Cosa
bolle in pentola
In
questo mese di marzo si stanno rompendo gli indugi. Scissioni e ricomposizioni
daranno una nuova identità alla sinistra radicale e non. Tre interessanti
pezzi, apparsi sui giornali in questi giorni, delineano in quale direzione
si andrà. Reds - Marzo 2007
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Marzo 2007
Colloquio con Fabio Mussi di Marco Damilano
Di giorno, il ministro dell'università Fabio Mussi visita atenei, si
becca qualche contestazione degli studenti di destra,
affronta rettori e professori. Di sera, il candidato alla segreteria Ds Fabio
Mussi gira più federazioni possibili, Padova, Mestre, Milano, Follonica,
Grosseto, la settimana prossima a Palermo e Bari, impegnato nella battaglia
congressuale contro il Partito democratico, probabilmente l'ultima che combatterà
sotto le bandiere dei Ds.
Il leader della minoranza non si fa grandi illusioni: "Per ora c'è
un voto largo per la mozione Fassino" ammette. La scissione sembra più
vicina: "Un'impresa comune è sull'orlo di finire". E per
la prima volta Mussi sembra interessato al cantiere che Fausto Bertinotti
vorrebbe aprire sulle ceneri della Quercia: "Certe divisioni hanno fatto
il loro tempo.
Non accetto l'idea che la sinistra possa ridursi a fare la corrente di minoranza
di un partito di centro. La sinistra cercherà di rinnovarsi.
A prescindere perfino dalle volontà di ciascuno di noi, qualcosa di
nuovo nascerà."
Lei sta girando la Penisola in lungo e in largo. Che clima c'è
nella base Ds?
Non è certamente quello dell' '89. Eppure stiamo decidendo un salto
più grande. Nell' '89 si saltava dal comunismo verso una nuova forma
di sinistra, più adeguata ai tempi. Qui, invece, si salta fuori dalla
sinistra. L'Italia diventerà l'unico paese europeo senza un grande
partito di sinistra che si richiama al socialismo, dovrebbe essere un evento
altamente drammatico. E invece vedo in giro un sentimento di rassegnazione.
Andiamo verso il Partito democratico con lo stesso spirito di Gigi Proietti
nello spot con Consuelo: "Se me lo dicevi prima! Ormai...".
Ormai è fatta?
C'è per ora un voto largo per Fassino, sine ira ac studio, con molte
adesioni alla nostra mozione. Ma non ci sono passioni in campo, l'amore che
strappa i capelli di cui parla Fabrizio De Andrè in una sua canzone
è finito da tempo. Qui è piuttosto l'epoca delle passioni tristi.
Il partito si è indebolito: so che i compagni si infastidiscono quando
lo ricordo, ma alle ultime elezioni abbiamo superato di poco il 17 per cento,
al netto di Emilia, Toscana, Marche e Umbria in molte zone del paese siamo
una forza marginale, sotto il venti per cento in undici regioni. E in questi
anni c'è stata una mutazione dei nostri iscritti. Ci siamo trasformati
in un'agenzia per la promozione del ceto politico locale. Siamo bravissimi
ad eleggere consiglieri regionali, comunali, nel nominare assessori, presidenti
di comunità montane, commissioni...
Anche lei è rassegnato? Il Pd è un processo irreversibile?
Penso di no, mi auguro di no. Sarebbe opportuno fermarlo. Vedo che invece
c'è un'accelerazione: si diceva che il Pd sarebbe nato nel 2009, per
le elezioni europee, poi si è anticipata la nascita al 2008, ora qualcuno
vorrebbe battezzarlo in estate, addirittura. Eppure nessun nodo è stato
tagliato.
Qual è il più ingombrante?
Uno grande come una casa: l'identità e la collocazione internazionale
del nuovo partito. Fassino dice in giro che il Pd deve stare nel Partito socialista
europeo, ma intanto nella sua mozione non c'è scritto. Strano, avevo
capito che dalla doppiezza eravamo usciti da un pezzo... I nostri amici della
Margherita, invece, ci ripetono tutti i giorni che il Pd non potrà
aderire al Pse. Risultato: questo Pd è un partito homeless, alla ricerca
di un tetto, una roba che non esiste in Europa.
Qual è l'alternativa? Al congresso di Pesaro il correntone
da lei guidato aveva dichiarato la necessità di superare il socialismo
europeo. Oggi, invece, lo avete riscoperto come vostro vessillo...
Ero contro il socialismo europeo di stampo blairiano, quello di Anthony Giddens,
la terza via, se la ricorda? Siamo partiti da Blair e siamo arrivati al nulla:
è il percorso che i Ds hanno fatto dal congresso di Pesaro a oggi.
Non le sembra retrò rispolverare il socialismo europeo nel
XXI secolo?
Non accetto le accuse di conservatorismo. Ho portato io l'ambientalismo nel
Pci negli anni Settanta, mi guardavano come fossi un marziano. Credo che il
socialismo europeo debba rinnovarsi, secondo le suggestioni delle culture
critiche, dell'ambientalismo, del femminismo, i movimenti di Seattle e di
Genova, i social forum di Porto Alegre e di Nairobi. Ma il Pd ci porta fuori
dalla sinistra e indietro, non oltre.
Ce l'ha con il suo collega di governo Francesco Rutelli?
Assolutamente no, lui fa il suo. Però, prendiamo le sue ultime uscite.
I Dico: lui dice che non sono una priorità, per la sinistra invece
la libertà delle persone dovrebbe essere una questione centrale. E
chi vuole una limitazione di questa libertà pone un problema pesante.
Rutelli dichiara che in Francia voterebbe il centrista Bayrou, per i Ds invece
la candidata di riferimento è Segolene Royal. E se si va al ballottaggio
Sarkozy - Royal, che facciamo?
In una situazione politicamente e intellettualmente ordinata questo dibattito
dovrebbe durare sette minuti e amici come prima. Come può stare in
piedi un partito così? Qui stiamo spendendo tutte le nostre energie
per far diventare Rutelli un po' più socialista e Rutelli le spende
per far diventare noi un po' più democristiani: ma perchè tutto
questo dispendio energetico?
Facciamo un sogno: al congresso Ds vince la mozione Mussi e il Pd
non si fa più. Non sarebbe un cataclisma per il governo Prodi e per
il centrosinistra?
Sono un tipo realista. So bene che arrivati a questo punto è l'idea
stessa del Pd che produce un terremoto, sia che si faccia sia che non si faccia.
Ma tra i due terremoti preferisco quello che ferma il processo.
E se invece, come sembra più probabile, il Pd arriva in porto in tempi
rapidi?
Ci sono due novità nel centrosinistra italiano. Una è l'Ulivo,
un po' acciaccata: nel '96 c'eravamo tutti tranne Rifondazione, eravamo al
44 per cento, ora siamo rimasti alla fusione Ds-Margherita e al 31. L'altra
novità, la segnalo agli osservatori distratti, è che per la
prima volta tutta la sinistra è al governo, tutta. Non è una
cosa da poco: nell' '89 la svolta che portò dal Pci al Pds provocò
una dolorosa scissione, nel '98 il governo Prodi saltò su un'altra
divisione a sinistra, quando Bertinotti uscì dalla maggioranza. Oggi
siamo tutti al governo. E' un evento destinato a produrre grandi novità.
Bertinotti ha parlato di "un cantiere che accolga tutti coloro
che si dicono di sinistra", un nuovo partito che superi Rifondazione.
A lei interessa?
Sì, mi interessa. Il cantiere di cui parla Bertinotti è una
discussione che coinvolge anche noi. Siamo tutti insieme al governo. Se la
cosa regge e funziona, Turigliatto a parte, certi steccati, certe divisioni
possono fare il loro tempo. C'è bisogno di sinistra, di sinistra di
governo.
E' l'annuncio di una scissione e di un nuovo partito della sinistra?
Il mio amico Pierluigi Bersani dice che la sinistra esiste in natura, non
si può sciogliere. Può darsi che ci saranno polluzioni di sinistra
anche nel Pd, perchè no? Ma io non accetto l'idea che la sinistra possa
ridursi a fare la corrente di minoranza di un partito di centro. La sinistra
cercherà di ritrovarsi. A prescindere perfino dalle volontà
di ciascuno di noi, qualcosa di nuovo nascerà.
Andrea Romano nel suo libro "Compagni di scuola" scrive che il gruppo
dirigente dei Ds di cui lei fa parte è "una famiglia cui si appartiene
una volta per sempre..."
Non è un libro piacevole. Non mi piacciono i famigli che raccontano
i principi che hanno servito. Non mi piace lo sprezzo che usa verso D'Alema
che arriva da non so quanto giustificata presunzione. Andrea Romano non sa
di cosa parla.
Ma lei sta per divorziare dalla sua famiglia?
Faccio parte di un gruppo che ha cominciato a fare politica intorno al 1968,
a vent'anni, e che portò nel Pci una ventata di novità e di
antagonismo. Mi trovai, giovanissimo, a votare contro la radiazione del gruppo
del "Manifesto" nel comitato centrale. Allora veniva promosso il
coraggio, oggi vengono premiati i giovani conformisti. E poi ci sono stati
gli anni Settanta, l'avanzata del Pci, la morte di Berlinguer, fino ad arrivare
al crollo del muro di Berlino e alla fine del comunismo internazionale. In
segreteria con Occhetto c'eravamo io, D'Alema, Fassino, Veltroni, Bassolino,
Livia Turco, Petruccioli. Eravamo tutti tra i 35 e i 45 anni, Walter era il
più giovane. Ci trovammo di fronte a un evento storico enorme, con
il Pci al 27 per cento e 800 mila iscritti: decidemmo di scioglierlo. Si è
cementata allora una solidarietà politica e umana che ha superato prove
difficili. poi, abbiamo preso strade diverse.
E oggi, Mussi, siamo vicini alla separazione finale?
E' una rottura. Un'impresa comune è sull'orlo di finire, questo sì.
E qualche volta, quando ci penso, ho bisogno di respirare lentamente.
13 Marzo 2007
Lettera aperta a Franco Giordano
di Peppino Caldarola,
Caro Franco,
stiamo vivendo questa stagione politica con grandi patemi d'animo.
Sapevamo che l'esperienza di governo ci avrebbe cambiati. È la seconda
volta che cerchiamo di convincere il paese che noi governiamo meglio di Berlusconi.
È la seconda volta che sulla nostra strada incontriamo difficoltà,
alcune previste altre no.
Questa volta l'esperienza di governo coincide con una gigantesca ristrutturazione
nel campo della sinistra. Nel mio partito prevale l'idea di andare oltre la
sinistra e oltre il socialismo. Sai che non sono d'accordo. Sai anche che
malgrado il dissenso mi porterà fuori dai Ds, non ho intenzione di
demonizzare chi farà la scelta opposta.
Né traditori loro, ne scissionisti noi.
Cosa accadrà nei prossimi mesi? Io credo al processo di riavvicinamento
e di riunificazione delle forze socialiste. Con le antiche famiglie socialiste
alcuni di noi hanno aperto un dialogo fruttuoso. Vogliamo un socialismo rinnovato,
parte
della famiglia socialista europea, laico e libertario, portatore di valori
di giustizia sociale, con uno Stato che non rinuncia al proprio ruolo ma che
non è intrusivo nella vita dei cittadini.
Scegliamo l'Occidente e la sua grande tradizione democratica, un Occidente
che dialoghi e usi la forza solo in casi estremi e decisi dall'Onu quando
sono in gioco le sorti di popoli, quando prevalgono le faide etniche e quando
la libertà viene conculcata da feroci dittatori.
Credo che il grande tema della sinistra riguardi noi al pari di voi.
Ho seguito in questi anni attentamente la vostra discussione. Mi ha colpito
la scelta della non violenza, il vostro voler diventare una sinistra di governo
in cui portare lealmente le vostre convinzioni, il riferimento di Bertinotti
a socialisti come Lombardi e Allende.
Sento, o forse spero, che le distanze si stiano accorciando.
Chi vi rappresenta come una palla al piede nella coalizione del centro-sinistra
non rispetta la vostra lealtà né i prezzi che pagate di fronte
ad una parte del vostro tradizionale mondo di riferimento.
Io penso il contrario e ho molto apprezzato il fatto che nel dialogo con i
movimenti abbiate rivendicato sia la relazione con loro sia la vostra autonomia
politica. Questo è il banco di prova del vostro revisionismo, ma anche
noi dobbiamo essere revisionisti per la nostra storia.
La pigrizia intellettuale di tanti ci descrive come destinati alla distanza
e alla contrapposizione. Io accetto la sfida del dialogo e mi oppongo ai pregiudizi.
Voi avete aperto un cantiere, io con altri uno differente. È possibile
un dialogo e un riavvicinamento? Me lo chiedo e ve lo chiedo.
Ci sono punti di questa discussione che vorrei fissare. Non vivo in modo mitologico
l'appartenenza al socialismo europeo, ma il fatto che lì ci sia il
laboratorio delle correnti più diverse della sinistra europea, una
sinistra che ha fatto grande l'Europa, mi fa pensare che fuori di lì
saremmo uccellini smarriti.
Penso che una società moderna viva e progredisca se pone alla sua base
il mercato. Demonizzarlo non ha senso. Ma penso anche che le politiche pubbliche
abbiano un campo di intervento sui beni pubblici e a favore delle opportunità
per i singoli e per la tutela degli svantaggiati.
Penso a un Occidente in cui si svolge con nettezza la nostra vicenda politica.
Ho scritto che amo l'Occidente per la forza delle sue ragioni mentre non sono
innamorato dell'esercizio talvolta sproporzionato della sua forza. Ho a cuore
diritti e libertà per i palestinesi, ma considero Israele come una
seconda patria, pur non appartenendo al popolo ebraico.
So che molti di voi negli ultimi tempi hanno rotto antichi pregiudizi contro
Israele.
Se posso vi incoraggerei a eliminare del tutto i pregiudizi.
Ecco alcuni temi di un dialogo fra di noi.
Credo che la sinistra non debba scomparire, credo che la sinistra abbia il
dovere di rinnovarsi nella pluralità delle sue culture così
da accettare la sfida del nuovo moderatismo in cui confluisce parte della
vecchia sinistra.
La nuova sinistra me la immagino pacifica, multiculturale, di governo, fortemente
ecologista. Me la immagino in grado di dare un senso alle domande delle nuove
generazioni che non vogliono precipitare nella ottocentesca prigionia di prepotenti
partiti personali.
Penso, infine, che dobbiamo discutere fuori dai ruoli che abbiamo ricoperto
e nelle cui nicchie ci siamo rinchiusi in questi anni.
Se vuoi, se volete, usciamo dai diplomatismi e confrontiamoci senza rete.
19 marzo 2007 l’Unità
Il segretario di Rifondazione comunista insiste sulla necessità di
dar vita a «un nuovo soggetto a sinistra» e di riorganizzare le
forze in campo anche per evitare che «una parte consistente della sinistra
finisca con l’accedere a una cultura liberaldemocratica».
Sabato c’è stata una manifestazione pacifista a cui hanno partecipato
ventimila persone, ma non Rifondazione. Una crepa nel rapporto tra il suo
partito e il popolo della pace?
«No perché quello pacifista è un movimento largo e plurale.
Nessuno può arrogarsi il diritto di rappresentarlo per intero e nessuno
può arrogarsi il diritto di espellere qualcun altro».
I manifestanti hanno però contestato il Prc e le altre forze
che voteranno il rifinanziamento della missione in Afghanistan.
«Se il nostro voto determinasse un immediato stop del conflitto non
avrei dubbi su cosa fare. Mi interesserebbero relativamente le sorti del governo,
perché quelle della pace e della guerra sono superiori. Ma temo che
chi ci chiede questo non punta a sortire un simile effetto ma vuole solo ed
esclusivamente far emergere una soggettività politica».
Come giudica la proposta di Fassino di far partecipare anche i talebani alla
conferenza di pace sull’Afghanistan?
«Interessante e giusta. Inoltre testimonia che pur partendo da posizioni
differenti, perché noi non avremmo mai mandato i nostri militari lì,
diventa sempre più credibile la nostra proposta di far svolgere una
conferenza internazionale di pace come alternativa concreta alla semplice
replica bellica, che ha mostrato il suo fallimento».
Come spiega le perplessità nei confronti della proposta di Fassino
provenienti dalla maggioranza?
«Ci sono anche nell’ Unione settori permeabili a una vecchia cultura
centrata sulla preponderanza americana nello scenario internazionale. Ma oggi
dobbiamo abituarci a svolgere sempre di più un ruolo di autonomia,
perché altrimenti saremo subalterni alla logica della guerra preventiva
e permanente di Bush».
Nel centrosinistra è in corso una riorganizzazione. Oltre al
Partito democratico, saranno avviati altri processi?
«Devono essere avviati. Siamo arrivati ad un punto assolutamente decisivo
per le sorti della sinistra nel nostro Paese. E credo che sia assolutamente
doveroso per noi tutti ridare progettualità e futuro alla sinistra.
E costruire una nuova soggettività a sinistra. Per questo, indipendentemente
dalle collocazioni politiche di ciascuno, abbiamo lanciato la sfida di una
discussione vera sull’attualità dell’ idea di un nuovo
socialismo».
A che tipo di discussione pensa?
«Intanto, non deve essere ingegneristica, organizzativistica. Deve essere
una discussione plurale, perché sarebbe paradossale che proprio nel
momento in cui di questo tema si avverte così intensamente l’attualità,
una parte consistente della sinistra finisse con l’accedere a una cultura
liberaldemocratica».
Da cosa deduce l’attualità del socialismo?
«Dal fatto che mai come in questa fase del processo di globalizzazione
si è assistito a un proliferare e acuirsi di disparità sociali,
mai come oggi si è visto che il neoliberismo per potersi inverare ha
dovuto ripudiare persino l’idea liberale e far ricorso a processi autoritari,
alla guerra preventiva. E mai come in questo momento l’aggressione capitalistica
all’ambiente mette in relazione il tempo biologico, nostro o dei nostri
figli, con la necessità di superare le attuali forme di produzione
se vogliamo salvaguardare la specie. In questo senso mi verrebbe da riesumare,
in forme totalmente moderne e in un contesto del tutto diverso, la grande
affermazione: socialismo o barbarie».
Critica della globalizzazione, pacifismo, ambiente: si direbbe che
lei abbia già chiare in mente le forze che potrebbero lavorare per
dar vita al nuovo soggetto.
«A fronte di un progetto così grande non si può fare la
sommatoria di ceti politici. Dobbiamo tenere fermi due punti fissi. Il primo
è la relazione intensa con la società e i movimenti. Il secondo
è che ci vuole una grande innovazione teorica e culturale, e tutti
dobbiamo metterci in discussione. Rifondazione comunista ha già cominciato.
Penso al femminismo, alla nonviolenza, alla critica delle forme del potere».
Diliberto si è detto disponibile a lavorare per riorganizzare
la sinistra.
«L’idea di Diliberto mi sembra diversa dalla nostra, tende a rappresentare
staticamente quello che c’è e non a costruire una tensione che
porti un’innovazione culturale. Non voglio fare nessuna polemica, sto
solamente fotografando la situazione. Mentre per noi diventa decisivo il confronto
con i movimenti, la società, mi pare che quella di Diliberto sia semplicemente
un’idea di resistenti, coloro cioè che resistono alla costruzione
del Pd. Però così sarebbe un’operazione del tutto complementare
e di risulta rispetto al Pd. Noi invece dobbiamo ricostruire la sinistra in
Italia».
A proposito di Pd, pensa che Mussi possa essere un vostro futuro interlocutore?
«Assolutamente sì. Penso che ci debba essere una sfida unitaria
per la costruzione di un nuovo soggetto a sinistra. Sfida, perché investe
il piano del culturale, l’egemonia. Ma unitaria, perché dovremo
muoverci sul terreno del rapporto unitario se vogliamo mettere la sinistra
in relazione con i bisogni delle nuove generazioni, se vogliamo ricostruire
il fascino della parola socialismo, se vogliamo combattere efficacemente le
forme di passività, di spettacolarizzazione della politica, il modello
americano».