La rete: nuova forma di
organizzazione politica?
Cosa
è una "rete"? Si tratta di un collegamento stabile tra gruppi
locali che anche attraverso internet concordano azioni minime comuni. In una
rete non ci sono capi e non c'è censura, ogni gruppo porta la sua particolarità
e la sua elaborazione. REDS. Dicembre 2000.
Cosa è una "rete"? Si tratta di un collegamento stabile tra gruppi locali che attraverso internet concordano azioni minime comuni. In una rete non ci sono capi e non c'è censura, ogni gruppo porta la sua particolarità e la sua elaborazione.
L'organizzazione a rete è balzata agli onori delle cronache in occasione delle contestazioni di Seattle. Quell'appuntamento è stato costruito da una serie di contatti in rete che hanno concretamente reso possibile la contestazione al vertice. In Italia qualcosa di simile si è verificato in occasione del controvertice di Bologna e poi di Praga. Questa modalità è stata alla radice in Italia dei successi della lotta degli insegnanti contro il concorsone: mentre tutti i sindacati davano per scontato che sulla questione si sarebbe perso, un tam tam via internet organizzava la contestazione e l'adesione di massa allo sciopero del 16 febbraio. Nelle principali città si costituivano dei coordinamenti di scuole al di fuori delle sigle sindacali. Recentemente si è svolta a New York l'evento conclusivo della Marcia Mondiale delle Donne 2000 contro la violenza e la povertà. Quella campagna (seguita ampiamente dal sito di Iemanjà) ha messo insieme migliaia di gruppi locali, riuniti in coordinamenti nazionali. In Italia si sta rapidamente sviluppando la Rete Lilliput, che lega su tematiche antiliberiste le più diverse associazioni locali.
Cercheremo di capire il perché del successo della "forma" rete, i meriti e le potenzialità di questo nuovo tipo di organizzazione e i suoi limiti intrinseci.
Non dobbiamo pensare che la tendenza a costruire reti si spieghi con la disponibilità di nuove tecnologie. In realtà la disponibilità ad una organizzazione a rete, l'abbiamo già vissuta in Italia sin dall'inizio degli anni novanta, quando internet non era diffusa: il movimento della Pantera, come si ricorderà, si fondava su collettivi locali che erano collegati tra loro con i ... fax. Così come le reti di oggi, anche allora, le reti delle facoltà erano ben attente a non costruire stati maggiori, leadership troppo consolidate, ecc.
La ragione vera del sorgere di "reti", è la crisi delle strutture tradizionali con cui si esprime il dissenso nella nostra società. I sindacati e i partiti di sinistra non riescono più ad essere percepiti come strumenti utili per cambiare le cose.
Nei fatti sia i verdi che i DS che il PRC sono diventati ina gran parte delle realtà dei comitati elettorali. Non si tratta solo di un problema di vertici. I verdi sono oggi un'aggregazione di soli consiglieri comunali e regionali e parlamentari, senza alcuna proiezione nei movimenti, nemmeno in quelli ecologici; la partecipazione a responsabilità governative dei DS ha totalmente paralizzato la sua base; la maggioranza dei circoli del PRC del resto pone la gran parte delle proprie energie nella campagna elettorale. Come analizziamo in un altro articolo ("Il dissenso nel PRC") coloro che cercano di unire ad una prospettiva ideale anche un impegno concreto per il cambiamento, in molti casi si allontanano dal partito e migrano in altri luoghi, spesso nel mondo dell'associazionismo che conta ormai su due tipologie di militante: il cattolico scontento della parrocchia e il militante di sinistra scontento del suo partito di (ex)appartenenza.
Non vi è nulla di scontato nella trasformazione dei partiti di sinistra in comitati elettorali, anzi. Si tratta di un fenomeno (da noi ampiamento approfondito in una serie di materiali: "La burocrazia", Un nuovo modo di costruire i circoli, ecc.) frutto dell'incontrarsi di vari fattori, tra i quali le deformazioni di una sinistra che pensa che i problemi possano essere risolti sostanzialmente al livello del politico-istituzionale, nella relazione tra ceti politici, con la convinzione che la lotta politica sia sostanzialmente una lotta tra ceti, anche se eventualmente può appoggiarsi in termini di strumenti di pressione su qualche mobilitazione. Ciò non provoca nei militanti una reazione ideologica (del tipo: "no alle istituzioni borghesi!"), come poteva essere una quindicina di anni fa, ma un allontanamento pratico che si pone come risposta alla domanda: "ma se per risolvere i problemi bastano loro, che ci sto a fare io?" La voglia di impegnarsi per cambiare, così, prende altre strade.
Vi è anche una profonda stanchezza avvertita da tanti di un vecchio modo di far politica. L'ultima generazione entrata in politica è quella che è cresciuta con la radicalizzazione giovanile dell'85-'91 (la generazione del movimento dei medi dell'85, della Pantera, dei centri sociali occupati e delle mobilitazioni contro la guerra del Golfo); una generazione cresciuta in un periodo di riflusso operaio e che dunque non ha trovato molti punti di riferimento saldi. Ma dopo di quella non ve n'é stata un'altra. Dunque la massa di coloro che hanno "voglia di fare delle cose" è sostanzialmente formata da gente che ha come minimo una decina d'anni alle spalle di attivismo. Ed è stanca dei vecchi riti, anche se magari, in vari momenti ha contribuito a legittimarli, in varie forme. I partiti e i sindacati offrono una ritualità che in una situazione di prospettiva di cambiamento epocale si poteva anche tollerare, ma ora no. L'istituzionalismo esasperato, le preoccupazioni per la meschinità della piccola politica, le lotte per le candidature o la conquista della presidenza, le relazioni iniziali ammorbanti, i leader che sgomitano, le lotte sotterranee per il potere, potere sempre più piccolo e ridicolo, hanno indotto una generale disaffezione, e, comunque, una grande noia.
Riteniamo dunque positiva la dinamica che si è instaurata con l'apparizione delle "reti". E' una maniera che gli attivisti si sono dati per saltare la mediazione delle istituzioni e degli apparati grandi e piccoli e per essere direttamente protagonisti. In una situazione in cui le grandi organizzazioni non sono in realtà in grado di mobilitare grandi masse, i coordinamenti, le reti, valorizzano il gruppo locale, piccolo ma "che fa". In una rete è più facile che si faccia sentire non chi è più abile a parlare o ad apparire, ma chi svolge un lavoro serio a livello di base o ha proposte interessanti. E' una educazione alla democrazia: tutti hanno le stesse opportunità di contare. E' anche un addestramento contro il settarismo e lo spirito di organizzazione: si impara a stare insieme nella diversità, a valorizzare i punti in comune e non a paralizzarsi per qualche differenza, magari microscopica.
Certo sarebbe un errore compiere con la "rete", lo stesso errore che si è compiuto con il "partito": assolutizzarne le proprietà immaginando che sarà LA forma che prenderà in futuro il dissenso sociale. Così come nel caso del sindacato, o del partito, o di altri ambiti organizzativi, noi pensiamo che si tratti di strumenti in mano agli oppressi, e che in nessun modo debbano essere adorati come "forme", a noi degli strumenti interessa capire se servono o no a cambiare le cose. E ogni strumento serve a fare delle cose, ma non altre. Una struttura a rete non potrà mai possedere ad esempio quel grado di centralizzazione necessaria ad affrontare a livello del politico un potere che è diffuso e capillare, ma che quando è necessario sa raggiungere gradi molto elevati e rapidi di centralizzazione. Con le reti potremo raggiungere ovunque gli incontri pubblici e propagandistici dei padroni del mondo, ma non impedire loro, concretamente di continuare ad essere i padroni. La rete è una tipica struttura di resistenza. Come ad esempio lo è stata Otpor in Serbia: per il successo della mobilitazione che ha portato alla caduta di Milosevic è stata determiante, ma poi ci sono state strutture più solide e centralizzate che hanno dato "forma" concreta alla rabbia della massa con l'assalto al Parlamento.
Possiamo notare lo stesso processo anche nell'unica radicalizzazione di massa avvenuta in questi anni di centrosinistra: la lotta degli insegnanti: i coordinamenti sono risuciti ad evitare il concorsone, poi però, passato il pericolo quando dalla resistenza ci si é ritrovati a passare all'attacco per chiedere aumenti di stipendio, ecc. la forma a "rete" a mostrato tutta la sua fragilità, sono riapparse le organizzazioni sindacali, grandi e piccole, che hanno ripreso in mano completamente la situazione. Riteniamo la dinamica non positiva, dato che di quella rete siamo stati tra i protagonisti, eppure è quel che è accaduto, e ciò deve ammaestrarci sull'utilità, comunque, di continuare una battaglia di democratizzazione anche nelle organizzazioni di massa.
In poche parole riteniamo che le reti abbiano un grande ruolo da svolgere, ma che questa esperienza di democrazia e orizzontalità oltre a consolidarsi e vivere di vita propria, debba anche essere poi riportata all'interno delle organizzazioni di massa, altrimenti ci si lascerà tessere le nostre reti, sfogarci in qualche appuntamento di impatto mediatico, mentre altri continueranno a gestire il potere e l'opposizione a quel potere.