La Direzione nazionale del 9 giugno 2009
Dopo la scissione dei Vendolaini,
le elezioni europee e le amministrative hanno rappresentato il primo banco
di prova per il Prc, la sua linea politica e il gruppo dirigente di cui è
espressione. La Dn ha cercato di fare una prima analisi per mettere in evidenza
le ragioni della sconfitta elettorale. Riportiamo il documento introduttivo
di Ferrero e le sintesi degli interventi. Reds - Giugno 2009
Serve un salto di qualità.
Vorrei innanzitutto proporre un metodo alla discussione che con la direzione
di oggi si apre. Non siamo di fronte a una condizione di ordinaria amministrazione
perché il risultato elettorale negativo che abbiamo avuto alle Europee,
peggiorato da quello delle amministrative, necessita di una discussione di
fondo. Per questo propongo che la discussione della Direzione non dia luogo
alla votazione di documenti ma sia libera e a tutto campo. Il CPN di sabato
e domenica dovrà invece tirare le fila di questa discussione e decidere
con chiarezza l’indirizzo politico su cui procedere. Vi propongo quindi
una analisi della situazione e una proposta politica chiara su cui vi prego
di tenere una discussione non rituale.
La situazione europea
Gli elementi che emergono con maggiore forza dal voto sono i seguenti: l’avanzamento
delle destre, un successo delle destre estreme fuori dai confini dei tradizionali
partiti conservatori (non in Italia dove l’estrema destra è interna
alle forze di governo); il fallimento delle socialdemocrazie (in maniera catastrofica
in Gran Bretagna ma generalizzato in tutta Europa); la sostanziale tenuta
delle forze di sinistra di alternativa, con qualche avanzamento limitato ma
senza la capacità di sfondare. Evidentemente, il fatto politico più
significativo è l’ avanzamento di forze reazionarie e xenofobe.
Si confermano analisi che già abbiamo avanzato: le politiche liberiste,
varate dal governo di grande coalizione europeo, producono una crisi sociale
che travolge la socialdemocrazia e non trovando una risposta forte a sinistra
si traduce in guerra tra i poveri e si posizioni di destra.
Il generalizzato crollo della partecipazione al voto sta dentro quel quadro.
Da parte degli strati sociali più esposti alla crisi non c’è
l’individuazione della politica come strumento utile a cambiare la propria
condizione. La politica viene ridotta a questione di ordine pubblico e non
a caso il terreno della guerra tra i poveri proposto dalle destre nella direzione
della guerra tra poveri raccoglie consensi. E’ il terreno dell’alternativa
economica e scoiale che tende ad essere espulso dalla politica. Il caso italiano
accentua questo degrado: una campagna elettorale che ha del tutto oscurato
le questioni di merito e prima fra tutte la questione sociale, non parla d’altro
che di una politica completamente separata dalla condizione reale della gente.
Ma, ripeto, oltre il caso italiano, si tratta di un dato comune europeo: Questo
è uno dei punti fondamentali da tenere presente: non c’è
solo una crisi sociale devastante ma, in più, questa si intreccia con
una crisi della politica che mette in discussione l’utilizzo della politica
da parte delle masse come strumento per cambiare la propria condizione. E’
questo il frutto estremo di una sconfitta storica del movimento operaio dentro
il ciclo liberista. Mentre nel secondo dopoguerra le classi subalterne hanno
posto il tema della propria emancipazione sul piano politico, oggi c’è
un attacco complessivo alla condizione sociale che non si accompagna a una
ripresa della politica come partecipazione e emancipazione. L’astensionismo
è, quindi, il fenomeno più evidente di un processo complesso,
perseguito dalle classi dominanti, in cui l’economia viene presentata
come oggettiva e la politica ridotta a discutere di ordine pubblico e di costume.
Dobbiamo avere la piena consapevolezza anche delle conseguenze del voto sul
processo complessivo della costruzione dell’Europa. Il grande progetto
europeista di superamento dei nazionalismi, che hanno prodotto due guerre
mondiali, viene completamente vanificato dalle politiche liberiste. In altre
parole, la costruzione dell’Europa liberista aggredendo le conquiste
sociali e producendo guerre tra i poveri, determina il risorgere dei nazionalismi
e del razzismo, come dopo il ’29.
E siamo solo agli inizi: ci sono effetti devastanti derivanti dalle delocalizzazioni
e dal combinato disposto della Bolkestein con Mastricht che non si sono ancora
dispiegate appieno. Ne accenno una per dare il senso: la Corte Europea si
è espressa già nella direzione di affermare come il principio
del libero mercato non possa essere messa in discussione dai contratti di
lavoro nazionali. Così che può generalizzarsi la pratica di
imprese che pretendono di estendere la clausola delle condizioni del Paese
di origine su salari e orari di lavoro. Dobbiamo analizzare maggiormente questi
processi perché il quadro europeo non è un problema di politica
estera ma è la dimensione su cui si svolge lo scontro oggi. Per come
sono dislocati i poteri, se rimaniamo entro il confine dello stato nazione,
possiamo fare solo resistenza. O scaliamo il livello europeo o non siamo in
grado di praticare una possibilità di uscita da sinistra dalla crisi.
Il fatto che non siamo riusciti ad eleggere parlamentari europei, non ci deve
far abbandonare questo quadro di riferimento necessario né la partecipazione
attiva e convinta nel Partito della Sinistra Europea.
L’Italia dopo il voto
Nello specifico italiano: le elezioni hanno dato un colpo ai due progetti
estremi di scardinamento istituzionale. Berlusconi non ottiene il plebiscito
e ne esce ridimensionato nella sua operazione politica che andava oltre lo
smantellamento del sindacato di classe e di mettere la mordacchia alla magistratura.
Berlusconi ha cercato di proporre un ulteriore salto di qualità: la
messa in discussione del Parlamento in funzione del rapporto diretto tra il
capo e le masse. L’esposizione antistituzioanale molto forte che ha
tentato in vari modi ( dalla gestione della vicenda del terremoto, alle proposte
di legge di iniziativa popolare) aveva l’obiettivo di affermare un principio
netto: chi ha il consenso del popolo non deve stare al rispetto delle regole.
Questa offensiva di scardinamento istituzionale ha subito con il voto un colpo
di arresto. Non vuol dire che la destra sia stata sconfitta: il governo è
forte come prima e più radicalizzato a destra sui valori e i contenuti.
In altre parole, il confronto dentro il campo delle destre, almeno in questo
momento, lo ha vinto la Lega. Ciò ha conseguenze nella valutazione
complessiva: non va assolutamente scambiata la battuta di arresto del progetto
berlusconiano con una sconfitta del governo delle destre, che non viene scalfito
neanche dal fatto che non da una risposta alla crisi sociale.
Subisce un colpo anche il tentativo del PD di dare uno sbocco alla crisi del
sistema politico nella direzione dell’affermazione del bipartitismo.
Il voto non ci presenta un Paese bipartitico ma policentrico. Il Pd subisce
una sconfitta pesante, mascherata dalla battuta d’arresto del progetto
berlusconiano. Nelle amministrative lo si vede in maniera netta. Perde seccamente
in parte in favore di Di Pietro che capitalizza il ruolo di opposizione a
Berlusconi. Una opposizione contraddittoria, perché forte sul piano
dei comportamenti e su quello istituzionale ma inesistente sul piano dei contenuti
di fondo. Di Pietro ha capitalizzato un antiberlusconismo di fondo ma non
lo ha riempito di contenuti. Non mi pare nemmeno che Di Pietro abbia colto
in modo largo il dissenso operaio. Non è quello il dato dominante.
La sua lista prende un pezzo di elettorato PD: è più un fenomeno
politico che sociale. Per la Lega, invece, si può parlare di fenomeno
assieme politico e di radicamento sociale.
Il voto a sinistra
La scissione provocata dentro Rifondazione e la scelta di fare un cartello
con le sinistre non alternative, come il Partito Socialista, sono all’origine
del mancato raggiungimento del quorum. Senza la scissione, discuteremmo dei
deputati eletti. Trovo stravaganti, e in un certo senso istruttive, le dichiarazione
di alcuni esponenti di Sinistra e Libertà che parlano del loro come
un successo e un risultato inaspettato. Come se avessero presentato la lista
non per superare il quorum ma per cercare di realizzare l’azzeramento
della sinistra esterna al PD, con l’ossessione che occorre distruggere
quello che sta a sinistra come condizione per ricostruire. Una ricostruzione
non di una sinistra di alternativa ma di una sinistra senza aggettivi, con
il PD. Nel fondo c’è l’idea che sia superata la distinzione
tra sinistra moderata e sinistra di alternativa e che ci sia spazio per una
sola sinistra non meglio specificata. Non a caso Sinistra e Libertà
propone un cantiere per la costruzione della sinistra che ha tutte le caratteristiche
della riedizione dell’Unione; un progetto di cui abbiamo già
constatato sula nostra pelle il drammatico fallimento. Questo progetto mi
pare non solo sbagliato ma destituito di fondamento perché dentro il
PD ci sono tensioni ma nessuna modifica qualitativa di indirizzo politico.
Dentro quel quadro, ci può essere un contrasto sulla leadership ma
che non ha nulla a che vedere con una rottura con i poteri forti.
Il nostro risultato
Il nostro risultato, nonostante un impegno grandissimo e generoso dei compagni
e delle compagne, è stato negativo. In particolare, vorrei evidenziare
il dato del nord che ci pone un grande problema. Noi abbiamo capito il problema
della crisi e l’urgenza di stare dentro la crisi per rompere la separatezza
della politica ma non abbiamo praticato adeguatamente questa linea. Abbiamo
un grande problema nel Nord: non abbiamo intercettato la crisi come dovevamo.
I comitati contro la crisi, che pure avevamo lanciato come proposta unitaria
e aperta, non sono partiti o siamo stati in grado di farlo a macchia di leopardo
e in maniera inadeguata. Insomma, siamo più osservatori della crisi
che costruttori di risposte concrete.
C’è anche un problema di tempi che non ci ha aiutato: il congresso
chiuso a luglio, la scissione strisciante, uno stillicidio continuato fino
agli inizi dell’anno. Ci sono posti io cui non abbiamo ancora i gruppi
dirigenti. Ma tutto questo non giustifica i ritardi.
La declinazione del nostro essere comunisti è stato letto principalmente
come appartenenza a una storia che, sia chiaro, io rivendico; ma questo è
un lato della questione: non si è riusciti a declinare l’essere
comunisti dal lato della radicalità della proposta. Non siamo riusciti
a produrre un grado di interlocuzione con il disagio sociale pari a quello
delle destre populiste o il grado di rottura con la crisi del sistema politico
che ha avuto Di Pietro. Non siamo stati percepiti come una forza in grado
di proporre una alternativa a questo sistema economico e politico. I risultati
delle elezioni dovranno essere ulteriormente analizzati, in particolare per
quanto riguarda le elezioni amministrative per capire meglio e affinare l’analisi
ma dobbiamo da subito mettere mano ad alcuni elementi.
La proposta politica
In questo contesto dobbiamo fare un salto di qualità. La pura prosecuzione
del nostro cammino non ci porta da nessuna parte per cui dobbiamo cambiare
marcia. Dalla sconfitta possiamo ripartire ma occorre avere chiara la necessità
del cambiamento. Il salto di qualità lo dobbiamo fare su 4 piani:
• La questione sociale
Deve stare al primo posto, come centro fondamentale della linea politica.
Il tema del partito sociale ha l’obiettivo la costruzione del conflitto.
Non ce la caviamo in autunno con riproporre alcune manifestazioni nazionali.
O c’è la costruzione di una rete di conflitti e si alza di molto
il livello di mobilitazione oppure non funziona il surrogato di una manifestazione
nazionale che poi lascia tutto come prima nei territori. Ciò pone il
tema di un salto di qualità sul ruolo politico del Partito, a partire
dalle aree in cui la crisi morde di più, penso al Nord. Abbiamo un
problema di riconversione della nostra capacità di stare nei conflitti,
avendo la consapevolezza che il tempo non lavora a riprodurre le condizioni
della nostra esistenza, a meno che noi siamo capaci veramente di interagire
con le condizioni reali che si trasformano. Occorre quindi riorganizzare il
partito in funzione della costruzione del conflitto e non di una tranquilla
amministrazione dell’esistente.
• La lettura del comunismo.
Deve essere rilanciata una sua lettura come investimento per la trasformazione
della società. Per questo motivo, è importante coniugare il
termine comunismo con quello dell’anticapitalismo. Nel vissuto di tanta
parte della società, la coincidenza tra i due termini non è
scontata. Dobbiamo avere il coraggio di una grande apertura, anche coinvolgendo
le forze intellettuali che sono stati con noi in questa fase su come oggi
si attualizzi il tema del comunismo come trasformazione radicale della società.
Oggi è egemone una ipotesi reazionaria molto forte che interviene pesantemente
sul piano sociale come sui diritti civili e sulla libertà delle persone.
Il comunismo deve essere rilanciato come alternativa complessiva a questo
processo reazionario, come processo che unisce egualitarismo sociale e libertà
delle persone.
• Avanzare un progetto unitario a sinistra.
Dobbiamo porre con nettezza l’obiettivo di unire le forze di sinistra
anticapitalista, naturalmente a partire dal coordinamento dei soggetti che
hanno dato vita alla lista. Dobbiamo proporre un processo di aggregazione
di un polo della sinistra di alternativa che sia in grado di avere una propria
proposta politica e una capacità di iniziativa e di radicamento. L’unità
delle forze comuniste e l’unità di una più vasta sinistra
anticapitalista sono due facce della stessa medaglia. Non entro qui nella
discussione sulle forme organizzative, perché altrimenti la discussione
inevitabilmente si ferma solo su questo. Il punto della proposta politica,
ferma restando l’esistenza e l’autonomia di Rifondazione comunista,
della costruzione di un polo di sinistra anticapitalista sta insieme alla
capacità di stare attivamente dentro la crisi e alla innovazione politico
culturale sul comunismo. Questa proposta noi la rivolgiamo a 360 gradi, a
tutta la sinistra, nel convincimento che i processi politici devono partire
dalla condivisione dei contenuti e da una concreta pratica sociale.
• Funzionamento del partito.
Dobbiamo concretamente mettere mano al funzionamento del partito. Noi siamo
usciti da un lungo periodo in cui progressivamente si sono sedimentate aree
strutturate che sono diventate frazioni. Io penso che, anche in virtù
di questo siamo riusciti ad evitare lo scioglimento del PRC. Questa costruzione,
però, sta generando problemi: nei fatti, siamo una federazione di partiti.
Questo meccanismo che non fa selezionare i quadri sulla base della capacità
ma della fedeltà, blocca la capacità di espansione del partito.
Abbiamo la necessità di una profonda autoriforma della nostra vita
interna. Così come abbiamo la necessità di una profonda razionalizzazione
delle strutture del partito vista la scarsità di risorse finanziarie.
Voglio essere chiaro: va salvaguardato il principio del pluralismo e il fatto
di avere posizioni diverse è sacrosanto. Il problema è che nel
nostro funzionamento e nelle relazioni interne ci sono forme di sclerotizzazione
che ci impedisce l’apertura necessaria. Dobbiamo fare un salto di qualità
e propongo a tutto il gruppo dirigente di misurarsi con questo obiettivo:
il superamento del modo di funzionare che ci ha caratterizzato sin qui. E’
necessario un bagno di umiltà per tutti e dobbiamo dare l’esempio
dalla direzione nazionale.
Di questo dobbiamo discutere e per favorire questa discussione la segreteria
si presenta rimettendo il mandato al prossimo Cpn, cioè all’organismo
che ci ha eletto. Credo sia utile anche a rendere più libero e aperto
il dibattito. Dal punto di vista del percorso, dopo la discussione di oggi,
lavoreremo ad un documento che verrà proposto al Cpn e su quella base,
proponiamo di fare attivi in tutte le federazioni. In questo quadro, una ulteriore
riunione della direzione dopo il Cpn sarà necessaria perché
una proposta politica si coniuga a una soluzione organizzativa, anche perché
dobbiamo commisurarla concretamente dentro il quadro delle risorse ridotte
che abbiamo con un ridisegno complessivo dei dipartimenti.
Gli interventi:
Marco Veruggio
Dopo aver perso elezioni che per i nostri erano una prova d’appello
Ferrero a un problema politico dà una risposta burocratica. Dimissioni
finte e poi la fiducia al CPN per fare una nuova maggioranza. Dunque il problema
non è rispondere a una crisi che disorienta la nostra gente, ma aumentare
i propri numeri negli organismi. Nessun bilancio politico di quanto abbiamo
fatto in un anno né del rapporto con le altre forze della lista comunista
in campagna elettorale. Dunque la responsabilità non è nostra,
ma di Vendola. E poco importa che i voti nostri e suoi non siano sommabili
né elettoralmente (sennò l’arcobaleno avrebbe avuto l’11%)
né politicamente (abbiamo detto che loro guardano al PD e noi no: o
era uno scherzo?). Il successo di IDV e Lega evidenzia i nostri deficit. Partiti
di un ceto medio colpito dalla crisi, compattato nel nome della legalità
o della Padania, con un’identità e parole d’ordine chiare,
avanzano e riescono a radicarsi anche in fabbrica. Nel vuoto di rappresentanza
lasciato da una sinistra che dice di rappresentare tutti – lavoratori,
“ultimi”, ecologisti, giovani alternativi, società civile
– ma si rivela un (inefficiente) ufficio di collocamento per aspiranti
parlamentari e assessori, che chiedono di nazionalizzare le banche e intanto
sostengono giunte che chiudono gli ospedali. Qui e non altrove nasce la nostra
crisi, di cui la frammentazione è un effetto, non la causa. Infine,
il polo della sinistra d’alternativa, con l’unità dei comunisti
dentro, è l’adattamento della linea di Chianciano alla nuova
maggioranza Ferrero-Rocchi-Grassi. Una minestra riscaldata e diluita, che
di fatto chiude la stagione della svolta a sinistra e segna il destino del
PRC. Insomma la ricreazione è finita. E alla crisi della sinistra e
alla disoccupazione che avanza il PRC risponde col reimpasto di segreteria.
Alberto Burgio
La decisione della segreteria nazionale di rimettere il mandato rischia di
dare un segnale sbagliato, suggerendo che le responsabilità del risultato
elettorale del 6-7 giugno gravano prevalentemente sull’attuale gruppo
dirigente. Intanto, si tratta di un risultato insoddisfacente (poiché
non raggiungiamo il quorum del 4%) ma non di un risultato catastrofico come
quello dell’Arcobaleno. Inoltre, il 3,4% della lista comunista e anticapitalista
(più di quanto ottenuto dall’Arcobaleno) giunge in una situazione
ben più sfavorevole (dopo la disfatta del 2008; dopo la sciagurata
scissione a singhiozzo capeggiata da Vendola e sponsorizzata da Bertinotti;
mentre la crisi economica accresce il disagio sociale e rafforza la presa
egemonica della destra razzista; in un quadro di brutale censura della nostra
lista da parte di giornali e reti televisive). Detto questo, le maggiori responsabilità
di questo risultato insoddisfacente non coinvolgono certo le scelte (giuste)
assunte dall’attuale maggioranza del partito da Chianciano ad oggi,
bensì l’operato del vecchio gruppo dirigente che ha governato
in modo autoritario il Prc per diversi anni. Non bastano pochi mesi per recuperare
un’immagine decente dopo i tanti errori accumulati durante il governo
Prodi e nella campagna elettorale delle politiche del 2008, né per
riconquistare un minimo di credibilità dopo l’ennesima scissione
a sinistra, organizzata per distruggere Rifondazione comunista. Soprattutto,
non bastano pochi mesi per risanare un partito ridotto ai minimi termini,
disorganizzato, sradicato dai territori e da lungo tempo assente dai luoghi
di lavoro e dai conflitti. Al contrario di quel che dicono quanti istituiscono
impropri paralleli tra questo voto e la disfatta dell’anno scorso, bisogna
andare avanti nel lavoro appena intrapreso, impegnandosi con particolare determinazione
nella ricomposizione delle forze comuniste e anticapitaliste sia sul piano
nazionale che sul piano europeo.
Mauro Cimaschi
La battuta di arresto del bipartitismo e di Berlusconi, che si ferma al 35%
e fa evaporare il sogno di governare indisturbato con la Lega. Il successo
della Lega, che sposta l’asse delle coalizione di centro-destra sempre
più a destra aumentando nel contempo la conflittualità e le
contraddizioni nella coalizione. La crisi del Pd, nascosta dalla battuta di
arresto di Berlusconi alle elezioni europee, che ritorna in tutta la sua gravità
nel voto amministrativo. Infine, le due liste di sinistra che assieme raggiungono
il 6,5%, ma che lo sbarramento lascia fuori dal Parlamento. Questi sono i
nodi politici su cui concentrare la nostra analisi e la nostra iniziativa
politica.
Per la lista comunista anticapitalista non aver raggiunto l’obiettivo
simbolico del 4% non è un risultato positivo. Il risultato va rapportato
alla situazione di partenza e ai nodi politici irrisolti che ad essa sono
sottesi e che l’eventuale raggiungimento del 4% poteva eludere. La partenza
è il disastroso risultato della Sinistra l’Arcobaleno, che da
un potenziale elettorale del 12% precipita al 3,1%. Ma soprattutto è
la condizione politica in cui il nostro partito viene a trovarsi, dal congresso
di Venezia (il superamento dell’organizzazione e la balcanizzazione
del partito in correnti, e il conseguente sradicamento sociale), alla fallimentare
esperienza di governo (da cui ne usciamo come forza politica di cambiamento
scarsamente affidabile e credibile) all’ultimo congresso di Chianciano,
dove il tentativo di sciogliere il Prc viene bloccato ma al prezzo di una
lacerazione profonda e dell’ennesima scissione. E’ questo il contesto
da cui matura questo risultato elettorale. Questi pochi mesi post-Chianciano
non sono stati sufficienti (e non potevano esserlo) per risolvere le nostre
difficoltà strutturali: radicamento sociale, recupero di credibilità
e affidabilità politica, utilità politica e sociale… Per
questo si deve continuare con maggior decisione il percorso politico del coordinamento
dei soggetti componenti la lista e della costruzione di un soggetto unitario
che sappia aprirsi e interloquire con le altre forze politiche e sociali.
Il primo terreno di incontro deve essere l’iniziativa politica e le
questioni del lavoro.
Imma Barbarossa
Bisogna uscire dalla forbice disfattismo/rimozione. E’ una sconfitta
prima di tutto della democrazia,poi della sinistra e della sinistra di alternativa.Mi
pare che ci siano le premesse perché si profili un vero e proprio passaggio
civiltà,in senso contrario a quanto sta avvenendo in America Latina
e negli USA. Abbiamo salvato Rifondazione comunista,ora bisogna trasformarla.
Con un grande processo di apertura e di innovazione,mettendo in discussione
la forma partito e evitando la chiusura nella identità comunista vissuta
come conservazione. Aprire noi una riflessione sul Novecento e sul comunismo,tenendo
presenti i movimenti e le culture critiche che lo hanno attraversato,dal femminismo
alla nonviolenza all’ecologismo. Ripartire da una Conferenza di progetto
che rifletta anche sul lavoro inteso nei suoi nessi con i tempi di vita, né
in senso economicistico né in senso sociologico, ma in senso tutto
politico. Come pure la riflessione sul partito sociale secondo me va nel senso
dell’autosoggettivazione dei soggetti sociali. Insomma un vero e proprio
percorso che affronti le pratiche politiche e il carattere patriarcale delle
politiche e del nostro partito. Ci serve un partito a rete che non sia la
rappresentazione di un gruppo dirigente formato sul bilancino, ci serve una
comunicazione dal basso verso l’alto, che avvii una sinistra di alternativa
nella elaborazione e nelle pratiche, in cui noi siamo alla pari con movimenti,
comitati, associazioni.
Maria Campese
Durante la campagna elettorale ero fiduciosa sul raggiungimento dell’obiettivo
del 4%, perché ho trovato un clima indubbiamente migliore a quello
del 2008. I risultati sono stati purtroppo negativi, ma non tali da poter
essere paragonati col tracollo della Sinistra Arcobaleno, anzi, se sommiamo
le percentuali, registriamo un netto avanzamento nei consensi. Ora occorre
ragionare sull’obiettivo mancato e sulle cause che lo hanno determinato:
astensionismo, un partito smantellato nel corso degli ultimi anni, una credibilità
persa e da ricostruire, la sconfitta del 2008, il congresso così dilaniante,
la scissione, il poco tempo per costruire la lista. Tra le altre cose, occorre
dire con chiarezza ed onestà che non è stata ancora applicata
la linea che ci siamo dati al congresso di Chianciano. Occorre dire pure,
senza cercare giustificazioni, che abbiamo avuto poco tempo a disposizione
e che il terreno perduto non si recupera in fretta. A mio avviso ora è
necessario continuare, anzi cominciare, il lavoro politico, l’autoriforma
del Partito. E portare avanti e consolidare, con coraggio e determinazione,
il processo unitario a sinistra a partire dai soggetti della lista comunista
e anticapitalista. Credo non sia più il tempo del ripiegamento su noi
stessi. E’ certo importante riflettere, discutere, ma adesso è
anche fondamentale che questo diventi il tempo del lavoro, del radicamento
sociale del Partito. Un altro punto da approfondire riguarda le alleanze:
ritengo vada perseguita una linea politica che non sia né di minoritarismo,
né di subalternità. Le alleanze possibili vanno costruite a
partire dai contenuti, che non sono un semplice orpello. Per quanto riguarda
il nostro funzionamento interno chiedo a noi tutti di dismettere la pratica
delle doppie verità: il predicare bene e razzolare male. E’ questa
una pre-condizione per la ricostruzione di una nostra credibilità esterna.
Stefano Cristiano
Il nostro obiettivo era raggiungere il 4%. Non averlo raggiunto rappresenta
una sconfitta con 2 conseguenze a mio parere gravi: una di carattere economico,
l’altra relativa alla credibilità del partito e quindi alla sua
esistenza. Detto questo sarebbe sbagliato affermare che ci troviamo nella
condizione dello scorso anno. Dopo anni di smantellamento sistematico del
partito, dopo il fallimento dell’esperienza di governo, dopo la tragedia
dell’arcobaleno che ha prodotto la nostra cancellazione dal parlamento,
dopo un congresso lacerante, dopo una scissione pesantissima e a puntate,
aver preso gli stessi voti dello scorso anno senza verdi, SD e vendoliani
in un quadro nel quale c’è stato un calo del 14% dei votanti,
è un dato da valorizzare, e una base da cui ripartire. Questo noi lo
dobbiamo dire anche perché è nostro dovere rimotivare un partito
e militanti che altrimenti rischiano l’implosione. Per queste ragioni
considero le dimissioni della segreteria un errore che potrebbe essere frainteso.
Sulla proposta politica sono completamente d’accordo col segretario:
proseguire sulla strada del consolidamento ed estensione della lista comunista
e anticapitalista a partire dal varo dei coordinamenti delle forze che le
hanno dato vita, e aprire noi un’offensiva unitaria rivolta a tutte
le forze della sinistra costruita non su formule politiciste (cantieri o costituenti)
ma sui contenuti dell’alternativa. Falce e martello rappresentano una
precondizione necessaria ma non sufficiente, il nostro simbolo deve alludere
ad una politica, ad un intervento e ad una pratica sociali che siano vissuti
concretamente nel parere come un’alternativa politica e sociale. Per
riuscire in questa difficilissima impresa l’autoriforma del partito,
indispensabile anche raggiungendo il 4%, e la coesione del gruppo dirigente
sono fondamentali. Riavvitarci oggi in dinamiche pseudo congressuali sarebbe
la fine.
Claudio Bellotti
Dobbiamo riconoscere con chiarezza che il gruppo dirigente nazionale che abbiamo
costruito questo autunno non è in grado di rispondere alle esigenze
messe a nudo dalla sconfitta elettorale. Non si tratta solo della segreteria
che rimette il mandato, dobbiamo avere il coraggio di smontare un assetto
elefantiaco, che più che un gruppo dirigente per un partito che deve
condurre una lunga lotta controcorrente sembra un governo infarcito di ministeri
e sottosegretari. 49 dipartimenti in larga misura inefficaci, nessuna verifica
del lavoro svolto, una concezione deteriore della funzione dirigente, convegni
invece di lavoro metodico, frasi fatte invece che studio serio dei problemi…
magari proprio da parte ci chi fa della demagogia parlando contro le nostre
componenti intenre. Tutto questo mortifica il lavoro dei compagni e impedisce
di raccogliere il molto di buono che viene fatto. La dissociazione fra parole
e fatti, tra il vertice e il corpo militante, è abissale: come si fa
a parlare del fatto che non raccogliamo il voto operaio al nord quando non
abbiamo neppure in Direzione un responsabile lavoro? Il voto a sinistra esiste
ed è anche aumentato, tuttavia si tratta di un campo che rimane diviso
per un motivo politico di fondo. Il Pd capisce almeno in parte che non può
semplicemente pensare di fagocitare questi voti e che ha bisogno di uno strumento
per agire in questo campo: questo strumento è Sinistra e Libertà,
per cui la divisione su questo punto cruciale rimane e rimarrà in futuro.
Se si intende mettere seriamente mano a questi problemi, bene. In caso contrario,
dico subito che non sono disposto a diventare parte del problema.
Mimmo Caporusso
Queste ultime elezioni dimostrano come la tendenza al bipartitismo stenti
a prodursi. Il bipolarismo, al contrario, continua ad esistere: vengono infatti
premiati i partiti che inseriscono all’interno delle due coalizioni.
L’ Italia dei Valori raddoppia il suo risultato rispetto alle ultime
europee, la Lega raggiunge il suo massimo storico attestandosi attorno al
10%. Ritengo che il dato che riguarda la nostra lista non sia un risultato
positivo. Innanzitutto perché non ci ha consentito di raggiungere la
soglia di sbarramento, che era l’obiettivo che ci eravamo prefissati;
in secondo luogo perché rispetto alle ultime elezioni europee perdiamo
i 2/3 dei voti. Mentre nelle regioni del sud si registra una tenuta in termini
di voti nonostante la pesante scissione che ci ha colpito, al nord il risultato
elettorale è decisamente insoddisfacente. Questo è sintomatico
dello stato del partito al nord su quale credo ci debba essere un’indagine
approfondita per comprenderne le cause e trovare delle soluzioni. Per quanto
riguarda le elezioni amministrative, il dato è ancora più deludente,
determinando di fatto una consistente riduzione della rappresentanza istituzionale
del nostro partito. Dobbiamo ragionare attentamente sulle cause nostro risultato:
abbiamo sicuramente subito un danno dall’alto tasso di astensione e
dalla competizione con Sinistra e Libertà. inoltre scontiamo ancora
le conseguenze di scelte sbagliate che hanno determinato un deficit di credibilità
del nostro partito. La strada è dura, ma dobbiamo evitare lo scoramento
e cercare di riguadagnare la credibilità con i nostri ceti sociali
di riferimento. Condivido le proposte politiche avanzate dal segretario. In
particolare le proposte sulla questione sociale e sulla realizzazione un programma
unitario a sinistra, a partire dalle forze della nostra lista. Sarebbe insensato
dividerci dopo questo risultato. Ritengo sia necessario consolidare la lista
comunista e anticapitalista, dando vita ad un coordinamento delle tre forze
politiche (Prc – Pdci – Socialismo 2000). Sulla riorganizzazione
interna: dobbiamo ripartire dalla conferenza di Carrara, per un‘autoriforma
del partito.
Erminia Emprin
Condivido l'analisi e la proposta del segretario. Occorre buttare il cuore
oltre l'ostacolo e sostanziare il progetto politico di riaggregazione a sinistra
a partire e intorno alla lista anticapitalista. Non si tratta di eludere o
sottovalutare la sconfitta elettorale, ma di perseguire coerentemente il nostro
progetto politico, ripensando le forme organizzative e le relazioni di gruppo
dirigente per dare corpo, sostanza e valore alle pratiche e al lavoro sociale
avviato da tante compagne e compagni. In politica si scontano sconfitte, arretramenti
e passi indietro, che richiedono capacità di scarto e di spostamento.
Si tratta di riconettersi nelle pratiche con i processi di soggettivizzazione
critica con cui lavoratrici e lavoratori stanno rispondendo alla crisi. Sono
state richiamate altre esperienze, altrettanto siginificative. Ma basta guardare
ai risultati dell'inchiesta sul lavoro sociale che ha impegnato tante compagne
e compagni insieme a una vasta espressione critica del Terzo settore, basta
visitare i siti e i blog "operai sociali" che stanno nascendo spontaneamente,
per cogliere la connessione tra coscienza di classe e necessità di
organizzarsi su un progetto di trasformazione sociale da cui sono attraversati.
A partire dall'obbiettivo di riappropriarsi delle loro vite. E proprio questo
l'elemento da cogliere: parlano delle vite concrete e del complesso della
loro esistenza e di quella di amici e compagne/i; non sanno nemmeno cosa sia
l'astratta separazione tra diritti sociali e diritti di libertà. Come
la compagna che venne, subito dopo il matrimonio, a firmare in abito da sposa
la proposta di istituzione del registro delle unioni civili a Lucca, qualche
anno fa, Di questa cultura politica antagonista frantumata ma non dissolta
dobbiamo saperci fare strumento. Questo esige un salto di qualità,
la connessione tra la teoria e le pratiche, capacità di relazione e
di ascolto, di riconoscimento e di reciprocità, in primo luogo tra
di noi. Questa è anche la lezione attualissima del femminismo.
Salvatore Bonadonna
Si potrebbe dire che la scelta fatta a Chianciano dalla maggioranza ha portato
ad un risultato negativo e che la presunzione e l’arroganza di chi ha
fatto la scissione ha prodotto un danno a noi oltre che a loro stessi. Il
quadro generale illustrato da Ferrero, decisamente spostato a destra, ci dice,
però, che se non si costruisce una sinistra nuova, unita e plurale,
che va oltre la lista comunista e anticapitalista, si resta in un ruolo di
testimonianza isolata dalle realtà sociali degli uomini e delle donne
che abbiamo l’ambizione di rappresentare. La definizione comunista o
anticapitalista, evidentemente, non parla agli operai e ai lavoratori dipendenti,
e agli stessi precari, se nel Nord il risultato è così negativo;
rimane una etichetta che rischia di essere escludente. Certo c’è
di mezzo la qualità e il lavoro del partito e anche la debolezza delle
liste, la corsa ad accaparrarsi preferenze tra candidati delle diverse “aree”
e non a raccogliere voti nella società grande. E’ mancata la
rete delle relazioni con i mondi del lavoro e della produzione che caratterizza
qualunque forza voglia cambiare la società. Bene l’indicazione
di quattro filoni di lavoro e il rimettere il mandato del Segretario e della
Segreteria; il punto è se si prende atto che il Congresso di Chianciano
appartiene ad una realtà sociale, economica e politica, che non c’è
più e, quindi, va elaborata una nuova analisi adeguata ed una nuova
strategia. Francamente, una sorta di “ rinnovamento nella continuità”
che veda un po’ di stretta organizzativa e un rimpasto della Segreteria
mi parrebbe assolutamente inadeguato; una vera ridiscussione e ridislocazione
strategica potrebbe, invece, meritare il superamento delle vere e proprie
correnti che si sono consolidate. Attenzione, come nel ’29 si profila
una uscita dalla crisi che in America assume la forma progressista e in Europa
quella regressiva, autoritaria e razzista; la sinistra ha il dovere di uscire
dalla coazione a ripetere gli errori del secolo scorso.
Giusto Catania
Il risultato elettorale consegna un’Europa più a destra, la crisi
ha rafforzato partiti conservatori, liberali e nazionalisti, spesso impregnati
di cultura xenofoba e razzista. I socialdemocratici subiscono una sconfitta
storica e anche la sinistra esce indebolita, infatti il nostro gruppo europeo
(GUE/NGL) ha otto deputati in meno, malgrado alcuni segnali positivi che giungono
da Portogallo, Francia e, in parte, Germania. In Italia si rafforza il bipolarismo
e si conferma la tendenza alla spettacolarizzazione della politica, infatti
tra i più votati in tutte le liste troviamo volti noti della tv. Il
nostro risultato è deludente. Ci sono tre motivi che spiegano il nostro
fallimento.
1) Una proposta politica debole, troppo caratterizzata dall’unità
dei comunisti: non è un caso che i più votati in tutte le circoscrizioni
sono esponenti del PDCI.
2) Qualcuno forse pensava di avere già il 4% e abbiamo fatto liste
debolissime, senza una reale rappresentanza dei territori e dei luoghi di
lavoro.
3) La campagna elettorale è stata organizzata per correnti senza che
nessuno si preoccupasse di seguire le indicazioni della Direzione nazionale.
Questa nostra divisione è la seconda ragione che spiega l’affermazione
dei candidati del PDCI.
In realtà, questa pratica è stata avallata da autorevoli esponenti
della segretaria nazionale, propensi a pratiche di doppiezza o di doppiogiochismo,
i quali invece di fare campagna elettorale si sono concentrati a procacciare
preferenze ai candidati della loro corrente, infischiandosene delle indicazioni
votate, all’unanimità, dalla Direzione nazionale. Se dobbiamo
ripensare all’autoriforma del partito, come propone Ferrero, bisognerebbe
cominciare dallo scioglimento delle correnti, così in futuro eviteremo
anche i finanziamenti ai candidati delle correnti che si permettono di ristampare
il materiale elettorale eliminando i nomi dei candidati indicati dalla Direzione
nazionale. Occorre uno slancio nuovo per evitare che prevalga la disaffezione
tra i nostri compagni, che hanno fatto generosamente la campagna elettorale.
Propongo di organizzare, subito, un’assemblea di tutte le forze politiche
e sociali della sinistra per ragionare di uno sbocco politico per il futuro
e per ricostruire la speranza in questo Paese.
Roberta Fantozzi
Non possiamo ogni volta dirci che la dimensione Europea è decisiva
e poi concentrare la nostra attenzione solo sulle vicende interne. Le politiche
neoliberiste e la subalternità delle formazioni che fanno riferimento
al Partito Socialista Europeo a quell’impianto hanno fatto vincere quasi
ovunque nei singoli paesi, le destre. La crisi esito di quelle politiche,
fa avanzare le formazioni della destra radicale, nazionalista e xenofoba.
E’ squadernato il fallimento strategico del liberismo temperato. E’
un punto di analisi fondativo della nostra proposta politica, che da tempo
avanziamo, ma che dovremmo cercare di far diventare una “bandiera piantata
nella testa della gente”. L’autonomia dal PD non ha a che vedere
dunque con antropologie “settarie”, ma è fondata su una
lettura di processi mai come oggi così evidenti. Va promossa da subito
una mobilitazione continentale della Sinistra Europea e del Gue (i cui risultati
sono di buona tenuta) contro gli scenari che si prefigurano: con la commissione
europea che per bocca di Almunia, membro del partito socialista, rilancia
il patto di stabilità come base delle finanziarie 2010 degli stati
membri. Dati i livelli di deficit che si sono determinati per la crisi, questo
significa la distruzione del welfare su scala continentale.
Il nostro risultato è negativo e va detto con chiarezza. Anche se quel
risultato va collocato nel contesto: processi di sradicamento sociale che
sono andati avanti per anni, e nel passato recente una rappresentazione di
noi, dal Congresso alla vicenda di Liberazione, alla scissione, che ha puntato
alla distruzione del nostro patrimonio simbolico. In questo quadro aver raccolto
in termini assoluti i consensi della Sinistra Arcobaleno, ci consegna un quadro
in cui ripartire è assolutamente possibile. Per questo i 4 piani proposti
dal segretario devono marciare tutti assieme: il partito sociale cioè
il passaggio difficile ma ineludibile dalla propaganda all’organizzazione
del conflitto e del legame sociale; la ricerca neo-identitaria sul comunismo
non come nostalgia ma come riattualizzazione di un pensiero e di una prassi
di trasformazione e liberazione; la costruzione di un polo della sinistra
comunista e di alternativa; lo sblocco delle cristallizzazioni di frazione
che è tutt’altra cosa dalla messa in discussione di un pluralismo
interno fondativo della nostra idea di partito.
Rino Malinconico
Concordo pienamente con Ferrero sull’analisi del voto. Sottolineo che
il dato decisivo riguarda proprio il nostro progetto: la costruzione di una
forza politica anticapitalista e comunista, che deve fare i conti con l’attuale
condizione di marginalità politica. La traversata del deserto, o della
palude nella quale siamo immersi, non è affatto giunta alle fasi finali.
Come dovremmo attrezzarci noi comunisti? Io penso che dobbiamo lavorare anzitutto
sulla nostra cultura e sulle nostre idee, recuperando, dal marxismo e dall'insieme
delle teorie della liberazione, tutto ciò che ci parla di una prospettiva
di nuova umanità oltre che di nuova società. In secondo luogo,
dobbiamo realmente costruire un rapporto vivo col conflitto e con l'insieme
dell'autorganizzazione sociale. La possibile utilità sociale dei comunisti
risiede proprio nel fatto che essi si impegnino costantemente nelle “buone
battaglie”: nelle vertenze di lavoro, nelle rivendicazioni democratiche
delle comunità, nei comitati che intendano far valere i diritti, nelle
strutture di mutualità sociale... Questo vuol dire concepire il partito
(il nostro o la futura casa comune dei comunisti) come un qualcosa di non
separato dalla società, come un insieme di persone capace di accogliere
e partecipare, che concorrono a dar vita a realtà associative e ne
facilitano l'azione. Infine io credo che come Prc, e come comunisti in genere,
dobbiamo lanciare la proposta di un fronte di opposizione alle destre e alle
politiche di destra, un fronte che faccia del lavoro, dei diritti e delle
solidarietà l'ossatura di proposte concrete, capaci di indicare, già
in questa crisi, un primo percorso di trasformazione sociale. Penso che una
tale linea vada declinata in modo aperto, andando a vedere anche le carte
degli altri: di Sinistra e Libertà ma anche di Di Pietro e del Partito
Democratico. Penso inoltre che la questione delle possibili convergenze per
le prossime regionali vada articolata meglio: si può arrivare ad alleanze
organiche di alternativa se, per l’appunto, ci sono contenuti alternativi.
Altrimenti andrebbe praticata una logica di desistenza verso PD e IdV, con
apparentamenti solo tecnici, in modo da non regalare nulla a Berlusconi, ma
senza solidarietà di gestione.
Armando Petrini
Il voto evidenzia un tema principale. La necessità per noi di proseguire
nella costruzione di un profilo politico chiaro e credibile, in grado di parlare
all’elettorato della sinistra di alternativa, i cui voti non solo non
diminuiscono ma complessivamente quasi raddoppiano. Per farlo è necessario
un lavoro di lunga lena. Abbiamo di fronte infatti due problemi. Un primo
per così dire oggettivo: la difficoltà, qui e ora, di presentare
un progetto di radicale trasformazione della società (la difficoltà
cioè di essere comunisti). Un secondo, soggettivo: il dover fare i
conti con anni di smantellamento del partito (delle sue strutture organizzative
e delle sue fondamenta culturali) dall’interno del partito stesso.
Per quanto difficile, questo lavoro deve partire oggi da un segnale di unità
nella chiarezza politica. Unità, nel senso che dobbiamo farci promotori
verso l’esterno di un progetto di progressiva aggregazione della sinistra
di alternativa. Chiarezza, nel senso che questo percorso deve muovere dalla
lista per le europee e dal suo progetto politico. In questo senso la proposta
del segretario nazionale di farci promotori di un progetto unitario a sinistra
è del tutto condivisibile. C’è poi da fare una riflessione
specifica sul risultato elettorale del nord-ovest. Il Piemonte raggiunge alle
Europee un 3,3 che, per quanto sopra la media del collegio nord ovest (3%),
indica una evidente difficoltà. Come ha suggerito Ferrero nella sua
relazione i motivi vanno ricercati sia nella difficoltà del partito
di agire davvero all’interno della crisi, sia nel tempo limitato che
il partito ha avuto, dal congresso a oggi, per invertire dinamiche e percorsi
precedenti. Aggiungerei due questioni: innanzi tutto lo stato di salute generale
del partito, delle sue strutture e della sua militanza (basti segnalare che
in Piemonte, su 8 federazioni, 4 sono tuttora senza segretario). In secondo
luogo alcuni errori commessi: penso al risultato estremamente negativo della
provincia di Torino (1,8%), dove la scelta di non procedere a una lista comune
con il PDCI ha per un verso impedito di eleggere un consigliere provinciale
e per un altro portato il PDCI a ottenere un risultato migliore del PRC (1,9%).
Entrambe le cose si potevano evitare con un percorso unitario.
Loredana Fraleone
Penso che andrebbe approfondita l’analisi del voto, accennata nella
relazione introduttiva, rispetto a quelle che ormai sono da considerare tre
Italie: Nord, Centro e Sud. E’ vero che al Nord la crisi morde di più,
ma mentre la Lega utilizza radicamento ed insediamento per offrire una risposta,
se pur di destra, noi ne siamo fortemente deficitari. Sono d’accordo
con tutti gli interventi, in particolare quello di Bruno Steri, che distinguono
tra il risultato della Sinistra Arcobaleno alle elezioni politiche e quello
che abbiamo conseguito alle europee. Non solo, com’è stato detto,
avendone subite, da allora, di tutti i colori, ma anche perché già
da prima del congresso siamo rimasti a lungo ripiegati su noi stessi ed abbiamo
avviato con molto ritardo la stessa campagna elettorale, durante la quale
invece abbiamo potuto verificare che esiste una domanda sociale forte sui
nodi della crisi e nuove disponibilità nei nostri confronti per affrontarli.
Si tratta perciò di dare seguito alle iniziative intraprese, intrecciandole
con la costruzione del partito sociale. Sono anche d’accordo con avviare
noi un’offensiva unitaria, che contemporaneamente al consolidamento
del coordinamento con le forze della lista elettorale si rivolga anche alle
altre della sinistra anticapitalista. La lista di Sinistra e Libertà
ha ottenuto un risultato a livello d’opinione, in questo e nella sua
composizione risiede la sua fragilità, che può rendere disponibili
soggetti che l’hanno sostenuta. Oltre all’unità verso altre
forze della sinistra anticapitalista, abbiamo bisogno anche di grande unità
al nostro interno, per questo è indispensabile il superamento delle
correnti, come ha detto Paolo nella relazione, condizione per avviare pratiche
politiche efficaci e formazione dei gruppi dirigenti sulla base della qualità
e non dell’appartenenza. Contrariamente a Masella penso che si debba
avviare da subito l’iniziativa sulle prossime elezioni regionali, rispetto
alle quali dobbiamo elaborare, territorio per territorio, progetti forti,
intendendo per progetto la capacità d’intrecciare movimenti e
conflitto con il livello istituzionale, smarcandoci così sia da alleanze
in posizione subalterna che dall’isolamento politico.
Ramon Mantovani
La battaglia per la nostra esistenza non è vinta. Siamo a metà
del cammino. O meglio, siamo in mezzo al guado. In questo momento bisogna
avere il coraggio di affrontare di petto due questioni. 1) E’ l’anticapitalismo
la chiave per rilanciare il partito riconvertendolo letteralmente al lavoro
sociale, per unire in un polo tutto ciò che socialmente e politicamente
si colloca dentro i confini di questa discriminante, e per costruire un percorso
di unità di tutte e 4 le forze politiche che si richiamano al comunismo.
2) Siamo d’accordo sull’autonomia dal PD? Spero di si ma io parlerei
di indipendenza. E soprattutto bisogna avere la coscienza che dobbiamo considerarci
antagonisti rispetto al bipolarismo e al sistema politico elettorale. La totale
impermeabilità delle istituzioni al conflitto sociale e ad ogni progetto
generale di trasformazione della società è sotto gli occhi di
tutti. Ma non è un incidente. E’ strettamente connesso all’americanizzazione
della società e del senso comune prodotto dalla ristrutturazione capitalistica.
Continuare a coltivare l’illusione che i problemi si risolvano con la
collocazione nel sistema, sia in alleanze sempre più prive di contenuti
sia in opposizione parolaia sarebbe un vero suicidio.
Fosco Giannini
1) Occorre cogliere il nesso tra l’espansione delle forze reazionarie
dell’Ue e la natura – neoimperialista – di essa, in modo
che cada l’illusione che l’euroatlantismo e il liberismo dell’Ue
possano essere emendati. Contro di essi serve il conflitto e la costruzione
sovranazionale del movimento comunista, anticapitalista e sindacale di classe.
2) La socialdemocrazia vive una crisi di natura storica che trova le basi
nella negazione da parte del capitale della redistribuzione del reddito. 3)
Siamo di fronte ad un avanzamento dei partiti comunisti e delle forze della
sinistra anticapitalista europea ( comunisti ceco-moravi, greci, portoghesi,
ciprioti, francesi; Die Linke, Synaspismos, Blocco portoghese, Npa francese)
e ciò vuol dire che – di fronte alla incapacità della
socialdemocrazia di rispondere all’attacco del capitale - è come
non mai il tempo dei comunisti e delle forze anticapitaliste, che debbono
trovare, attraverso la loro reciproca autonomia, una unità d’azione.
Non è il tempo, invece, degli alambicchi bertinottiani volti alla costruzione
di partiti di sinistra improbabili dati dalla cancellazione comunista e dalla
mortificazione della sinistra entro spazi non propri, come dimostra l’eclisse
dell’Izquierda Unida spagnola. Sul voto alla nostra Lista: certo non
si può parlare di vittoria, ma di ripresa si: essa supera da sola il
consenso ( in termini assoluti e in percentuale) delle molteplici forze dell’Arcobaleno
e lo fa di fronte a infiniti ostacoli: la scissione scellerata e filo PD dei
vendoliani; il peso della sconfitta storica dell’Arcobaleno, la cancellazione
dei media ( sorte che non era toccata né a Bertinotti né, oggi,
a Vendola), le titubanze di alcune aree del Prc nel lanciarla e sostenerla
e la fragilità organizzativa del nostro Partito, eredità dello
sfascio bertinottiano. Che fare, ora? Occorre ricostruire una sinistra anticapitalista
per l’opposizione che abbia come cuore un Partito comunista - più
forte, radicato e di lotta - dei due piccoli partiti attuali. Si pone dunque,in
modo ormai ineludibile, la questione dell’unità dei comunisti.
Leonardo Masella
Il risultato elettorale non è neanche lontanamente paragonabile alla
catastrofe della Sinistra Arcobaleno di un anno fa. Oggi le forze di sinistra
nel loro insieme raggiungono il 7% e la sola lista comunista unitaria supera
il risultato che prese l’Arcobaleno. Il quorum non viene raggiunto,
e quindi non verrà eletto nessun parlamentare, ma questo è il
prodotto diretto della scissione vendoliana, della irresponsabile teorizzazione
bertinottiana del “tanto peggio tanto meglio”. Ora per favore,
basta parlare di elezioni! E’ necessario rilanciare l’unità
della lista comunista e anticapitalistica, trasformandola in una struttura
permanente di iniziativa, non nella autoreferenzialità politicista
o ideologica, ma nella utilità concreta per una mobilitazione politica
e sociale più ampia, contro Berlusconi e la crisi economica capitalistica.
Sarebbe sì importante fare assieme le prossime imminenti feste o avviare
un processo di unificazione organizzativa. Ma non è sufficiente. E’
essenziale costruire qualche lotta comune, anche qualche sperimentazione comune
di radicamento sociale, di nuove strutture organizzate (fra i lavoratori,
i precari, gli studenti, gli immigrati), in cui i comunisti escono dalle loro
sedi, dalle dinamiche elettorali, istituzionali o puramente ideologiche e
interne, per rilanciare il loro ruolo (la loro utilità) di parte avanzata
del conflitto sociale. In questo, il ruolo dei comunisti per la costruzione
di un sindacalismo unitario di classe (fuori e dentro la Cgil) è fondamentale.
Serve una svolta radicale, una vera e propria nuova rifondazione di un partito
comunista, in cui tutte le strutture siano ripensate, rivoluzionate, ricostruite
sulla base della esigenza di costruzione del conflitto e del radicamento sociale.
Questa è la condizione basilare per la costruzione di un nuovo partito
comunista (di fatto oltre che di nome), perno di una sinistra più ampia
e unita, in grado di costruire una vera resistenza e opposizione per liberare
l’Italia dal regime reazionario e padronale di Berlusconi e del berlusconismo.
Alessandro Giardiello
Il risultato europeo registra il tracollo delle socialdemocrazie, l’avanzata
delle destre, ma anche un risultato non disprezzabile per le forze della sinistra
alternativa (con l’eccezione di Italia e Spagna). Il nostro risultato
è negativo, anche se c’è una ripresa rispetto alle politiche.
Ma il ricordo del governo Prodi è ancora vicino. Nella crisi non siamo
stati in grado di offrire risposte adeguate. Ferrero lamenta la scarsa capacità
del partito di intervenire nei luoghi di lavoro, un problema reale ma la cui
responsabilità ricade in primo luogo sul gruppo dirigente nazionale.
In una precedente direzione registrando i limiti del nostro apparato il segretario
aveva accolto la proposta di dare vita ad un gruppo di intervento operaio.
Questa proposta è poi sparita dal dispositivo finale ed è stata
insabbiata e non certo dallo spirito santo. La Conferenza dei lavoratori comunisti,
decisa a Chianciano è andata di rinvio in rinvio. C’è
una distanza abissale tra ciò che si dice e ciò che si fa. Prevale
la propaganda sterile, la trovata dell’ultimo minuto, lo slogan ad effetto
piuttosto che l’analisi, lo studio approfondito dei problemi e l’intervento
sistematico nel conflitto e nella crisi. La vicenda delle candidature operaie
è emblematica. In questa riunione ci viene fatto un volgare attacco
da parte dei compagni della seconda mozione, la nostra colpa è aver
organizzato seriamente la campagna elettorale di Mimmo Loffredo, operaio della
Fiat di Pomigliano come strumento per rilanciare il nostro radicamento sociale!
Il segretario è sempre più connivente con questo settore istituzionale
e fa una proposta sull’unità a sinistra che ricorda molto le
discussioni che ci hanno portato al disastro del 14 aprile. Chianciano è
un ricordo sbiadito. Sta ai militanti che più hanno creduto in quella
svolta battersi per evitare che la sconfitta elettorale si trasformi in un
ritorno al passato.
Gianluigi Pegolo
Il risultato delle elezioni europee è negativo perché non consente
di raggiungere il 4 %, ma soprattutto perché indica che la nostra proposta
non è capace di una spinta propulsiva. In poche parole, la sola riproposizione
del simbolo dei comunisti e l’alleanza PRC-PDCI non sono sufficienti.
Il fatto è che una proposta comunista capace di aggregare un esteso
elettorato potenziale richiede non solo riferimenti simbolici ma contenuti
e pratiche adeguate. Per l’appunto quella “rifondazione”
che abbiamo sempre declamato ma raramente praticato. Questa constatazione
ci impone di non disperdere il patrimonio accumulato ma, al tempo stesso,
di allargare il rapporto con altri soggetti, pena il rischio di una emarginazione
politica e sociale. Per questo la proposta del polo anticapitalista, comunista
e di sinistra radicale va bene, ma a condizione che non si ricaschi nelle
scorciatoie organizzativistiche e politiciste. E che anticapitalismo e autonomia
dal PD restino discriminanti fondamentali. Occorre, tuttavia, capirsi sul
significato dell’autonomia dal PD. Anche in questo caso non c’è
vera autonomia se non c’è chiarezza sui contenuti. Non mi ha
mai convinto un approccio alle relazioni politiche tutto incentrato sulle
formule, tipo accordi sì o accordi no. Così non si viene capiti.
Lo stesso risultato amministrativo analogo a quello europeo ci dice che essenziale
è il radicamento reale, contenuti percepiti come rilevanti e solo dopo
le modalità delle alleanze. A tale proposito le scelte compiute non
sempre sono state adeguate anche perché spesso le alleanze sono state
concepite in termini aprioristici, sia da parte di chi sosteneva l’accordo
a tutti i costi col PD che da parte di chi sosteneva la tesi opposta. Infine,
occorre prendere atto che la vita interna del partito non va bene. La logica
delle componenti ha superato i limiti di accettabilità finendo per
compromettere il risultato complessivo del partito. Beninteso, sono convinto
che un partito plurale sia una ricchezza, che sensibilità e tendenze
debbano potersi esprimere, ma a condizione che ciò non pregiudichi
l’attività del partito e la sua efficacia.
Claudio Grassi
In Europa per la sinistra alternativa e comunista non c’è un
trend negativo. Lo dicono i risultati positivi della Germania, Francia, Portogallo,
Grecia, Cipro e Repubblica Ceca. Ciò significa che le difficoltà
della sinistra in Italia non sono di fase, ma dettate da nostre vicende contingenti.
C’è lo spazio per ridare credibilità al nostro progetto
e per ritrovare consenso elettorale anche in Italia. Il dato politico di queste
elezioni è che Berlusconi non sfonda. Si aprono quindi crepe in un
edificio che sembrava incrollabile. Il Pd perde il 7% dei voti e crolla nelle
amministrative. Chi vince? Vincono i due partiti minori che stanno nelle coalizioni:
Lega Nord e Di Pietro. C’è un voto estremo che non va sulle estreme.
Non è dunque la fine del bipolarismo, che fa anzi un passo avanti.
Semmai è uno stop al bipartitismo. In questo contesto, il nostro voto
non è positivo. E' quindi doveroso che il gruppo dirigente rimetta
il mandato. Non mi pare però un risultato paragonabile al tracollo
della Sinistra Arcobaleno. Lo scorso anno, tutti insieme, abbiamo preso il
3,1%. Oggi, dopo un travagliato congresso ed una scissione la lista comunista
è al 3,4% e Sinistra e Libertà il 3,1. Un dato quindi che ci
consente di rimetterci in carreggiata, di continuare a lavorare e di ricostruire.
Il gruppo dirigente deve dare subito un segno di unità al partito.
Vanno evitate azioni che alludano alla riapertura di uno scontro congressuale.
Sarebbe lo sfascio di quel poco che con tanta fatica stiamo cercando di ricostruire.
E occorre dare anche un segno di unità della lista comunista e anticapitalista.
Va consolidata l'unità di queste forze costituendo subito i coordinamenti
nei territori. Assieme a questo occorre avanzare subito una proposta di unità
d'azione a tutte le altre forze a sinistra del Pd che hanno raccolto il 7%
dei consensi: un patrimonio significativo che è importante inizi a
sviluppare iniziativa politica e sociale se non vuole disperdersi.
Bruno Steri
L’esito di queste elezioni non è soddisfacente, per l’ovvia
constatazione che esso non corrisponde all’obiettivo che ci eravamo
posti. Ma è bene fare una precisazione: sarebbe ingeneroso nonché
del tutto infondato accostare questo risultato alla storica sconfitta rimediata
dalla Sinistra Arcobaleno. Tutto il nostro partito si è dannato l’anima
in questi pochi mesi per rivitalizzare un organismo tramortito da anni di
sistematico smantellamento. Il voto dell’Arcobaleno ha coronato un processo
involutivo in cui è stato sciaguratamente messo in liquidazione il
patrimonio politico e ideale di Rifondazione Comunista. Siamo tornati per
le strade a fare politica, nonostante una vergognosa censura che ha mirato
ad oscurare in particolare la nostra presenza e nonostante gli attentati istituzionali
appositamente organizzati per farci fuori. Stante una tale base di partenza,
possiamo dire che il nostro risultato elettorale senz’altro non è
positivo, ma neanche così drammatico. Queste elezioni confermano purtroppo
che la tendenza generale, in Europa, è di segno regressivo. Il dato
elettorale premia uniformemente le formazioni di centro-destra, che siano
o no al governo, configurando un’adesione a valori e proposte che sostengono
un’uscita a destra dalla crisi. Il tracollo altrettanto omogeneo dei
partiti socialisti non è altro che il rovescio di questa stessa medaglia.
Non è così per le liste presentatesi alla loro sinistra, che
in più di un Paese fanno registrare dei buoni risultati. Quanto a noi,
ritengo che - nella percezione diffusa di larga parte del nostro potenziale
elettorato - siamo ancora figli di una parabola discendente, con il corredo
di colpi e contraccolpi che ha caratterizzato gli ultimi mesi della nostra
tormentata esistenza politica. Siamo ancora l’effetto disastrato del
recente passato e non ancora una presenza salda e rinnovata per il futuro.
Dobbiamo ora rilanciare l’iniziativa politica del partito e rinvigorire
il processo di costruzione dell’unità delle forze comuniste e
anticapitaliste e, più in generale, della sinistra di alternativa:
un processo che, oggi come ieri, assumiamo come compito prioritario, per contrastare
la deriva di destra del nostro Paese.
Rosa Rinaldi
Ho ritenuto sbagliata la ricerca del capro espiatorio all’indomani della
sconfitta dell’Arcobaleno, la riterrei altrettanto sbagliata oggi; tuttavia
penso che la scelta di rimettere il mandato da parte della segreteria sia
un atto doveroso di assunzione di responsabilità, che dovrà
tracciare una discontinuità politica e progettuale. Ho condiviso la
scelta di ripartire dal simbolo di rifondazione, tuttavia anche questa scelta
si è dimostrata insufficiente, hanno pesato e pesano le rotture a sinistra,
e pur ritenendo la scissione un atto grave e lesivo della possibilità
di un cartello unitario, ritengo che non assolva neppure noi che abbiamo subito
la scissione ma non siamo stati capaci di impedirla. La nostra gente non sopporta
più le divisioni, e non distingue tra chi le pratica e chi le subisce,
per questo credo che a partire dal prossimo CPN, si debba segnare una discontinuità
politica e progettuale e che sia necessaria la ricostruzione di un polo della
sinistra a 360° che attraversi 15 anni di diaspore. Con chi? Con tutti
quelli che ci stanno! La frammentazione sociale non può ridursi a mera
descrizione; il mondo del lavoro è senza rappresentanza politica, CGIl
e FIOM rischiano una deriva di isolamento e marginalizzazione, sta anche a
noi la responsabilità della ricomposizione sociale e politica del mondo
del lavoro; la crisi morde sulle condizioni di vita di milioni di persone,
abbiamo l’urgenza di approntare proposte che attraversino la crisi e
ne traccino soluzioni d’uscita, rimettendo a tema il sistema di produzione
e la sua riconversione fondata sull’innovazione, la ricerca e le energie
rinnovabili. A questo fine è necessario uscire dall’autosufficienza,
da soli non ce la facciamo! Chiediamo agli economisti, agli intellettuali
di aiutarci a definire un piano di uscita dalla crisi, e per la ricomposizione
di una massa critica necessaria a riavviare e dare senso al conflitto politico,
insomma l’alternativa di società ha bisogno di tutti, e noi siamo
una parte.
Valentina Steri
Il voto europeo consegna alla nostra lista, nonostante la generosa campagna
elettorale che tutte e tutti noi abbiamo condotto con passione e con rinato
entusiasmo, un risultato senza dubbio negativo. Per di più alla luce
della significativa perdita di consensi del partito democratico. Dal punto
di vista simbolico non aver raggiunto il traguardo, quella soglia del 4% che
la logica bipolare e bipartisan ha imposto per cancellare la nostra rappresentanza
anche dal Parlamento europeo, viene vissuto e percepito dal corpo militante
come un ulteriore colpo e genera, indubbiamente, scoramento e demotivazione.
Io credo, tuttavia, che il nostro 3,4%, questo milione di voti che in parte
recuperiamo dall’astensione, costituisca, nelle condizioni in cui in
questo anno abbiamo lavorato, una base di ripartenza. Dopo il disastro dell’Arcobaleno,
un congresso lacerante, una scissione che scientemente si è prodotta
alla vigilia della campagna elettorale, l’oscuramento vergognoso di
tutti i mezzi di comunicazione nei confronti della lista comunista e anticapitalista,
il rischio reale era di essere spazzati via definitivamente. Così non
è stato e se leggiamo il voto disarticolandolo, vedremo anche dei risultati
interessanti al centro, al sud, in Sardegna. Il problema vero è che
Rifondazione Comunista non è più percepita come un’alternativa
credibile per le classi subalterne. Non è radicata nei territori, non
sviluppa conflitto sociale, non è più percepita come riferimento
politico e sociale delle classi lavoratrici di questo paese. In una parola
è necessario che Rifondazione Comunista, dopo anni di lento smantellamento
dell’organizzazione, che ne ha fatto il partito leggero e mediatico
di stampo bertinottiano, riconquisti il suo originario insediamento sociale,
torni ad essere un partito pesante. A questo è necessario lavorare
da subito e, come proposto dal segretario nella sua relazione introduttiva,
con tutte quelle forze della sinistra di alternativa che insieme a noi vorranno
intraprendere questo faticoso ma indispensabile percorso di ricostruzione
e di opposizione al governo delle destre, a partire naturalmente da quelle
che con noi hanno animato la lista anticapitalista e comunista.
Franco Russo
In Europa, nell’astensionismo dilagante, c’è stata una
vittoria del PPE e un crollo del PSE. La destra, di governo e di opposizione,
ha vinto; le forze xenofobe e razziste hanno successo. Nella crisi capitalistica
ci si rifugia sotto le ali dei governi conservatori nella speranza di ricevere
assistenza e di garantirsi una sicurezza fatta di law and order, che si riversa
contro le fasce deboli e i/le migranti. La socialdemocrazia viene penalizzata
per aver gestito i fasti della globalizzazione, e le sue proposte socialliberali
si rivelano impotenti. Si affermerà sempre di più l’Europa
dei governi, che comprimeranno l’idea di un europeismo di sinistra.
Il GUE arretra, mentre i verdi crescono. Dalla crisi si esce con un progetto
di un’Europa socialmente equa e ambientalmente sostenibile, con proposte
rosso-verdi, dove siano i cittadini a decidere, non i governi e le imprese
tramite la governance di Bruxelles. La relazione di Ferrero è un esempio
di rimozione: fatica persino a usare la parola sconfitta. Mentre di sconfitta
si tratta, tanto più grave perché non si è capaci di
delineare una strategia di uscita, essendoci rinchiusi nel perimetro di partitini
identitari, guidati da un ceto politico di lungo corso. Occorre aprirsi, con
un’organizzazione a rete, alle forze animatrici del conflitto sociale,
che non sono più nei partiti della sinistra, ridotti a piccole macchine
elettorali. Non riceviamo nulla dalla CGIL, un cui autorevole rappresentante
dirige il nostro giornale, avendo le sue componenti più impegnate scelto
di sostenere Sinistra e libertà; non abbiamo relazioni con il sindacalismo
di base, a cui non offriamo una comune prospettiva politica. Comitati, associazioni,
movimenti non si riconoscono nei comunisti di Rifondazione, ma cercano nuove
vie di rappresentanza. Presenterò, spero con altri/e, un documento
alternativo per rompere la consociazione di correnti che gestiscono RC, per
cambiare rotta.
Raffaele Tecce
Abbiamo perso in Italia, come lista comunista, dentro uno spostamento a destra
in tutta Europa e nel contesto di un ridimensionamento parlamentare del GUE.
Ogni tentativo di minimizzare la sconfitta sarebbe sbagliato; ho considerato
positiva la scelta del simbolo e della lista unitaria come terapia di “riduzione
del danno” rispetto alla grave scelta della scissione, che ha reso impossibile
una lista unitaria di cartello della sinistra e allo sbarramento voluto dal
PD. Tuttavia il risultato evidenzia che il simbolo comunista e l’accordo
col PDCI da soli non bastano. È perciò necessario andare avanti
sui temi posti dall’appello di Ingrao: serve una sinistra più
ampia che partendo da noi abbia chiare discriminanti: autonomia strategica
dal PD, antiliberismo e anticapitalismo. Serve che dal CPN sia decisa un’immediata
iniziativa unitaria che costruisca una federazione della sinistra dialogando
a 360 gradi con associazioni, forze politiche ed intellettuali compresi quei
soggetti di sinistra e libertà che accettano queste discriminanti.
L’unità delle forze della lista comunista anticapitalista, che
è un valore, non va portata avanti, perciò in maniera separata
ed anticipata rispetto alla contestuale costruzione del processo federativo
della sinistra.
Il nostro voto negli enti locali è preoccupante: a) perché il
nostro ridimensionamento avviene nel quadro di una sconfitta del centro-sinistra
b) perché evidenzia nei risultati più positivi un radicamento
a macchia di leopardo del partito. C) perché non sempre le nostre priorità
programmatiche sono state la base fondamentale su cui abbiamo deciso le alleanze.
È utile proporre al CPN un documento dove rispetto ai ballottaggi previsti
in molte province e comuni si diano una indicazione chiara ed unilaterale
di voto contro la destra, prevedendo gli apparentamenti solo dove i nostri
organismi dirigenti territoriali constatino un avanzamento politico e programmatico
rispetto ai temi che ci avevano impedito l’alleanza al primo turno.
Giovanni Russo Spena
Una sconfitta elettorale non è un giudizio di Dio. Ripartiamo da ciò
che avevamo iniziato a costruire negli ultimi mesi. Con alcune correzioni
necessarie. In primo luogo vanno mutate profondamente le modalità interne
della nostra soggettività organizzata (un nuovo “patto interno”
unitario trasparente, democratico). Siamo ancora troppo partito d’opinione;
il partito sociale deve, invece, diventare identità quotidiana e paradigma
fondativo dell’innovazione, che non può essere intesa come una
opportunistica accademia occhettiana. Non è sufficiente dirsi comunisti:
esiste un comunismo italiano storicamente determinato da una linea moderata
ed esistono comunismi (ortodossi ed eretici) di sinistra, capaci di vivere,
nella teoria e nella prassi, le contraddizioni della contemporaneità.
Penso ai comitati “noi la crisi non la paghiamo”, che vanno costruiti
sistematicamente territorio per territorio come riconnessione dei conflitti;
penso al tema della cittadinanza transnazionale e postnazionale. In questo
senso dobbiamo più che mai rilanciare il ruolo della Sinistra europea
ed essere interni al lavoro del futuro gruppo parlamentare europeo sui temi
del salario, dei piani per il lavoro, per reddito di cittadinanza, dello statuto
dei diritti del lavoro in una dimensione europea. Le assemblee immediate delle
sinistre anticapitaliste, nazionale e locali, inizieranno un percorso che
dovrà far emergere anche forme organizzative in grado di rapportarsi
alle diversità in un contesto unitario. Al loro interno vivranno le
accelerazioni necessarie del confronto sempre più serrato tra tutte
le forze che si autodefiniscono comuniste. Le formule potranno essere diverse,
ma non vi è dubbio che si dovrà trattare di sistemi a rete,
di processi costituenti. L’importante è che partano subito senza
che prevalga di nuovo la lenta scansione burocratica quotidiana delle pratiche
di troppi gruppi dirigenti. Serve uno scatto forte nell’iniziativa;
che è base per una capacità di ascolto delle narrazioni sociali
e di rielaborazione di punti di vista e di concezioni anti capitaliste.
Sandro Valentini
Dobbiamo dire che il risultato per le europee per la sinistra alternativa
e di trasformazione è negativo, in Italia e in Europa. Abbiamo subito
una dura sconfitta. Siamo in presenza di una svolta a destra del continente.
Il risultato è caratterizzato: dal crollo e comunque da un esito non
soddisfacente, fatte poche eccezioni, dai partiti socialdemocratici; dall’avanzata
delle destre e della estrema destra, sia dove sono al governo, sia dove sono
all’opposizione; da un voto alle forze comuniste, alternative e di trasformazione
non positivo e anche nei casi dove vi è un miglioramento delle posizioni,
solo una parte esigua dell’elettorato popolare viene conquistato dalla
sinistra di alternativa Il nuovo Parlamento riflette questo risultato:i il
Gue, che era gia debole, perde un quinto della sua rappresentanza. Questa
svolta a destra porrà, inoltre non pochi problemi al tentativo “riformista”
di Obama: Quali saranno i suoi interlocutori in Europa per governare la crisi?
Anche il dato italiano non fa eccezione. Il PdL e la Lega si confermano forza
di governo e di maggioranza relativa. Il PdL è primo partito in 17
Regioni (anche in Umbria, Marche, Lazio, Campania) e conquista la stragrande
maggioranza delle Province. Il Pd perde 7 punti rispetto alle politiche e
numerosi enti locali. Si consolida il sistema bipolare (non il bipartitismo
grazie il successo di IV, dei centristi e della Lega). La sinistra, non raggiungendo
il quorum, subisce divisa una ulteriore disfatta. Inconsistente è infine
il nostro voto nelle Regioni del nord, punto alto dello sviluppo capitalistico,
dove arretriamo anche rispetto alla lista arcobaleno. D’accordo con
la proposta di Ferrero: rilanciare un progetto di unità a sinistra
su basi federative e ripensare una politica delle alleanze e di attenzione
al PD partendo dai contenuti. Ma per fare questo occorre superare Chianciano,
dove tutti hanno fatto gravi errori, occorre un nuovo gruppo dirigente e non
un semplice allargamento della Segreteria.