Il
congresso visto e analizzato da fuori.
Un
precongresso duro; un dibattito congressuale aspro; una maggioranza a sorpresa.
Nessuna scissione, per il momento, ma il futuro è veramente nebuloso.La
strada per arrivare a Chianciano è stata lunga e irta di difficoltà
per rifondazione comunista. Di
Maurizio Attanasi. Reds - Agosto 2008
Si
arrivava da una sconfitta storica. Per la prima volta in Italia dalla loro
nascita (se escludiamo gli anni bui del fascismo) i comunisti non sono stati
eletti in parlamento, a causa del risultato pessimo ottenuto dal soggetto
nato dall’aggregazione di quelle che vengono definite forze della sinistra
radicale.
All’indomani della debacle di primavera è iniziata nel partito
la resa dei conti: Giordano si è dimesso, la corrente di Bertinotti
si è spaccata; una parte di questa, unendosi con membri della ex opposizione
interna è riuscita ad ottenere la reggenza del partito, con l’ex
ministro bertinottiano Ferrero, in attesa del congresso che si sarebbe celebrato
in luglio.
Alla presentazione dei documenti, in giugno, sono arrivate cinque mozioni.
Lo stesso numero del congresso precedente, nonostante ci siano state tre scissioni
di gruppi organici del partito a sinistra (sinistra critica, il partito comunista
dei lavoratori e il partito di alternativa comunista).
I congressi dei circoli sono stati momenti di lotta dura tra quelle che appaiono
dalle prime battute come le due posizioni che hanno maggiori possibilità
di vittoria: le mozioni 1 e 2. La prima vede tra i firmatari l’ex ministro
bertinottiano Ferrero e Grassi, leader quest'ultimo della corrente "Essere
comunisti" da sempre a destra del Partito con tradizioni culturali
staliniste; la seconda, ha come primo firmatario Nicky Vendola, governatore
della Puglia e pupillo dell’ex segretario Bertinotti.
Numerosi i casi di congressi annullati, voti contestati, ricorsi al Comitato
di Garanzia, accuse di tesseramenti gonfiati all’ultimo minuto, fino
ad arrivare ad una protesta di partito a Bari davanti alla sede della regione
per protestare contro il comportamento di Vendola e dei suoi sostenitori proprio
nella regione del pretendente pugliese alla segreteria.
A luglio a Chianciano si arriva con un capovolgimento della situazione rispetto
a qualche mese prima.
Nel Comitato Politico Nazionale (CPN) di aprile, quello delle dimissioni di
Giordano e il cambio di maggioranza, i risultati erano stati:
98 voti al documento di Ferrero, Russo Spena, Burgio e Grassi;
70 voti al documento dei bertinottiani;
16 al documento Pegolo e Giannini;
5 voti per il documento di Falce e Martello.
I congressi dei circoli danno invece la maggioranza relativa a Vendola e agli
ex bertinottiani:
mozione 2 (Vendola e altri) 47,30%;
mozione 1 (ex bertinottiani e area Essere Comuinisti) 40,28%;
mozione 3 (reduci della mozione stalinista del precedente congresso e scissionisti
dell’Ernesto) 7,67 %;
mozione 4 (i tenaci di Falce e Martello) 3,21%
mozione 5, 1,51%.
E’ interessante un confronto con l’epocale congresso di Venezia.
Innanzitutto i votanti sono stati in netto calo rispetto al VI congresso.
Allora votarono 50.985 compagni mentre in quello attuale 43.545, quindi 7000
voti in meno (nel precedente congresso le mozioni 3 e 4 che poi avrebbero
abbandonato il partito ottenevano in totale poco più di 6600).
E bene precisare che si tratta di militanti votanti, quindi è probabile
che il numero dei compagni che si sono allontanati da rifondazione da Venezia
sia molto più alto.
La mozione di Bertinotti ottenne 30.168 voti che gli diedero la maggioranza
assoluta con il 59,17%.
Vendola e i simpatizzanti dell’ex presidente della camera hanno perso
quasi diecimila voti (ottenendo 20.598) confluiti in grandissima parte nella
mozione 1 di Ferrero, Grassi e Burgio.
Quest'ultima mozione che a Chianciano ottiene 17.542 eredita parte dei voti
della mozione Bertinotti e parte dei voti di Essere Comunisti che
nel precedente congresso avevano ottenuto 13.349. A Venezia però Essere
Comunisti formava un unico gruppo con coloro i quali che a Chianciano,
hanno presentato la terza mozione ottenendo 3.343 (l’Ernesto e altri
dissidenti di Essere Comunisti).
La componente di Falce e Martello, storica minoranza troskista presente nel
prc, vede crescere i propri consensi passando da 834 del precedente congresso
ai 1401 voti ottenuti in questo congresso, crescendo si in termini assoluti
sia in punti percentuali. Sicuramente la mozione di Falce e Martello ha beneficiato
sia di una propria crescita interna sia della confluenza di voti di quei compagni
che nel precedente congresso avevano appoggiato le mozioni trosktiste oggi
fuori dal partito.
Ovviamente
il dibattito congressuale è stato teso come il clima generatosi durante
lo svolgimento dei congressi di circolo.
E’ stato ammesso da parte di "alcuni" il mea culpa (leggi
Ferrero) per gli errori commessi dal Partito a partire dalla svolta governista
di Venezia (anche se non sono stati questi i termini usati dall’ex ministro).
C’è stato il pontificare dell’ex segretario come se non
ci fosse stato il diluvio universale delle elezioni politiche straperse in
aprile; e ci sono stati poi interventi in cui, angosciati, i dirigenti del
partito si chiedevano come avrebbero fatto a riconquistare il voto dell’operaio
bresciano che è iscritto alla cgil ma vota Lega.
Sicuramente a questo interrogativo una risposta non è stata fornita
il compagno Gennaro Migliore, bertinottiano e vendoliano di ferro, che nel
suo intervento ha avuto il coraggio di parlare di “pedagogia della rifondazione”
invece di toccare argomenti concreti.
Come dicevo, all’apertura del congresso sembrava che Vendola avesse
i numeri, anche se appena sufficienti, per imporre la propria linea. Nel corso
del congresso, sono d'apprima emerse varie prospettive: una prevedeva una
grande coalizione, tra le due mozioni più grandi come possibili alleate,
un'altra che sembrava la più accreditata nel corso di sabato mattina,
prevedeva la formazione di una piccola coalizione formata dalla mozione dei
bertinottiani e quella parte della mozione 1 che faceva riferimento all’area
Essere Comunisti.
Tutte ipotesi sfumate nella notte tra sabato e domenica quando nei diversi
tavoli allargati e nei vari incontri trasversali, ha preso corpo quello che
alla vigilia di Chianciano sembrava impossibile: tutte le mozioni unite contro
Vendola e il suo progetto politico.
Le quattro mozioni hanno nella mattinata votato il documento Ricominciamo
una svolta a sinistra con 342 voti a favore su 646 che prevede, secondo
quanto affermato da Ferrero su Liberazione del 29 luglio, “tre punti:
Primo, si riparte da rifondazione comunista come partito .. e come progetto
politico; …. Secondo, rilancio a partire da un nuovo lavoro nel sociale
…..Terzo, svolta a sinistra. Cioè riprendere piena autonomia
dal Pd.” Nel cpn Paolo Ferrero viene eletto con 142 si, i no sono 134,
4 le schede bianche e un astenuto.
La vittoria di Ferrero costituisce una svolta storica per Rifondazione e rappresenta,
nonostante tutto, un dato positivo.
La sconfitta dei bertinottiani, dopo quattordici anni di ininterrotto potere,
blocca il processo di deriva riformista che aveva caratterizzato Rifondazione
Comunista negli ultimi anni.
Vendola rappresentava la nuova carta da giocare per il nocciolo duro dei bertinottiani
i quali avevano come obbiettivo il completamento del processo di rifondazione
comunista. Tale processo altro non era che l’occupazione dello spazio
politico lasciato libero a sinistra dopo la svolta moderata e centrista del
Partito Democratico.
Ulteriore prova ne è stata la nascita della corrente promossa dal presidente
della regione Puglia. Il nome è tutto un programma "Rifondazione
della sinistra"; con questa corrente il governatore vuole restare alla
finestra per vedere come si evolverà la vita del Partito per continuare
a perseguire l’obbiettivo di trasformazione del partito nel senso indicato
in a suo tempo da Bertinotti e segnato in modo deciso nel congresso di Venezia.
Vendola è rimasto all’interno del Partito, senza attuare quella
scissione che qualcuno aveva ipotizzato. Egli e il suo entourage hanno invece
contribuito a rendere noto all'esterno, attraverso la stampa nazionale, il
clima di guerra determinatosi nel congresso; hanno raccontato di canti intimidatori
intonati dai sostenitori di Ferrero dopo il suo intervento, hanno fatto dire
a Vendola, nel suo ultimo intervento al congresso, che esiste anche nel partito
un leghismo di sinistra, e che "quella che esce dal congresso non
è più la mia rifondazione". Infine con un gesto che
assomiglia tanto ad un disconoscimento della legittimità del congresso
e delle sue decisioni, hanno abbandonato il CPN prima della proclamazione
del segretario. Senza dubbio una caduta di gusto e stile, forse giustificata
dalla rabbia provata per la sconfitta “ad personam” subita.
Quello del leaderismo è un elemento che purtroppo ormai è stato
organicamente introdotto in Rifondazione e che questo congresso ha confermato.
E di leaderismo o meglio di antileaderismo rischia di morire la nuova maggioranza
che è uscita dal congresso.
Infatti se da una parte è stato sconfitto Vendola e il suo progetto
politico, dall'altra da Chianciano non esce una linea politica chiara e precisa
per il futuro. La coalizione che ha eletto Ferrero sembra che abbia come unico
collante l’antivendolismo. Tutti si sono messi insieme per non far vincere
il governatore della Puglia. La maggioranza che sostiene Ferrero sembra ricordare
l’armata brancaleone che sosteneva il governo Prodi.
Ci sono tutti : dagli ex dp agli ex bertinottiani, dagli stalinisti convinti
sostenitori di un progetto unitario col Pdci, agli stalinisti che erano stati
critici del governo Prodi ma che poi governavano in coalizioni di centro sinistra,
fino ad arrivare agli ultimi troskysti rimasti in Rifondazione Comunista,
che fino a ieri erano sempre stati orgogliosamente e organicamente all’opposizione.
Sarà difficile governare insieme il partito in un momento del genere;
nessuna rappresentanza parlamentare, l’incognita delle elezioni europee
(ci sarà la soglia di sbarramento? e se ci sarà, il partito
la supererà? con chi si presenterà?) e l’opposizione della
corrente di Vendola, che a differenza della maggioranza che governa il partito
è monolitica ed ha in mente obbiettivi e percorsi da perseguire.
La complessità del momento è data anche dalle vicende interne
che vivono gli ex alleati dell’Arcobaleno.
Delle forze che componevano la Sinistra l’Arcobaleno, definita a Chianciano
da Ferrero “una unità dei ceti politici”, solo
la Sinistra Democratica di Mussi e Fava non ha tenuto un congresso “regolamento
dei conti”.
I verdi si sono spaccati in due, hanno processato e condannato Pecoraro Scanio
e la sua scelta scellerata di non allearsi con il Pd e hanno eletto Grazia
Francescano come portavoce (incarico che ha già ricoperto in passato).
La Francescato è chiaramente un segretario di transizione: lei stessa
ha affermato che fra un anno vorra ridiscutere del vertice del partito. La
linea politica dei Verdi è al momento ondivaga visto che sempre la
Francescato ha dichiarato nei giorni immediatamente successivi alla sua elezione
che non esclude nè un'alleanza con Veltroni nè la corsa sotto
le insegne di Rifondazione!!!
I Comunisti italiani hanno tenuto un congresso di retroguardia: sono riusciti
a parlare della debacle dell’arcobaleno, a riproporre un ritorno al
passato con l’unificazione con Rifondazione (federazione, partito unico,
alleanza elettorale.. sono dettagli) e a rispolverare in pieno 21 secolo il
centralismo democratico, ad ignorare divergenze all’interno del partito
e a confermare i vertici del partito responsabili della partecipazione al
governo Prodi e della nascita dell’Arcobaleno.
Ferrero ha criticato le scelte del passato, ma sarebbe dovuto andare fino
in fondo non candidandosi, visto che da Venezia in poi lui è stato
tra gli uomini di spicco del partito. Fare il mea culpa non è sufficiente.
La tanto decantata autonomia dal pd vuol dire tutto e non vuol dire nulla,
visto che a livello locale il Prc non metterà in crisi le giunte in
cui occupa posizioni.
Ultimo elemento: esponenti della maggioranza (leggi le dichiarazione di Giannini
su liberazione del 29 luglio) parlano di riaggregazione delle forze comuniste
ed anticapitalistiche: non solo il Pdci, ma anche Sinistra Critica, Ferrando
e le forze comuniste che si potrebbero creare da qui alle europeee.
Si pensa ancora ad accozzaglie burocratiche e omnicomprensive.
Non credo che la svolta di Chianciano alla lunga produrrà effetti positivi;
essa evita lo scivolamento a destra del partito in questo momento, ma non
ha capacità progettuali per il futuro e l’ombra dei trasformisti
e dei cambi di maggioranza, con Vendola che scruta l’orizzonte, sono
dietro l’angolo.