Riflessione sui quattro
giorni di Rifondazione Comunista.
Cronologia e analisi dei quattro giorni tra
il 23 e il 26 ottobre 1995, quando il partito da una iniziale opposizione passò
alla decisione di permettere al governo Dini di continuare ad esistere.
Del
Collettivo Rifondare dalla base. Ottobre
1995.
Abbiamo assistito in questi giorni ad una dinamica molto interessante e forse (speriamo di no) premonitrice. Il nostro partito si é trovato di fronte ad una scelta che avrebbe influito direttamente e vistosamente sugli equilibri politici ed economici nazionali. A questo genere di scelte si trovava spesso confrontato il PCI, ma al nostro partito, per le sue più ridotte dimensioni, accade meno frequentemente. Sono questi i momenti in cui tante parole vengono messe violentemente di fronte alla prova dei fatti.
Il nostro partito ha affrontato la questione della sfiducia prendendo una posizione corretta. Il ragionamento era: Dini se ne deve andare perché espressione di una politica antipopolare, che ha portato avanti (le pensioni) e che porterà avanti (la finanziaria), dato che non abbiamo altri mezzi per farlo cadere voteremo la mozione della destra pur di mandarlo a casa ed andare rapidamente alle elezioni.
Questa scelta ha portato ad una pressione senza precedenti sul nostro partito. Gli argomenti usati dal PDS per criticarci erano risibili: tutta la sua politica si é giocata sul reciproco riconoscimento tra centro-destra e centro-sinistra, per attaccare il nostro partito ha dovuto rispolverare argomenti che non utilizzava più. Dimentico di aver invitato AN alla festa dell'Unità, D'Alema in aula ha parlato degli "scarponi chiodati della destra". In realtà il PDS ha cercato sempre e costantemente l'accordo con la destra (basti pensare alla vicenda pensioni) anche facendosi prendere ampiamente in giro (il centro-sinistra é al governo da un anno e ancora non é riuscito a cambiare il CdA berlusconiano della RAI). Gli argomenti più seri usati dal PDS per convincerci a far passare Dini sono stati invece: a) lasciateci votare la finanziaria e vedrete che Dini se ne andrà b) se Rifondazione non ci ripensa salta l'accordo di desistenza.
La presa di posizione iniziale del partito costituiva un problema per coloro che dentro Rifondazione sono favorevoli al patto elettorale con il centro sinistra. È ovvio infatti che dopo un voto che ci contrapponeva frontalmente al centro-sinistra, come si poteva andare all'alleanza elettorale con lo stesso? Come spiegare che siamo così ferocemente contro Dini e a favore invece di Prodi, quando identici sono i loro programmi e i partiti che li sostengono? Per battere la destra? Ma come avremmo potuto sostenerlo se in parlamento avessimo votato insieme proprio alla destra per battere il centrosinistra? È chiaro che una posizione di questo tipo avrebbe nettamente spostato a sinistra l'asse di Rifondazione: lo sbocco logico era una nostra contropposizione sul piano elettorale agli altri due poli. È chiaro che tale posizione, anche per la base del partito, avrebbe segnato un'esperienza concreta, positiva di rottura con le tradizioni di "responsabilità" del vecchio PCI.
Ma così non é stato. La segreteria ha fatto marcia indietro. Il peggio é che cerca di far credere che si tratti di una mossa coerente con quelle precedenti. Non é vero.
Il nostro partito era inizialmente intenzionato a far cadere Dini anche per impedire il voto sulla finanziaria antipopolare (si sarebbe andati all'esercizio provvisorio). Far passare Dini permettendogli di governare fino a dicembre invece vuol dire implicitamente dargli la possibilità di far votare una finanziaria che abbiamo sempre detto di voler combattere apertamente. Che senso ha? Non é vero che l'obiettivo del partito era quello di ottenere la data delle elezioni, altrimenti sarebbe stato corretto esplicitare da subito questo obiettivo con una dichiarazione publica del tipo: noi voteremo la mozione di sfiducia della destra se Dini non ci dirà la data delle elezioni. Questo non é stato detto semplicemente perché l'obiettivo era un altro: farlo cadere subito, prima della finanziaria. E questo era anche l'obiettivo che la Direzione si era posta.
C'é a questo proposito anche un problema di democrazia. La decisione di votare la sfiducia del Polo era stata presa giustamente dalla Direzione all'interno della quale non era stata affatto contemplata la possibilità di uscire dall'aula se Dini avesse giurato di andarsene dopo la finanziaria. La decisione di uscire dall'aula é stata presa quindi da un organismo ristretto e in teoria del tutto operativo: la segreteria. C'é anche un riflesso sull'insieme dei militanti del partito: alla fine la gran parte avevano condiviso il voto di sfiducia. Il cambiamento repentino di rotta é di quelli che passivizza i compagni, abituandoli a pensare che c'é il gruppo parlamentare che può permettersi piroette tattiche coi militanti nella veste del pubblico. C'é il pericolo che l'atteggiamento della base d'ora in poi assomigli un po' di più a quello dei vecchi milianti del PCI con quella abitudine introiettata a non discutere le scelte del vertice e a difenderle comunque, a giustificare il rocambolismo tattico con la superiore intelligenza dei capi.
Chi ne esce rafforzato inaspettatamente dalla vicenda sono nell'ordine Dini, il PDS e il centro-sinistra. Certo, esce parzialmente sconfitta la destra: ma potrà apparire alle prossime elezioni di fronte alle masse elettorali come colei che si é opposta a misure antipopolari come l'aumento della benziana, dell'ICI, ecc.
Il nostro partito certamente potrà votare contro la finanziaria, ma a salvarla sappiamo bene che concorreranno con ogni probabilità i voti di una parte della destra (il centro), troppo interessata ad apparire agli occhi della borghesia, che vuole la finanziaria, come uno forza sensibile alle richieste confindustriali. L'aver evitato la caduta di Dini ci esporrà alla propaganda di chi ci accuserà di aver favorito indirettamente il varo della finanziaria. Ma ammettiamo che per la finanziaria il voto del nostro partito sia determinante: votando contro e facendo così cadere Dini appariremmo gente che cambia continuamente opinione e tattica. Chiunque porebbe dirci: perché non l'avete fatto cadere prima? Non sapevate che voleva far passare la finanziaria?
Perché questo cambiamento di tattica da parte della direzione del nostro partito? Due sono le ragioni ed ambedue preoccupanti. I nostri dirigenti non hanno saputo resistere alla formidabile pressione esercitata dal blocco borghese-pidiessino contro il nostro partito. Ci é mancato dunque il coraggio di andare completamente controcorrente. E probabilmente hanno esercitato il loro influsso anche preoccupazioni di carattere elettorale. Hanno cioé pesato le minacce di rottura del patto elettorale con il centro-sinistra. Davanti alla prospettiva di presentarsi da soli alle prossime elezioni i nostri comagni hanno ceduto. Si é trattato dunque di un assaggio molto amaro di ciò che potrebbe accadere con l'accordo elettorale con il centro-sinistra, un accordo che non é affatto tecnico, dato che già da oggi limita e condiziona la libertà di azione del nostro partito.
L'episodio era cominciato con un ottimo intervento di Bertinotti che si rivolgeva direttamente ai lavoratori spiegando che era giusto affondare chi aveva scippato le pensioni e si apprestava a fare altrettanto con la finanziaria. Finisce con il discorso di Cossutta che afferma che Dini sarebbe molto meglio di Berlusconi. Nella differenza di toni e di contenuti tra i due discorsi sta la misura dell'arretramento subito dal nostro partito in questi giorni.
CRONOLOGIA
lunedì 23
ottobre
Il PRC non riesce a trovare le firme per la propria mozione di sfiducia contro
il governo Dini. La destra ne presenterà una propria. Nella mozione di
sfiducia del PRC si sottolinea la volontà governativa di varare una finanziaria
"che mira dichiaratamente a consolidare ed accrescere l'attuale sistema
di squilibri e diseguaglianze sociali, anche attraverso ulteriori, rilevanti
tagli allo stato sociale ed agli Enti locali". La direzione del PRC decide
allora, pur di far cadere Dini, di votare a favore della mozione di sfiducia
presentata dalla destra. Unici voti contrari: Cuffaro, Grisolia, Ferrando. Segni
e Bianco dichiarano che in questo caso non sarà più possibile
alcun accordo elettorale tra PRC e centro-sinistra. Borsa a -3%.
martedì
24 ottobre
Bertinotti interviene alla Camera: "Siamo di fronte ad una alternativa
semplice, Dini deve restare o se ne deve andare? Per noi non ci sono dubbi:
se ne deve andare." "Via Dini, via per fare le elezioni, per cambiare
la politica e dare speranza al nostro paese. Si dice: ma così vince la
destra. Ma che sinistre sono, che non hanno il coraggio di battersi per vincere,
per cambiare." Cossutta rilascia un'intervista a Liberazione: "Possono
i comunisti, con i loro voti determinanti, garantire la permanenza di un governo
che giudichiamo tanto severamente assumendoci così la corresponsabilità,
sia pure con la nostra opposizione, del varo di una finanziaria profondamente
ingiusta?" TG3, Manifesto, Unità e i quotidiani di Agnelli e De
Benedetti si lanciano in una forsennata campagna di stampa contro la decisione
del PRC. Salvi e Prodi sostengono che non é più possibile alcun
accordo elettorale di desistenza con il PRC.
mercoledì
25 ottobre
D'Alema: l'intesa elettorale con il PRC non é più possibile. Sondaggio
Datamedia: per il 41% degli italiani Bertinotti é stato coerente, per
il 31% no. Non sa o non risponde il 28%.
giovedì
26 ottobre
Colpo di scena. Dini assicura a Cossutta e Bertinotti che si dimetterà
dopo la finanziaria e comunque entro dicembre. Rifondazione decide allora di
uscire dall'aula consentendo che venga respinta la mozione della destra. Dini
rimane in sella. Cossutta interviene in aula: "Abbiamo ottenuto ciò
che volevamo"."Berlusconi, Fini e le destre estreme sono ben peggiori
di Dini, ma la permanenza di questo governo porta acqua al loro mulino."
Liberazione parla di vittoria del partito e di "sapienza tattica"
dei suoi vertici. Veltroni, Prodi, Bianco dichiarano che con Rifondazione si
riapre il discorso. La Borsa recupera.