Le due Direzioni Nazionali sulla scelta delle candidature.
Due direzioni nazionali segnate da una infelice tattica elettorale e dall'acuirsi delle divisioni interne. REDS. Marzo 2001.



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Le due Direzioni Nazionali del 23 febbraio e del 10 marzo sono state interamente dedicate alla scelta delle candidature in vista delle elezioni politiche generali che si svolgeranno tra due mesi. La segreteria, a maggioranza (avevano votato contro Grassi e Pegolo), aveva deciso i nomi dei tredici compagni che hanno grosse probabilità di essere eletti nella quota proporzionale, se il partito raggiungerà la percentuale delle ultime elezioni amministrative.

La scelta ha provocato grandi malumori e diversi dissensi. Li elenchiamo.

1) il dissenso della corrente Grassi che ha visto tra i 13 un solo suo candidato: Sorini. Si tratta di una corrente neostalinista, moderata nelle scelte nazionali e locali (vedi lo scarso entusiasmo per la candidatura Fo a Milano), accesamente filoslava (in senso etnico) in campo internazionale. La loro rivista si chiama "L'Ernesto". Hanno votato contro in segreteria, si sono astenuti nella Direzione Nazionale del 23/2, hanno infine votato a favore con una dichiarazione di voto critica nella DN del 10/3 in cui tra l'altro hanno lamentato l'esclusione, anche in collegi di bandiera, di Fulvio Grimaldi. E' la prima volta che questa corrente, altrimenti sotterranea, esce allo scoperto in modo così vistoso sul piano nazionale. In precedenza erano stati costretti a farlo solo in occasione del rapido dibattito sulla posizione internazionale del PRC scatenatosi un anno fa.

2) il dissenso della corrente di Bandiera Rossa che comunque, nelle due Direzioni Nazionali, ha votato a favore, pur con dichiarazioni di voto critiche. I 13 proposti infatti non comprendono alcun nome di questa componente, che all'ultimo congresso aveva scelto di integrare la maggioranza bertinottiana.

3) il dissenso della minoranza interna "ufficiale" che, pure, non ha ottenuto alcun rappresentante tra i 13 prescelti.

La gran parte dei 13 appartengono alla corrente del segretario, se corrente si può definire. Un'altra corrente non ufficiale, quella che fa riferimento a Ferrero, si è accontentata di vedere tra i 13 il nome di Russo Spena, e anche quello (indipendente, ma affine a quest'area) di Agnoletto.

Di seguito alcune considerazioni.

a) Le modalità per arrivare a definire la "delegazione" del partito in Parlamento è stata criticata da tutti, e persino la maggioranza non è riuscita a trovare uno straccio di argomento decente per difenderla. E' stata una decisione presa a tavolino da un pugno di persone. Ciò ha suscitato l'irritazione di tutta una serie di dirigenti regionali che si considerano parte della maggioranza, e che per questo si erano illusi di essere integrati, in qualche modo, alla ristretta cerchia di coloro che nel partito decidono. Così non è, perché la logica inesorabile della mancanza di democrazia interna porta inevitabilmente ad una sempre maggior piramidalizzazione delle decisioni.

b) Per definire chi dovrebbe andare in Parlamento si dovrebbe seguire un metodo che non è solo quello della consultazione dal basso (la base non è stata consultata nemmeno nella definizione della tattica elettorale, figuriamoci se sarebbe stata coinvolta nella scelta dei nomi). Il metodo deve basarsi sugli insegnamenti che i comunisti e la sinistra dovrebbero trarre da quasi un secolo di esperienza parlamentare. E queste esperienze ci dicono che il gruppo parlamentare si è assai spesso autonomizzato dal corpo del partito. Per questo diviene fondamentale pretendere la rotazione degli eletti, per impedire che si consolidi un ceto di deputati, che si abitua a considerare la politica che si svolge nelle aule parlamentari, come la politica dei comunisti.
Per la stessa ragione la delegazione parlamentare dei comunisti non dovrebbe comprendere i massimi dirigenti nazionali, segretario compreso, che dovrebbero essere invece impegnati a organizzare il partito, a gestire il lavoro nei movimenti, nei sindacati, ecc. Il Parlamento è (o meglio: dovrebbe essere) solo uno dei terreni d'azione dei comunisti, eppure la storia della sinistra nel nostro Paese ci dice che è divenuto non solo il più importante, ma a volte l'esclusivo terreno del far politica. Con terrificanti effetti sulla linea politica. Un piccolo esempio di scottante attualità: la vicenda delle liste civetta. Il nostro segretario si è impegnato in uno sciopero della fame che è risultato totalmente incomprensibile non solo alle larghe masse (che non sanno minimamente che cosa siano le liste civetta), ma alla stessa base del PRC. Ma tale "lotta" appariva di fondamentale portata a chi era totalmente immerso nel gioco istituzionale ed era per questo lontano dai sentimenti dei più.
Ricordiamoci del resto che nelle due grosse scissioni che ha conosciuto il partito, abbiamo perso ogni volta la maggioranza del gruppo parlamentare, ma solo una minoranza del corpo militante.
La maggioranza del partito ha invece violato il nostro già blando statuto che stabilisce il divieto alla rielezione per il secondo mandato (con l'esclusione del segretario) e ciò senza nemmeno preoccuparsi di giustificarlo.
Quanto alle varie minoranze non hanno fatto altro che pretendere una quota nella formazione della delegazione, senza contestarne il vizio di fondo, e cioé l'abitudine a far eleggere in Parlamento i massimi dirigenti nazionali, quando invece il segnale da mandare (al partito e alla gente) è quello di lasciarli fuori dalle istituzioni.

c) Se il partito avesse seguito il metodo di cui sopra (rotazione e dirigenti nazionali fuori) con quali criteri avrebbe dovuto scegliere i candidati? Se (se) il nostro fosse un partito che si preoccupasse innanzitutto di organizzare le lotte e rafforzare e creare i movimenti (e i sindacati, ecc.) dovrebbe inviare una delegazione parlamentare che servisse esattamente a questo scopo. Un esempio a positivo: il nostro partito ha assunto una buona posizione in occasione del Gay Pride (anche se poi, come è suo costume, non ha dato continuità alla sua costruzione tra gli omosessuali). L'inclusione di Titti de Simone, presidenta di ARCI lesbica, tra le 13 eleggibili, è stata un'ottima maniera per far conoscere le nostre idee e disponibilità su questo tema strategico: è una scelta che rafforza e facilita il nostro impegno in questo campo a livello appunto di organizzazioni di massa, di lotte, di movimento. Lo stesso si sarebbe dovuto fare con il resto della delegazione, dialettizzandosi con l'area dei centri sociali, dei sindacati di base e della sinistra CGIL, del movimento antiglobalizzazione, ecc.

d) Speriamo che il prossimo congresso abbia la stessa chiarezza riscontrato in quello romano (vedi: Il congresso romano e la candidatura di Rutelli), quando le varie correnti sommerse del partito sono uscite fuori e il dibattito ha goduto di una certa chiarezza. E' stancante assistere ai giochi di parole di correnti come quelle di Bandiera Rossa e di Grassi-Sorini che si "distinguono", ma poi votano a favore perché si ritengono parte della maggioranza. La semiclandestinità di queste correnti contribuisce grandemente alla assenza di un vero dibattito dentro il partito (spesso ridotto ad uno scambio verbale per iniziati) e al proliferare dei pettegolezzi da corridoio, quando affannosamente i militanti cercano di sapere "le ultime" sul perché Tizio ha trombato Caio, e sul perché Caio si è astenuto sul documento di Sempronio. La responsabilità di questa scarsa trasparenza ricade interamente su queste correnti, dato che, ormai, nel PRC c'é piena libertà di organizzazione interna (anche se poi chi esce allo scoperto paga non pochi scotti in termini, ad esempio, di candidature e gruppi dirigenti: è questo che si teme?).

e) la minoranza "ufficiale" di Progetto Comunista e le minoranze della maggioranza hanno portato a nostro avviso, per sostenere la loro protesta contro l'eslusione della quale sono stati vittime, argomentazioni assai poco convincenti. Sia Grassi che Progetto Comunista (cioé Proposta) hanno gridato scandalizzati contro l'assenza di un qualsiasi operaio dalle liste, quando era chiaro come il sole che se Bertinotti avesse inserito uno di loro tra i 13 (Grimaldi da un lato e Ferrando dall'altro, ad esempio) se lo sarebbero tenuto ben stretto dimenticandosi rapidamente dell'operaio mancante. Non ci piace che il tema della rappresentanza operaia venga sollevato in maniera opportunista, e a sproposito. E' tutta la delegazione che doveva essere composta in modo da tener conto dei soggetti sociali oppressi, delle lotte e dei movimenti, ma le correnti in questione si sono ben guardate dal sollevare il problema di metodo: a quel punto infatti sarebbe stato ben poco giustificabile la presenza di un Ferrando o di un Grimaldi, che non sono espressione diretta di alcun tipo di lotta, ma semplicemente dirigenti di partito o portavoce di correnti interne.
L'altra lamentela riguardava il fatto che non vi erano espressioni "dei territori". Ma non si vede perché mai una delegazione nazionale debba essere composta secondo logiche regionaliste: anche lì vi scorgiamo calcoli poco trasparenti per favorire questo o quel settore di dirigenza locale.