Osservazioni a margine del seminario nazionale.
Di "Area Oltre" - per l'autodeterminazione sociale alternativa. A proposito del seminario di Progetto Comunista di Marina di Massa del 20/21 luglio 2002. Agosto 2002.


 

Per chiarezza, si impongono alcune precisazioni alla nota informativa del compagno Marco Ferrando circa il recente seminario nazionale di Progetto Comunista di Marina di Massa, in aggiunta ai contributi di merito prodotti nella discussione seminariale, che alleghiamo per completezza.

Alleghiamo anche il testo degli emendamenti da noi presentati, nel tempo, insieme ad altri compagni che li hanno condivisi, contribuendo nelle diverse occasioni ad un consenso di voti non appendicolare, e il testo del nostro appello in merito alla vicenda dei compagni di Falce e Martello, che richiamiamo per rendere più chiaro il nostro pensiero rispetto al contesto pluralistico cui abbiamo fatto sempre riferimento.

Lo facciamo motivati dall’esigenza primaria, verso tutti i compagni che fanno in vario modo riferimento alla sinistra nel PRC, di fornire elementi della oggettività, fuori da ogni tentazione di dare avvio ad un ulteriore "carteggio" per alimentare polemiche.

Non intendiamo, pur mantenendo le nostre perplessità, tornare sulla questione della legittimità del seminario di Massa a decretare lo scioglimento di Progetto Comunista e il suo assorbimento nella "nuova associazione", in quanto questione molto più complessa, non riducibile a semplice "sovranità" di un assemblea a decidere sui punti posti -e non è secondario da chi e come- all’ordine del giorno.

Resta, comunque, che caratterizzare come "dichiarazione di voto contrario" la dichiarazione presentata agli atti del lavoro seminariale -dai compagni che non hanno condiviso il superamento e l’assorbimento di Progetto Comunista e che, poi, hanno votato contro rispetto all’odg finale- di fatto falsa le motivazioni dei presentatori. Motivazioni volte, appunto, da un lato a sottolineare la più complessa "legittimità decisionale" di quell’assemblea su aspetti costitutivi e fondanti, dall’altro a rimarcare l’intenzione di molti compagni e soggetti costitutivi Progetto Comunista di assicurarne la continuità pluralista, senza alcuna avversione rispetto alla nascita di una "nuova associazione" di tendenza, anzi ritenendola fatto di arricchimento dell’area programmatica congressuale e, dunque, del processo rifondativo.

C’è, poi, il mancato adeguamento del coordinamento politico nazionale dell’area programmatica alla nuova situazione, soprattutto a seguito dell’intenzione evidenziata nel documento finale di conservare impropriamente la dicitura di "progetto comunista" per la "nuova associazione". Dal coordinamento,infatti, continuano a rimanere escluse modulazioni e sensibilità evidenziatesi nel dibattito interno e attraverso diversi emendamenti.

Il mancato soddisfacimento di questa esigenza dirimente significa oggettivamente considerare appendicolarità le non poche sensibilità che non condividono la nuova associazione e la forzatura operata su Progetto Comunista e ad esse si continuerebbe a chiedere una permanente subalternità.

Per quanto attiene alle divergenze più generali, a cui si fa riferimento nella nota del compagno Ferrando, si possono non condividere scelte e metodi frutto di convinzioni e di pratiche differenti, ma per quanto ci riguarda continuiamo a registrare insistenze nell’attribuire ad altre convinzioni e pratiche giudizi e motivazioni filtrati soltanto attraverso la propria ottica.

Accenniamo qui solo ad alcuni elementi, dei quali due tradotti in emendamenti sostenuti anche da non pochi altri compagni -la questione internazionale e la transizione- in occasioni più recenti di discussioni interne all’area, come quelle di Massa e di Rimini dello scorso anno, o dell’ultimo congresso, ma precedentemente anche in altre occasioni. Si è trattato di emendamenti, a cui si sono aggiunti nel contempo anche contributi specifici di altri compagni -ad esempio sul potere e ancora su internazionale e transizione- enuncianti appena le tematiche di riferimento, con l’intenzione di trovare insieme spazio e condizioni per approfondirli, cosa ovviamente fattibile solo in un effettivo contesto pluralistico.

Come già più volte evidenziato, restiamo convinti che il processo della rifondazione comunista -a livello nazionale e nel più vasto respiro internazionale- per essere effettivo e non ripetere gli errori del passato nel movimento operaio, necessita anzitutto di un contesto pluralistico organizzato di forze e di identità alternative, impegnate in un confronto aperto e permanente, proteso operativamente alla costante ricerca di sintesi unitaria. Ciò verso la progressiva definizione di livelli strategici, programmatici e organizzativi che permettano di sviluppare tutto il potenziale di classe, per rendere le lotte incisive e capaci di determinare un percorso di costruzione di una società alternativa a quella imposta dai padroni; forze e identità disponibili in permanenza alla indispensabile verifica delle proprie proposte e dei livelli di sintesi e di unità maturati direttamente e attraverso il comune percorso e impegno di lotta.

Dentro questo contesto pluralistico -lo ribadiamo- è legittimo per ciascuna identità perseguire la propria omogeneità ed eventualmente difenderla da dissonanze, anche per offrire una autenticità di contributo, nel mentre ovviamente si opera verso sempre maggiori e verificati livelli di omogeneità comune.

Non è lecito, invece, anzi rischia la strumentalità, tentare di sbiadire i richiami al pluralismo e l’indicazione delle esigenze e delle condizioni per renderlo effettivo e praticato in logiche cristallizzate di "equilibrio di gruppi", semplicisticamente conservative della propria "autonomia" di organizzazione o "spazio di gruppo".

Per quel che ci riguarda non è così. E, per gli elementi che abbiamo, crediamo di non essere soli a vederla in questo modo.

Altro discorso è l’oggettiva difficoltà a praticare e rendere efficaci confronto e pluralismo, altro è la complessità delle problematiche ad essi connesse, considerato che il pluralismo, così come la rifondazione comunista ed altro ancora, non sono mai dati in sé scontabili, ma risultanti di processi abbisognosi di spazi, tempi, condizioni e strumenti idonei, oltre che di convinzione e disponibilità.

Al punto in cui sono giunte le cose,anzi, riteniamo utile, alla chiarezza e per prevenire eventuali ulteriori equivoci, accennare nel merito e per estrema sintesi ad un iniziale contributo di approfondimento.

E’ un dato che, oggi, la ricchezza delle tendenze rivoluzionarie -per pregressi e condizioni storiche- si presenti frammentata e che l’esigenza di unificarle, per vincere lo scontro con il capitalismo, si manifesta oggettivamente attraverso le forme, ancora arretrate e contraddittorie, che reggono appunto la "logica degli intergruppi".

Infatti, all’esigenza comune di unificare il potenziale di classe, corrispondono tendenze ad egemonizzare, che finiscono con l’ostacolarla. Così finisce immancabilmente per prevalere un’ottica "concorrente" che tende a far coincidere il processo unificante con l’egemonia della propria modulazione, esposta a sovrapporsi a tutte le altre che la realtà evidenzia.

Il concetto di egemonia, da egemonia della classe sulle altre nella società, si perverte in egemonia di una posizione sulle altre nel contesto dello schieramento di classe. In questo modo è proprio la logica -oggi semplice dato oggettivo di partenza- degli intergruppi a prevalere, come pratica cristallizzata.

Se, poi, collocazione o situazione permettono ad "un gruppo" di conseguire la forza numerica da giocare sul piano della formalizzazione della democrazia, per le agibilità che monopolizza, finisce che il piano di confronto viene progressivamente eliso e, con esso, anche la possibilità di identificazione con le linee che ne scaturiscono. Così succede che, veramente, la "organicità" in questo modo conseguita viene a presentarsi come "modello unificante" per rispondere all’esigenza di unificazione del movimento.

E’ quel che è capitato nella sinistra del PRC, dove le idee e le motivazioni di un gruppo —anziché essere modulazione pluralistica aperta alla crescita e alle conquiste comuni, nel pluralismo rivoluzionario, altra cosa da quello borghese- finiscono col concludere la rifondazione in un monolitismo che di fatto nega le esigenze di superamento degli errori del passato,riproponendoli anzi. Cosicché, tra questo fenomeno e la progressiva conclusione socialdemocratica perseguita dalla maggioranza del PRC, il processo rifondatore abortisce e la possibilità della prospettiva comunista si offusca.

Dovrebbe, inoltre, ormai essere assodato -per le occasioni di dibattito interno e per specifici emendamenti e contributi prodotti, non da oggi- che le nostre "divergenze", con i compagni che si richiamavano all’associazione"proposta" e oggi a quella che dovrebbe concludere il processo costitutivo avviato, non sono in ogni caso riducibili alla sola pur fondamentale questione dell’internazionale.

Per quest’ultima, proprio nel contesto delle cose precedentemente sottolineate a proposito del processo rifondativo e del pluralismo rivoluzionario, la nostra divergenza di fondo muove essenzialmente dai caratteri di monolitismo e dall’ottica egemonica di "maggioranze centralizzate" sul resto dell’organizzazione comunista con cui finisce per identificarsi la proposta rifondativa della IV Internazionale.

La prospettiva internazionalista è aspetto non più eludibile e contestuale della rifondazione comunista, senza la quale la stessa opposizione alla globalizzazione liberista rischia di rifluire o finire integrata nelle maglie della ristrutturazione capitalistica. Lo diciamo anche per sottolineare che rischierebbe di risultare un falso problema quello della costruzione prima del partito della classe e poi il collegamento internazionale, o viceversa.La questione vera resta un contesto pluralistico, caratterizzato da un autentico spirito di vera e propria "emulazione" tra le diverse proposte impegnate nell’ottica internazionale, nel quale abbia legittimamente cittadinanza il contributo dei compagni che lavorano per realizzare una propria visione della IV Internazionale.

Anche l’esigenza di un necessario riferimento internazionale, però, non può che essere concepito come risultante di un costante processo di raccordo e sintesi unitaria tra tutte le modulazioni non revisioniste nel movimento comunista internazionale, frutto di un permanente coordinamento e confronto tra le diverse tendenze di classe impegnate nel mondo nella lotta concreta contro il liberismo vecchio e nuovo.

Fra l’altro, c’è poi la fondamentale questione della "transizione". Su questo terreno, insieme ad altri, abbiamo sempre indicato il limite della sola agitazione di proclami rivendicativi o semplice "riproposizione" di modelli della migliore tradizione comunista.

In più occasioni, nel pur non ancora sufficiente dibattito interno a Progetto Comunista, è emersa l’esigenza di approfondire questioni concrete di strategia, politica e vertenziale, attinenti al come, quando, con chi e con quali strumenti riconquistare rapporti di forza favorevoli e operare per riavviare il processo di superamento dell’economia di mercato e dell’alternativa di società.

Da qualche tempo anche altri compagni,impegnati sul terreno concreto della lotta alla base della società reale, insistono su una maggiore "fruibilità" delle indicazioni programmatiche e strategiche.

A tutte queste esigenze -le cui risposte non possono che essere frutto, appunto, di confronto e sintesi permanenti e di verifica sul terreno concreto della lotta, oltre che dentro il partito- non è né sufficiente replicare con la semplice constatazione dell’esaurimento della risposta riformista e l’indicazione pura e semplice della necessaria prospettiva comunista rivoluzionaria, né lecito liquidarle con giudizi di "banalizzazione", di "gradualismo", di "riformismo", di "centrismo" o, comunque, "baipassando" i nodi centrali delle questioni poste.

Una lettura realistica della transizione deve preliminarmente liberarsi da quello che oggettivamente ha evidenziato, tra le altre cose, l’esperienza concreta del movimento comunista internazionale, a partire dall’ottobre rosso:la non efficacia della strategia dei "due tempi", prima il potere, poi l’azione per la costruzione della prospettiva comunista. E ciò vale anche per l’azione che si conduce dentro il partito, per liberarlo dalle incrostazioni verticistiche e consegnarlo alla gestione diretta dei suoi militanti.

La conquista del potere, oltretutto,non è un evento mitico, solutore di tutti i problemi, ma scaturisce da un lato dalla capacità del partito di utilizzare le agibilità istituzionali, senza peraltro offuscare la sua identità e distorcere la finalità alternativa in assetto migliorativo del sistema, e dall'altra saper essere promotore, riferimento e garanzia per la qualificazione delle lotte come momento di costruzione degli elementi alternativi dalla base della società.

Scontata, perciò, sul piano istituzionale, l’opposizione intransigente a governi che non siano a maggioranza di sinistra -nel contesto dei quali, perciò, la piena agibilità democratica ad ogni livello e le esigenze effettive di tutti i ceti deboli possano trovare riscontro concreto e centralità determinante- perché l’alternativa si conformi risposta ai reali bisogni della gente, è necessario abbia come riferimento quello che scaturisce da una lotta per l’alternativa alla base della società. A maggior ragione perché, ormai, l'istituzionalità è una via di rammodernamento su esigenze proprie della ristrutturazione capitalistica e, per questo, indirizzata ad escludere ogni possibilità di essere utilizzata come via per realizzare l'alternativa di sistema.

Dunque l’avvio di un processo -da piani diversi, unificante i due aspetti, di cui il partito risulti stimolo,collegamento, sostegno e garanzia di agibilità- attraverso un percorso che prenda corpo nella realtà dei territori, coinvolgendo nel vivo della realtà di vita le masse, qualificando la pratica della partecipazione in coinvolgimento diretto, come aggancio per sviluppare i tre temi portanti dell’alternativa:quello del potere,quello della proprietà e quello del controllo degli indirizzi di produzione dei beni e la loro qualifica di bisogni reali dell’uomo. Per cominciare, la riscoperta dei valori fondanti la cooperazione, nella sua accezione di classe originaria, rappresenta terreno di una prospettiva lungo la quale è possibile tornare a misurarsi con l’economia di mercato e sperimentare ulteriori strumenti alternativi.

Diverso -e ovviamente tutto ancora da approfondire e sperimentare- il particolare discorso circa la presenza nelle Amministrazioni nei territori, dove le linee dei governi vanno a prendere corpo implicando e condizionando la vita della classe. E’ soprattutto qui che gli indirizzi dei governi si fanno realtà; ed è qui, quindi, che va portato lo scontro con una presenza attiva, indirizzata ad imporre linee alternative, con il sostegno delle masse sensibilizzate ed organizzate e con il contestuale obiettivo di contrastare l’omologazione dei territori alla logica della globalizzazione capitalistica, innescando un processo di controtendenza dal basso.

Per questo, nei territori e a tutti i livelli, non va sottovalutata la possibilità di intese qualificanti che, poggiando sull’apertura ai bisogni popolari, vadano a qualificarsi sul piano della difesa dell’agibilità democratica, dando contenuti concreti di governo alla partecipazione popolare come riferimento determinante e presentandosi, così, come elementi di aggancio per una strategia di alternativa dal basso; una strategia indirizzata a risultare, nel contempo, presupposto per la ripromozione di un flusso alternativo prospettico, verso un governo a maggioranza di sinistra caratterizzato dagli elementi discriminanti già precedentemente evidenziati.

Nel paese reale è determinante una concreta e attiva presenza comunista, che risulti espressione dei bisogni della classe, che si manifesti, in termini propositivi, in una lettura in senso favorevole agli interessi delle masse negli elementi programmatici. Anche qui, come a livello nazionale, il concetto dell’opposizione deve essere dimostrazione pratica, e vissuta direttamente dai soggetti della classe nei territori, nella constatazione dell’impossibilità di risolvere i propri problemi in collaborazioni che non siano garantite da una maggioranza alternativa.

Una opposizione precostituita toglierebbe, di fatto, alle realtà di base della classe organizzata ogni visione della possibilità di determinare direttamente il cambiamento di cui ha bisogno e diventare soggetto di potere. Non solo, ma, di fronte alla inagibilità, la classe sarebbe ancora facile preda di tentazioni populistiche che, in certo senso, offrirebbero assurdamente uno sbocco "positivo" all’isolamento da "opposizione di principio".

La crescita della coscienza dell’opposizione va perseguita nel modo più vasto possibile e sempre più intensivamente nel profondo dei territori, dove la gente percepisce tutto il peso di una situazione negativa per i propri interessi.

Non più, perciò, lotta soltanto come opposizione limitata a contestare gli indirizzi padronali per sbocchi di possibili limitazioni dei loro obiettivi, in vista di futuribili "prese di potere", ma lotta per un oltre che muova dalla base della società dinamiche focalizzanti il potenziale di lotta prevalentemente sull’elaborazione e sulla realizzazione diretta di indirizzi alternativi per rispondere alle esigenze della classe e che permettano a questa di farsi reale soggetto in grado di autodeterminare il processo della propria liberazione.

Dal sostegno che il partito, utilizzando tutte le sue possibilità, riuscirà a dare per garantire l’agibilità necessaria ad un salto di qualità in tal senso della lotta, potrebbe scaturire la possibilità di una necessaria svolta storica nello scontro di classe. Una svolta che, potendo aprire varchi significativi sulla blindatura del piano istituzionale che il padronato persegue con le "riforme" per rendere questo piano inutilizzabile perla spinta contestativa di base, riconsegnerebbe l’iniziativa a tutti gli interessi vocati al superamento del capitalismo.

Al partito questo compito storico,alla sinistra comunista la funzione d’avanguardia verso una conclusione rifondativa che riporti il partito sulla strada maestra dell’alternativa al capitalismo, nella realizzazione di una effettiva e diretta egemonia della classe.

In quest'ottica é fra le priorità il porre a verifica, dal basso, terreno di presenza del movimento, l'anticapitalismo dello stesso e operare per una crescita della coscienza di classe, che renda effettivamente alternativa la sua lotta antiglobale. Oltretutto, senza questa verifica, il movimento —che già dà segni vistosi di esaurimento nelle ottiche istituzionalistiche- rischia di restare irretito in quel "nuovismo" sul quale convergono sia le tendenze "avanzate" del liberismo per liberarsi dall'ingombro dell'ormai decrepita leadership USA, sia quelle che nel movimento e nella stessa sinistra riducono l'antiglobalismo dentro i limiti "correttivi" dell'economia di mercato.

Tutto questo, nel tempo, insieme all’apertura di un vero confronto ad ogni livello, abbiamo cercato di immettere come contributo per qualificare Progetto Comunista e per renderlo strumento pluralista, sempre più fruibile e all’altezza del compito storico di una conseguente sinistra rivoluzionaria.

Quale che sia la conclusione delle vicende interne all’area programmatica nella sinistra nel PRC -qui e,contemporaneamente, nel più ampio contesto politico e vertenziale e nei suoi strumenti di lotta- continueremo a fare la nostra parte, ad ogni livello, insieme o raccordati con tutte le altre identità effettivamente motivate a ricercare e praticare le strade oggi necessarie,in una dimensione propositiva pluralistica e nel più complesso terreno di lotta nazionale e internazionale. A livello internazionale per contribuire a focalizzare la prospettiva della dimensione internazionalista in un contesto che tenga il discorso ancorato fermamente agli autentici protagonisti delle lotte e rifugga dai verticalismi e monolitismi, comunque motivati, che ad essi finiscono sempre col sovrapporsi; e, nella stessa ottica, a livello nazionale, per sostenere -oggi- il determinarsi di una futura maggioranza di sinistra e -nel contempo- proporsi ad essa, dal basso, come forza di orientamento e base di sostegno non per delegare, ma per spingere ed operare direttamente affinché alle presenze di classe sia possibile determinare soluzioni delle problematiche politiche e sociali in senso convergente con una reale alternativa a quelle che, nella ristrutturazione capitalistica, vanno configurandosi come nuove dimensioni di società, fondata sull’economia di mercato e sulla formalizzazione della democrazia.

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EMENDAMENTO AL DOCUMENTO CONGRESSUALE PRESENTATO ALL'ASSEMBLEA DI PROGETTO COMUNISTA DI RIMINI- 8/9 dicembre 2001 da aggiungere al neretto del capitolo "internazionale comunista"
"che risulti confluenza e raccordo tra le modulazioni non revisioniste scaturite dalla storia del movimento comunista nel mondo, impegnata a confronto permanente per la conquista di sempre maggiore omogeneità, nel rispetto e nella garanzia dei tempi di evoluzione dell'identità di ciascuna".

CONTRIBUTO PRESENTATO ALL'ASSEMBLEA DI PROGETTO COMUNISTA DI RIMINI DELL'8 e 9 DICEMBRE 2001
taluni aspetti della transizione
Scontata l'opposizione a governi di destra o centro modernisti, va constatato che sul piano istituzionale è in fase avanzata la manovra per renderlo inagibile alle istanze che salgono dal paese reale.
Per concludersi, però, il disegno ha il bisogno di omologare anche gli assetti territoriali, per cui s'impone l'impegno di contrastarlo dal basso.
Necessita a questo fine, fra l'altro, condizionare le presenze attuali del partito nei governi territoriali,a tutti i livelli, al rilancio della partecipazione popolare come elemento organico nella determinazione e nell'attuazione degli indirizzi dei poteri locali e caratterizzando questo rilancio anche attraverso eventuali intese con disponibilità, dichiarate e verificabili, al rifiuto delle privatizzazioni e alla gestione pubblica di tutti i servizi, nonché alla difesa dell'ambiente dalle conseguenze delle privatizzazioni e della globalizzazione.
Il partito deve farsi credibile riferimento per verificare le disponibilità effettivamente alternative esistenti nell'insieme del movimento operaio e dei movimenti di massa a sostegno di questo rilancio.
In tale contesto la presenza del partito deve qualificarsi sulle tematiche del potere, della proprietà e di una nuova economia, che riparta dalla riscoperta dei caratteri originari della cooperazione.
Intorno alla mobilitazione dei soggetti portanti di reale alternativa,lavoratori e ceti deboli primariamente, in difesa delle condizioni generali di vita e dell'ambiente dalle conseguenze della pressione capitalistica, la presenza della diversità comunista è fattore in grado di conformare i termini di controtendenza all'omologazione padronale e investire le dimensioni dell'intera società, per comporsi in spinta che riavvii dal basso il processo di transizione,sulla scia delle grandi tematiche nazionali e internazionali dello scontro di classe, per il superamento del capitalismo e delle sue mimetizzazioni moderniste. Così, da riaprire le prospettive alle tendenze conseguenti della sinistra emettere fuori giuoco gli equivoci che ne determinano la crisi che sta permettendo al padronato di stabilizzare la propria egemonia.
Antonello Manocchio- fed. di Campobasso
Pasquale D'Angelo- fed. di Chieti

EMENDAMENTO AGGIUNTIVO AL DOCUMENTO CONGRESSUALE PRESENTATO ALL'ASSEMBLEA DI PROGETTO COMUNISTA DI RIMINI DELL'8/9 DICEMBRE 2001
"L'attuale presenza del partito nei livelli di governo territoriali o in eventuali intese per il loro rinnovo resta compatibile solo se -a partire da una programmatica aperta, fra l'altro, al rifiuto delle privatizzazioni,alla gestione pubblica di tutti i servizi e alla difesa dell'ambiente-comtempli il rilancio della partecipazione popolare, come elemento organico e determinante nella definizione e nella realizzazione degli indirizzi programmatici.

Il partito, nel sostenere la mobilitazione partecipativa, deve caratterizzare la sua presenza con le tematiche del potere, della proprietà e di una nuova economia che riparta dai caratteri originari della cooperazione, reintroducendo, cos", nelle mobilitazioni popolari elementi di richiamo per un processo di transizione verso l'alternativa di sistema".

EMENDAMENTO PROPOSTO DA UN COMPAGNO DI BERGAMO AL QUINTO CONGRESSO DEL PRC
potere
"Premesso che la lotta per la conquista del potere da parte delle classi subalterne come fatto complessivo articolato in una pluralità di aspetti non può che essere, soprattutto oggi, un processo necessariamente di lungo corso,tale tematica può essere correttamente affrontata e può realmente diventare punto di partenza e presupposto per una prospettiva di trasformazione della realtà in senso socialista, anziché fine a se stessa, solo se strettamente interconnessa con la tematica della transizione.
Pertanto, mirando alla promozione e costruzione di forme di contropotere nella società capitalista stessa tese ad attivare e promuovere la partecipazione popolare e dei lavoratori in forma autorganizzata alle scelte d’indirizzo politico ed economico, il partito, partendo dal proprio rinnovamento interno, deve promuovere all’interno del movimento operaio e dell’opposizione sociale campagne e iniziative di lotta partendo dal tema del controllo operaio e popolare, sulla questione del controllo sociale sugli indirizzi e la qualità della produzione e della sua utilità sociale,sull’uso e la destinazione delle risorse economiche e delle entrate fiscali,rilanciando, tra l’altro, la questione della trasparenza attraverso la promozione d’appositi comitati di lotta e di verifica sui luoghi di lavoro e sul territorio. Per questo occorre lo sviluppo di un metodo d’intervento che colleghi le lotte parziali per obiettivi immediati alla prospettiva della transizione al socialismo. In questo senso è perciò cruciale la scelta di tali obiettivi, che presuppone l’uso di criteri coerenti con essi.
Lo stesso movimento "no-global" pone questioni che, nonostante il limite culturale che lo porta alla rimozione di tale problema, rimandano proprio alla questione del controllo sui mezzi di produzione e di conseguenza al potere politico della classe lavoratrice.
L’azione dei comunisti all’interno di esso, come loro alleato oggettivo nella lotta per la trasformazione sociale, deve essere tesa proprio al disvelamento di tale questione oggettivamente sottesa.
Solo partendo da quest’impostazione è possibile fare si che la lotta per obiettivi immediatamente comprensibili a livello popolare diventi una palestra per la presa di potere da parte dei lavoratori e delle classi subalterne".

EMENDAMENTO PROPOSTO DA UN COMPAGNO DI BERGAMO ALLA SECONDA CONFERENZA NAZIONALE DEI GIOVANI COMUNISTI
internazionale
"In realtà solo una svolta strategica e programmatica del PRC può recuperare la prospettiva dell’internazionale. Una prospettiva che è parte ineliminabile della Rifondazione. L’internazionale per cui lavorare non può che essere un raggruppamento ampio e democratico, ma su chiare basi politiche. Si tratta certamente, come detto, di superare il monolitismo della Terza Internazionale, tra le cause principali della sconfitta del movimento comunista, ma anche ogni logica non giˆ di egemonia della classe sul resto della società, ma d'egemonismo burocratico di "maggioranze politiche sul resto dell’organizzazione comunista", concausa questa del ritardo storico che stiamo vivendo su questo piano.
I segnali di risveglio e di "disgelo", che cogliamo nel movimento operaio internazionale, di ripresa della rivolta giovanile, e la stessa opposizione alla "globalizzazione liberista", rischiano ancora una volta il riflusso e/o l’integrazione sul piano politico del capitale che si va ristrutturando, senza l’impegno nella direzione internazionalista.
Affinché sia all’altezza delle sfide attuali non occorre uno strumento accentratore, ma uno strumento di contrapposizione al sistema capitalistico, raccordo coordinato e solidale tra le espressioni dei pluralismi delle varie esperienze comuniste marxiste e rivoluzionarie del mondo.
Il PRC deve dunque avanzare al più presto una proposta di discussione organizzata finalizzata all’instaurazione di rapporti sempre più stretti, attraverso il confronto permanente, perché l’omogeneità sia una conquista comune, con le organizzazioni e correnti rivoluzionarie del movimento operaio e comunista internazionale, nel rispetto e nella garanzia dei tempi d' evoluzione dell’identità di ciascuna".

NOSTRO APPELLO RISPETTO ALLA VICENDA DEI COMPAGNI DI FALCE E MARTELLO DEL 13 FEBBRAIO 2001
-Ai compagni di Progetto Comunista nella DN del PRC;
-al compagno Francesco Ricci;
-al compagno Bellotti;
Sulla presentazione di un documento separato da parte dei compagni di Falce e Martello nell'ultimo cpn il nostro parere è negativo, perché il fatto incrina l'unità dell'area e ne compromette il pluralismo.
Per non aggravare il danno abbiamo rinunciato a premettere al voto per il documento di Progetto Comunista una dichiarazione su riserve non marginali.
Siamo perplessi sulla validità del risolvere il caso attraverso un freddo atto amministrativo che sanzioni Falce e Martello fuori dall'area.
L'accaduto è da considerarsi in contesto più ampio, frutto della condizione interna a Progetto Comunista, dove non si riesce ancora a definire in lettura comune i contenuti specifici dei vari aspetti della generale stesura della mozione congressuale e le regole interne della sua area programmatica.
Il confronto tra sensibilità avviato a Bellaria si è fermato e altre occasioni non se ne sono date; l'altra assemblea svolta a Roma poteva esserne la continuazione, ma è stata utilizzata per immagine esterna e non per la sistemazione interna dell'area, politicamente ed organizzativamente, come necessario. Né dopo la questione è stata riconsiderata, se non in vaghi richiami.
Eppure il dissenso dei compagni di Falce e Martello s'è fatto sentire pesante nelle vicende emiliane non molto tempo fa, e non solo; l'urgenza di una chiarificazione diventava ineludibile, ma la risposta è scesa sullo sconcertante piano delle diatribe, con le inevitabili conseguenze.
Superflui altri esempi di una situazione non certo favorevole al confronto su elementi portanti in Progetto Comunista, dove trionfa il peso dei numeri.
Siamo preoccupati per le conseguenze in mancanza di rapido e responsabile intervento per riaprire il confronto e verificare le volontà.
Riteniamo utile, intanto, riaffermare come una vera rifondazione comunista sia possibile soltanto se scaturisce dal pluralismo praticato, che il pluralismo non è praticabile senza spazi reali e garantiti; e non è praticabile, si badi, se ne vengono meno i termini sostanziali, le diverse componenti, cioè.Una sanzione deve far prima i conti con tutti questi dati oggettivi.
Senza determinare un clima di sereno confronto il pluralismo dell'area diventa poco più d'una dichiarazione d'intenti, specie visti i rapporti di forza, figurarsi se venisse meno una delle tre componenti.
Riteniamo, pertanto, necessario si debba tutti operare perché questo clima si ristabilisca, intanto.
S'impone il responsabile tentativo di riaprire un reale confronto con i compagni di Falce e Martello e che investa tutti i militanti della mozione 2 nei modi più opportuni.
Non essendo fattibile un'assemblea nazionale nell'urgenza, essa va preparata a scadenza più breve possibile.
La situazione, però, va affrontata subito. Proponiamo un incontro fra i compagni di Progetto Comunista della Direzione, Bellotti compreso, insieme a tutti i membri di Progetto Comunista del CPN che riescono a partecipare. La riunione dovrebbe produrre accordi intesi ad evitare conflitti fino all'assemblea generale, dove giungere a definizione, comunque. Intanto, operiamo perché non si avveleni il clima più di quello che lo è.
Cari compagni, questo non è un appello al "vogliamoci bene", ma esigenza di chiarezza perché ciascuno abbia gli elementi concreti per verificare le convinzioni e comportarsi di conseguenza.
Fraternamente,
Pasquale D'Angelo e Antonello Manocchio, membri del CPN del PRC

I compagni di "area oltre - per l’autodeterminazione sociale alternativa"