PSI-PCI, era giustificato da Berlinguer "per non spaccare in due il paese (...) sappiamo, come mostra ancora una volta la tragica esperienza cilena, che questa reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quando le forze popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del potere nello stato e nella società". Per giustificare il nostro sostegno a Prodi, e prima ancora la desistenza, Fini e Berlusconi vennero apostrofati di "destra eversiva".

Buoni e cattivi

Terza argomentazione: "la borghesia non é monolitica, esiste una borghesia illuminata ed una più retrograda". Corollario: "per questo possiamo allearci con una combattendo l'altra". Si sono sentite ultimamente anche considerazioni del tipo: "questa borghesia la conosciamo, ma quella là (intendendo Berlusconi e soci)" L'abitudine da parte della sinistra a dividere i borghesi in buoni e cattivi é antica. Turati affermò che la tesi che le "classi possidenti" formassero "un'unica massa reazionaria (...) si era dimostrata falsa" poiché esse si distinguevano "per un cumulo di contrasti più o meno latenti". Bisognava operare dentro queste divisioni per combattere la reazione usando "la tattica accorta delle alleanze". Giocare con le contraddizioni della borghesia é sempre stato un sogno dei furbi teorici della nostra sinistra, solo che hanno sempre trovato dall'altra parte giocatori un po' più sagaci, meno ingenui, ed assai disposti a truccare le carte.

La grande borghesia é monolitica? Sì, sulle cose che contano. Ovviamente i borghesi si differenziano (come accade anche agli operai) sui modi per raggiungere i propri fini: è evidente che quelli alleati con il centro sinistra pensano di raggiungerli con la complicità dei gruppi dirigenti politici e sindacali del movimento operaio, gli altri facendone a meno. Esiste anche una distinzione di interessi tra borghesi di diverso orientamento politico? Spesso sì, ma oggi faticheremmo non poco ad associare ad un certo interesse economico l'adesione ad un determinato schieramento. La borghesia che comanda ha appoggiato il centro-sinistra ai tempi di Prodi. All'epoca, secondo un sondaggio compiuto dall'Espresso tra 60 membri della giunta di Confindustria, il 40%, contro il 28%, pensava che a seguito della vittoria dell'Ulivo si sarebbe verificato un aumento della produzione industriale. Del resto l'ottimo andamento della lira all'indomani delle elezioni stava chiaramente ad indicare il gradimento borghese. Oggi il vento è cambiato, per ragioni che non analizziamo qui, e la grande borghesia esprime una leggera e prudente preferenza per il centrodestra.

Fine primo tempo: mai

Quarta argomentazione: "adesso battiamo la destra, così avremo tempo di costruire la resistenza nella società", con la variante: "sconfiggiamo la destra per mantenere aperti gli spazi di democrazia che ci consentiranno in un secondo tempo di...". Questa del guadagnare tempo é una vecchia cantilena che si basa sul presupposto che la sinistra possa crescere al calduccio, nella calma e nella contemplazione. La qual cosa non si é mai data. La sinistra si é sempre e soltanto sviluppata nei momenti di effervescenza sociale, cioé di scontro tra le classi. È andata avanti alla fine del secolo scorso sull'onda delle rivolte contro il carovita, nell'immediato primo dopoguerra sull'onda degli scioperi e delle rivolte contadine ed operaie, nel secondo dopoguerra con la Resistenza, negli anni settanta grazie al radicalismo sociale scoppiato nel '68. Pensare che sia possibile crescere restandosene "in un primo tempo" in disparte é come un contadino che aspetti che finisca il temporale per coprire i covoni: lui avrà anche evitato di bagnarsi, ma il raccolto sarà andato in malora.

Nessuna di queste esperienze di cogoverno del resto é servita ad arrestare la destra, al contrario l'ha indirettamente favorita: al giolittismo é seguito il fascismo (e prima di quello l'invasione della Libia), ai governi unitari del '45-'47 seguì la valanga democristiana delle elezioni del '48 (e la DC allora era qualcosa di ben peggiore di Forza Italia), al primo governo di centro sinistra (quello Fanfani del febbraio 1962 che vedeva l'astensione del PSI) seguì nelle elezioni dell'aprile '63 una grande avanzata dei liberali (allora su posizioni di destra, arrivarono a superare il 7%) e un incremento del MSI. In quelle elezioni crebbe di parecchio il PCI (dal 22,7 al 25,3) e per una ragione molto semplice: stava all'opposizione (anche se non di sua volontà). Del resto i governi di centro sinistra non fermarono affatto i tentativi golpisti e nemmeno il terrorismo nero. Ed é sotto i governi Amato-Ciampi-Dini, in varia misura sostenuti dal PDS, che la destra ha covato ed é esplosa. La destra rialza la testa, nel senso che riceve un sostegno di massa, sempre e soltanto nel momento in cui la sinistra ha deluso i suoi referenti sociali.

Un senso che annulla tutti gli altri: quello di responsabilità

Quinto argomento: "in questo momento difficile bisogna mostrare senso di responsabilità". Il concetto viene tenuto di riserva generalmente in occasione delle crisi economiche, quando si richiedono duri sacrifici ai lavoratori e senso di responsabilità, appunto, ai dirigenti sindacali (che ne hanno in abbondanza: costa poco). Ai tempi del governo Prodi i quotidiani borghesi e l'Unità lo avevano tirato fuori dal cassetto per convincere Rifondazione alla mansuetudine: non a caso gli si ricordava il luminoso esempio del PCI, quando grazie al suo "senso di responsabilità" accettò la politica dei sacrifici nei tardi settanta.

Ma anche in questo caso abbiamo antecedenti illustri. Un editoriale di Critica Sociale organo del PSI nel 1901, alla vigilia dell'appoggio al governo Zanardelli-Giolitti: "l'avvento dell'estrema sinistra alla responsabilità e ai doveri di una politica non più soltanto negativa, ma positiva e di governo". E Togliatti mentre partecipava nel 1945 al governo di ricostruzione nazionale: "Il PCI fa appello agli operai, agli impiegati, ai tecnici, ai contadini, nerbo della ricostruzione, perché aumentino il rendimento del lavoro, lottino contro la negligenza e gli sprechi, difendano la disciplina nelle fabbriche, nei campi, negli uffici. È questa una delle condizioni per creare in Italia un vero regime democratico."

Quando una carica istituzionale o un qualche rappresentante autorevole della borghesia fa appello al "senso di responsabilità" della sinistra, i suoi dirigenti non capiscono più niente. È una specie di richiamo della foresta: devono andare. Da parte di questi strati dirigenti vi é una sorta di regressione infantile. Così come per i bambini educati troppo severamente il maggior godimento non sta nel vivere il proprio piacere, ma nel sentirsi apprezzati dagli adulti, così per i burocrati non c'é nulla di meglio delle lodi dei potenti. Riportano sempre sulla propria stampa a caratteri cubitali un qualsiasi complimento elargito da industriali, commentatori di destra e banchieri. Quante volte abbiamo dovuto leggere sull'Unità del passato frasi compiaciute del tipo: "anche la Confindustria ha dovuto riconoscere il nostro grande senso di responsabilità", "anche la DC ha dovuto ammettere il vivo senso dello stato che emana dalla nostra azione politica", ecc. ecc.

Ma che vuol dire "senso di responsabilità"? Verso chi? Verso che cosa? Quando si scava un po' sotto tanta serietà, salta fuori, guarda un po', il nazionalismo. La responsabilità é verso la "patria" (come si diceva una volta) o verso il "paese", che é la stessa cosa, ma sa un po' più di sinistra. Da qui si capisce perché le burocrazie sindacali appena qualcuno nomina la frase smettono di giocare e scattano sull'attenti. L'amore per il "paese" sta ad indicare la fortissima propensione a pensare che i lavoratori italiani hanno molto di più in comune con i padroni italiani che con gli operai di altri paesi, significa speranza che nei momenti difficili (per i padroni) ci si possa tutti unire in una solidale alleanza sociale.

Anche i ricchi hanno dei dilemmi

Ma perché ci ritroviamo questa tradizione tutta italiana dei governi di alleanza tra centro e sinistra? Sarà un "carattere nazionale"? Sarà la nostra endemica mancanza di serietà? Sarà l'arretratezza della nostra formazione sociale?

Partiamo da un fatto: in Italia la borghesia non é mai riuscita a governare da sola, cioé con una sua diretta rappresentanza politica. Lo stesso fascismo non ha mai entusiasmato il grande capitale. Anche i borghesi sognano e a loro sarebbe da sempre tanto piaciuto avere a disposizione un bel partito conservatore o liberale o gollista o anche qualcosa di vagamente simile. Partiti di questo genere li hanno anche avuti (il partito liberale, quello repubblicano), il problema é che nessuno se li votava. Così si sono dovuti, diciamo così, accontentare di quel che passava il convento. Nel senso letterale del termine. In Italia il dilemma dei borghesi é sempre stato: per raggiungere i nostri fini coinvolgiamo le burocrazie operaie o la gerarchia ecclesiastica? In altri paesi tali angoscianti domande i borghesi non devono porsele. Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna hanno borghesie che possono permettersi di fare da sole, salvo qualche eccezionale parentesi. Hanno proprie autonome rappresentanze politiche, riescono a fare a meno di annusare incenso e di annoiarsi con la vacua retorica dei burocrati sindacali. In Italia no. Perché?

Semplice: perché da noi c'é un movimento operaio dalle tradizioni troppo sovversive. L'Italia é l'unico paese capitalista avanzato ad aver avuto in questo secolo almeno tre crisi prerivoluzionarie, l'unico ad aver conosciuto decine di scioperi generali, l'unico ad aver accumulato un gigantesco numero di ore perse per scioperi rivendicativi, il paese con il più alto numero di militanti politici e sindacali, l'unico dove formazioni armate degli anni settanta avessero un radicamento nelle fabbriche (e non solo tra gli universitari), e così via. La borghesia italiana tradizionalmente assai poco cattolica e molto massonica, ha così dovuto massicciamente far ricorso ad altari e campanili. Giolitti dovette chiedere nelle elezioni del 1904 e del 1909 l'aiuto della gerarchia ecclesiastica, che ritenne opportuno sospendere nell'occasione il "non expedit" che impediva ai cattolici di partecipare alla vita politica; nel 1913 lo stesso Giolitti arrivò a stabilire con il presidente dell'Azione Cattolica, Gentiloni, un patto segreto che prevedeva l'appoggio dei cattolici ai candidati liberali nei collegi nei quali questi ultimi non potevano da soli sperare in una vittoria. In compenso i deputati liberali eletti si impegnavano a non approvare leggi contrarie alla Chiesa (divorzio, abolizione insegnamento religioso nelle scuole, ecc.). Giolitti non riuscì ad utilizzare a suo piacimento le forze del Partito Popolare fondato da Don Sturzo nel 1919. Ma il problema risorse alla caduta del fascismo e la borghesia dovette rinunciare a puntare su un partito liberale che non aveva alcun sostegno di massa e ricorrere di nuovo alla gerarchia scommettendo sulla Democrazia Cristiana per fronteggiare la sinistra e gli operai armati che uscivano dalla Resistenza. La borghesia ha dovuto accontentarsi di questa rappresentanza fino all'inizio degli anni novanta, quando con tangentopoli ha cercato di scrollarsela di dosso per darsi un'espressione politica ed un sistema di dominio più moderno e razionale.

Dover ricorrere alla gerarchia ha significato per la borghesia ricorrere anche ad un blocco sociale e di potere assai poco moderno, che ha contribuito a mantenere l'Italia in una situazione di arretratezza tra i paesi imperialisti. Piccoli proprietari terrieri, negozianti, piccoli commercianti, burocrati, mafiosi, ecc. L'Italia mantiene a tutt'oggi un numero enorme di lavoratori autonomi: il 26% della popolazione economicamente attiva contro il 10% della Gran Bretagna, il 7% della Germania, con un conseguente, clamoroso ritardo nella diffusione della grande e moderna distribuzione commerciale. Vi sono intere regioni sotto controllo mafioso. L'appoggiarsi sul familismo con tutta l'annessa retorica vaticana sul "valore" della famiglia ha comportato uno dei più bassi tassi d'attività della popolazione del mondo industrializzato: 39% contro il 47% tedesco e inglese. Il capitalismo italiano é così cresciuto con un regime di bassi salari dovuto al fatto che i lavoratori dipendenti dovevano pagare le spese per il mantenimento artificiale di ceti sociali destinati alla sparizione e che non contribuivano alla fiscalità generale (quasi interamente a carico dei proletari), pur godendone dei benefici (salute, scuola, ecc.). Il reddito operaio ha dovuto sostenere in larga misura anche la pensione di questi ceti.

Ma persino il ricorso all'aiuto della gerarchia ecclesiastica é stata insufficiente in questo secolo a contenere le spinte operaie e così a più riprese la borghesia ha dovuto far ricorso anche agli strati dirigenti dei sindacati e dei partiti operai. Anche in questo Giolitti é stato il grande precursore: per giustificare agli occhi dei moderati il ricorso ai deputati socialisti in un periodo di grandi sommovimenti sociali disse: "Io non temo mai le forze organizzate, temo assai più le forze inorganiche, perché su quelle l'azione del governo si può esercitare legittimamente ed utilmente, contro i moti inorganici non vi può essere che l'uso della forza."

Si può comprendere la ragione per cui la borghesia ricorre alla sinistra quando non ce la fa a governare, ma la sinistra perché ci casca? Per la stessa identica ragione della borghesia. La sinistra italiana é l'unica nel mondo industrializzato a non riuscirsi a pensare come alternativa ai partiti della borghesia e ciò avviene dall'inizio del secolo. In ciò si distingue da quella tedesca, francese, spagnola, inglese... Il problema é che i dirigenti dei partiti di massa della sinistra e dei sindacati hanno sempre dovuto tener conto dellla fortissima pressione che é sempre venuta dalle masse subalterne. Governare da soli vorrebbe dire trovarsi a tu per tu con aspettative enormi da parte degli oppressi che non si saprebbero governare, i dirigenti della sinistra sono stati sempre terrorizzati all'idea di una borghesia che potrebbe boicottare, combattere, usare la forza contro la pressione popolare e per sconfiggere la quale si dovrebbe far ricorso alla mobilitazione di massa. Insomma uno scenario che spaventerebbe qualsiasi burocrate pieno di equilibrio e di buona educazione. È uno scenario inaccettabile per chi pensa che i lavoratori possano poco a poco conquistarsi degli spazi nella società, con la calma, la ragionevolezza, aborrendo la violenza, convincendo i borghesi che va bene così, in fondo anche per loro é meglio, insomma, come diceva Zinovev per prendere in giro i riformisti, arrostendo il coniglio a fuoco lento senza che questo se ne accorga. La chiave della comprensione del comportamento della sinistra moderata sta nella frase di Berlinguer: "per non spaccare in due il paese", cioé per evitare la guerra civile, il precipitare in una situazione prerivoluzionaria, dove le alternative sarebbero solo andare avanti verso la presa del potere o scappare riconsegnandolo alla borghesia. Possiamo imputare a questi tranquilli, rispettabili e pipeschi signori in giacca e cravatta che conversano tutti i giorni piacevolmente con i nostri avversari facendo finta di rappresentarci, di non essere arditi rivoluzionari? Poveretti, no. Si tratta semplicemente di evitare che continuino a rappresentarci.