Appello per la costruzione
dal basso della mozione della sinistra al prossimo congresso del PRC.
Dell'Associazione
in Movimento. Ottobre 1998.
Il prossimo congresso del partito sarà presumibilmente centrato sulle questioni di prospettiva, su problematiche strategiche, oltre ovviamente a costituire terreno di confronto per un bilancio dell'azione del partito negli ultimi due anni e per individuare le linee d'azione nel breve e medio periodo. Riteniamo necessario rivolgerci all'insieme dell'area che all'ultimo congresso ha dato vita alla mozione 2 e a quanti hanno maturato in questi due anni una posizione critica nei confronti della maggioranza, per costruire dal basso una mozione che segni una discontinuità forte con la cultura politica oggi dominante nel partito. Riassumiamo brevemente alcune considerazioni sulla base delle quali pensiamo si possa partire per costruire dal basso un'alternativa interna al partito.
1. L'uscita del PRC dalla maggioranza e la conseguente caduta del governo Prodi é un fatto oltremodo positivo. Si trattava di un governo che non ha mai tenuto in minimo conto le esigenze delle masse popolari e che anche con quest'ultima finanziaria seguiva la stessa logica introducendo solo un po' di carità di Stato. Si trattava di un governo con dentro la sinistra, ma che ha praticato una politica di destra. Ciò non ha mancato di produrre serie conseguenze anche sulle capacità di resistenza e di mobilitazione dei soggetti sociali oppressi. Mai come in questi due ultimi anni abbiamo assistito ad una tale debolezza dei movimenti di lotta. Il disimpegno del PRC apre la possibilità che i movimenti ritrovino una sponda politica. L'opposizione é la posizione migliore per un partito che vuol puntare a rappresentare il disagio sociale e proprio nel momento in cui la recessione che già dilaga nel mondo sta per ghermire gli ultimi due ridotti: USA ed Europa.
2. Le politiche neoliberiste e le insoddisfacenti risposte di stampo socialdemocratico hanno consolidato in gran parte d'Europa un'area elettorale che varia dal 8% al 14% e che esprime le sue preferenze per partiti che almeno sul piano dell'immagine esprimono una radicalità antisistema schierata a sinistra. Non si tratta di consenso a questa o quella tradizione politica, ma di uno spazio politico, diciamo del 10%, che domanda radicalità. Si tratta di uno spicchio di popolo al quale interessa ben poco discorsi di "governabilità", "bene del Paese", "compatibilità" ed altri pizzi e merletti: vuole semplicemente che sia rappresentata politicamente la propria rabbia e il proprio radicale dissenso. In quest'area il PRC stava perdendo consensi come testimoniano i risultati delle ultime due amministrative parziali, così come li sta perdendo il PCF a vantaggio della sinistra rivoluzionaria in Francia. Il partito deve ambire a rappresentare quest'area, darle una prospettiva e di lì partire per guadagnare ulteriori consensi.
3. Cossutta e il suo gruppo hanno sferrato un attacco senza precedenti al partito, spalleggiati dai maggiori mezzi di informazione di massa. La sua é una politica che si colloca oggettivamente come copertura a sinistra delle politiche sciagurate della socialdemocrazia. Per "salvare il Paese", cioé gli interessi fondamentali della borghesia, Cossutta non ha esitato a spaccare in maniera grave il nostro partito. Occorre da parte di tutti i militanti uno sforzo straordinario di militanza e di impegno per assicurare al partito agibilità politica e per spiegare alle masse la scelta di rottura con il governo e che noi difendiamo.
4. Cossutta rappresenta l'ultima incarnazione di una politica che é stata testardamente perseguita dalla sinistra italiana in questo secolo: la pratica dell'alleanza di governo con i partiti della classe dominante. È accaduto coi socialisti e i liberali giolittiani, con PSI e PCI nell'immediato secondo dopoguerra, poi con il PSI e il centrosinistra negli anni sessanta, quindi é stata la volta del PCI durante gli anni dell'"unità nazionale", e ieri il governo Prodi. Forse ciò é accaduto tanto spesso in Italia, perché qui vi é la più debole borghesia imperialista insieme al più radicale movimento operaio. Non esiste Paese che abbia conosciuto come l'Italia tre crisi prerivoluzionarie in questo secolo, né una radicalizzazione, quella degli anni settanta, che ovunque é durata un anno o due e da noi, come spesso ci rammentano i giornali della borghesia, dieci anni. Non esiste Paese imperialista del resto dove la borghesia non abbia dovuto continuamente far ricorso ad altro da sé per portare avanti i propri compiti storici. Ha dovuto far ricorso alla Chiesa, prima del fascismo e per gran parte del secondo dopoguerra per far fronte all'avanzata del movimento operaio, al fascismo per affermarsi tra le potenze imperialiste, ed innumerevoli volte alle burocrazie operaie per far passare misure impopolari o sedare la conflittualità sociale.
5. Anche in occasione del governo Prodi il copione si é ripetuto. La nostra borghesia era incapace di superare un suo problema: quello di essere ammessa nel costituendo nuovo polo imperialista europeo. Non ci riusciva perché il suo Stato era appesantito da un debito frutto di decenni di clientelismo democristiano, a sua volta necessario per contenere le spinte del movimento operaio. Per sbloccare quella montagna di debiti ed entrare nell'Euro la borghesia ha dovuto di nuovo far ricorso al soccorso del movimento operaio organizzato (di qui la famosa affermazione di Agnelli: certe "riforme" é meglio che le faccia la sinistra) che, lesto, si é prestato a supplirla. Il nostro partito in questi due anni ha contribuito a questa supplenza. Ora ci danno il benservito. Non é un caso che in occasione della crisi dello scorso ottobre abbiano fatto fuoco e fiamme utilizzando i loro giornali perché restassimo nella maggioranza e quest'anno si siano limitati a qualche ironia: la supplenza l'abbiamo fatta, ce ne possiamo tornare a casa.
6. Quella del nostro partito é stata dunque una rottura con una consolidata tradizione della sinistra italiana, ma non possiamo ignorare che la supplenza l'abbiamo fatta. Non possiamo esimerci cioé da un serio bilancio della nostra azione. Senza bilanci non c'é progetto. E allora dobbiamo dire che tutta la maggioranza uscita dall'ultimo congresso ha in questi due anni chiamato vittorie, quelle che in realtà erano sconfitte. Oggi il nostro segretario ci dice che dopo due anni di sacrifici si aspettava una finanziaria diversa, ma in questi due anni i titoli di Liberazione non parlavano di sacrifici quando giustificavano il voto a favore delle finanziarie, ma di "finanziaria di svolta", "elementi di svolta", "vittoria del partito". Questo atteggiamento ha contribuito al disorientamento attuale di una parte del nostro elettorato, abituato a due anni di logica del "meno peggio".
7. Certo, un congresso non deve esaurirsi in recriminazioni riguardo al passato. Il problema in effetti é che non ci pare che l'attuale gruppo dirigente, anche dopo l'uscita di Cossutta, sia in grado di pilotare la nuova fase, ricca di potenzialità, che si apre per il partito. Prima di tutto perché la rottura é avvenuta con non poche ambiguità. Avvertiamo forzati distinguo tra le due anime della socialdemocrazia, disponibilità gratuite a votare candidati borghesi per il ruolo di Presidente della Repubblica, ecc. Ed anche per altre tre ragioni di sostanza.
8. La prima. Viviamo in un periodo di riflusso, ma con la potenzialità che dicevamo del 10% di area di dissenso. Dobbiamo affrontare dunque l'immane compito di trasformare quel 10% da area elettorale in militanza attiva, movimenti, azione. In Italia il consenso elettorale del partito sfiora i 4 milioni di persone: ci rendiamo conto del terribile scarto con la realtà militante del partito? Il PRC ha 110.000 iscritti di cui, per ammissione degli stessi dirigenti, solo 10.000 possono essere considerati attivisti. Ecco lo scarto, ecco il compito che abbiamo davanti: 10.000 persone su un potenziale di 4 milioni. Per far questo occorre una cultura che sappia coniugare senso dell'organizzazione e valorizzazione della presenza nei movimenti. Che svecchi i circoli in modo che non diventino luoghi dove si organizzano solo feste annuali ed attacchinaggi, ma luoghi di incontro e coordinamento dei soggetti sociali in lotta. Che faccia crescere un'idea nuova di militanza: che non si esaurisca nelle istituzioni e nella propaganda, ma si fondi sulla presenza militante tra le masse.
9. La seconda. Per una forza come la nostra é essenziale una identità forte, cioé una nuova cultura politica, altrimenti saremo sempre subalterni all'altra cultura presente nel movimento operaio: quella socialdemocratica, che é consistente e coerente. E che sostanzialmente dice: il capitalismo c'é, esiste, e ci sarà sempre, rendiamolo un po' più umano. Questa impostazione ha un richiamo fortissimo tra i lavoratori nel periodo di riflusso. Essi sono sfiduciati, stanchi, non amano il capitalismo, ma non hanno fiducia in se stessi, nelle proprie forze: su questa passività la socialdemocrazia costruisce le sue fortune. A questa cultura deve esserne contrapposta un'altra, opposta, rivoluzionaria. Il che evidentemente non significa la rivoluzione domani, ma agire in modo da avvicinarci giorno dopo giorno a questo obiettivo. Significa avere in mente la rottura rivoluzionaria anche quando ci si batte per centomilalire di aumento o contro uno sfratto. Avere in testa in ogni momento la rivoluzione vuol dire pensare continuamente a chi sono i nostri avversari e dunque ad avere in testa il loro continuo indebolimento. Se avessimo in mente questo obiettivo, non ci salterebbe nemmeno per l'anticamera del cervello di supplire i borghesi in ciò che non riescono a fare da soli. Se al contrario abbiamo in testa che la rivoluzione é una chimera, avremo paura del vuoto, degli scontri, delle catastrofi, e saremo continuamente para>
adicalità che la nostra classe sa mostrare nei momenti di ascesa. Se ci diamo una strategia rivoluzionaria dobbiamo cercare gli alleati sociali della classe lavoratrice non certo tra settori "illuminati" di classe dominante, ma tra i soggetti sociali sottoposti a forme specifiche di oppressione: i giovani, le donne, le minoranze etniche, gli omosessuali, ecc. Insomma occorre una nuova strategia, una prospettiva, dentro la quale misurare e valutare i nostri passi tattici.
10. La terza. Le ultime vicende hanno segnalato nel partito un chiaro deficit di democrazia. Le divergenze sono state tenute tutte all'interno dei massimi organismi dirigenti, ignorando gli appelli della sinistra del partito a favore dell'indizione di un congresso straordinario. La base del partito, indipendentemente dalla mozione votata all'ultimo congresso, si é sentita espropriata dalla possibilità di incidere sulla linea del partito. È necessaria dunque una profonda riflessione sulla democrazia del partito sia dal punto di vista delle regole formali (totale libertà di tendenza, proporzionalità nelle elezioni degli organismi dirigenti, ritorno degli espulsi dal partito, ecc.) sia dal punto di vista sostanziale (lotta alla pratica del "cammellaggio", rotazione negli organismi dirigenti, spazio alle donne e ai giovani, ecc.).
11. La sinistra di questo partito ha perso diverse occasioni per divenire alternativa reale al gruppo dirigente. Spesso le aree più organizzate hanno messo in primo piano gli interessi di area prima che quelli della costruzione di una tendenza di opposizione larga, aperta, senza gruppi dirigenti precostituiti. Spesso di fronte ad occasioni chiave si é trovata divisa. Il settore non organizzato di questa sinistra si é trovato spesso in balia delle decisioni di pochi, trovandosi il più delle volte a dover sottoscrivere un appello o l'altro che non aveva in alcun modo discusso e contribuito a costruirli.
12. In questa occasione noi, che non facciamo parte di aree organizzate, chiediamo ai militanti della sinistra, organizzati e non, di dar vita ad un percorso aperto e pubblico che veda la costruzione dal basso di una mozione della sinistra in occasione del prossimo congresso. Non vogliamo trovarci a dover votare per una mozione decisa al chiuso di una qualche stanza, frutto di compromessi tra un pugno di dirigenti. Chiediamo che la base militante di questa sinistra conti, in modo che sin da questi comportamenti possiamo essere anche esempio di democrazia e rispetto per la base per tutto il partito. Facciamo dunque la seguente proposta di percorso, da articolare o modificare nei modi e nei tempi anche tenendo conto delle scadenze ufficiali che ci sarasnno. Una assemblea nazionale della sinistra del partito da tenersi entro novembre e che abbia per obiettivo stabilire la "scaletta" della mozione, i gruppi di lavoro sui singoli argomenti ed anche un primo scambio di opinioni. Le riunioni nazionali tematiche entro la fine dell'anno. Un'assemblea conclusiva a gennaio che vari la mozione.