Quale progetto?
L'intervento
di Mario Gangarossa in vista dell'Assemblea di Massa. Giugno 2002.
Il
progetto delineato nel documento preparatorio del Seminario nazionale è all'apparenza
ambizioso e tale comunque da rendere necessaria - per le "scelte"
che impone - una discussione ampia e approfondita capace di coinvolgere il
maggior numero di compagni possibile.
Le due questioni - la creazione di un'unica, nuova e più ampia associazione
marxista rivoluzionaria e la rifondazione della IV internazionale - sono a
mio parere più intimamente legate di quanto possa apparire, essendo la prima,
condizione necessaria per rendere "credibile" il ruolo internazionale
dei compagni dirigenti di "Proposta" e rendere più forte l'organizzazione
internazione alla quale aderiscono.
In questa senso, sciogliere un'organizzazione ormai in difficoltà evidente
(Proposta) e provare a capitalizzare la presenza totalizzante dentro Progetto
Comunista facendo fare "un salto di qualità" a un'area che è per
sua natura spesso ingovernabile, è il tentativo di scavalcare con un gioco
di prestigio organizzativo la necessità di un reale salto di qualità sul terreno
del dibattito politico e della reale capacità di egemonia dentro l'area dei
compagni che hanno votato il II documento.
Egemonia che non può essere imposta "rimescolando le carte" ma ricercata
nel confronto fra le posizioni presenti dentro un tendenza politica caratterizzata
tutt'ora da un pluralismo notevole nonostante le "prese d'atto"
e le scomuniche a cui siamo stati abituati negli ultimi tempi.
Certo si può ritenere conclusa una fase e pensare che oggi è il momento di
stringere le fila e andare alla "conquista delle forze migliori del partito
a un coerente progetto comunista" marcando una distinzione "ideologica"
all'interno dell'area che necessariamente cristallizzerà il dibattito e ne
castrerà le prospettive, ma farlo comporta comunque un confronto che non si
può dare per avvenuto.
Il documento dà subito invece, perfino nel titolo, come elemento centrale
caratterizzante della nuova associazione, l'impegno "per la rifondazione
della IV internazionale".
E' legittimo che i compagni propongano come programma concreto della nuova
aggregazione politica quello che è il prodotto della loro "storia"
e delle loro convinzioni, ma è altrettanto legittimo ricordare che, nelle
Tesi da noi tutti votate, nessun richiamo veniva fatto all'esperienza della
IV internazionale (si spera non per motivi opportunistici legati alla necessità
di lucrare consensi più ampi) e anzi si poneva l'accento sulla necessità della
"rifondazione di un'internazionale comunista basata sul programma del
marxismo rivoluzionario, capace di raggruppare su questo programma tutte le
organizzazioni e correnti rivoluzionarie del movimento operaio e antimperialista
del mondo".
I compagni ritengono questo un esempio di "salto di qualità" e probabilmente
pensano che le tesi riflettevano ancora "il carattere incompiuto di un
confronto politico sui principi essenziali del marxismo rivoluzionario",
confronto che rimane comunque, anche oggi, incompiuto e che, anzi, ci porta
indietro dal terreno di una possibile - anche se difficile - battaglia per
la costruzione di una rifondata (e in quanto tale frutto di un processo collettivo)
internazionale comunista a quello dell'adesione a una delle tante parrocchie
del "marxismo rivoluzionario" mondiale.
E soprattutto ci chiude ogni prospettiva di confronto con quei compagni che
hanno fatto i conti con l'esperienza storica del movimento operaio internazionale,
registrando il fallimento delle "vecchie direzioni riformiste" ma
registrando anche il fallimento di chi a quelle direzioni si opponeva "prevedendo,
denunciando, contrastando" ma in ultima analisi in una posizione spesso
subordinata e con un ruolo marginale.
E ci nega la possibilità di confrontarci con tutte quelle forze scaturite
dalla storia del movimento comunista nel mondo non immediatamente omologabili
alla sola esperienza della IV internazionale indicata da "Proposta".
Ma questo è poco importante, nell'unica (è un augurio o una minaccia?), nuova
e più ampia associazione non ci sarà spazio per i "distinguo" dalle
posizioni del pensiero unico dominante.
Non ci sarà neanche dibattito poiché ogni problema, ogni contraddizione, sarà
rigettata all'esterno sul terreno dei rapporti fra l'Associazione e il resto
dell'area frantumata, spesso costituita da compagni isolati ai quali sarà
più facile imporre la propria egemonia.
E' la logica conclusione di un processo iniziato da tempo e che lucidamente
veniva denunciato al seminario dell'anno scorso dal documento di minoranza.
Ed è soprattutto la massima espressione raggiunta da una pratica politico-organizzativa
che ha diviso e delimitato anche quando le contraddizioni non erano tali da
giustificare tali prese di posizione.
Ed è una scelta di profonda debolezza che nasce dall'impossibilità verificata
di affrontare e risolvere sul terreno della conquista dell'egemonia politica
le contraddizioni presenti all'interno di un'area ampia e dai confini difficilmente
tracciabili.
Alla fine la direzione politica di un processo non si decide mai sul terreno
delle "ingegnerie" organizzative (anche se nell'immediato possono
rendere "più semplice" la gestione dell'esistente) ma sul terreno
della capacità propositiva e propulsiva.
E' su questo terreno che nasce la crisi di Progetto Comunista, visibile anche
sul piano dei risultati congressuali che sono stati negativi nonostante qualche
compagno continua a consolarsi rilevando una (tutta da dimostrare) "crescita
qualitativa" che dovrebbe supplire alla (dimostrata) "flessione
quantitativa", ed è su questo terreno che si registrano i limiti maggiori
del documento proposto.
Costruire un piccolo gruppo compatto di "trecento-quattrocento"
comunisti può essere anche un'aspirazione "avvincente" per chi è
abituato a ragionare nei limiti ristretti di un orizzonte "geneticamente"
e ideologicamente minoritario ma il problema è: per fare che cosa?