Che gli è preso
a Il Manifesto?
I compagni
de Il Manifesto si sono messi in testa di convincere noi di Rifondazione che
il centrosinistra non fa poi tanto schifo. Esageriamo? Ecco qualche indizio.
REDS. Dicembre 2000.
Strani segnali da Il Manifesto, quotidiano comunista, dice la copertina. Noi abbiamo fatto uno più uno e ne è venuta fuori una certa conclusione, che riportiamo in fondo. Prima, però, descriviamo i segnali.
1. Nella scuola è in corso una vertenza durissima che dura ormai da febbraio. Si tratta dell'unico movimento di massa sorto in questi anni di centrosinistra ed è dotato di una sorprendente capacità di resistenza (5 scioperi in otto mesi). La controparte è il Ministero della Pubblica Istruzione: prima Berlinguer, defenestrato appunto dal movimento, ed ora De Mauro. Bene, che fa Il Manifesto? Approfitta delle uniche occasioni nelle quali questi signori possano dimostrare di essere di sinistra (buoni scuola e attacco ai libri di testo) per fornire in tempi diversi un'intera pagina di interviste compiacenti e soft.
2. La Carta europea dei Diritti alla quale, giustamente, il nostro partito ha votato contro. Siamo prima rimasti colpiti dal fatto che invece di promuovere una campagna contro il Manifesto avesse dato ampio spazio a posizioni "problematiche" o apertamente favorevoli, come quelle di Rodotà. Poi, dopo aver letto l'articolo conclusivo della Rossanda, abbiamo capito. La Rossanda spende i quattro quinti del suo pezzo per dirne di tutti i colori sulla Carta, ma poi:
"Forse non è indebito pensare che proprio una valutazione pessimistica delle forze in campo, l'emergere in Europa di fenomeni regressivi e manifestatamente fascisti, la richiesta di far parte dell'UE della Turchia che ha ancora la pena di morte e opprime una grandissima minoranza, ha suggerito gli esperti di portare a casa, per dir così, il massimo possibile dei diritti civili. E in questo sono riusciti. Perciò la Carta non andava respinta."
Una volta quelli che a sinistra ci invitavano al "realismo della politica" si preoccupavano almeno di tirare fuori di tasca uno straccio di motivazione che avrebbe dovuto indurci a votare a favore di ciò che ci faceva più o meno schifo; ora (che tempi!) non ci si preoccupa nemmeno di questo. Secondo il Manifesto il nostro partito avrebbe dovuto votare a favore perché alcuni esperti (chi?) ritenevano che il massimo ottenibile (al di fuori di qualsiasi comunicazione o discussione pubblica) fosse che nella Carta si rassicurasse i cittadini che non sarebbero, in alcun caso, garrotati. Spennati fino al midollo dalle imprese purtroppo sì, perché questo diritto è sancito nella Carta, ma, almeno, il collo è salvo. Sono tempi in cui certi comunisti si accontentano.
3. Sulla vicenda Fo abbiamo già riferito dell'atteggiamento del Manifesto. Nella sostanza ha boicottato questa possibilità, perché convinto che l'unica strada fosse un candidato più moderato dove il centro potesse sentirsi rappresentato. Il culmine si è però raggiunto quando, a rinuncia fatta, il Manifesto ha pubblicato uno scritto di Fo e Franca Rame ma: con delle omissioni (in altra parte della rivista lo riportiamo per intero). Quando abbiamo notato i puntini al posto di intere frasi abbiamo pensato: boh, forse, era troppo lungo. Rileggendo il pezzo sul giornale abbiamo percepito una vaga impressione di qualcosa che non andava, era sparito, come dire: un po' di mordente. Così abbiamo messo a confronto le due versioni: dal Manifesto erano sparite varie cose tra le quali i rilievi più critici verso il centrosinistra. Siamo malevoli? Giudicate voi, ecco alcuni dei pezzi tagliati:
"In fondo sanno che uno dei mali maggiori della sinistra sono proprio loro: una casta di politici di professione estremamente abili a restare in sella ma in gravi difficolta' quando si tratta di parlare alla gente o di trasformare il potere ricevuto in reali miglioramenti della qualita' della vita dei cittadini."
"Servono soluzioni pratiche e servono persone pratiche, abituate a vivere nel mondo reale e non nei corridoi della politica, drogati di sondaggi. La sinistra dovrebbe avere meno paura di mettere dei professionisti di valore nelle posizioni chiave anche se questo priverebbe i politici di professione del loro cadreghino."
E poi dopo aver parlato della rete del commercio equo e solidale: "L'intellighenzia della sinistra fa finta di non vederla... Per loro sono solo bottegai..."
4. Poi: la chicca. Il giorno 12 dicembre Il Manifesto pubblica, in una pagina tutta dedicata alla lotta a favore delle produzioni biologiche, un trafiletto dal titolo "Illy, il brasiliano". Ci diciamo: finalmente si scoprono le magagne di questo capitalista, messo dal centrosinistra a fare il sindaco di Trieste. Macché: si tratta di un vero e proprio spot pubblicitario camuffato da articolo agiografico. Esageriamo? Ecco il pezzo, che riportiamo interamente e senza commenti:
"Selezionare il prodotto sulla base della qualità, incentivando in Sudamerica una produzione non di massa. A farlo, in Brasile è una società per azioni, leader mondiale nel settore del caffè: la Illy Caffè. Escluso a priori che l'azienda di una famiglia che ha prestato il figlio Riccardo alla politica si muova senza fini di lucro, la Illy opera in controtendenza rispetto alle multinazionali del settore. Il mercato richiede piante "robuste", ricche di caffeina e prive di aroma da comprarsi a prezzi irrisori, necessarie per la produzione del caffè solubile, cui pare siamo destinati. La Illy si rivolge invece ai produttori di "arabico", caffè da tazzina, e offre prezzi alti a tutti i cafeteros che impongano regole qualitative nelle piantagioni. Da dieci anni ha istituito un premio annuale a San Paolo destinato ai 10 produttori brasiliani distintisi per qualità, mentre i primi 50 si assicurano la vendita dell'intera produzione. Il 60% del blend dell'azienda triestina proviene dal Brasile: nel settore del caffè la Illy si pone, nonostante la crisi, in una posizione di preminenza che le ha spalancato le porte a collaborazioni con le principali istituzioni locali, dalla Usp, maggiore università di San Paolo, all'Istituto agronomico di Campinas, responsabile per il 70% delle varietà di caffè attualmente in produzione in tutto il mondo. "Stiamo provocando un radicale cambio di mentalità in Brasile - ha dichiarato Ernesto Illy, presidente/patriarca della multinazionale di famiglia (il gruppo conta altre cinque aziende, in Usa, Benelux, penisola iberica, Francia e Germania, tutte facenti capo alla casa madre di Trieste, capitale controllato da babbo, mamma e quattro fratelli Illy) -; stanno comprendendo che la qualità della tazzina è l'unico modo di aumentare i consumatori". Il rapporto privilegiato instaurato oltreoceano ha spinto i fazenderos a invadere con piantagioni la zona arida dell'altopiano centrale, dove, sopra i 1000 metri il caffè supera in bontà il ricercatissimo caffè di montagna colombiano. I risultati di questa politica di mercato "contro" il mercato trovano riscontro nelle cifre: nel '99 il gruppo ha consolidato un fatturato di 295,4 miliardi, con un utile di 17,2 miliardi. Un risultato cui si è giunti anche in virtù di scelte di marketing redditizie: l'idea di fondo è quella di fare della "tazzina di caffè" una forma di cultura. Al brodo scuro liofilizzato da tracannare in velocità, la Illy contrappone le sue miscele, servite in tazzine disegnate dal meglio del designer mondiale. Mercato di qualità o mercato di massa? Invertendo l'ordine dei fattori, per campesinos e industrie, il prodotto non cambia. Rispettivamente sfruttamento e utili. E' il consumatore caso mai ad essere, almeno "geneticamente", protetto."
Mettendo insieme tutti questi segnali siamo giunti alla conclusione che dentro a Il Manifesto si siano messi in testa si aprire una campagna verso noi di Rifondazione per indurci ad un accordo con il centrosinistra. Dato che molti di noi leggono il Manifesto, sperano in questo modo di esercitare una pressione sui vertici. Vogliono farci credere che il centrosinistra non fa poi così schifo. E' vero, ci dicono, ha la tendenza a scegliere dei capitalisti o dei moderati come sindaci, ma: sono illuminati! Se producono caffè lo fanno spingendo i brasiliani a invadere gli altipiani, così il caffè viene più profumato. Dopo aver letto l'articolo, però, una strana inquietudine si è impadronita di noi: chissà chi ci stava prima, sugli altipiani.
Si sono messi in testa di farci bere il caffè
del centrosinistra e cercano di convincerci che è d'una bontà
sopraffina. E via che ci ficcano nella tazzina cucchiai e cucchiai di zucchero,
pure se continuiamo a dire loro che lo vogliamo amaro. Noi il caffè di
Illy ce lo beviamo pure, anche se vorremmo tanto sapere quanto vengono pagati
i campesinos delle sue piantagioni. Il voto, però, continueremo a non
darglielo.