Sulla "riduzione del
danno" (di chi?).
Sulla
politica delle alleanze nel PRC. Di
Meri Rampazzo, segretaria del Circolo PRC Karl Marx di Padova. Novembre 2000.
cari compagni e
compagne di reds
la vostra analisi sulle strategie elettorali del prc esprime un pensiero comune
che sta diffondendosi a fatica tra la base del partito. I militanti spesso accettano
remissivamente le decisioni prese ai vertici per amore di quell'unità
che dovrebbe sempre caratterizzare un partito comunista, ma poi si ritrovano
in evidenti contraddizioni di cui non possono che vergognarsi (è accaduto
nelle elezioni del giugno 99 e anche nelle ultime regionali).
Nelle federazioni pochi hanno il coraggio di sollevare questo problema e chi
lo fa viene al più presto isolato o costretto a una scomoda posizione
di dissenso. In genere i compagni che comprendono la reale natura del "metodo
sindacale" utilizzato dai dirigenti sono coloro che più frequentano
le federazioni e più lavorano di gomito per il partito. Nella federazione
padovana, ad esempio abbiamo assistito all'allontanamento volontario (o meno)
di tanti militanti fra i più presenti e produttivi. Gli altri, a cui
manca un confronto diretto con certe pratiche manipolatorie e/o celanti (così
ben descritte da Germano Monti a proposito della federazione romana) faticano
a prendere posizione e, tra una brontolata e l'altra, tirano avanti.
La situazione del partito, a mio parere è gravissima. Il turn-over degli
iscritti, più volte citato con ambascia dal dipartimento organizzazione,
è l'indice più evidente di come la politica ambigua e ondivagante
del partito non possa assolutamente ricreare le condizioni per un partito di
massa. Occorre divulgare al massimo tra i militanti il nostro appello per un
cambiamento di rotta, prima che sia troppo tardi. Solo la base degli iscritti
e dei simpatizzanti può fare qualcosa in questo senso, a patto che riconquisti
la sua dignità di pensiero e il suo diritto di parola.
Ben dite quando affermate: "Non si comprende per quale ragione dobbiamo
essere trascinati nella voragine di una sconfitta senza gloria con questo centrosinistra".
Voglio invece sollevare qualche dubbio sulle metodologie utilizzabili per rompere
il centro sinistra e praticare alleanze con ds e verdi. Mi spiego.
Il progetto per Venezia, sviluppato da Cacciari-Bettin-Casarini, inizialmente
fu accolto con molta simpatia dai compagni veneti, poi però, riflettendo
e approfondendo i termini di quella iniziativa, molti compresero che si stava
larvatamente procedendo a una sorta di test nazionale. Rileggendo attentamente
i documenti comparsi sulla Rivista del manifesto e sul libro edito da Carta
si individua esattamente e senza possibilità di fraintendimenti quale
era (e quale sarà) la base su cui poggia la dinamica della "riduzione
del danno", ovvero "l'appoggio incondizionato al centro sinistra".
Detta operazione dunque, che anche voi registrate frustrante nelle sue conclusioni,
è stata realizzata a partire da un postulato intoccabile: la libertà
di movimento per rifondazione trova i suoi limiti all'interno della coalizione
che si oppone alla destra, punto e basta.
Un po' come dire che rifondazione altri non è che una controfigura dei
ds, indispensabile per riequilibrare la loro vergogna mentre si prodigano per
diffondere il pensiero unico e per tributare obbedienza all'impero usa.
(Non sto a raccontarvi il putiferio esploso durante un cpf padovano, presente
Paolo Cacciari, quando si è tentato di esprimere le motivazioni della
nostra critica - se siete interessati vi invio documenti)
Rompere il centro-sinistra è un obiettivo intelligente che può
essere praticato solo formulando un programma veramente alternativo e comunista,
presentando in autonomia un premier qualitativamente convincente.
Prendiamo però anche in considerazione il fatto che la classica geografia
destra/sinistra non sembra più corrispondere alla realtà degli
elettori. Qui non si tratta più di guardare solo a "quelli (presunti)
di sinistra" (sedersi al tavolo degli accordi e gestire la politica solo
ai vertici è una pratica che esclude la partecipazione di massa), ma
si tratta di rivolgersi alle classi che oggi sono sfruttate, dimenticate, oppresse.
Io credo che un partito comunista debba rivolgersi innanzitutto alle persone
in carne ed ossa che lavorano, che soffrono, che non capiscono il politichese
e che se ne infischiano delle differenze tra le varie copertine, che guardano
i contenuti capaci di cogliere le loro sostanziali esigenze, di spiegare loro
quali sono i diritti civili e sociali, di aprire le porte delle federazioni
e dei circoli al loro contributo, di sostenere le loro battaglie.