Il CPN del 26/27 novembre 2005
Sintesi della relazione di Fausto
Bertinotti e degli interventi principali dei compagni che hanno sostenuto
nel congresso le differenti mozioni. I documenti finali messi ai voti. Reds
- Gennaio 2006
Il Comitato
Politico dello scorso novembre rappresenta un momento cruciale nella storia
di Rifondazione Comunista.
Il segretario, Fausto Bertinotti, ha inteso dare una forte accelerazione al
suo personale progetto, iniziato anni orsono, di trasformazione del Partito.
La scelta del Segretario e del suo gruppo dirigente, di presentarsi da soli
all'ultimo congresso, evitando qualsiasi accordo con altre correnti del partito,
ora è molto più comprensibile: prima l’ingresso nell’unione,
poi le primarie infine la nascita della sezione italiana del partito della
sinistra europea, rappresentano le tappe di un percorso che il segretario
ha potuto fare, solo dopo essersi misurato contro tutte le anime del partito.
Contro hanno votato le quattro mozioni-aree, che, a differenza di quanto avevano
fatto nei precedenti cpn, non sono riuscite a trovar un accordo tra loro e
a presentare un documento o ordine del giorno unitario.
Ma dopo questa nota critica, veniamo al progetto di nuovo soggetto politico
espresso da Bertinotti.
Al momento non è chiaro cosa abbia in mente il Segretario; ha specificato
solo che non sara una federazione, né tanto meno una federazione "primaverile"
solo per superare lo sbarramento imposto dalla riforma elettorale.
Non ha spiegato chiaramente neppure il ruolo che avrà il Prc in questo
soggetto, mentre per le elezioni di aprile sembrerebbe voler far vivere ancora
Rifondazione Comunista, aprendola ad altri soggetti, che però non dovrebbero
essere i soliti indipendenti (e cosa sarebbero allora?).
Di fronte a queste nubi ci colgono una serie di dubbi.
Innanzi tutto, qual è stato il motivo, l’episodio determinante,
a dare inpulso alla formazione del nuovo soggetto? Quali successi e ruolo
politico ha avuto ed esercitato il tanto decantato Partito della Sinistra
Europea? Quale sarà la natura politica del nuovo soggetto?
Ci sembra di aver capito che Bertinotti intenda porre le basi per andare ad
occupare lo spazio elettorale che i Ds potrebbero lasciare in seguito alla
costruzione (con la Margherita) del Partito Democratico, e speri di instaurare
un rapporto organico con individualità in fuga dai Ds (vedi Folena
e compagni del suo movimento), esponenti del sindacato non ancora entrati
in Rifondazione e non precisate personalità dei movimenti.
Se così fosse, la sezione italiana della Sinistra Europea diventerebbe
la casa della socialdemocrazia dell’Unione orfana dei ds.
Bertinotti
ha esaltato il successo elettorale della sinistra critica in Germania e lo
ha paragonato all'esperienza italiana; ma in Germania la sinistra critica
è contrappostae si contrappone alla socialdemocrazia oggi al governo.
In Italia invece Rifondazione vuole entrare nel governo con quello che rimane
della socialdemocrazia .
L'intervento di Fausto Bertinotti
L’esordio della relazione del segretario è dedicato allo sciopero
generale del 25 novembre:“la riuscita dello sciopero e della manifestazione
mettono in evidenza … il protagonismo del mondo del lavoro che si ripresenta
con grande forza”.
Viene ribadita, poi, la centralità dello strumento del contrato collettivo
nazionale contro ogni forma di scambio con le controparti padronali volto
a introdurre nel rapporto di lavoro ulteriori strumenti di flessibilità.
Il lavoro deve essere una “questione centrale" nella costruzione
dell'alternativa alle destre e la capacità del Prc deve essere non
solo quella di sostegno alle lotte “reso ogni volta cosciente e reindagato
nella sua efficacia e forza “ ma deve essere "incidente nelle scelte
del governo, a partire da quella fondamentale come la legge finanziaria”.
Occorre poi superare una debolezza storica, quella dell’incapacità
di legare tra loro vertenze separata sul territorio: “bisogna, sostiene
il segretario, costruire ponti di relazione tra lotte, bisgona tessere un
ordito”.
La rivolta nelle banlieux francesi ci deve spingere a riflettere non se e
in quale misura questo episodio possa ripetersi nel nostro paese, ma vada
invece "indagato nella sua specificità, come espressione della
crisi di civiltà che attraversa l’Europa”.
Questo episodio per Rifondazione deve costituire lo stimolo per la ripresa
del conflitto sociale, che deve connettere l’idea dell’uguaglianza
con quella della democrazia; solo così è possibile connessione
tra le lotte territoriali e delle comunità con le scelte dei governi.
La sconfitta delle comunità, delle istanze dal basso avrebbe un effetto
devastante non solo per le questioni di merito, ma anche perché si
porterebbe alla rottura della coesione sociale.
Bisogna arrivare al “riconoscimento del diritto delle comunità
locali a essere parte di una vera trattativa”.
Secondo il segretario (nel caso della lotta anti TAV) nell’atteggiamento
pregiudiziale del governo di rifiuto di ascoltare le comunità c’è
la volontà di sterilizzare il conflitto e marginalizzare le forze politiche
che come il Prc se ne fanno carico”.
L'attuale fase sociale e politica vede i nostri avversari fare riferimento
alle gerarchie vaticane, facendo “pesare i contenuti repressivi di un
nuovo fondamentalismo”. Ma contro questa offensiva, sostiene Bertinotti,
sarebbe “sbagliata una risposta simmetrica ........... contrapporre
l’anticlericalismo a un rinnovato clericalismo”.
Noi, dice Bertinotti, dobbiamo garantire dei diritti, coniugando la difesa
senza alcuna incertezza delle conquiste di civiltà degli scorsi anni
con l’estensione di nuovi diritti del lavoro, sociali e di cittadinanza.
Anche gli avvenimenti internazionali devono essere indagati non riferendosi
a schematismi precostituiti, ma tenendo presente come la situazione va modificandosi.
Ad esempio, Iraq e Palestina.
Relativamente al primo si è dimostrata la sconfitta della logica della
guerra nel momento in cui la popolazione irachena ha chiesto e chiede a gran
voce il ritiro delle truppe; ma questo non determina di per sé la fine
dell’occupazione militare. E’ necessario, dunque, il ritiro delle
truppe come “vera discontinuità e uscita dal sistema della guerra”.
A proposito di Israele-Palestina: resta validità l’ispirazione
di due stati per due popoli ma “la novità del ritiro da Gaza
va posta non nelle conseguenze sul conflitto ma, invece, su quelle che investono
Israele (la fine della strategia della “Grande Israele”) e la
sua configurazione politica.”
Secondo Bertinotti va giudicato positivamente quanto sta succedendo all’interno
dei principali partiti israeliani.
Ed è in questo contesto che il partito della sinistra europea può
diventare protagonista, rilanciando il progetto di negoziato e la sua capacità
di rappresentare una novità importante nel panorama internazionale.
Parte centrale dell’intervento del segretario è dedicata al programma
del partito e al programma dell’Unione, in previsione della prossima
scadenza elettorale.
“Il nostro programma, sostiene il Segretario, lo possiamo ritrovare
nelle elaborazioni più recenti, il programma presentato alle recenti
elezioni europee e il profilo dell’impostazione che abbiamo presentato
alle primarie. Proponiamo un aggiornamento di questo nostro programma, non
come alternativo a quello dell’Unione ma che sia “oltre “
quello. Un “oltre” che va declinato in senso temporale (non solo
un programma di legislatura ma un programma che guarda all’Italia dei
prossimi 10- 15 anni), un “oltre” che va declinato nel rapporto
tra il programma di governo e il percorso di trasformazione, l’alternativa
di società che è l’ispirazione della nostra iniziativa.”
Ma nel merito del programma il Segretrario afferma l'indisponibilità
al sostegno della politica dei due tempi; vale a dire una prima fase dell'azione
di governo caratterizzata da politiche di risanamento economico per poi passare
alla seconda rivolta a politiche di distribuzione del reddito.
Al termine della relazione tocca il punto cruciale di questo Comitato Politico
Nazionale e cioè la proposta di costituire (nell'arco dei prossimi
tre mesi) un nuovo soggetto politico: la Sinistra di Alternativa, intesa come
sezione del Partito della Sinistra Europea, che secondo il segretario ha ben
operato in questi mesi, contando nuovi soggetti e vedendo come esperienza
positiva quella della tedesca Linskpartei.
Quali le caratteristiche di questo nuovo soggetto politico?
Bertinotti specifica che non è una federazione di partiti, né
tantomeno una federazione in funzione dell’appuntamento elettorale di
aprile.
La proposta del gruppo dirigente del partito è "di dare vita a
una soggettività politica condivisa tra forze differenti, che si sono
incontrate in questi anni in un comune percorso dentro i movimenti e, in questa
fase recente, dentro il confronto delle primarie. Una aggregazione per la
quale non è sufficiente un’intesa programmatica ma serve una
cultura politica condivisa e che trova come riferimento l’irruzione
dei movimenti e gli elementi di innovazione che Rifondazione ha contribuito
a promuovere. Su questa base condivisa la sinistra critica può ridefinirsi
in un rapporto di connessione stabile.”
Quello che si propone è un soggetto nel quale Rifondazione, soggettività
e singole personalità che hanno condiviso l’esperienza della
sinistra europea possano incontrarsi e compiere un percorso comune che attraversi
le elezioni.
Per questo, sostiene Bertinotti “… decidiamo una vera apertura
delle nostre liste. Il segno dell’apertura delle liste non è
per noi una novità, il punto però non è solo la consistenza
di questa apertura ma il suo diverso carattere: essa non consiste nell’aggiungere
agli eletti di Rifondazione una quota di indipendenti cui il Partito offre
una possibilità, ma nell’essere quelle candidature espressioni
delle soggettività e delle esperienze che, con Rifondazione Comunista,
decidono di costituire una relazione stabile dentro il Partito della Sinistra
Europea. Le elezioni politiche possono essere un momento catalizzatore di
una prima fase di questo progetto che prende così una forma e una visibilità.
Un confronto e una apertura che non mettano in discussione il carattere unitario
dei gruppi parlamentari che andremo ad eleggere, così come il simbolo
del Prc con il quale ci presenteremo al confronto elettorale”.
Intervento
di Claudio Grassi – essere comunisti -
Nel suo intervento l’esponente della area "Essere Comunisti"
evidenzia il pericolo che si stia sottovalutando la situazione generale dando
ormai per scontata la vittoria su Berlusconi. Inoltre Grassi rileva ancora
molti problemi sul versante del programma dell'Unione sottolineando come alcuni
nodi cruciali (ritiro dall'Iraq e politica economica) siano lontani da una
soluzione vicina alle linea del partito.
Questi fatti ci dovrebbero spingere a non considerare scontato il nostro ingresso
nel prossimo governo.
Sulla questione del nuovo soggetto politico proposto dal segretario, Grassi
conferma "un giudizio critico nei confronti del Pse perché non
unisce la sinistra di alternativa europea. “
Secondo Grassi è giusto sviluppare il progetto di sinistra europea
ma esprime la contrarietà “a qualsiasi operazione che metta in
discussione l’autonomia politica e organizzativa del Prc. Continuiamo
a ritenere che vi siano tutte le condizioni per crescere organizzativamente
ed elettoralmente. Si tratta semmai di affrontarne con urgenza, attraverso
una conferenza nazionale d’organizzazione, i gravi problemi di funzionamento
e di radicamento”
Grassi ritiene poi un errore associare la sinistra europea alla sinistra di
alternativa. “La sinistra europea può essere rappresentativa
di alcuni settori della sinistra di alternativa ma sappiamo bene che altri
settori, altrettanto importanti (partiti, pezzi di partiti, giornali, movimenti
e associazioni), non entreranno mai nella sinistra europea. La riduzione della
seconda alla prima è un errore dal momento che è per noi strategico,
assieme alla costruzione del partito, lavorare per la più ampia sinistra
di alternativa, proponendoci di tenere insieme, sui contenuti, tutte le forze
che hanno sostenuto il referendum per l’estensione dell’articolo
18.”
Intervento di Marco Ferrando – progetto comunista -
Secondo Ferrando la relazione del segretario non valuta adeguamente i luoghi
dove si scrive il reale programma dell’Unione; programma che non viene
stilato nei tavoli dei partiti dell’allleanza, ma nei convegni dei Ds
o nei meeeting della Margherita con e alla presenza degli esponenti del capitalismo
che indicano le linee del prossimo governo.
Prodi annuncia un piano di riforme impopolari e “per questo ha bisogno
di coinvolgere nel futuro governo il nostro partito e l’insieme delle
sinistre. Esattamente perché deve disporre di ammortizzatori politici
per proteggere le proprie controriforme da possibili reazioni sociali. Esattamente
perché deve fornire alla burocrazia Cgil la copertura politica per
il ritorno alla concertazione e alla pace sociale.
Chi dice che cio non sara possibile secondo l’esponente di progetto
comunista, non vede la realtà di quello che le giunte locali (vedi
Bologna) stanno facendo.
In merito al punto centrale della nascista della sezione italiana della sinistra
europea Ferrando vede “una paradossale coerenza” nella creazione
di quella che non è una sinistra alternativa bensì una rifondazione
della socialdemocrazia con una forza politica che mira ad occupare lo spazio
che nella sinistra dell’unione lascia la trasformazione dei ds, facendo
cosi plaudire quei dirigenti della sinistra Ds che si avvicinano a rifondazione.
Bisogna fermare questa deriva “Una ricollocazione del Prc al governo
con i poteri forti sarebbe di fatto in contraddizione frontale con tutte le
migliori ragioni che il nostro partito ha raccolto nella sua storia di opposizione.
Non è possibile rassegnarsi allo scioglimento di un’opposizione
comunista e di classe in Italia. Non è possibile privare di un riferimento
alternativo e autonomo le inevitabili reazioni di lotta a un governo di lacrime
e sangue che Prodi già oggi annuncia.”
Intervento di Salvatore Cannavò – sinistra critica -
L’analisi fatta dal segretario, per Cannavò, produce una ricontestulizazione
della fase che viviamo,ma nello stesso tempo mette a nudo la crisi della linea
politica adottata da Rifondazione.
Le difficoltà che abbiamo vengono dall’offensiva moderata e centristista
che si articola su tre piani: quello reazionario del governo, quello sociale
di confindustria , che attende il ripristino della concertazione e quello
centrista dell’interno dell’Unione , che, con le proposte sull’iraq
e sulla scuola-azienda, dà una connotazione inaccettabile al programma
dell’unione.
“L’ipotesi di un condizionamento da sinistra di forze pesantemente
compromesse con il capitalismo - si pensi all’immoralità del
caso Bologna o alla Val di Susa - non regge e questo provoca un’impasse
in una linea che non si è data alternative e che rischia di finire
in un vicolo cieco. Certo, condizionamenti e spostamenti sono possibili, soprattutto
se si verificano lotte di massa, ma questo può bastare a governare?
Per questo pensiamo che la linea da noi proposta al congresso sarebbe la più
efficace..”
Per reagire al condizionamento al centro del programma dell’Unione Bertinotti
propone un programma di Rifondazione; la speranza per Cannavò è
che sia un vero programma e non un programma della domenica.
Cannavo giudica negativamente “l’idea di utilizzare il movimento
per spostare a sinistra la coalizione di centrosinistra: il movimento va costruito
rispettandone l’autonomia e contribuendo alle sue vittorie.”
Sulla sinistra alternativa, Cannavò ribadisce che questo progetto ha
sempre interessato l’area di sinistra critica, ma, poichè arriva
nel momento della scelta governista di Rifondazione, questo inciderà
pesantemente sul progetto stesso.
Sull’ipotesi della sezione italiana della sinistra europea Cannavò
si dice d’accordo a tre condizioni:
- che sia sinistra alternativa alla sinistra riformista e quindi fuori dal’unione;
- che non si prefiguri nessuno scioglimento del prc;
- che l’allargamento a figure e soggettività sia funzionale al
conflitto sociale e significativo sul piano delle pratiche.
Intervento di Claudio Bellotti - Bandiera rossa -
Bertinotti nella sua relazione elude i nodi che si hanno di fronte.
Sostiene Bellotti “Ci si dice che l’Ulivo vero non è quello
delle dichiarazioni e degli atti dei suoi capi, ma quello che, al riparo dai
riflettori, sta elaborando con noi il programma. Rimango in attesa della verifica
dei fatti.”.
Per Bellotti è poca cosa l’allargamento del nuovo soggetto politico
con personaggi come Folena o con pezzi di partito che si definiscono movimento
e che cercanoo una collocazione elettorale.
“La proposta di costruzione della “sezione italiana della sinistra
europea” ripercorre una strada fallimentare già battuta in passato
dalla Izquierda Unida in Spagna.”
Ma Bellotti si chiede quale sarà il ruolo dei militanti in questa struttura.
Sono evidenti già comunque all’interno del partito le conseguenze
negative dell’adesione all’unione con corsa alle cariche e gruppi
istituzionali fuori controllo. E’ necessario reagire e imporre un cambiamento.
I documenti posti in votazione
Documento di maggioranza
1. La costruzione della sinistra di alternativa
Il quadro di riferimento e l’orizzonte possibile
Siamo in uno snodo importante della vita politica e sociale del Paese. Il
fallimento delle politiche neoliberiste e, in questo quadro, la crisi verticale
di fiducia del governo delle destre e la rottura del suo blocco sociale di
riferimento, sono le cause profonde e prossime della recessione e di quello
che può essere definito il declino che attraversa non solo l’apparato
produttivo ed economico ma, più in generale, il tessuto profondo della
società. Allo stesso tempo, la dottrina e la pratica della guerra preventiva
e del terrorismo manifestano, assieme, l’orrenda realtà di un
sistema di guerra che, per la sua intrinseca natura, precipita nella disumanità
(dalle torture, agli assassini indiscriminati delle popolazioni civili, fino
all’uso delle armi di sterminio) e la privazione di senso in cui la
spirale guerra terrorismo trascina il mondo verso il devastante conflitto
di civiltà, senza proporre alcuna soluzione dei conflitti ma, al contrario,
la loro moltiplicazione per estensione ed intensità, introiettati nel
cuore dell’Europa, come l’esplosione delle Banlieu in Francia
dimostra. Questa situazione complessiva produce un condizione profonda di
precarietà ed insicurezza e un disagio diffuso che si fanno consapevolezza
di una crisi che, per estensione e profondità, richiede la messa in
discussione dei cardini della globalizzazione capitalistica: il neoliberismo
e la guerra. Il terremoto che la crisi determina, nella rottura dei fattori
di coesione sociale fino nella sfera della politica, produce un quadro di
instabilità crescente, come dentro una transizione lunga e lacerante
aperta a soluzioni tra loro differenti e alternative. La consapevolezza della
crisi, cioè, non produce automaticamente l’apertura di un percorso
verso l’alternativa. Anzi, attivamente, dentro la crisi lavorano altre
due ipotesi. La prima è quella della precipitazione estremistica verso
la rottura definitiva del quadro di riferimento dato dal compromesso nato
dopo la vittoria contro il nazifascismo e la fine del secondo conflitto mondiale.
Questa è l’ipotesi rappresentata oggi dalle destre che tentano
l’affondo dell’avventura della rottura della carta costituzionale
(contro cui siamo impegnati in maniera determinata per il referendum oppositivo)
e della dissoluzione dei fattori di unitarietà sociale e politica del
Paese, proponendo, per questa via la sostituzione dei conflitti orizzontali,
dentro la società in basso, a quello verticale di classe e la proposizione
di una ricomposizione unitaria dentro un’ideologia reazionaria di massa
che fa del conflitto di civiltà e dell’integralismo i propri
punti di forza. La seconda consiste nel riproporre il tentativo già
fallito negli anni 90, da quello che possiamo definire per sintesi il centrosinistra
mondiale, di una stabilizzazione moderata della crisi. Questo tentativo si
ripropone oggi in forme diverse da quelle dello scorso decennio. Dimesse,
infatti, le magnifiche sorti della promessa dello sviluppo senza crisi e dell’
illusione di “guidare” la globalizzazione, umanizzandone gli effetti,
oggi questa prospettiva si presenta come presa d’atto della crisi e,
al medesimo tempo, come riproposizione delle medesime politiche come stato
di necessità. E’ quella che abbiamo definito come prospettiva
di una transizione dolce al berlusconismo e sostituzione del colpo di maglio
della rottura con la riproposizione della concertazione della regressione
nel campo dei diritti del lavoro e sociali, quale ricetta per il recupero
di competitività nella competizione internazionale. E’ questa
la base materiale su cui lavora l’ipotesi neocentrista e che, oggi,
si presenta come tentativo di condizionare il quadro politico complessivo
e vuole ipotecare, per questa via, il corso delle scelte future. Una competizione
e una sfida è aperta anche dentro il campo delle sinistre. Riteniamo,
infatti, che la prospettiva del partito democratico, cui il campo della sinistra
riformista lavora esplicitamente proponendolo come orizzonte di una ricomposizione
delle forze, rappresenti un esito da contrastare apertamente in quanto sostanzialmente
propone la sussunzione di tanta parte delle sinistre dentro l’ipotesi
di una stabilizzazione moderata. Questa ipotesi è, al tempo stesso,
perdente e inefficace in quanto la vastità e la profondità della
crisi richiedono, al contrario, di indirizzarsi verso la costruzione di una
alternativa di società.
Una proposta che parta qui e ora.
Per questo, riteniamo che sia necessaria e matura una iniziativa determinata
per una sperimentazione vera della costruzione di una nuova soggettività
politica della sinistra di alternativa. Pensiamo a una soggettività
politica nuova che non proponga scorciatoie organizzativistiche ed elettoralistiche,
che già hanno dimostrato tutta la loro inadeguatezza, fino ad essere
subito entrate in crisi. Pensiamo, invece, ad un percorso vero di connessione
tra esperienze e soggettività che, senza scioglimenti o annessioni,
ma, mantenendo ciascuna la propria identità, la propria autonomia,
il proprio linguaggio, il proprio percorso, costiuiscano una relazione stabile,
diano visibilità a un vero e proprio patto che costituisca un elemento
di attrazione di quanti, nel vivo del conflitto sociale, delle vertenze territoriali,
dei movimenti per la pace, i diritti di cittadinanza e per l’estensione
delle libertà, sono convinti che, per dare una vera risposta della
crisi nella direzione di un progetto riformatore, occorra muoversi verso la
costruzione di una alternativa di società. Crediamo che oggi questa
scelta sia non solo necessaria ma sia matura e che il modello della Sinistra
Europea ne rappresenti un realistico e concreto approdo. Il recente congresso
di Atene del Partito della Sinistra Europea, è stato un grande successo
sottolineato anche dalla richiesta di ingresso di altre formazioni, come quella
britannica di Respect. Il Partito della Sinistra Europea ha conquistato una
ulteriore autorevolezza dopo il successo del referendum contro il Trattato
Costituzionale in Francia e la grande affermazione della Linkspartei in Germania,
nuova aggregazione che, come riconosciuto dai medesimi protagonisti, è
stata resa possibile in larga misura propria dalla costruzione di questa nuova
soggettività. Ora, è giunto il momento della costruzione e sviluppo
di grandi campagne di cui la Sinistra Europea sia protagonista e che propongano
una unificazione delle lotte a livello continentale come quadro comune di
riferimento, pensiamo, per fare un solo esempio, a quella contro la direttiva
Bolkestein. Allo stesso tempo, l’insieme delle soggettività collettive,
a livello nazionale e territoriale e le singole personalità, espressioni
di movimento, che si sono schierate e mobilitate dentro il percorso delle
primarie a sostegno del progetto e delle priorità programmatiche rappresentate
dalla candidatura di Fausto Bertinotti, costituiscono una ricchezza diffusa,
hanno costruito relazioni importanti che chiedono di essere attivate oltre
quel percorso. L’insieme delle relazioni, costruite in questi anni dentro
un rapporto di internità ai movimenti e al conflitto sociale e di lavoro,
parlano di una potenzialità che è sedimentata e che ha visto
il crescere di un interesse verso l’innovazione di cultura politica
che Rifondazione Comunista è andata producendo in questi anni, proprio
in relazione alle nuove domande poste dalla crescita dei movimenti. Pensiamo,
quindi, che sia matura la proposta di un incontro tra queste soggettività
e la costruzione in concreto di un percorso che, individuando il modello della
Sinistra Europea come riferimento, determini un primo concreto passaggio della
costruzione della Sinistra di Alternativa in Italia. Pensiamo che le elezioni
politiche ne possano costituire un primo appuntamento e l’apertura significativa
delle liste elettorali del Partito della Rifondazione Comunista a queste soggettività,
non come singoli indipendenti ma come espressioni del progetto della Sinistra
di Alternativa, ne debbano costituire una decisione impegnativa. Un progetto
che guarda oltre la scadenza elettorale ma che fa di questo appuntamento un
passaggio importante della costruzione della Sinistra di Alternativa come
strumento fondamentale nella sfida aperta per un esito della crisi che contrasti
la precipitazione dentro il conflitto di civiltà e la deriva verso
l’ipotesi neocentrista e che proponga a un vasto arco di forze un processo
aggregativo vero come strumento essenziale della costruzione dell’alternativa
di società.
2. Lo sviluppo del conflitto di classe e delle lotte sociali
Lo sciopero generale del 25 novembre ha riproposto i temi di fondo della crisi
del Paese e della necessità di una nuova politica economica e sociale.
La sua riuscita e il grande successo delle manifestazioni parlano di un bisogno
di cambiamento diffuso che chiede di essere ascoltato e recepito dall’intero
campo delle opposizioni. Lo sciopero dei metalmeccanici e la manifestazione
nazionale di Roma del prossimo 2 dicembre rappresenteranno un appuntamento
di straordinaria importanza sia per i contenuti specifici che propongono,
il tema del recupero salariale, dei diritti, della democrazia nei posti di
lavoro, sia per il significato generale che assume in questa fase delicata
in cui va precipitato il conflitto contro le destre ed è aperto un
confronto sui contenuti di una vera alternativa programmatica. In questo senso,
va riaffermata la centralità della questione lavoro: non c’è
società buona senza lavoro buono. Non solo cronologicamente ma politicamente
vi è una vicinanza tra questo appuntamento e quello del 3 dicembre
della manifestazione nazionale dei migranti. La condizione migrante, infatti,
esprime oggi l’orribile modernità della distruzione di diritti
e garanzie, di generalizzazione della precarietà cui il neoliberismo
vuole trascinare complessivamente tutto il mondo del lavoro e l’intera
società. Ai due appuntamenti va l’adesione e il sostegno convinto
del Partito. Si ripropone, infatti, come questione cruciale il tema dell’unificazione
dei movimenti: un processo di liberazione complessivo, un modello di alternativa
di società, cui inscrivere le lotte e dargli maggiore forza come accelerazione
di un processo collettivo. Fuori da questo, il rischio dell’isolamento
e di perdere. Con questo spirito, siamo con le popolazioni della Val di Susa
contro la Tav come nelle altre vertenze territoriali, come, quella contro
il rigassificatore in Puglia, contro l’inquinamento da Tir in Val d’Aosta
e tante altre. Lo sciopero dei metalmeccanici può rappresentare l’elemento
catalizzatore di questo bisogno di fare dei movimenti un “movimento
generale” di cambiamento. In questo quadro di connessione, per far avanzare
un progetto vero di riforma della società, mettiamo la questione del
ritiro delle truppe, della liberazione del territorio dalle servitù
militari, della salvaguardai dell’ambiente, dei diritti di cittadinanza,
quelli delle libertà civili (i Pacs), la difesa delle conquiste di
civiltà e della laicità contro le ingerenze contro le ingerenze
delle gerarchie vaticane nelle scelte dello Stato, lo sviluppo delle campagne
che abbiamo promosso contro la precarietà, per i beni comuni e così
via. Altro livello di unificazione necessario è quello europeo. In
questa prospettiva, la campagna contro la Bolkestein assume un grande significato
anche dal punto di vista simbolico.
3. Il confronto dentro il campo delle opposizioni
Il nostro obiettivo di fase consiste nell’impedire la precipitazione
dentro il baratro della crisi proposto dalle destre e, contemporaneamente,
nel contrastare l’ipotesi neocentrista. Anzi, pensiamo che, nel medio
periodo, l’ipotesi neocentrista, per la vastità della crisi,
sia inadeguata a impedire il precipitare nel conflitto di civiltà.
La prospettiva dell’alternativa è, per noi, quindi, non solo
l’apertura di una fase riformatrice ma, anche, il vero antidoto alle
destre e alla deriva da esse proposta. Ciò anche nella direzione della
riforma della politica, come elemento decisivo della connessione con il processo
di trasformazione sociale. Il confronto e la sfida dentro l’Unione sul
carattere dell’alternativa programmatica al governo delle destre sono
aperte; ma fuori dalla nostra scelta politica di essere parte costituente
dell’Unione, avremmo consegnato su un piatto d’argento l’ipotesi
neocentrista, che si sarebbe affermata come necessitata. Oggi possiamo proporci
una battaglia politica per contrastarla anche grazie a quella scelta e a quella,
fondamentale, del rapporto di internità ai movimenti. L’elemento
unitario, cioè, rappresenta un doppio vincolo, per noi nei confronti
delle altre forze e per le altre nei nostri confronti. Dentro l’ambivalenza
del doppio vincolo deve agire come leva l’elemento della partecipazione
popolare e della forza dei movimenti. Nessuna timidezza, quindi, nella sfida
programmatica. Ci siamo impegnati nei tavoli dell’Unione: abbiamo già
registrato, accanto ancora a elementi non soddisfacenti, dei risultati ancora
non consolidati ma importanti. Ora, vogliamo portare la sfida in campo aperto
e in una relazione con i movimenti e i soggetti sociali. La sfida sul programma
è ora, durante la campagna elettorale e dopo la costruzione del governo.
E’ per noi centrale il rapporto di autonomia dei movimenti dal governo
e la capacità di essi di essere sempre un passo in avanti. Alle prossime
elezioni politiche ci presenteremo, al di là dell’impianto unitario
condiviso e agli avanzamenti complessivi che avremo ottenuto, che andranno
valorizzati adeguatamente, con un profilo programmatico autonomo. Un programma
non contrapposto ma “oltre” quello dell’Unione e che, dentro
le conquiste che in quello si producono, inserisce nuove sfide e apre nuove
prospettive. “Nostro” programma come “programma” della
Sinistra di Alternativa che prende abbrivio dal programma delle primarie e
che si innerva nella relazione con le soggettività con le quali si
costruisce questo passaggio concreto della Sinistra di Alternativa che volgiamo
compiere adesso.
Fausto Bertinotti, Imma Barbarossa, Francesco Ferrara, Paolo Ferrero,
Loredana Fraleone, Gennaro Migliore, Daniela Santoni, Patrizia Sentinelli
Approvato con 108 voti a favore
Documento area Essere Comunisti
1. Il Comitato politico di Rifondazione Comunista si tiene nel momento stesso
in cui i barbari effetti della “guerra preventiva” tornano a fare
notizia e a guadagnare gli onori della cronaca: a più di un anno di
distanza, le immagini dei corpi di Falluja orrendamente deturpati dalle bombe
al fosforo bianco che l’esercito Usa ha utilizzato contro una popolazione
civile inerme hanno fatto il giro del mondo. Si tratta di un’attenzione
incredibilmente tardiva, che – se non basta ad assolvere una reticente
macchina mediatica e a risvegliare le coscienze assopite dell’Occidente
capitalistico – è quanto meno servita a denunciare per l’ennesima
volta le gravi responsabilità di chi davvero possiede e usa armi di
distruzione di massa. Falluja resta, davanti all’umanità e alla
storia, l’emblema di un’aggressione criminale e efferata, giustificata
sulla base di una sequela di menzogne e, nei fatti, voluta in nome degli interessi
economici e politici della maggiore potenza imperialista del pianeta. La condanna
di ogni sincero democratico, di chiunque abbia a cuore la pace, non può
che essere senza appello.
2. In un contesto così duramente segnato, la riattivazione di un “processo
democratico” in assenza di un chiaro atto di discontinuità dall’orrore
bellico, oltre che improponibile politicamente, appare del tutto irrealistico:
non è solo la resistenza in armi, ma - come è testimoniato dagli
stessi sondaggi promossi dal governo in carica - è la quasi totalità
della popolazione irachena a chiedere il ritiro delle truppe occupanti, responsabili
della devastazione del paese. Il nostro Presidente del Consiglio continua
ad annunciare e, un minuto dopo, a smentire – o, comunque, a rettificare
– la decisione del ritiro delle truppe italiane dall’Iraq.
Davanti a tale grottesco comportamento, tanto più grave risulta l'atteggiamento
del centro-sinistra: le timide aperture registrate su questo tema ai tavoli
programmatici, che proprio in questi giorni rendono pubblici i primi risultati
del loro lavoro, sono platealmente contraddette da dichiarazioni e interviste
dei segretari di partito, in particolare dei Ds e della Margherita, anch’essi
evidentemente preoccupati di non contrariare più di tanto l’alleato
statunitense. Su un tema che dovrebbe essere cruciale per la partecipazione
di Rifondazione Comunista a un governo di alternativa alle politiche delle
destre, da mesi riscontriamo e a tutt’oggi dobbiamo registrare una grave
ambiguità di atteggiamenti. Il ritiro dall’Iraq deve essere immediato
e non può dipendere da una consultazione col governo iracheno attualmente
in carica, a cui demandare il riscontro di opportune condizioni di sicurezza.
Tanto meno è accettabile l’adombrata prospettiva di una presenza
italiana in Iraq a sostegno di un preteso processo democratico: nelle attuali
condizioni, si contribuirebbe a costruire piuttosto un governo coloniale.
3. Ma è sul complesso delle problematiche internazionali che occorrerebbe
ben altra determinazione, davvero degna di uno Stato sovrano, desideroso di
pace e teso al ristabilimento di relazioni internazionali paritarie e improntate
al rispetto dei popoli. Una determinazione che da tempo avrebbe dovuto costituire
le premesse dell’alternativa di governo, la stessa – per intenderci
– dimostrata dalla gente di Sardegna, la quale con una lotta tenace
è riuscita a ottenere un primo importante successo inducendo i vertici
militari Usa ad abbandonare la base de La Maddalena nonché a rimuovere
dalle coste sarde e, in generale, dalle nostre acque territoriali la minaccia
rappresentata dalla presenza di sommergibili nucleari. E, al contrario, vediamo
confermata la partecipazione italiana a missioni tutt’altro che “umanitarie”:
a cominciare da quella in Afghanistan, di cui va chiesto il ritiro al pari
di quella irachena. Con tali impegni militari si finisce infatti per alimentare,
invece che contribuire ad estinguere, i focolai di tensione attualmente esistenti
e che sembrano diventare di giorno in giorno più incandescenti: la
questione mediorientale, con il progressivo intensificarsi delle minacce e
delle pressioni su Siria e Iran, è in tal senso emblematica. L’atteggiamento
del centro-sinistra si mostra nel merito assolutamente deficitario: si accetta
infatti di partecipare a manifestazioni anti-Iran con i peggiori rappresentanti
della destra forcaiola nostrana (cui purtroppo hanno aderito anche alcuni
esponenti della sinistra di alternativa), mentre non si compie alcun atto
concreto per fermare la mano del governo sionista israeliano e imporre finalmente
l’applicazione delle decine di risoluzioni Onu relative alla costituzione
di uno Stato palestinese, sulla base di condizioni eque e nella piena tutela
dello stesso Stato di Israele. In proposito, va tra l'altro stigmatizzato
lo strabismo di chi pretende di salvaguardare gli equilibri di questa area
da nuove escalation nucleari, avallando nel contempo il già consistente
arsenale nucleare dello stato di Israele. In ogni caso, ci pare ora inderogabile
la promozione da parte del Prc di una manifestazione nazionale in solidarietà
con la lotta del popolo palestinese. E un ulteriore atto concreto dovrebbe
essere la denuncia unilaterale del patto militare quinquennale, stretto con
Israele dal governo Berlusconi in dispregio del nostro dettato costituzionale
e dei trattati vigenti sulla non proliferazione di armamento non convenzionale.
4. Come più volte abbiamo detto, la spinta alla guerra – che
permea di sé l’attuale fase involutiva del mondo capitalistico
– costituisce l’espressione estrema della crisi di un modello
sociale e della sua capacità egemonica. Essa rappresenta la terribile
via di fuga “esterna” davanti all’impossibilità di
fornire una risposta di civiltà alle richieste “interne”
di diritti e sviluppo sociale. La recente esplosione delle periferie francesi
è l’ennesima testimonianza del fallimento del neoliberismo, un’ulteriore
segnale di ribellione sociale ad uno stato di crescente precarietà,
peraltro già manifestatosi in quel medesimo Paese col rifiuto di un
Trattato costituzionale europeo che delle politiche neoliberiste rappresenta
formale sistemazione.
In un contesto continentale di generale e persistente difficoltà economica,
il governo delle destre si è contraddistinto in Italia nel promuovere
le istanze istituzionalmente e socialmente più regressive, inasprendo
i processi di precarizzazione e approfondendo le disparità sociali
e territoriali, conducendo un attacco frontale al ruolo del sindacato e agli
istituti di tutela sindacale (a cominciare dai limiti normativi al licenziamento
per finire alla titolarità del contratto nazionale di lavoro), proseguendo
nell’opera di stravolgimento dello spirito e della lettera della Costituzione.
Una grande parte del nostro Paese è duramente provata e attende un
visibile cambio di marcia: uomini e donne del Sud senza lavoro, giovani occupati
a tempo determinato, meccanici di 3° livello con 1.000 euro al mese, pensionati
al minimo, migranti in cerca di occupazione e cittadinanza; e tanta parte
del ceto medio impoverito dalla crisi – tutti costoro attendono risposte
concrete dal programma del nuovo governo. Essi chiedono risorse, servizi pubblici
e reddito; non chiedono dunque una riedizione “temperata” delle
ricette neoliberiste, di cui hanno già visto nel passato gli esiti
iniqui. In questo ambito, il Prc deve dunque ribadire con urgenza la necessità
di misure che innanzitutto assicurino una consistente redistribuzione della
ricchezza, con in testa un dispositivo di adeguamento automatico di salari
e pensioni al costo della vita.
Non può neanche essere sottovalutato il fatto che segnali involutivi
si registrano sul piano del tessuto etico e degli assetti istituzionali del
paese. Per un verso, la sconfitta del referendum sulla procreazione assistita
ha segnato un nuovo (e restauratore) protagonismo dei vertici ecclesiastici,
che torna a mettere in questione il principio di laicità dello stato
e arriva perfino ad insidiare l'applicazione della legge 194. Per altro verso,
il varo della controriforma costituzionale - con la conseguente ulteriore
piega autoritaria incombente sulla nostra vita istituzionale - impegna le
sinistre nel loro complesso ad una dura campagna referendaria per sbarrare
il passo a tale regressione.
5. Ma anche su questo versante interno, a giudicare dai primi flebili riscontri
dei relativi tavoli programmatici, sembra assai pesante il condizionamento
esercitato dalla parte più moderata del centro-sinistra: ed evidentemente
fa già sentire il suo riflesso moderato la prospettiva della fondazione
di un “partito democratico”, tornata prepotentemente alla ribalta
a conclusione delle primarie e sulla scia del plebiscito per Romano Prodi.
Non si ha intenzione di abrogare la legge 30 ma di mitigarne gli effetti più
dirompenti attraverso una riscrittura delle singole norme; non si intende
cancellare nemmeno la legge Moratti, ma solo correggerla in alcuni punti.
D’altra parte, sul fronte delle politiche sociali e dell’ampliamento
dei diritti, la piega impressa da Sergio Cofferati alle politiche del Comune
di Bologna è una spia di risorgenti propensioni securitarie ed emergenzialiste.
E anche sul tema dei servizi, si sono moltiplicate le prese di posizione di
esponenti del centro-sinistra che auspicano una ripresa dei processi di liberalizzazione,
a loro dire colpevolmente trascurati dall’attuale governo: l’opinione
espressa da Romano Prodi a favore della famigerata direttiva Bolkestein è
in merito emblematica.
In stridente contrasto con il suddetto andamento del percorso programmatico,
si mantiene alta nel paese la pressione della protesta sociale. Dalla grande
giornata di lotta della scuola e dell’università contro la legge
Moratti allo sciopero generale promosso dai sindacati confederali il 25 novembre
appena trascorso, dalla dura vertenza dei metalmeccanici alla mobilitazione
dei migranti in vista dell'importante manifestazione nazionale del 3 dicembre,
dalle campagne sociali contro la Bolkestein e contro lo scippo del Tfr alle
rivendicazioni a tutela dell’ambiente contro il progetto dell’Alta
Velocità nella Val di Susa - i movimenti di massa ripropongono la centralità
del conflitto di classe ai vari livelli della compagine sociale. C’è
una grande parte della società italiana che chiede di cacciare le destre,
ma anche le politiche di destra: per questo occorre accentuare la pressione
sul piano programmatico con l’imperativo di ottenere risultati concreti
e impegnativi.
6. La ricerca di un consolidamento del cammino sin qui fatto è la condizione
per estendere la nostra influenza nella società, sperimentando nuove
alleanze politiche e sociali. Dobbiamo farci portatori di una proposta politica
unitaria, che punti cioè ad un più stretto coordinamento di
tutte le forze che, alla sinistra del blocco moderato dell’Unione, si
sono sin qui battute con noi contro la guerra e il neoliberismo, come nel
referendum per l’estensione dell’art.18. Pensiamo tuttavia che
sia sbagliato collegare tale prospettiva alla costituzione di una sezione
italiana del Partito della Sinistra Europea, nei confronti del quale abbiamo
già espresso una dettagliata critica: continuiamo infatti a ritenere
che la costituzione di tale forza politica abbia diviso e non unito le forze
comuniste e di sinistra anticapitalistica in Europa; ed inoltre che essa poggi
su di una troppo generica base politico-programmatica. Ai fini, poi, di un
più stretto raccordo delle forze della sinistra di alternativa nel
nostro Paese, un riferimento al suddetto partito comporterebbe nei fatti un
ridimensionamento dei possibili interlocutori: solo una parte della sinistra
di alternativa, infatti, condivide o fa in qualche modo riferimento all’esperienza
della Sinistra Europea.
Oltre a ciò, riteniamo in primo luogo fondamentale il rafforzamento
del Prc. Il nostro partito è il perno essenziale del processo della
rifondazione comunista ed è un decisivo punto di riferimento per i
soggetti sociali che si oppongono alla stretta neoliberista, una sponda politica
essenziale per le vertenze e le lotte sociali. Occorre rendere più
efficace la nostra presenza e la nostra capacità di iniziativa, provando
anche ad affrontare le difficoltà della fase post-congressuale e a
restituire alla vita interna del partito una capacità di coesione nonchè
la forza propositiva del confronto democratico. Dobbiamo prestare attenzione
alle difficoltà nella vita organizzativa e partecipativa del partito,
incentivando il tesseramento, prendendo in seria considerazione i problemi
che gravano sulle scarse forze del nostro giornale: tutto ciò meriterebbe
una sede adeguata di riflessione, con la convocazione di un’apposita
Conferenza di organizzazione.
La decisione di andare alle prossime elezioni politiche con il nostro simbolo,
nella chiarezza del percorso politico e nella legittima autonomia delle identità
che ad oggi compongono la sinistra di alternativa, evitando dunque precipitazioni
elettoralistiche di corto respiro, non deve far velo alla necessità
di ricercare le modalità di un’alleanza più ampia, di
un più stringente patto d’azione attorno ad obiettivi comuni.
Nelle prossime elezioni c’è la concreta possibilità di
ottenere una non trascurabile rappresentanza del Prc nel Parlamento: si tratta
di un fatto importante, che deve essere valorizzato con la presenza nelle
nostre liste di esponenti effettivamente rappresentativi di tutte le culture,
esperienze, sensibilità più significative nell’ambito
della sinistra di alternativa e di movimento, accomunate dal primato della
lotta contro la guerra e il capitalismo neoliberista. Allo stesso modo, va
garantita una rappresentanza di tutto il partito che tenga equamente conto
- nei giusti termini qualitativi e numerici - del pluralismo interno. Ma,
al di là di tale impegno, la costruzione di un coordinamento e una
convergenza programmatica della sinistra di alternativa, che si rivolga a
partiti, forze sociali e di movimento, giornali, nel quadro di relazioni aperte
e paritarie e senza l’imposizione di veti, resta per l’immediato
un compito politico ineludibile, una progettualità che guarda oltre
la stessa prossima scadenza elettorale.
Claudio Grassi, Bianca Bracci Torsi, Alberto Bugio, Maria Campese, Bruno
Casati, Beatrice Giavazzi, Gianluigi Pegolo, Bruno Steri
respinto con 43 voti a favore
Documento Progetto Comunista
Il centro dell’Unione annuncia “lacrime e sangue”
L’evoluzione politica successiva alle primarie smentisce nel modo più
clamoroso la tesi che attribuiva loro la funzione di strumento correttivo
dell’Unione “a sinistra”. Infatti assistiamo ad un processo
opposto. Mentre il nostro partito è coinvolto nel vuoto chiacchierificio
di fumosi “tavoli programmatici”, giorno dopo giorno il centro
dell’Unione svela in termini sempre più espliciti i suoi veri
intenti e programmi.
Sul terreno della politica estera: dove è ormai esplicita la volontà
di preservare tutte le missioni militari e di concordare con le forze occupanti
lo stesso calendario di ritiro dall’Iraq.
Sul terreno della politica economica e sociale: dove ormai è esplicita
la volontà di conservare, razionalizzandola, la legge 30, di difendere
la Bolkestein, e di dar vita ad un nuovo corso di liberalizzazioni e di rigore
finanziario. Al punto che il principale consigliere economico di Prodi (Onofri)
parla di una inevitabile finanziaria “lacrime e sangue” pari a
quella del 1992.
Le politiche delle giunte locali dell’Unione, a partire dai casi clamorosi
del Piemonte e di Bologna, sono l’articolazione sul territorio di questi
indirizzi generali.
Parallelamente, la tesi secondo cui le primarie avrebbero organizzato la partecipazione
e il protagonismo delle masse nella definizione dei programmi ha conosciuto
un esatto capovolgimento. Si moltiplicano infatti i conciliaboli e i convegni
di Prodi, Margherita, maggioranza DS con i poteri forti del Paese, in una
logica di reciproca concorrenza e scavalco per l’intercettazione dei
loro favori. Sono gli industriali, i banchieri, i grandi manager a dettare
sempre più apertamente l’agenda politica del centro dell’Unione.
E sempre più apertamente il centro dell’Unione ricerca ed incontra,
quale futura guida di governo, l’interesse degli ambienti dominanti.
Lo stesso progetto del “Partito democratico” – attraverso
una progressiva unificazione tra Margherita e maggioranza DS – mira
a fornire alle classi dominanti una rappresentanza politica centrale quale
architrave di una stabile governabilità.
La subalternità delle sinistre e della maggioranza dirigente del PRC
I gruppi dirigenti della sinistra italiana sono succubi e complici di questo
processo. Le direzioni sindacali, invece di organizzare una lotta vera contro
Berlusconi e per la sua cacciata, preparano il negoziato col padronato sul
futuro sistema contrattuale nella prospettiva della concertazione con l’Unione.
E intanto regalano a Confindustria l’accordo sugli sgravi fiscali per
le imprese nel Sud e l’intesa sul sequestro del TFR: è un primo
acconto per il futuro. In questo quadro s’inserisce anche il pieno coinvolgimento
della CGIL in un ruolo collaterale al futuro governo Prodi. Il congresso della
CGIL ha appunto la funzione di garantire la neutralizzazione preventiva di
un’opposizione sindacale al futuro governo dell’Unione. Ciò
anche tentando di emarginare ogni opposizione ad Epifani all’interno
del sindacato. La manovra di assunzione di una parte della sinistra interna
(guidata da Patta) ha questo scopo.
Parallelamente le direzioni della sinistra politica concorrono fra loro per
il miglior posizionamento quale sinistra dell’Unione in un abbraccio
aperto con il centro liberale. Senza che nessun fatto – né la
rivendicazione dell’affidabilità per gli USA, né le manifestazioni
pro Sharon a fianco di un governo di guerra, né l’esaltazione
della Bolkestein da parte di Prodi, né il suo pubblico annuncio di
una nuova stretta sociale – possa mettere in discussione l’alleanza
con i liberali, di fatto irreversibile. Perfino le umiliazioni subite dal
nostro partito nelle giunte locali di Piemonte e Bologna non sono state sufficienti
a scalfire la scelta governista.
Peraltro più il centro dell’Unione prepara un programma antipopolare
più ha bisogno dell’ammortizzatore sociale e politico delle sinistre
e del sindacato.
E le sinistre finiscono per fondare la propria collocazione nell’Unione
sul contenimento dei movimenti sociali e sulla loro subordinazione al liberalismo.
Tutto il loro sforzo consiste nell’accreditarsi quali futuri leali partner
di governo presso gli ambienti liberali.
Le stesse posizioni recentemente assunte dalla segreteria del nostro partito
– dalla questione del Concordato al rapporto col sionismo d’Israele
– mirano ad acquisire credibilità istituzionale e di governo
presso le classi dominanti del Paese. E si pongono di fatto in contrasto con
le posizioni e i sentimenti di parte rilevante dello stesso popolo della sinistra.
La drammatica urgenza di una coerente svolta strategica
Così non può continuare. Il nostro partito non può continuare,
contro l’evidenza dei fatti, ad illudere il proprio corpo militante.
Il processo e la prospettiva in cui siamo inseriti, sono sempre più
apertamente contraddittori con le ragioni che abbiamo raccolto nella nostra
storia di forza di opposizione. Né i gruppi dirigenti delle mozioni
critiche Ernesto ed Erre, possono riproporre, come se nulla stesse accadendo,
la vecchia illusione di un possibile negoziato riformatore con i rappresentanti
dei banchieri o di un loro possibile condizionamento dal basso. Il nodo ormai
è giunto al pettine. O si preserva l’Unione, cioè la subordinazione
del PRC al liberalismo italiano, e allora ci si condanna all’esito annunciato
di una corresponsabilità di governo potenzialmente distruttiva al servizio
dei poteri forti e della concertazione. O si rompe finalmente col centro dell’Unione
e si libera una nuova politica e una nuova prospettiva. E questa è
la nostra proposta.
La rottura con il centro dell’Unione non è e non vuole essere
un ripiegamento settario e isolazionistico. Al contrario è e deve essere
una proposta sfida all’intera sinistra italiana, a tutte le rappresentanze
di movimento, a tutti i protagonisti di una stagione di lotte, perché
raggruppino le proprie forze intorno ad un polo indipendente, e uniscano la
propria azione attorno ad un’autonoma piattaforma di mobilitazione nella
prospettiva di un’autentica prova di forza col governo e il padronato.
Lo sciopero generale del 25 novembre, nonostante il carattere puramente simbolico
e inoffensivo delle quattro ore decise, l’imminente manifestazione nazionale
dei metalmeccanici, le lotte che si sono sviluppate nel pubblico impiego e
nell’Università, la prossima manifestazione nazionale dei migranti,
rivelano la presenza, nonostante tutto, di un volume di energie e combattività
che, pur logorato, è ben lungi ancora dall’essere disperso. Così
è per le potenzialità di rilancio di una seria mobilitazione
per il ritiro immediato e incondizionato delle truppe dall’Iraq. Ma
è decisiva l’unificazione delle forze, la chiarezza degli obiettivi,
la determinazione risoluta nel perseguirli. Anche di qui l’importanza
di impegnare il partito nella ricostruzione della sinistra sindacale in CGIL,
a partire dal sostegno critico all’esperienza della “Rete 28 aprile”,
come leva di una battaglia contro la concertazione e la prospettiva della
pace sociale. Nell’ambito della lotta per una più generale convergenza
nell’azione di tutto il sindacalismo di classe – confederale e
di base – attorno a una comune battaglia di massa.
La permanenza dell’Unione con i liberali rappresenterebbe il sacrificio
di questo patrimonio e di queste potenzialità, quale dote da offrire
al compromesso di governo con i poteri forti del Paese. Ed è oggi paradossalmente,
proprio Berlusconi e il suo governo, a beneficiare di questa subordinazione
paralizzante dei movimenti ai liberali. La rottura con il centro liberale
da parte della sinistra italiana è l’unica via che può
liberare il rilancio di una mobilitazione generale e indipendente, sino ad
una spallata risolutiva a Berlusconi dal versante delle lotte. E’ l’unica
via che può collegare la lotta per cacciare Berlusconi alla prospettiva
di un’alternativa dei lavoratori e delle lavoratrici. Un’alternativa
che è incompatibile con la borghesia e le sue rappresentanze. E’
l’unica via che può liberare un programma autonomo del nostro
partito: non un programma che vada “oltre” quello dell’Unione,
come qui si propone, ma un programma generale anticapitalistico contrapposto
al programma del liberalismo perché fondato su un’opposta ragione
sociale. Un programma che leghi le battaglie quotidiane dell’opposizione,
nei movimenti e nelle lotte, alla prospettiva socialista.
Una sinistra realmente alternativa o è rivoluzionaria o non è
Questa prospettiva alternativa richiede da subito una netta opposizione alla
proposta di costituzione di una sezione italiana del Partito della sinistra
europea.
Tale proposta mira alla rifondazione in Italia di una forza socialdemocratica
“di sinistra” che si candida ad occupare, come ala sinistra dell’Unione,
lo spazio liberato dalla mutazione liberale dei DS. Quei gruppi dirigenti
della sinistra DS che stanno confluendo verso di noi (a partire da Folena)
sono richiamati proprio dal disegno della rifondazione socialdemocratica.
Una rifondazione che, da un lato, si darà un “programma fondamentale”
riformista e dall’altro, come sinistra di un governo guidato dalla Confindustria,
si corresponsabilizzerà a politiche controriformatrici. E’ necessario
opporsi con determinazione a questo esito di liquidazione della rifondazione
comunista. E’ necessario raccogliere unitariamente tutte le forze del
nostro partito interessate a difendere e rilanciare una rifondazione comunista
come rifondazione rivoluzionaria: a partire dal carattere irrinunciabile dell’opposizione
comunista al governo del grande capitale. Una sinistra realmente alternativa
o è rivoluzionario o non è.
Marco Ferrando, Franco Grisolia, Francesco Ricci, Fabiana Stefanoni
respinto con 11 voti a favore
Documento di Sinistra Critica
La fase politica è segnata da una generale offensiva delle forze moderate
e reazionarie basata su tre piani tra loro connessi: l’offensiva reazionaria
del governo, quella sociale di Confindustria, quella neocentrista che vede
in campo non solo il “centro” politico ma anche le forze moderate
dell’Unione. A questa fase si contrappongono movimenti e lotte, a volte
parziali ma spesso di grande imponenza come la manifestazione degli studenti
del 25 ottobre, lo sciopero della Val di Susa, la resistenza dei lavoratori
dei trasporti, quella dei metalmeccanici, lo sciopero generale. Il compito
fondamentale del Prc è lavorare alla ricomposizione di queste lotte
per ottenere conquiste e vittorie sociali che diano fiducia e speranza. Pur
non essendo sufficiente, l’autonomia dalla coalizione di centrosinistra
e dalla prospettiva di governo è necessaria a questo obiettivo. Per
questo proponiamo un cambio di linea politica e, su questa via, una ricostruzione
del progetto di sinistra alternativa e una rinnovata unità all’interno
del partito.
L’offensiva del governo
Tutti i sondaggi danno per sconfitto l’attuale governo alle prossime
elezioni politiche. Questa sconfitta non è però scontata e comunque
l’attuale maggioranza, a cominciare da Berlusconi, farà di tutto
per impedire la propria disfatta. Il governo sta cercando lucidamente di recuperare
il consenso tra i cosiddetti poteri forti, di costituire un apparato ideologico
forte con il costante richiamo ai valori religiosi e identitari (vedi l’attacco
alla 194) e allo stesso tempo applica un pragmatismo spregiudicato sia nella
spartizione delle misure elettoralistiche al proprio interno (il proporzionale,
la riforma federalistica, quella del Tfr, la polemica sull’aborto) che
nel richiamo a provvedimenti popolari (bonus per i neonati o “una casa
per tutti”). Nello stesso tempo prosegue una politica di depauperizzazione
diffusa come dimostrano le misure della Finanziaria.
Il berlusconismo come filosofia capace di produrre la vittoria del 2001 non
esiste più ma la sua decomposizione può provocare danni e contraccolpi
sul piano sociale che finora non sono contrastati, soprattutto dalle forze
dell’Unione, con l’energia che meritano.
E quella di Confindustria
L’offensiva sociale confindustriale fa il paio con quella governativa.
Oggi l’associazione padronale si propone un duplice obiettivo: incassare
tutto il possibile dall’attuale governo e condizionare al meglio il
governo successivo. Se da un lato, quindi, si spiegano le lodi alla Finanziaria
o la soddisfazione sul Tfr, dall’altro si giustificano le incessanti
aperture all’Unione, soprattutto ai due partiti egemoni, Ds e Margherita,
con cui esiste un fitto scambio di idee e programmi spesso anche intorno a
tavole riccamente imbandite. L’obiettivo fondamentale di Confindustria
è di far ripartire la concertazione alle proprie condizioni e sotto
il segno a essa più favorevole: anche per questo è decisa a
tener duro sul contratto del metalmeccanici, vero banco di prova dei rapporti
di forza complessivi. In questo quadro va giudicata con molta preoccupazione
l’attitudine dei sindacati confederali a riprendere il dialogo con l’associazione
padronale – vedi la cena a tra Cgil, Cisl e Uil e Montezemolo –
proprio mentre la vertenza dei metalmeccanici si inasprisce.
Il neocentrismo ulivista
In questa generale offensiva moderata si colloca la ripresa di attività
del moderatismo interno all’Unione che prefigura una vera e propria
offensiva neocentrista nel campo del centrosinistra. Si tratta di un’offensiva
che vede protagonisti non solo di due principali partiti, Ds e Margherita,
ma anche l’acclamato leader dell’Unione uscito rafforzato dallo
svolgimento delle primarie. Questa offensiva si gioca su tutti i piani: nella
politica internazionale, con il rinvio e l’ammorbidimento della parola
d’ordine del ritiro dall’Iraq; nella politica sociale con l’approvazione
della Bolkestein e il passo indietro fatto sulla legge 30; nelle politica
dell’immigrazione con l’ipotesi dei “Cpt umanitari”
e con il richiamo alle “quote controllate”; nella politica scolastica
con l’approfondimento del “3+2” e l’avallo all’università
azienda; nella politica fiscale con il rifiuto della patrimoniale; nella politica
ambientale con l’appoggio pervicace, e antidemocratico, alla Tav in
Val di Susa tra l’altro appoggiata anche da Cgil, Cisl e Uil. Del resto,
l’accentuazione moderata e centrista dei partiti maggioritari dell’Unione
è confermata anche dal progetto del Partito democratico che sancisce
un’ulteriore involuzione della “sinistra” italiana e una
sua completa annessione nel quadro di governabilità delle società
capitalistiche come dimostrano le iniziative programmatiche di Ds e Margherita
rivolte in primo luogo al padronato italiano.
L’effetto delle primarie
A questa involuzione una spinta decisiva è stata impressa dall’esito
delle primarie. Il clamoroso successo di Prodi ha garantito al leader dell’Unione
quella forza che ancora gli mancava per affermare il proprio disegno di stabilizzazione
moderata dell’Unione e di rilancio del progetto ulivista tra i Ds e
la Margherita. L’importante partecipazione di popolo, che pure si inscrive
in una generale domanda di partecipazione della società italiana, si
spiega in gran parte con il contenuto delle primarie stesse: realizzare la
più ampia unità per battere Berlusconi. Rifondazione, avallando
quella scelta, rischia oggi di venire marginalizzata nel rapporto di forza
che si è creato nell’Unione anche in virtù di un risultato
alle primarie che non ha operato quello “sfondamento” nell’elettorato
di centrosinistra che pure si attendeva. I dubbi, le perplessità e
le critiche avanzate a quello strumento, dunque, si sono rivelati esatti.
Una linea in difficoltà
Ma non è solo l’esito delle primarie a determinare l’attuale
difficoltà. Pesa innanzitutto la natura delle forze politiche che dirigono
di fatto la coalizione dell’Unione e che, lungi dall’essersi spostate
a sinistra per effetto dei movimenti di massa, rappresentano oggi con molta
determinazione gli interessi dei settori dominanti e puntano a un progetto
di liberismo temperato al pari di tutte le forze del centrosinistra e della
socialdemocrazia internazionali. Questo progetto è oggi reso più
forte da un quadro internazionale in cui domina la “Grande coalizione”
in Germania, in cui il partito socialista francese recupera – dopo il
successo del “no” al referendum sulla Costituzione europea - un
profilo moderato e in cui si assiste al fallimento dell’esperimento
Lula in Brasile. Come anche le primarie hanno dimostrato, c’è
un problema complessivo, e complesso, di rapporti di forza sfavorevoli da
affrontare e contrastare: la forza d’urto dei movimenti globali non
è stata finora in grado – e del resto non poteva – di modificare
questo rapporto, in Italia e in Europa. L’accordo di governo con l’Unione
rende oggi più difficile questo compito.
E’ questa situazione complessiva a rendere fragile la linea affermatasi
allo scorso congresso che oggi esige un radicale ripensamento.
Serve un ripensamento
Sulla base di quanto indicato pensiamo che sia venuto il momento cambiare
linea e di superare la falsa dicotomia tra un accordo di governo a tutti i
costi o la rottura netta che, pur in presenza di una legge elettorale nuova,
renderebbe possibile la vittoria delle destre. Per questo riproponiamo la
linea avanzata allo scorso congresso che fa del programma e dell’autonomia
di Rifondazione le coordinate principali. Con il resto dell’Unione il
Prc può porsi l’obiettivo di un accordo politico-elettorale a
condizione del soddisfacimento di alcune richieste basilari come l’abolizione
della legge 30 e del pacchetto Treu, abolizione della Bossi-Fini e della Turco-Napolitano
con la chiusura immediata dei Cpt, abolizione della legge Moratti, ritiro
incondizionato dall’Iraq e dall’Afghanistan e da tutte le altre
missioni militari all’estero, difesa “senza se e senza ma”
della 194, rispetto della volontà popolare in lotta come nel caso della
Val di Susa, rifiuto delle politiche “immorali” contro i migranti
come nel caso delle ruspe bolognesi guidate da Sergio Cofferati. In caso contrario
si può procedere solo a un accordo tecnico-elettorale.
In nessun caso è però prefigurabile un accordo di governo, con
ministri del Prc nell’esecutivo.
Ricomporre il conflitto
A questa offensiva moderata non si risponde solo con la tecnica elettorale
o con la politica di palazzo ma con il dispiegamento di un’offensiva
sociale partendo dalle realtà di movimento che già oggi esistono.
La grandiosa manifestazione degli studenti del 25 ottobre, la generale rivolta
di popolo che si è verifica in Val di Susa, le manifestazioni importanti
contro la Bolkestein, per il diritto alla Casa, per il lavoro e il salario,
gli scioperi dei sindacati di base e quelli, per quanto timidi, di Cgil, Cisl
e Uil, una vertenza metalmeccanica giunta nel suo vivo (a cominciare dall’importantissimo
sciopero del 2 dicembre), dimostrano quanto sia possibile lavorare dal basso
e nel vivo del conflitto per spostare in avanti i rapporti di forza sociali,
ottenere risultati, modificare il quadro politico. Sulla 194, in particolare,
servirebbe un’iniziativa di partito e di movimento che contrasti con
forza il neointegralismo governativo e del Vaticano e che non consegni l’anticlericalismo,
che rivendichiamo, ad altre forze politiche.
Oggi più di prima, nel momento in cui la linea di Rifondazione soffre
l’internità alla coalizione unionista, è necessario un
sovrappiù di impegno nei movimenti e nel conflitto sociale con l’obiettivo
di una ricomposizione dei conflitti. Ricomposizione che non solo le difficoltà
di fase ma che anche l’internità del Prc al quadro del centrosinistra
– spesso controparte dei conflitti stessi come dimostra il caso piemontese
o l’operato della giunta Cofferati a Bologna – rende di difficile
realizzazione.
Ricomporre i conflitti e costruire un programma di lotte sociali che sia anche
propedeutico al nostro programma è oggi la priorità delle priorità.
Un programma per traguardare l’esistente
Per alimentare questa dinamica serve oggi un programma di emergenza sociale
che oltre all’abrogazione delle leggi di Berlusconi, avvii una stagione
di lotte in nome del recupero del salario (con la scala mobile e il salario
sociale), dell'intervento pubblico (a cominciare da un piano di nazionalizzazioni:
banche, telecomunicazioni, trasporti, energia, tutti i settori vitali, i cosiddetti
Beni comuni e dal rigetto delle privatizzazioni che pure caratterizzano l’attività
di governo del centrosinistra nelle Regioni), della società sostenibile
(ambiente, rifiuti, energia rinnovabile), dell'accesso ai servizi fondamentali
(sanità, scuola, assistenza sociale, casa, informazione, nuove tecnologie),
dell'uguaglianza dei diritti civili (unioni delle coppie di fatto, fecondazione
assistita, no alle discriminazioni, diritti per i carcerati), del rifiuto
dello scontro di civiltà (chiusura dei Cpt, diritto di voto ai migranti),
del ripudio "senza se e senza ma" di qualsiasi guerra, con o senza
l'Onu. Un programma che si proponga di traguardare l’esistente pur contenendo
ipotesi di riforma dell’esistente stesso. Non si tratta di contrapporre
un programma rivoluzionario a un programma riformista ma di cogliere gli obiettivi
in grado di mettere in crisi il sistema esistente e quindi di superarlo favorendo
le lotte e l’autorganizzazione sociale.
La sinistra alternativa
In questo contesto è chiaro che il progetto di sinistra alternativa
di cui parliamo ormai da anni si colloca in questo quadro a partire da tre
condizioni:
a) la sinistra alternativa è credibile se è alternativa alla
sinistra liberale e quindi fuori dall’Unione altrimenti resta una sua
variante; fuori dal governo altrimenti non costruisce niente.
b) la sinistra alternativa si realizza nel vivo del conflitto e non nella
logica dell’assemblaggio dei ceti politici. L’apertura delle liste
di Rifondazione deve guardare quindi alle esperienze di conflitto e di pratica
alternative.
c) la sinistra alternativa non consiste nello scioglimento del Prc ma nella
sua valorizzazione in un contesto plurale e unitario che punti in direzione
della necessità dell’oggi, un di più di anticapitalismo;
A queste condizioni il Prc può avviare un’interlocuzione complessiva
che permetta di realizzare quel coagulo di forze antiliberiste di cui si è
avuta la percezione dalla Genova del luglio 2001 e poi nel vivo della battaglia
referendaria sull’articolo 18. E si può realizzare una convergenza,
nella piena autonomia dei soggetti interessati, in primis il Prc, che favorisca
quel processo di ricomposizione dei conflitti e dei soggetti di lotta di cui
sopra: il sale del processo di sinistra alternativa risiede in questo passaggio
e non nell’accumulazione di peso elettorale per contrattare un rapporto
di forza favorevole con il resto dei partiti dell’Unione. Questa ipotesi,
che pure vive dentro e fuori il nostro partito, sembra infatti essere già
stata battuta in partenza. Il nodo è quello del processo di ricomposizione
sociale che si mette in moto su scala nazionale ed europea. Il richiamo alla
Sinistra europea può essere utile solo se produce un meccanismo analogo
su scala sopranazionale con l’allargamento a sinistra della sua composizione
– essendo a destra lo spazio ormai occupato solo dalla socialdemocrazia
o da forze comuniste nostalgiche e spesso nazionaliste – e con una dinamicità
sociale di cui ancora non c’è traccia. Il caso delle banlieus
francesi e la proclamazione dello stato di emergenza in Francia hanno rappresentato
un’occasione mancata per la Sinistra europea sia di far sentire la propria
voce che di far percepire la propria utilità politica.
Il partito che vogliamo
La costruzione della sinistra alternativa non fa venire meno la necessità
del partito. I fatti politici degli ultimi mesi continuano a dimostrare la
vitalità e la centralità del Prc. La sua internità, per
quanto spesso insufficiente, alle lotte e ai conflitti in corso dicono chiaramente
quanto Rifondazione sia uno strumento prezioso per la lotta di classe in Italia
e per la costruzione di una soggettività politica anticapitalista.
Questa potenzialità, ovviamente, può essere minata da una scelta
di compromesso sociale e di inserimento nel quadro delle compatibilità
capitaliste. Anche per questo riteniamo urgente una correzione della linea
politica e un recupero delle ragioni di fondo del partito: l’estraneità
al bipolarismo italiano, il vincolo alle ragioni e agli interessi del moderno
proletariato – sempre più precario, migrante, sessuato –
la riattualizzazione di un progetto socialista. Queste potenzialità
sono possibili solo in un quadro di vita interna democratica, rispettosa delle
differenze e capace di incentivarne l’unità.
Salvatore Cannavò, Franco Turigliatto, Gigi Malabarba, Flavia D’Angeli
respinto con 12 voti a favore
Documento di Bandiera Rossa
Proposta
di Odg conclusivo
Gli avvenimenti delle ultime settimane confermano il permanere di una larga
disponibilità alla mobilitazione di massa, che continua ad esprimersi
su diversi terreni. La ripresa della mobilitazioni nelle scuole e nelle università,
la riuscita dello sciopero generale del 25 novembre, la lunga lotta dei metalmeccanici
per il contratto nazionale, le mobilitazioni in programma contro i Cpt, sono
altrettante conferme di questa generosa disponibilità, ribadita dalla
grande lotta della Val di Susa contro lo scempio della Tav.
Queste lotte trovano peraltro un riscontro sul piano europeo: la rivolta delle
banlieu parigine segue le dure lotte dei marittimi, il Belgio ha visto due
scioperi generali nel giro di poche settimane, nella Spagna di Zapatero riprendono
le mobilitazioni operaie contro le privatizzazioni e le chiusure delle miniere
asturiane.
A questa spinta dei lavoratori si contrappone una crescente e martellante
offensiva reazionaria che trova oggi nella gerarchia ecclesiastica un interprete
di punta, con l’attacco alla 194 e alla laicità dello stato.
Mentre la chiesa conduce questa offensiva ideologica e sociale, si schierano
sullo stesso fronte le imprese, il governo, la “grande stampa”,
che battono insistentemente sullo stesso tasto: sono necessari sacrifici,
rinunce, privatizzazioni, liberalizzazioni, politiche economiche e sociali
restrittive, come unica risposta alla crisi del capitalismo italiano.
Questa offensiva si manifesta con forza anche sui temi internazionali e trascina
con se le forze dell’Ulivo, come dimostra clamorosamente l’adesione
alla fiaccolata di Giuliano Ferrara e il successivo rifiuto di partecipare
alle manifestazioni sotto l’ambasciata Usa.
A questo proposito va chiarita la centralità della parola d’ordine
dl ritiro immediato delle truppe italiane da tutti i teatri di guerra: dall’Iraq,
senza alcuna trattativa con l’occupante americano e col governo fantoccio,
ma anche dall’Afghanistan e dai Balcani (proprio mentre si scopre una
seconda Guantanamo in Kosovo).
Sulla questione palestinese, dobbiamo indubbiamente sottolineare il recente
terremoto politico che ha portato Peretz alla guida del partito laburista
e alla conseguente rottura del governo e a una probabile scissione della destra
dello stesso partito laburista. È una conseguenza dell’acutizzarsi
della crisi sociale in Israele, della ripresa del conflitto di classe e al
tempo stesso esprime un rifiuto della politica di guerra di Sharon. Ma proprio
per aiutare questo movimento a sinistra dobbiamo rifiutare qualsiasi tentativo
volto a dipingere il ritiro da Gaza attuato da Sharon come un possibile primo
passo verso una soluzione pacifica e negoziata della questione palestinese.
Il ritiro da Gaza (peraltro del tutto formale visto che l’esercito e
l’aviazione israeliana continuano a colpire come quando vogliono anche
in quel territorio) è stato un tentativo di fomentare una guerra intestina
fra i palestinesi e di gettare fumo negli occhi all’“opinione
pubblica” internazionale proprio mentre si stringe ulteriormente la
presa su Gerusalemme est e sulla Cisgiordania. La soluzione giusta e democratica
della questione palestinese non verrà dall’ennesimo negoziato
patrocinato dalle diplomazie imperialiste, incluse quelle europee (negoziati
dai quali i palestinesi in 15 anni hanno avuto solo inganni). Solo i lavoratori
arabi ed ebrei, rovesciando il dominio dell’imperialismo, della borghesia
israeliana e dei corrotti regimi arabi possono porre le basi per una soluzione
equa e democratica che rispetti i diritti di tutti i popoli della regione.
Sul piano interno, l’offensiva padronale si propone tre obiettivi: 1)
Ottenere il massimo dal governo Berlusconi nei mesi che ancora gli restano
al potere. 2) Condizionare pesantemente l’Unione prima ancora che si
affacci al governo nazionale, sostenendo e incoraggiando tutte le posizioni
più moderate (per non dire reazionarie) al suo interno. 3) Preparare
il terreno a scenari futuri che di fronte alle prevedibili difficoltà
e contraddizioni dell’Unione possano aprire la strada a un rimescolamento
delle carte che isolando la sinistra (a partire dal nostro partito) e imbarcando
spezzoni del centrodestra possano creare nuove maggioranze “centriste”,
base d’appoggio di nuovi governi reazionari (ipotesi Monti).
Nell’immediato, è chiaro l’obiettivo di giungere alla definizione
di un nuovo patto concertativo, vero e proprio nodo scorsoio con il quale
ci si propone di soffocare ogni prospettiva di mobilitazione contro il futuro
governo di centrosinistra. Tale pressione ha portato alla completa capitolazione
della vecchia sinistra interna alla Cgil la quale ha rinunciato a marcare
alcuna differenza rispetto alla maggioranza di Epifani in cambio di un accordo
spartitorio sulle cariche dirigenti. Se questa capitolazione ha un lato positivo,
poiché dissipa l’equivoco di una sinistra che è sempre
stata d’apparato e burocratica, ha tuttavia un altro aspetto fortemente
negativo costituito dalla impossibilità per i lavoratori di pronunciarsi
su una ipotesi chiaramente anticoncertativa nel congresso della Cgil. In questo
contesto difficile, le tesi alternative di Rinaldini, pur con tutti i loro
limiti, costituiscono l’unico strumento possibile di interlocuzione
con i lavoratori e la base della Cgil e l’unica leva per avanzare posizioni
critiche che, peraltro, trovano nonostante tutto risposte incoraggianti laddove
nei congressi di base vengono sostenute con chiarezza e decisione; ma neppure
su questa battaglia parziale il partito riesce a schierare la maggioranza
dei propri militanti nella Cgil, assumendo invece una posizione pilatesca,
a conferma di quanto profonda sia stata la penetrazione di una concezione
burocratica della lotta sindacale anche nel nostro partito.
Questa continua pressione proveniente dalla classe dominante trova ampie sponde
negli stati maggiori dell’Unione, che non a caso per bocca di Prodi
ripropone la più classica politica dei “due tempi”: prima
il “risanamento”, poi le riforme; dove il “poi”, come
insegna l’esperienza degli ultimi 30 anni, non arriva mai.
Ma non si tratta solo di Prodi o di Rutelli. L’esperienza viva di questi
mesi ci mostra un Ulivo sempre distante e spesso frontalmente contrario alle
istanze che sorgono dalle mobilitazioni di massa. Valga per tutti l’esempio
della Val di Susa, dove la giunta regionale a guida Ds si dimostra disposta
ad andare avanti come un carro armato contro un’intera popolazione,
ponendo il nostro partito (che è parte della maggioranza) in una condizione
di insanabile contraddizione.
La stessa contraddizione si manifesta a Bologna di fronte alla campagna di
Cofferati per la “legalità” e dove l’accordo raggiunto
recentemente è evidentemente scritto sulla sabbia e destinato a saltare
al primo serio conflitto.
Queste esperienze (e tante altre meno conosciute) mostrano come la partecipazione
del partito all’Unione più che portare noi ad aprire le contraddizioni
nel campo dell’Ulivo, porti all’esatto opposto; il partito si
trova in forti difficoltà, diviso e debole nella risposta politica,
spesso incapace di esercitare un controllo sui suoi stessi rappresentanti
nelle istituzioni che sempre più di frequente appaiono come un vero
e proprio corpo esterno, il cui comportamento è sottratto al dibattito
democratico del corpo del partito.
Da queste difficoltà non si esce con operazioni d’immagine quali
la “Sezione italiana della Sinistra europea”, che puntano a reclutare
settori ristretti di ceto politico in uscita dai Ds o autonominati rappresentanti
dei “movimenti”, che non hanno alcun interesse a un dibattito
fertile e trasparente sulle prospettive per una sinistra che finalmente si
liberi dalla sudditanza politica e ideologica al mercato e alla classe dominante,
ma sono mossi solo dalla volontà di conquistare una rappresentanza
istituzionale. La proposta di un processo costituente della “sezione
italiana della Se” si avvia a ripetere l’esperienza disastrosa
della Izquierda unida spagnola, che nel giro di 15 anni ha portato alla virtuale
distruzione del partito comunista, all’affermarsi di posizioni politiche
sempre più moderate, che ha contribuito a un drammatico spostamento
a destra del più forte sindacato in quel paese (Comisiones Obreras)
dovrebbe esserci di avvertimento. Ogni proposta di diluizione politica e organizzativa
del Prc non può che aggravare le difficoltà politiche nelle
quali ci troviamo.
Si tratta invece di avviare un profondo ripensamento della nostra strategia,
di creare una reale e profonda sintonia con le istanze e le aspirazioni che
si esprimono fra i lavoratori, i giovani, gli immigrati, nei movimenti di
massa, e di lavorare pazientemente su questo terreno in una logica di prospettiva.
Oggi l’Unione capitalizza, sul terreno elettorale, la grande attesa
di cambiamento che c’è nel paese, come conferma anche la grande
partecipazione alle primarie. Ma la contraddizione stridente fra le politiche
del centrosinistra e le aspirazioni delle masse è destinata ad emergere
in maniera esplosiva nella prossima fase. La scelta per il nostro partito
è se lavorare per dare espressione, organizzazione e prospettiva a
queste aspirazioni e a queste lotte, o se essere intrappolato e corresponsabilizzato
di politiche antipopolari, compromettendo così la sua prospettiva di
radicamento e soprattutto la possibilità di costruire una reale alternativa
a livello di massa rispetto alla sinistra riformista.
Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Jacopo Renda
respinto con 4 voti a favore