15 tesi per la sinistra
Riportiamo il testo del documento
scritto da Fausto Bertinoti sulle problematiche e le prospettive che la sinistra
ha di fronte in questa fase. Un documento che ha il pregio di prendere in
considerazione tutte le questioni che stanno animando il dibattito inteno
sia al Prc che alla snistra più ampia. Reds - Dicembre 2008
1.
Dopo la disastrosa sconfitta elettorale e la cancellazione della sinistra
in Italia si è posta l’esigenza inderogabile della sua rinascita.
Il rischio, in caso contrario, è la sua scomparsa dal panorama politico
del paese per un lungo periodo.
2.
Da allora, in pochi mesi, sono avvenuti eventi che hanno mutato profondamente
la situazione, sia a livello mondiale, che del paese; sia nella sfera dell’economia,
che in quella sociale, che in quella politica (seppure in questo caso lontano
dall’Europa, come per la vittoria di Barak Obama). Ognuno di questi
mutamenti, e tutti insieme reclamano una nuova, radicalmente nuova, presenza
della sinistra in Italia e in Europa, rendendo persino più acuta l’esigenza,
già emersa drammaticamente dopo il voto, di mettersi al lavoro per
riempire un vuoto orribile.
3.
Il precipitare della crisi, che ha investito il capitalismo finanziario globalizzato
e che si estende dagli USA al mondo intero, sottolinea duramente il vuoto
di sinistra in Europa e propone, in tutta la sua portata storica, il tema
della costruzione di una sinistra europea. E’ stato detto giustamente
che, se non sa mettere in campo, di fronte a questa crisi, una proposta di
politica economica alternativa a quella dei governi, la sinistra non esiste.
4.
La risposta alla crisi del capitalismo finanziario globalizzato è dunque
un banco di prova obbligato, tanto più per le spaventose conseguenze
sociali e di pesante ristrutturazione del lavoro che, in sua assenza, si produrrebbero.
Una traccia di proposta è già presente nel mondo degli economisti
critici. La necessità del sistema di ricorrere all’intervento
pubblico porta la contesa sulla natura dell’intervento pubblico e del
ruolo dello Stato. Una proposta della sinistra dovrebbe cogliere l’occasione
davvero straordinaria per rivendicare un intervento pubblico nell’economia
finalizzato ad una prima riforma di quel modello di sviluppo che ha generato
la crisi attuale, per andare nella direzione di un modello alternativo di
economia più equa, più ecologica e meno instabile. L’intervento
pubblico dovrebbe perciò essere massiccio, quanto precisamente finalizzato.
E’ stato giustamente sottolineato che la sfida che si ripropone è
sul cosa, come, dove e per chi produrre. E’ concreta la possibilità
di cogliere l’occasione della nazionalizzazione della finanza per rivendicare
un piano del lavoro che faccia dello Stato il garante di una programmazione
per il pieno impiego e un lavoro di qualità che superi la sua precarizzazione.
Alla sua base vanno individuate, e scelte, le grandi questioni irrisolte della
società e i bisogni maturi e non soddisfatti. La guida di questa svolta
nella politica economica sta nella organizzazione della domanda dove più
stretta è la relazione tra le problematiche economiche, quelle della
qualità e stabilità del lavoro e quelle ecologiche, per costruire
delle risposte che sollecitino uno sviluppo qualificato della ricerca, della
ricerca applicata, della tecnologia e di nuove forme di organizzazione del
lavoro. La dimensione necessaria per questa riforma della politica economica
è certo quella europea, ma già il livello nazionale va investito
da una forte iniziativa politica e sociale. L’occasione è quella
di una terribile difficoltà, ma anche quella propizia alla rinascita
della sinistra, nel cimento su un passaggio così difficile. Si tratta
ora di immettere questo schema di proposta con forza nel dibattito e nello
scontro politico. Su questa traccia va contemporaneamente messa all’opera
una comunità scientifica allargata, all’esperienza sociale in
primo luogo, da cui nasca una proposta condivisa che possa entrare in relazione
con tutti i fronti di lotta.
5.
Il movimento di lotta di queste ultime settimane di straordinaria mobilitazione
nella scuola ha dimostrato quel che si doveva già sapere, che nessun
consenso di opinione mette al riparo i governi dall’insorgere del conflitto
sociale, ma, contemporaneamente, ci fa scoprire una nuova dimensione possibile
del conflitto, quella della sua indipendenza dalle forze politiche e della
sua irrappresentabilità. Si tratta di un movimento del tutto inedito,
assai diverso non solo da quelli del ’68 e del ’77, ma anche da
quello della Pantera, un movimento diverso per composizione, organizzazione
e forme di crescita anche dal movimento altermondista. Esso promuove l’azione
collettiva della popolazione di un comparto della società, qui la scuola,
sulla base della denuncia della lesione di un suo diritto condiviso. Avevamo
già visto che senza la sinistra non c’è opposizione politico-sociale,
ora impariamo che neppure l’opposizione sociale rimette più in
piedi la sinistra. Si sono consumate tutte le rendite di posizione della politica.
Senza un’idea di sé, del suo rapporto con i movimenti e con la
società la sinistra non esiste e non rinasce.
6.
Il lavoro sarà investito da una nuova fase di ristrutturazione promossa
dalla crisi, e sulla base della recessione e dell’attacco all’occupazione.
Il padronato si prepara a gestirla facendola precedere da un a-fondo sul sistema
contrattuale con lo scopo di ridurre non solo il lavoro, ma anche il sindacato
a variabile dipendente della competitività aziendale. Sebbene possa
sembrare troppo radicale ed estremista, l’obiettivo confindustriale
è proprio quello di cancellare l’autonomia rivendicativa e contrattuale
del sindacato per sostituirlo con la sua istituzionalizzazione neocorporativa:
un cambio della sua natura per sottomettere “definitivamente”
il lavoro all’impresa e al capitalismo. Cambiano, anche assai profondamente,
i cicli economici e la composizione del lavoro, ma il lavoro, la contesa sul
lavoro e la soggettività delle lavoratrici e dei lavoratori, cioè
il concreto manifestarsi delle lotte di classe, torna come uno degli snodi
decisivi per l’esistenza della sinistra. Non c’è nessun
automatismo né alcuna esclusività da proporre, né alcuna
collocazione gerarchica da rivendicare rispetto ad altre contraddizioni, prima
tra tutte quella ambientale. Semplicemente senza una sua politica su questo
snodo la sinistra non esiste. La stessa questione sindacale acquista un peso
del tutto particolare sia rispetto alla questione sociale che a quella politica.
Se la CGIL si sottrarrà all’esito voluto dalla Confindustria
e dal Governo niente rimarrà come è stato dal 1992 ad oggi,
e comincerà una nuova seppur difficile storia del sindacato e del conflitto
di lavoro in Italia.
7.
Sia che si guardino le già grandi novità intervenute, dopo la
storica sconfitta, dal punto di vista strutturale che dal punto di vista dei
processi politici, si vede emergere quale tema prioritario, connesso con la
questione delle proposte sulla natura del nuovo intervento pubblico nell’economia,
quello dell’efficacia dell’opposizione ai fini di impedire che
il cerchio si chiuda, con l’irreversibile cancellazione per l’intero
medio periodo della sinistra e con la sistematica eparazione tra il sociale
e il politico, tra la vita delle persone e la politica. La qualità
e l’ampiezza dell’opposizione debbono porsi all’altezza
di un disegno regressivo di restaurazione che vede progressivamente soppiantare
la Carta fondamentale della Repubblica da una costituzione materiale che ne
rovescia il senso, facendosi accompagnare da una rivoluzione conservatrice
guidata dalla nuova destra. L’esito di un “regime leggero”,
a fondamento di un assetto a-democratico della società, può
essere impedito solo da un’opposizione di sinistra, popolare, di massa
e capace di risalire, per metterle in discussione, alle cause strutturali
del disagio sociale e della crisi economica. Ripensare a fondo l’agire
collettivo, attivare tutte le forme della democrazia partecipativa, andare
a lezione dai movimenti emergenti, rivoluzionare la grammatica dei rapporti
tra forze politiche e movimenti, scegliere i tempi e i modi di proprie campagne
di mobilitazione e di lotta che facciano venire alla luce potenzialità
latenti, far coesistere esperienze diverse solo disposte a riconoscersi reciprocamente,
rileggere le esperienze di democrazia diretta a partire dall’uso mirato
del referendum, costituire autonomi comitati di scopo, sono solo alcune delle
pratiche necessarie di un piano di lavoro politico che associ chiunque ci
stia sulla base della selezione politica operata unicamente dalla condivisione
dell’obiettivo.
8.
Era già evidente dopo la sconfitta che la rinascita della sinistra
sarebbe dovuta essere in realtà un cominciare da capo. Tutto ciò
che accade avvalora questa tesi. Il rinnovamento nella continuità,
che sarebbe stato possibile fino a ieri è oggi impossibile. Lo sarebbe
stato, con particolare forza, di fronte ai grandi passaggi storici mancati,
come la primavera di Praga, il ’68-’69, lo stesso ’89, per
lo straordinario accumulo di storia e di esperienze fin lì a disposizione
e che avrebbero potuto permettere un’uscita da sinistra dalle crisi
del movimento operaio. Allora sarebbe stato possibile quel che oggi non è
più possibile. Ancora, in tutt’affatto diverse condizioni, di
fronte al costituirsi del movimento altermondista, un’estrema possibilità
si era venuta proponendo alla politica. Ma oggi, dopo la sconfitta storica
e la scomparsa della sinistra politica come forza attrattiva, questa ipotesi
di lavoro non è più possibile. Quel che resta vivo dei tentativi,
anche coraggiosamente tentati di fronte ai precedenti passaggi critici, è
l’esigenza di fondo, quella di un’uscita da sinistra dalla crisi
del movimento operaio. Ma ora è necessario che sia un’uscita
da sinistra capace di essere praticata da nuove grandi organizzazioni politiche.
La sinistra di cui c’è bisogno è perciò una sinistra
di società, cioè capace di essere portatrice di una rinnovata
critica del modo di produzione capitalistico e di un’alternativa di
società e, contemporaneamente, per forza organizzata, capace di influenzare
il corso generale in atto e le scelte della
politica: una forza politica di cambiamento e di trasformazione.
9.
Ricominciare politicamente da capo per ricostruire la sinistra in Italia e
in Europa non vuol dire contrarre la malattia del nuovismo che è un’apologetica
dell’innovazione che ora si fa addirittura grottesca di fronte ad una
realtà come quella attuale che fa dire come scriveva Gorz “Non
è un capitalismo in crisi, ma è la crisi del capitalismo che
scuote profondamente la realtà". Essa genera a sua volta una crisi
di civiltà e un rischio per l’umanità tutta. Un’adesione
all’attuale modernizzazione è semplicemente insensata. Né
vuol dire essere dimentichi del passato. Il movimento operaio del ‘900
è il mondo da cui veniamo. Delle tre grandi direttrici su cui si è
sviluppato, la prima è morta nella tragedia, ed è quella che,
sulla rottura rivoluzionaria, ha fondato la costruzione dello stato e di ciò
che è stato chiamato il comunismo reale; la seconda è molto,
molto malata, ed è quella che, in tutta la seconda metà del
secolo, specie in Europa, ha continuato a porsi il tema della trasformazione
della società capitalista diventando protagonista del compromesso democratico
dei 30 anni gloriosi; la terza è ancora vitale (anche per la conferma,
seppur anche spiazzante, che le viene dalle grandi mutazioni di cui il capitalismo
è capace per riconfermarsi) ed è il nucleo forte della critica
al capitalismo proprio dell’impianto marxiano. Proprio in ragione della
sua vitalità convince ancora la tesi propagata da grandi intellettuali
marxisti già alla fine del secolo scorso di andare oltre Marx, tesi
che pretende una duplice opposizione, sia nei confronti di chi ne propone
l’abbandono, sia di chi ne propone una acritica nuova adozione. Si può
pensare di mettere a frutto la vitalità della teoria, consapevoli anche
della sua maturità, proprio cercando la relazione con due contraddizioni
altrettanto decisive nella critica al nuovo capitalismo totalizzante, quella
tra ambiente e sviluppo e quella di genere. Un forte spirito di ricerca nella
teoria critica del capitalismo dovrebbe alimentare una tendenza culturale
e politica necessaria, insieme ad altre, alla rinascita politica della sinistra.
10.
Il movimento operaio del Novecento vive dal ’17 agli anni ’80
su ciò che è stato definita l’alleanza, o la fusione,
tra la classe operaia e una teoria, quella marxista-leninista. Per averne
conferma basti pensare soltanto al fatto che il partito comunista dalla storia
nazionale forse più autonoma di ogni altro, il PCI, modifica, nel suo
statuto, il riferimento al marxismo-leninismo solo nel 1979. Il peso dell’alleanza
in questo movimento operaio, quello del ‘900, quand’anche in esso
siano cresciute esperienze diverse, è forte e innegabile. Ma questa
non è la sola storia del movimento operaio possibile. Né è
stata la sola. Ce ne sono state di diverse già nel corso della storia,
si pensi al ciclo che precedette la Comune di Parigi, e dunque altre ce ne
potranno essere, sempreché lo sfruttamento esistente sia considerabile
politicamente significativo. Ad un nuovo movimento operaio la sinistra dovrebbe
lavorare, nel tempo di una nuova rivoluzione capitalistica, anche modificando
i contraenti l’alleanza e la sua stessa base teorica. A richiedere un
soggetto capace di proporsi, su scala mondiale e in un processo storico, il
superamento del capitalismo è la natura di questo capitalismo totalizzante,
sono le forme concrete di sfruttamento e di alienazione che esso genera e
la sua attuale proprietà di fare innovazione e contemporaneamente di
produrre crisi di civiltà e di umanità. A questa ricerca non
può essere estraneo il processo di costruzione della sinistra in Europa
e in Italia che, tuttavia, deve disporre di un’autonoma fondazione politica,
quella della definizione di un programma fondamentale in cui possano riconoscersi
una molteplicità di soggetti e una pluralità di culture politiche,
capace di costituire, come insieme, il fatto nuovo nella politica.
11.
In politica è certo importante come chiamarsi. I simboli, i segni di
una comunità scelta parlano di un’identità, di un’appartenenza.
In questo nostro tempo l’identità, se vuole contrastare, anche
in sé, il codice dell’esclusione che è quello oggi prevalente
nella società (basti pensare, per la sua presenza nefasta e corruttiva,
al riemergere del razzismo), deve essere aperta e formarsi in progresso, fermo
solo il punto di avvio. I grandi nomi definitori dei partiti sono indistinguibili
dalla loro storia. Parlano il linguaggio della politica solo quando sono riconoscibili
ai grandi numeri, alle persone comuni e sanno trasmettere il senso dell’appartenenza
ad un’impresa comune, ad un campo significativo di forze. Non è
la stessa cosa dichiarare di militare personalmente per una causa o fare di
essa il programma di un partito. Comunista è una parola molto impegnativa,
da maneggiare con cura e misura. Essa è insieme troppo e troppo poco
per definire, oggi e qui, un nuovo soggetto politico. Troppo, perché
se il programma del comunismo è, come è, la liberazione del
e dal lavoro salariato esso non può trovare posto (seppure possa illuminarne
la ricerca) nella dimensione storica concreta a cui deve rispondere il programma
fondamentale della sinistra, che non può che essere, realisticamente,
ma anche ambiziosamente, quella della ricerca sul socialismo del XXI secolo.
Troppo poco, perché quand’anche dichiarata l’ipotesi finalistica
comunista, non potrebbe dirci granché delle ragioni, concrete, sempre
quelle del qui e ora, per cui deve costituirsi la sinistra oggi, dopo la distruzione.
Altro è stato, e sarebbe, il caso dell’intervento sul nome di
formazioni già esistenti dove il rispetto della storia, delle storie
che l’hanno animato e la loro costituzione materiale, danno conto direttamente
e storicamente di un percorso e delle sue aperture, basti pensare a quello
del PCI. Altro è dar vita ad un nuovo progetto politico. La sinistra
è stata l’origine della politica di libertà e di giustizia
nella storia moderna, cosa che consente la rammemorazione sempre necessaria
per prendere il nuovo slancio. Ma è contemporaneamente anche la riaffermazione,
nel presente, di un clivage, senza il quale non c’è più
la politica, non c’è più scelta, il clivage tra destra
e sinistra. La sinistra parla di una famiglia politica potenzialmente così
ampia da poter comprendere tutti coloro che vogliono costituire una forza
politica capace di tornare a declinare, in Europa, nel secolo XXI, di fronte
al capitalismo totalizzante del nostro tempo, i temi di libertà e eguaglianza
e che sanno che, dopo la sconfitta, si tratta di cominciare da capo. Non sarà
casuale che dopo la caduta delle dittature militari in America Latina, nel
rinascimento della sinistra latinoamericana, nessuna grande formazione politica
che lì ha condotto alla vittoria, nei diversi paesi, la sinistra e
i popoli del continente si chiami comunista, nessuna dal PTT di Lula al MAS
di Evo Morales, pur avendo tutte al loro interno socialisti e comunisti.
12.
Nessuna forza politica in Italia ha in sé oggi la forza e la cultura
politiche sufficienti per questo necessario big - bang da cui possa rinascere
la sinistra. Il PD non è sinistra, e non per la composizione della
sua base sociale, ma per la natura intrinseca del partito e del suo progetto
politico. I partiti che hanno dato vita all’arcobaleno di sinistra lo
sono, ma, separati, non hanno la massa critica necessaria per l’impresa,
e, dopo la sconfitta, sono imprigionati anche rispetto alla capacità
di innovazione da pesanti derive neo-identitarie. Il tema del tutto inedito,
nel nuovo ciclo politico e che prende forza dall’esigenza di uscire
da questo quadro impotente, è quello della ristrutturazione delle forze
oggi di opposizione per dar vita ad una nuova grande sinistra di alternativa,
unitaria, plurale, fondata imprescindibilmente sulla democrazia della partecipazione.
La situazione, prima caratterizzata dall’esistenza di due sinistre in
competizione, conflitto e possibile alleanza tra loro, è stata sostituita
da una nuova situazione senza più sinistra. Sulla base dell’analisi
di fatto la priorità delle priorità diventa perciò la
rinascita della sinistra. Ma bisogna riconoscere che, ancora sulla base dell’analisi
delle soggettività politiche in campo, quest’ipotesi, matura
come grande esigenza per le forze di cambiamento e per la democrazia, è
immatura soggettivamente. Ciò non toglie che debba essere indicata
come meta da perseguire, non già con qualche scorciatoia politicista,
per altro impossibile, ma attraverso la messa in campo di una ambiziosa e
complessa operazione sociale, culturale e politica, di cui il primo passo
possa essere la rottura degli steccati per cimentarsi con realtà dure
e difficili come le questioni del lavoro, della scuola e della risposta da
dare alla crisi, alla recessione e all’attacco all’occupazione.
13.
Per affrontare questa sfida non solo vanno evitate le scorciatoie politiciste,
ma ci si deve altresì precludere la via alla ricerca di un assetto
delle forze di opposizione che non solo non costituirebbe uno stadio intermedio
rispetto alla ristrutturazione e alla rinascita della sinistra, ma ne contraddirebbe
l’ispirazione di fondo. E’ l’ipotesi secondo la quale, alla
crisi del centro-sinistra degli ultimi 10 anni, si dovrebbe sostituire il
rapporto tra l’attuale PD e una forza alla sua sinistra che assuma il
compito di condizionarne le politiche e per riaprire, su questa base, la prospettiva
di governo. Questo esito, che rappresenterebbe nient’altro che uno sviluppo
moderato dell’attuale situazione di vuoto, è da contrastare nettamente.
Esso ha una sola verità interna ed è che, nella attuale immaturità
della ristrutturazione, deve essere perseguito l’obiettivo della costruzione
da subito, si potrebbe dire da ieri, di una forza di sinistra. Ma questa nuova
forza di sinistra per esistere deve disporre di un progetto autonomo, capace
di delineare, per un intero ciclo, il suo compito nella società italiana
ed europea. L’ispirazione della sua azione deve essere proiettata nel
futuro (la rinascita della grande sinistra di cui costituisce la prima tappa)
e non risucchiata nel passato del centro-sinistra. Il centro-sinistra è
finito, ed è finito insieme alla sua tormentata, speranzosa ma, al
fondo, fallimentare stagione. La cultura prevalente che l’ha promossa
– governare la globalizzazione attraverso un corpo di regole e una classe
dirigente moderna – non solo è all’origine del fallimento
dei due governi Prodi, ma è stata sepolta dall’esplodere della
crisi del capitalismo finanziario globalizzato. Certo il tema del governo
va ripensato invece che abbandonato, ma per farlo bisogna ripartire dalla
sinistra, dalla sua forza nella società, dalla sua capacità
di produrre egemonia, senso comune, da un progetto riformatore della società,
dell’economia e della democrazia capace di essere condiviso da grandi
masse.
14.
La costruzione di una forza politica unitaria e plurale della sinistra, così
com’è oggi possibile, mettendo insieme e portando a unità,
in un’impresa da costruire insieme, le forze e le persone che sentono
fortemente questa esigenza, è un passaggio difficile quanto necessario.
Necessario, prima che il quadro politico del paese si chiuda nel soffocante
bipartitismo che avanza. Questo processo costituente di una forza di sinistra
sarebbe la prima tappa di un cammino ancor più ambizioso, ma intanto
indispensabile per non morire tra moderatismo, da un lato, chiusura identitaria,
da un altro, ed esodo dalla politica, da un altro ancora. La realtà
sociale del paese è ancora viva, anche se, in parte assai considerevole,
drammaticamente depoliticizzata. Nei corpi intermedi della società
italiana, sindacati, associazioni, centri sociali, volontariato, vive un patrimonio
di esperienze e saperi che parla le lingue della sinistra, quand’anche
questa sia, come oggi, muta. Nei movimenti puoi assistere a fenomeni imprevisti,
del tutto imprevisti, anche fino a pochissimo tempo dal loro manifestarsi,
come quello della scuola. Nell’intellettualità del paese, negli
operatori di cultura, arte e spettacolo, in alcuni giornali di sinistra c’è
il deposito di resistenze, spesso condannate alla solitudine, eppure non trascurabile.
Se si riuscisse a profonderle tutte e ognuna in un’impresa comune, da
questa nascerebbe la sinistra di oggi e di domani. Allora questo va fatto,
rompendo gli indugi. C’è una sola condizione che tutte e tutti
coloro che sentono il bisogno di sinistra hanno il diritto di porre per poter
prendere parte paritariamente al processo costituente ed è la certezza
della democrazia. La sinistra, per esistere, deve ora essere irriducibilmente
democratica. Occorre qui una discontinuità secca col suo passato lontano
e anche recente. Non c’è più la legittimazione che nei
precedenti gruppi dirigenti, quelli usciti dalla Resistenza, consisteva nella
loro storia; ogni cooptazione diventa arbitraria e divide; ogni intesa oligarchica
diventa un ulteriore fattore di ulteriore distacco della politica dalla società
e dai soggetti in essa attivi. L’impegno deve quindi, su questo terreno,
essere irrevocabile: ogni funzione dirigente, ogni funzione di rappresentanza,
fin dall’inizio del processo, deve essere attribuita con la partecipazione
di tutti i rappresentati con voto segreto, su scheda bianca, tutte e tutti
elettori ed eleggibili e tutti revocabili: inesorabilmente e rigorosamente
una testa un voto.
15.
La sinistra deve avere l’ambizione di essere anche una comunità
scelta, un insieme di luoghi e di relazioni che fanno accoglienza e cura della
persona. In essa devi poterci stare bene. Devi poter avere voglia di partecipare.
La pratica della nonviolenza deve improntare le sue relazioni sia esterne
che interne. La creazione di forme di autogoverno e di partecipazione deve
costituire, in essa, il suo modo di essere e deve investire i vari aspetti
del vivere, del produrre, del consumare, del convivere e del fare politica.
C’è, a questo fine, da conquistare una sorta di precondizione,
la rottura dell’individualismo competitivo che ha investito tutte le
nostre relazioni individuali e collettive per sostituirlo, se non con un comportamento
altruistico, almeno con uno improntato all’ “egoismo maturo”,
cioè alla consapevolezza che o ce la si fa insieme o non ce la si fa.
Si potrebbe cominciare, nei rapporti interpersonali, nei luoghi di confronto
politico e di formazione delle decisioni, col sostituire il troppo abusato
“non sono d’accordo” con il “sono d’accordo,
ma...”. Alla riforma della soggettività da investire nell’impresa
bisogna, affinché si possa produrre e sia efficace, una altrettanto
riforma strutturale del modo di essere della sinistra. Il centralismo romanocentrico,
figlio non più dell’esigenza nazionale di una formazione compatta
di combattimento, bensì della “governamentalità”
e della centralità delle istituzioni nella politica, va spezzato in
radice, dalle fondamenta. La sinistra deve saper avvolgere la dimensione nazionale
in due altre dimensioni strategiche, in alto, quella europea (dove continua
ad essere preziosa l’esperienza del partito della sinistra europea)
e in basso, ma fondativo, il territorio. Il territorio, non già nella
sua cattiva lettura basista o peggio nella sua pessima lettura populista,
ma la contrario come terreno culturale, civile, di storia e di esperienza
(l’Italia delle cento città) che può indurre la politica
a ricominciare dalla messa in discussione dei concreti e differenziati manifestarsi
di un modello di sviluppo la cui contestazione è la ragione prima della
rinascita della sinistra. Perciò va fatta, nell’organizzazione
della politica della sinistra, la scelta di un modello federativo partecipato,
fondato sulla parificazione dei ruoli dirigenti tra autonome strutture regionali
(la sinistra sarda, campana, lombarda, toscana, pugliese, etc.) e la direzione
nazionale che deve essere da esse compartecipata. La rinascita della sinistra
dai territori, in un disegno nazionalmente condiviso, è la via maestra
per dare vita al suo primo compito ai fini di sconfiggere l’egemonia
nella società conquistata dalla nuova destra. La realizzazione della
riforma della società civile mediante la produzione di culture, di
pratiche sociali, di luoghi e forme di convivenza, di organizzazioni civili,
sociali ed economiche che contengono una critica vissuta al primato dell’impresa
e del mercato, è parte decisiva di questo compito storico. E’
anche da qui, dalla rottura culturale e fattuale con ogni centralismo, che
rinasce la sinistra.