Sulla rotazione.
Guido Benni della redazione di Progetto Comunista Sicilia interviene sul nostro documento La rotazione.


Trovo stimolante l'argomento proposto dall'articolo di Reds La rotazione: tabù organizzativo di partiti, sindacati, movimenti e opportunamente rilanciato dal nostro sito.
Non è detto, ovviamente, che tutto quanto sostenuto nell'articolo in questione sia condivisibile e il dibattito, che io spero si apra, investe una gamma assai ampia di tematiche.
Quello che mi preme sottolineare è che, dietro la questione della rotazione dei quadri dirigenti (o, se vogliamo ribaltare la formula: dietro la loro inamovibilità), si sostanziano tematiche ineludibili per chiunque si ponga seriamente il compito di rifondare il comunismo.
Mi pare opportuno centrare l'attenzione su due punti, con un occhio rivolto al passato, per trarre esperienza, e uno rivolto alla progettualità futura per scorgere gli ostacoli e decidere il che fare.

1. L'esperienza dell'URSS e degli altri paesi del "socialismo realizzato" è finita nel modo che conosciamo ed è del tutto retorico ricordare il ruolo che, in questo processo di decomposizione, hanno svolto la dittatura stalinista e il prepotere burocratico che aveva usurpato il potere dei consigli. Meno retorico, invece, è porsi la seguente domanda:
"Come mai il proletariato, una volta acquisito il potere, invece di tenerselo, ha finito col delegarlo ad un ceto burocratico privilegiato?". La questione, in fondo, è sorta ben prima dell'avvento al potere di Stalin. Lo stesso Lenin, prima della sua morte, se ne preoccupava cercandone una soluzione e, nel frattempo, nel definire la forma statuale della neonata Unione Sovietica, era costretto ad adottare la formula di "stato operaio deformato (dal
burocratismo)". Risultato di una rivoluzione avvenuta in un paese arretrato e con un proletariato non adeguatamente maturo? Probabilmente. Giova, però, ricordare che, nei paesi occidentali evoluti, la classe operaia, non avendo mai acquisito il potere, ha, però, delegato alla burocrazia le funzioni di controllo delle proprie organizzazioni: sia quelle partitiche che quelle sindacali;

2. La rovinosa caduta dell'URSS, con la somma di negatività che si è portata dietro, ha aperto, tuttavia, una prospettiva nuova e potenzialmente positiva. Per la prima volta, venuta meno l'esigenza della "difesa di campo" (dato che il campo non c'è più), è oggi possibile far dialogare e mettere a confronto esperienze politiche, partitiche e organizzative che erano, in precedenza, totalmente contrapposte e non-comunicanti. é evidente che un processo dialettico di tale natura contiene in sé le potenzialità necessarie per riesaminare criticamente il passato, ma anche per riproporre un'elaborazione e una progettualità adeguate ai tempi. Purtroppo, vediamo, assai pi spesso, partiti,
frazioni, gruppi e gruppetti scontrarsi ferocemente e "scomunicarsi" reciprocamente: molto spesso sulla scorta di "inezie teoriche" pedantemente definite "differenze strategiche". è evidente che, alla base di tutto ciò, troviamo un'esasperata difesa dell'identità del gruppo e, dietro l'identità del gruppo, si cela l'autoconservazione di un quadro dirigente. La cosa, di per sé, sarebbe ridicola se non fosse che cos¨ si impedisce il pieno concretizzarsi di un
dibattito necessario alla rifondazione del comunismo.

Per concludere, vorrei ricordare che negli ultimi anni abbiamo assistito, sul nostro pianeta, a diversi processi rivoluzionari: Indonesia, Ecuador, Chapas ed altri. Alcuni di essi sono stati vittoriosi. In Ecuador, ad esempio, il popolo, i lavoratori, le comunità indigene hanno rovesciato il governo e assunto il potere. Poi, però, non hanno trovato di meglio che andarsi a cercare un settore della borghesia erroneamente ritenuto "migliore" e affidare ad esso il potere conquistato.
Certamente, in Ecuador non c'era, contrariamente alla Russia del 1917, un partito bolscevico capace di stimolare e orientare la coscienza delle masse. Ma, mi domando e domando ai compagni: il proletariato è, comunque, destinato a delegare il potere che conquista, restituendolo nelle mani della borghesia o demandandolo ad un ceto burocratico?
Forse, la soluzione prospettata nell'articolo di "Reds" può essere una via d'uscita. Confesso, però, che a me pare macchinosa e, soprattutto, meccanicistica.
Gradirei, comunque, sentire cosa ne pensano altri compagni.