Progetto Comunista - Sicilia.
Documento
preparatorio per l'assemblea costitutiva. Ottobre 2002.
Il
IV Congresso del Partito della Rifondazione comunista ha visto la massima
espansione quantitativa e qualitativa della nostra area all'interno del PRC.
In particolare, la percentuale raggiunta sul piano nazionale (17% circa) e
le contraddizioni insite, all'epoca, nel seno stesso dell'area della prima
mozione, comportanti, come conseguenza, un'enfatizzazione degli organismi
dirigenti nazionali del Partito, hanno, a ricaduta, prodotto la simmetrica
espansione del numero dei nostri compagni presenti nel quadro dirigente nazionale
dello stesso Partito.
Tale evenienza fu, all'epoca, valutata positivamente dato che la immissione
di più compagni in ruoli dirigenti nazionali, permetteva la crescita politica
degli stessi in funzione del progetto che ci prefiggevamo: ovverosia, la costruzione
del raggruppamento rivoluzionario.
Dopo pochi mesi si teneva, inoltre, l'assemblea al teatro "Colosseo"
di Roma che sanciva pubblicamente l'autoproclamazione di "Progetto comunista"
quale tendenza politica organizzata all'interno del nostro Partito. Quest'atto,
che forzava le regole statutarie del PRC, otteneva un duplice, positivo risultato:
da un lato quello di mostrare la nostra forza costringendo il quadro dirigente
di Rifondazione a subire tale iniziativa; dall'altro quello di assicurare
il prolungamento della battaglia politica, in forma organizzata, ben oltre
la fase congressuale, mantenendo, all'interno del perimetro organizzativo,
quanti più compagni possibile.
Inizia però, a partire da quel momento, un processo di involuzione dell'organizzazione
"Progetto comunista", i cui tratti immediatamente visibili sono
emblematicamente rappresentati dal doppio ridimensionamento subito: dapprima
al V Congresso del Partito e, dopo poco tempo, e in modo ancor più marcato,
alla II Conferenza dei GG.CC.
Se questi momenti rappresentano l'aspetto visibile anche all'esterno dell'area,
ben altri segnali preoccupanti si erano evidenziati all'interno. Ne parleremo
nel corso del presente documento. Basti, al momento, richiamare il fatto di
come, proprio a causa di questa crisi, sia stata assunta nazionalmente la
decisione della trasformazione di "Progetto comunista" in Associazione
marxista-rivoluzionaria, con un proprio tesseramento, un proprio statuto e
un proprio gruppo dirigente eletto in appositi congressi interni.
Detto in altri termini, secondo una fraseologia più propriamente marxista,
quello che ci viene proposto è la trasformazione di Progetto comunista da
"tendenza" interna al Partito della Rifondazione comunista, in frazione
organizzata.
Su questo processo, i compagni siciliani, pur non negando aprioristicamente
una loro possibile futura adesione, sentono la necessità di un'ulteriore riflessione,
concedendosi il tempo a ciò necessario. Parimenti, al fine di mantenere integro
il patrimonio umano e di comuni battaglie politiche, propongono di costituirsi
in forma tra di essi organizzata, secondo i parametri consentiti dall'art.
8 dello Statuto del Partito della Rifondazione comunista.
L'analisi sul Partito
La nostra presenza e le nostre funzioni
Primo passo, nell'accingerci a dar vita ad una tendenza organizzata, deve
essere quello di porci delle domande e di trovare, ad esse, delle risposte.
La prima di queste domande non può che essere quella che riguarda le nostre
funzioni nel Partito della Rifondazione comunista.
In sostanza, si tratta di dar risposta ad un quesito fondamentale: "È
valido, oggi, continuare nel compito della costruzione del Partito comunista
marxista-rivoluzionario?"
La risposta che cerchiamo chiama in causa non solo la nostra volontà soggettiva
che ognuno può verificare in se stesso e che, dal momento che siamo qui, avendo
rinunciato ad una facile confluenza nell'area di maggioranza, possiamo dare
per scontata; ma, soprattutto, una ricognizione delle condizioni oggettive
oggi presenti, a partire da quelle che caratterizzano il nostro Partito.
È esperienza comune, in questo periodo, sentirsi dire che, dato lo spostamento
a sinistra dell'asse bertinottiano, la presenza di una tendenza marxista-rivoluzionaria
non avrebbe più alcun senso. Non rimarrebbero, secondo questa tesi, spazi
politici a sinistra del segretario.
La risposta certa a questo argomento viene dalla più ovvia delle verifiche:
quella sui documenti congressuali. Per essere più chiari, diremo che uno spostamento,
di qualsiasi natura, può considerarsi acquisito solo se trova riscontro e
viene votato in un'assise congressuale. Solo quest'atto permette di discernere
tra il carattere strategico (quello che a noi interessa) di un'affermazione
e la proposizione con mera funzione tattica o contingente.
Se, da un lato, dobbiamo registrare una radicalizzazione delle posizioni del
Partito tra il IV e il V Congresso, dall'altro non possiamo disconoscere che
l'impianto strategico permane tuttora sul terreno del riformismo di sinistra,
ancorché in via di accentuazione. È rilevante, ad esempio, come, sul piano
delle alleanze, il vecchio discorso della sinistra plurale sia stato sostituito
da quello sulla "sinistra antagonista". Questo è, sicuramente, un
elemento di radicalizzazione che trova puntuale eco nelle successive dichiarazioni
del Segretario, ad esempio, sulla "gabbia del centrosinistra" e
sulla necessità di spezzare tale gabbia.
Anche il discorso sul movimento ha registrato nuovi e importanti mutamenti.
Non tutti gli spezzoni del movimento sono uguali e il nostro rapporto con
essi non è indifferenziato.
Ma la domanda che dobbiamo porci è la seguente: "possiamo oggi discernere
dietro l'apparente slittamento a sinistra della maggioranza del Partito un
coerente disegno politico che punti, perlomeno, all'autonomia ed alla egemonia
del proletariato e della classe lavoratrice?"; o, detto in altri termini
"pur dietro l'adattamento tattico e l'articolazione necessaria alle diverse
circostanze, è possibile, perlomeno, intravedere un pur gradualistico approccio
ad un disegno rivoluzionario?"
La nostra risposta, è "NO". Anzi, tutto l'impianto del pensiero
di maggioranza, ci sembra, ruota attorno all'acquisizione acritica di valori
universalisti, anche di matrice cattolica (si pensi alla proclamazione del
pacifismo come "valore assoluto"), e sul tentativo di disegnare
un mondo più giusto, questo sì, eludendo, però, in pari tempo, la questione
del potere, di chi lo detiene, della sua conquista.
Si sconta, in pratica, tuttora, l'illusione che l'attuale ciclo economico
e politico ad economia cosiddetta globalizzata, lungi dall'essere frutto della
naturale maturazione del sistema capitalista, rappresenti una sorta di anomalia
parossistica e che sia pertanto possibile, anche attraverso la lotta politica,
certo, ricondurre il sistema ad una dimensione normale, entro la quale, e
al di fuori di ogni ipotesi di rovesciamento rivoluzionario del sistema, sia
possibile riconquistare posizioni di forza perdute e riprendere il cammino
interrotto verso un futuro di progresso.
Proprio per questo, riteniamo che lo slittamento a sinistra dell'asse bertinottiano,
lungi dal rappresentare la coerente assunzione di una prospettiva rivoluzionaria,
sia, piuttosto, l'adattamento tattico alla radicalizzazione dello scontro
in atto nel Paese e nel movimento, nonché alla precipitazione della crisi
capitalistica mondiale.
Riteniamo, pertanto, che la necessità della presenza di un'area, all'interno
del PRC, consapevolmente e coerentemente rivoluzionaria, non solo non sia
venuta meno, ma risulti, al contrario, vieppiù necessaria.
Proprio il prorompente emergere del movimento "no global" e il riemergere
dello scontro di classe, evidenziano la necessità, in Rifondazione, di un
raggruppamento rivoluzionario che, conquistando il Partito (o una parte cospicua
di esso) alle proprie posizioni, candidino lo stesso all'assolvimento di quel
ruolo di avanguardia cosciente che sottragga il movimento di lotta alle incognite
dello spontaneismo.
È cambiato il nostro ruolo nel PRC?
Alla luce di quanto svolto al precedente paragrafo, sembra di poter affermare
con decisione che i nostri compiti, nel PRC, non sono cambiati. La nostra
funzione rimane, oggi come ieri, quella della costruzione, all'interno del
Partito, del raggruppamento rivoluzionario.
Quello che è cambiato sono, invece, le condizioni oggettive all'interno delle
quali questo lavoro si svolge.
Credo che una riflessione vada fatta sulle reali ragioni del calo complessivo
(congressuale e tra i GGCC) di "Progetto comunista".
1. La politica bertinottiana si è "radicalizzata". Lo abbiamo detto
al precedente capitolo. Noi sappiamo che tale spostamento non comporta, comunque,
un salto qualitativo in direzione di una forza marxista-rivoluzionaria.
Quella che è la nostra consapevolezza, però, non corrisponde necessariamente
alla coscienza della gran parte dei militanti del PRC.
2. La radicalizzazione dello scontro sociale, sia nel movimento che nel sindacato,
e il conseguente slittamento a sinistra dell'asse della politica bertinottiana,
hanno generato, in gran parte del Partito, l'illusione di una decisa svolta
"a sinistra".
L'attivismo nel movimento e nelle manifestazioni di massa, d'altra parte,
soddisfa, in parte, le esigenze dei compagni giovani e meno giovani, mentre
la tradizionale delega di fiducia nei gruppi dirigenti, impedisce, anche a
quelli più maturi, di condurre una serrata analisi politica.
3. Anche l'avvenuta scissione del gruppo cossuttiano, d'altra parte, ha mutato
le circostanze. Molti compagni, soprattutto i più giovani, hanno maturato
la convinzione che esista oggi, nel Partito, un più ampio spazio di agibilità
democratica; e, secondo noi, in questo caso, la percezione corrisponde ad
un dato reale, seppur punteggiato da episodi in contro tendenza.
Ci è venuto meno, in tal modo, anche l'apporto di quei compagni che cercavano
in noi l'alternativa al clima asfissiante che si respirava nel Partito stesso.
All'incomprensione di queste circostanze, secondo noi, va fatto risalire l'arretramento
delle posizioni di "Progetto comunista", soprattutto se si considera
che, a fronte dei mutamenti intervenuti in Rifondazione, pressoché immutabile,
invece, è rimasta la nostra proposizione politica e imperturbabile il nostro
metodo, frutto di un'assoluta autoreferenzialità.
A conclusione di questo paragrafo, ci sembra di poter concludere che, a nostro
parere, non sono mutati i nostri compiti nel PRC ma sono sicuramente cambiate
le forme e i modi in cui questi compiti dovrebbero essere svolti.
La situazione di Progetto comunista
All'analisi sul PRC, è necessario aggiungere quella sulle politiche, gli obiettivi
interni, le forme aggregative e quelle democratiche all'interno di "Progetto
comunista", se se ne vuol comprendere appieno l'involuzione.
Il meccanismo interno
L'assetto organizzativo dell'area della II mozione congressuale è concepito
come un meccanismo a "scatole cinesi".
Vi è, innanzitutto, l'area larga dei compagni che hanno votato (o vi hanno
aderito in un momento successivo) il secondo documento congressuale. Qui si
tratta, com'è del tutto ovvio, di un'aggregazione indefinita, dato che essa
è, per sua naturale definizione, assai variegata come posizioni politiche
e assai ondeggiante nella sua consistenza, dato che è pressoché impossibile
registrare gli inevitabili cambiamenti di posizione e gli slittamenti, da
una parte o dall'altra, ai margini dell'area stessa.
Vi è poi, all'interno di questa, "Progetto comunista" propriamente
detto. Come dicevamo, questo si struttura, anche organizzativamente, come
tendenza all'interno del PRC. Questo significa, in buona sostanza, che esso
riconosce come propri dirigenti, ai diversi livelli, i propri compagni eletti
agli organismi dirigenti del Partito.
Vi sono poi, o sarebbe meglio dire "vi erano", all'interno di Progetto
comunista, diverse associazioni diffuse nazionalmente o localmente, generalmente
facenti capo a specifiche riviste. Tra queste vanno segnalati i gruppi di
"Oltre", "FalceMartello", "Proposta".
Quest'ultima è stata, ed è tuttora, la più consistente e la meglio organizzata
tra tali associazioni. Vi è nondimeno da considerare che, agli esponenti più
in vista di tale organizzazione, va riconosciuto il merito di essere stati,
non solo gli iniziatori della seconda mozione, ma anche i più coerenti e tenaci
prosecutori del lavoro iniziato e quelli capaci di connotarne più coerentemente
i contenuti secondo i parametri del marxismo-rivoluzionario. È un fatto indiscutibile
che, parlare oggi di seconda mozione, significa, in buona misura, fare riferimento,
nell'immaginario del Partito, ad alcuni nomi di compagni dell'associazione
"Proposta".
L'obiettivo mancato
Va da sé che un'organizzazione capace di esercitare una tale positiva egemonia
su di un'area più vasta ed eterogenea, è altresì in grado di far coincidere,
in larga misura, gli obiettivi politici di quest'ultima con quelli propri.
Questi obiettivi vanno, dunque, ricercati, oltre che nel contenuto politico
dei documenti congressuali, nello scopo della costituzione di un raggruppamento
rivoluzionario, quanto più possibile omogeneo. È del tutto evidente che tale
omogeneità andava formato, innanzitutto nell'associazione Proposta e, con
maggiore approssimazione, in Progetto comunista.
Questo obiettivo, secondo noi, è fallito. È un fatto che la storia e la crisi
di Progetto e di Proposta si intrecciano intimamente, ed è un fatto che, ben
oltre il ridimensionamento congressuale di Progetto comunista, la stessa associazione
Proposta ha vissuto, a partire dal IV Congresso, diverse e devastanti crisi
interne, nonché abbandoni più silenziosi che le hanno impedito di svilupparsi.
Cosa è successo?
Le ragioni della crisi
Diciamo che un elemento che ha fatto precipitare la crisi risiede, innanzitutto,
nel non riconoscimento della crisi stessa. Non è un elemento banale. È singolare
che una tendenza che basa gran parte della propria battaglia interna al PRC
sulla richiesta, da parte di quest'ultimo, di un bilancio critico delle politiche
passate, rifiuti poi essa stessa di operare su di sé una tale analisi.
È evidente che tale aspetto non rappresenta l'origine della crisi, ma vi si
intreccia fortemente, in quanto l'aggrava e disvela una preoccupante propensione
all'autosufficienza politica.
Investe aspetti politici, che riguardano l'enunciazione della linea; aspetti
organizzativi, attinenti al reclutamento e alla formazione dei quadri dirigenti
e, infine, last but not least, aspetti che attengono, più propriamente, alla
democrazia interna.
1. Giova, ancora una volta, ricordare che i compagni che si accingono a dar
vita all'associazione siciliana, condividono la linea politica emergente dai
documenti congressuali della seconda mozione, riconoscendone, da un lato,
la validità della lettura marxista nonché, per grandi linee, del quadro politico
italiano, e della dirompente crisi capitalistica su scala planetaria; dall'altro,
l'attitudine a delineare efficacemente le linee politiche e organizzative
per la formazione di un partito marxista-rivoluzionario quale unico possibile
soggetto di reale trasformazione.
Parimenti, ne rilevano, in negativo, sul piano tattico, una propensione pregiudiziale
alla proposizione immutabile della linea politica rendendosi, perciò stesso,
incapaci di cogliere, fino in fondo, il senso dei mutamenti di percezione,
in atto nel Paese, nel Partito e nel mondo. Come a dire, a titolo d'esempio,
che, una volta rilevato il carattere fondamentalmente riformista del PRC,
non avrebbe più senso analizzarne i mutamenti d'umore, i movimenti, gli spostamenti,
dato che questi, comunque, non potrebbero mutarne la natura. L'unico elemento
d'analisi, resta, a questo punto, quello teso a scorgere i segni, veri o presunti,
che confermerebbero l'analisi primigenia.
Si rinuncia, così, alla piena efficacia di una valida interazione.
È un fatto incontrovertibile che, sia agli occhi della maggioranza, anche
di coloro che vi stanno con sofferenza, sia a quelli di tanti compagni della
nostra stessa area, siamo apparsi, ben oltre il vero, come quelli che, in
fondo, di congresso in congresso e nelle varie istanze di Partito, dicono
imperturbabilmente sempre le stesse cose. Perciò stesso, finiamo per essere
scontati e per non rappresentare più alcun elemento d'attrattiva: né nel Partito
e, vieppiù, al di fuori di esso e nel movimento.
2. Sugli aspetti organizzativi.
Progetto comunista è stato formato da diverse associazioni, ognuna con la
propria sensibilità. È stato composto, inoltre, da diversi compagni aderenti
per i più svariati motivi.
Persino Proposta, l'associazione egemone, non è andata troppo per il sottile
nel reclutare compagni di più o meno matura adesione ai principi del marxismo-rivoluzionario
e di più o meno spiccata attitudine al pensiero dialettico. Tale modalità,
di per sé, era suscettibile di grandi potenzialità. Si prestava, di fatto,
a far maturare, nel vivo del dibattito, le contraddizioni di quei compagni
che, sia pur confusamente, avvertivano degli stridii nella linea bertinottiana.
Le condizioni perché ciò avvenisse erano che vi fosse il dibattito, che il
dibattito venisse sentito come attuale dai compagni, secondo il proprio grado
di maturazione e, infine, che fosse un dibattito vero o, se preferiamo, non
a esito scontato, almeno all'apparenza.
Ora, indubitabilmente, la prima di tali condizioni si è senz'altro verificata.
Si è posta poca attenzione sulla seconda ma è soprattutto sulla terza che
bisogna essere maggiormente critici.
Sostanzialmente, in Progetto comunista, compagni di diversa provenienza, di
ineguale formazione, soggetti a un rilevante turn-over, si sono trovati a
dibattere di argomenti da molti affrontati per la prima volta. In fin dei
conti, ogni neofita deve pur fare la sua gavetta.
Ma, data l'ineguale formazione, diversi compagni sono stati indotti a dare
una delega in bianco al gruppo dirigente storico dell'area. Tale aspetto,
utile all'aggregazione di compagni di diversa esperienza e formazione, è stato
utilizzato, aldilà di ogni saggezza, per garantire, sempre e comunque, l'adesione
maggioritaria alle posizioni del quadro dirigente. Non è stato temperato dal
libero dibattito su altri argomenti (vedasi la questione meridionale) magari
marginali, secondo la sensibilità dello stesso gruppo dirigente, o di non
urgente trattazione. Si sono trascurati aspetti minori (ma non tanto) del
dibattito, sui quali diversi compagni volevano tentare un proprio contributo,
avevano una propria urgenza.
Questo, sostanzialmente, ha indotto passivizzazione e ha impedito la crescita
complessiva della tendenza.
3. La vita interna dell'area, inoltre, è regolata dai principi del centralismo
democratico. Tale norma democratica, la migliore tra soggetti di pari maturazione
politica, può causare, al contrario, gravi anomalie quando tale condizione
di parità non è data. L'applicazione della stessa è stata, inoltre, esasperata,
pretendendo di ricondurre a votazione, dunque a soluzione vincolante, pressoché
ogni pur minima controversia. Date le condizioni, anche qui si crea una naturale
tendenza, in presenza di argomenti non ben compresi, a dare credito aprioristico
alle posizioni del gruppo dirigente storico. Così, in svariate occasioni,
le posizioni politiche di diversi compagni sono state mortificate da un'applicazione
della norma che, del binomio "centralismo e democrazia", è sembrata
privilegiare il primo dei due termini.
L'insieme di circostanze descritte ha generato diverse anomalie. La prima
e più importante delle quali rappresentata dal fatto che la titolarità materiale
dell'elaborazione politica è apparsa retaggio esclusivo, ben oltre il vero,
del gruppo dirigente ristretto e di pochi altri. Ogni tentativo legittimo
di avanzare seriamente (non accademicamente) opinioni discordanti, o diverse
sui temi (politici od organizzativi) ritenuti fondamentali, ha dovuto fare
i conti con le difficoltà derivanti da tali assetti, compresi, non di rado,
meccanismi più o meno consapevoli di vero ostracismo.
L'obiettivo di costruire un raggruppamento omogeneo è stato perseguito, pertanto,
in modo settario, scontando, fin dall'inizio, che non si sarebbero tollerate
a lungo posizioni non riconducibili all'elaborazione egemonica del gruppo
dirigente storico.
Su questa base, si è operato l'allontanamento, con atto più o meno pretestuoso,
ad esempio, dei compagni facenti riferimento alla rivista "FalceMartello",
attribuendo unilateralmente valenza strategica a differenze politiche difficilmente
riconoscibili come tali.
L'esito della prassi seguita, quindi, ha conseguito il risultato di allontanare
Progetto comunista, ma anche Proposta, dal conseguimento di quella "massa
critica" necessaria a rendere determinante la propria presenza nel Partito
e, vieppiù, com'è del tutto naturale, ad operare, eventualmente, come soggetto
autonomo nella società e tra i lavoratori. In una parola, possiamo dire che,
quello che si è raggiunto, è la "settarizzazione" dell'area.
Il riassetto organizzativo
Alla crisi in atto, la risposta che il gruppo dirigente di Proposta (dopo
le ripetute espulsioni e prese d'atto, Progetto e Proposta hanno finito per
coincidere) oggi tenta, è di natura meramente organizzativa.
Lungi dal prender atto degli errori compiuti e di trarre, alfine, quel bilancio
autocritico che, solo, potrebbe far uscire l'area dalle secche in cui sta
navigando, si pensa di risolvere il problema con un gioco di prestigio: lo
scioglimento di Proposta e la trasformazione di Progetto comunista in associazione
che subentra alla disciolta Proposta. Cambiare tutto perché non cambi nulla
(Tomasi di Lampedusa docet)!
Com'è risaputo, il giuoco di prestigio non è idoneo a risolvere problematiche
politiche derivanti da prassi settarie inveterate. Soprattutto, non è praticabile
davanti ad un pubblico esperto e che comprende i trucchi! Paradigmaticamente,
evidenzia, invece, agli occhi di tutti, il rifiuto dell'analisi autocritica,
della sintesi dialettica tra le inevitabili differenze, dell'articolazione
tattica della linea. Elementi, questi che, soli, sarebbero in grado di correggere
la rotta sbagliata. Tant'è che non si raggiunge nemmeno l'obiettivo più banale
che ci si era riproposto: quello dell'incremento degli aderenti alla nuova
associazione, rispetto alla vecchia Proposta. Anzi, diverse realtà locali
che, in passato, appartenevano a tale raggruppamento, hanno scelto di fare
la propria strada.
La scelta siciliana
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, i compagni siciliani pensano
che la soluzione dei problemi politici, organizzativi e di raggruppamento
sia strettamente connessa allo scioglimento di nodi che attengono alla proposizione
della linea, al metodo adottato per elaborarla e per conseguirla, alla democrazia
interna, ivi inclusi i metodi di applicazione del centralismo democratico.
Ritengono, pertanto, che la scelta di trasformazione organizzativa adottata
dal gruppo dirigente di Proposta/Progetto, se non accompagnata da tali premesse,
di cui, al momento, non si scorge traccia, non sia idonea a risolvere la crisi
che investe quest'area del Partito.
Devono, parimenti, prendere atto del fatto che ogni serio tentativo di dibattere
all'interno di Progetto comunista e di Proposta si è vanificato alla luce
dei meccanismi messi in luce nel presente documento.
Per altro, considerano la propria adesione ai principi del marxismo-rivoluzionario
come irrinunciabile.
In conseguenza di tali premesse, decidono di sospendere la propria adesione
alla nascitura associazione "Progetto comunista".
Tale scelta non costituisce un atto di rottura definitivo. Contempla, al contrario,
l'ulteriore tentativo di continuare, dall'esterno, un confronto che si è rivelato
impossibile all'interno.
Per questo motivo, ritenendo di dover continuare a far riferimento a "Progetto
comunista", così come delineatosi a cavallo del IV Congresso del PRC,
nonché all'assemblea costitutiva pubblica tenutasi al teatro "Colosseo",
anche al fine di evitare la dispersione del patrimonio umano e politico conseguito,
decidono di costituirsi in tendenza interna all'area della II mozione congressuale
e di operare su base regionale, assumendo la denominazione di "Progetto
comunista - Sicilia".
In tale veste, ai fini di una auspicata ricomposizione unitaria, decidono
di mantenere e di promuovere rapporti con tutte le aree della sinistra rivoluzionaria
del PRC, sul piano regionale e su quello nazionale, a cominciare da coloro
che aderiranno alla nuova Associazione "Progetto comunista".