Quale futuro per Rifondazione
Comunista?
Le
ragioni della crisi in cui si dibatte il partito e le nostre proposte per uscirne.
REDS. Gennaio 2000.
Rifondazione Comunista
è in crisi, lo si desume non solo dai risultati elettorali oscillanti,
ma soprattutto dall'assenza di dibattito e di attività generalizzata
nei suoi circoli. È in crisi di prospettiva, tanto è vero che
l'unica via proposta dalla maggioranza, con varie sfumature, è quella
di un ritorno al centrosinistra. Ma ciò è "per evitare che
la sinistra muoia", come dice il nostro segretario Bertinotti, o più
banalmente per evitare problemi al ceto politico parlamentare che rappresenta,
messo in discussione dalle prossime modifiche al sistema elettorale?
In realtà questa crisi del gruppo dirigente e a cascata del corpo del
partito "viene da lontano". Dalla mancata rifondazione di una
pratica politica, dalla mancata reale apertura alla sinistra sociale esistente,
dal mancato lavoro di base per ricreare movimenti. Il PRC come punto di resistenza
al neoliberismo, come coagulo di realtà politiche e di classe indipendenti,
come punto di riferimento dei comunisti e dei lavoratori italiani esiste ancora?
Le contraddizioni
della politica bertinottiana.
La leadership del partito ha accumulato con la sua politica ondivaga, contraddizioni
che hanno portato a tre scissioni (Garavini, Bacciardi e Cossutta). Sono le
contraddizioni che hanno visto le acrobazie parlamentari del salvataggio del
governo Dini nel 1995, il patto di desistenza con l'Ulivo, l'ingresso in giunte
locali di centro-sinistra improponibili per i loro programmi, il voto parlamentare
a sostegno del trattato di Amstedam, e del governo di Maastricht, ovvero Prodi.
Dopo la rottura con il governo Prodi e "l'opposizione costruttiva"
al governo D'Alema si inventa il dualismo locale/nazionale, e ripropone dopo
la rottura con i cossuttiani l'alleanza con il centro-sinistra per le elezioni
amministrative.
Come dimostrazione della cultura maggioritaria nel partito valgano le proposte
uscite sia da articoli che dagli ultimi CPN di Rifondazione. Si parte dall'ammissione
che Rifondazione da sola non basta a rappresentare l'opposizione (il che ha
un fondo di verità) per costruire una specie di "porte aperte al
PRC" come inizio di una interlocuzione con i movimenti e le forze della
sinistra critica. Come dovrebbe avvenire? Modificando forse la politica di intervento
e l'impostazione dei circoli, iniziando una rifondazione dal basso? Neanche
per idea! Le cosiddette aperture saranno solo rivolte ai soliti ceti politici:
a) la costruzione di una consulta per l'alternativa rivolta a sinistra DS (Mele,
Buffo), all'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (Tortorella), agli
ex Comunisti Unitari (Magri, Garavini), all'Associazione Attac (Maitan), all'inossidabile
Ingrao, alla sinistra CGIL e forse tra un po' di tempo, diminuiti i recenti
attriti, anche ai Comunisti Italiani, insomma a tutta "l'intellighenzia"
istituzionale di sinistra.
b) la realizzazione di una rivista con "Il Manifesto", appunto la
"La Rivista" (Rossanda, Pintor più tutti gli altri), nata come
sede di riflessione e dibattito dei suddetti "marxisti non pentiti"
che si propone - scoprendo le intenzioni peraltro già evidenti - di realizzare
una unità tra le forze di sinistra, un'alleanza politica e di governo
per realizzare un'operazione riformatrice. Più chiaro di così,
non potrebbe essere.
c) l'adesione al Prc della "Sinistra Verde" (Falqui, Russo e altri)
vorrebbe rappresentare l'ingresso dei movimenti. In realtà, trattandosi
di generali senza truppe, ricadiamo nell'aggregazione di ceti politici, in via
di riciclaggio, che non possono sopportare oltre il ritorno dei verdi alla politica
del "né di destra né di sinistra" della Francescato.
È evidente che tutte e tre queste operazioni sono propedeutiche alla
ripresa del dialogo per arrivare ad un accordo a sinistra per le regionali,
il tutto condito con obiettivi di lotta alla destra e alla "terza via"
della sinistra moderata.
E riguardo al lavoro nel sociale e all'inadeguatezza strutturale del PRC? Fumo
negli occhi. Si parla di riforma del partito e di costruzione del "partito
di massa" senza nessuna analisi critica sul suo funzionamento attuale e
sulla sua inadeguatezza alla fase politica. (Rimandiamo su questo punto specifico
al documento sulla costruzione dei circoli, presente nel sito).
Per quanto concerne l'attività nel sociale del partito, stendiamo un
velo pietoso sulla inutile raccolta di firme contro i salari elevati dei boiardi
di stato, contestata anche all'interno del PRC, e speriamo che le recentissime
proposte, sul salario sociale per giovani e disoccupati, sull'aumento delle
pensioni minime, e sulla legge per la democrazia nei luoghi di lavoro, rappresentino
altrettanti obiettivi di lotta su cui mobilitarsi ed aggregare forze. Peccato
che "Liberazione" di fine 1999 le presenti come "una base concreta
per riaprire il dialogo con il centro-sinistra", plaudendo al plauso del
ministro Salvi e togliendo definitivamente le ultime illusioni dei compagni
dentro e fuori il partito.
Ci pare che emerga chiaramente la preoccupazione istituzionale di Bertinotti,
data la diminuzione dei rimborsi elettorali dovuta ai cattivi risultati e le
previste riduzioni dei finanziamenti statali alla stampa di partito. Per mantenersi
immutato, lo strumento PRC deve per forza passare attraverso il giogo degli
accordi elettorali.
Perchè
l'accordo con il centro sinistra per le regionali è un errore.
La sinistra e i lavoratori, stanno subendo la fase peggiore degli ultimi decenni,
in balia dello scontro economico tra gli imperialismi mondiali e il liberismo
del centro sinistra, purtroppo aggravato da un'egemonia politica e culturale
della borghesia. Il risultato è una polarizzazione sociale che esclude
i settori popolari in modo sempre più ampio dalla distribuzione della
ricchezza. Essi inoltre non si sentono adeguatamente rappresentati politicamente.
Viceversa una ristretta schiera di imprenditori, finanzieri, managers, dirigenti
pubblici e privati hanno utilizzato l'obiettivo dell'integrazione europea per
rafforzare il proprio potere politico ed economico. A tale scopo hanno utilizzato
tutti gli attori presenti nel teatrino politico italiano, dalla destra alla
sinistra liberista, dai referendum antipopolari dei radicali agli asinelli vari,
tipo Prodi, Rutelli e Di Pietro.
I lavoratori e la sinistra di classe che da sempre hanno rappresentato un punto
di resistenza e di lotta contro le misure antipopolari e reazionarie sembrano
senza una rappresentanza certa. Questo spiega nelle ultime elezioni amministrative
il forte astensionismo a sinistra e un ripudio crescente verso la sinistra di
governo ed i suoi sostenitori. È la sinistra che vuole perdere o è
il popolo di sinistra che non si riconosce nelle formazioni di sinistra?
In questo quadro la scelta di Bertinotti e della maggioranza del PRC rappresenta
un grave errore, quasi un paradosso.
a) Che senso ha avuto la rottura con il governo Prodi, che evidenziava la sua
indisponibilità a cambiamenti reali sui problemi dell'occupazione e dello
stato sociale, se oggi si ripropone l'accordo con il centro-sinistra ?
b) La riproposizione di un accordo "locale", con il centro-sinistra
è davvero diverso dall'accordo nazionale? Esistono regioni di centro-sinistra
che attuano politiche diverse da quella nazionale in tema di privatizzazioni
delle aziende pubbliche, dei servizi sociali, del lavoro ?
c) Con l'Europa ed i suoi indici capestro per i lavoratori, anche le regioni
diventano snodi della politica liberista dello stato nazionale. Diventeranno
garanti anch'esse delle strettoie di Maastricht rispetto alla spesa pubblica.
Ciò significa che i margini di manovra per programmi sociali sono inesistenti.
Bisogna essere chiari, senza continuare ad affermare ed alimentare illusioni
nei confronti del "popolo della sinistra" i lavoratori, i disoccupati
ed i proletari tutti.
Illuminante è in questo senso l'OdG del 14 dicembre 1999 del Comitato
Politico Federale di Milano che recita:
"[...] Il COMITATO POLITICO FEDERALE di Milano conferma pertanto l'impegno
a ricercare un accordo col centro-sinistra e con il candidato alla Presidenza,
On. Mino Martinazzoli, alle prossime elezioni regionali, ...
[...] A questo riguardo, si ritiene opportuno, partendo dalle esperienze di
opposizione in Regione e dalle conseguenti elaborazioni prodotte dal Gruppo
Regionale e dal Partito a tutti i livelli, indicare alcuni punti qualificanti
e per noi fondamentali:
1) Piena valorizzazione delle autonomie locali e del ruolo di programmazione
della Regione in alternativa alle politiche di accentramento regionale attuate
dalla Giunta di centro-destra di Formigoni ed in controtendenza rispetto alle
scelte della Legge Finanziaria, in termini di trasferimenti agli Enti Locali.
2) Qualificazione e potenziamento della sanità pubblica che assicuri
a tutti - contro ogni forma di privatizzazione - i servizi essenziali per la
salute, finanziati con la fiscalità generale e con priorità da
dare alla prevenzione e alla tutela delle categorie più deboli.
3) Una politica del lavoro e dell'occupazione che privilegi, in alternativa
alle logiche dei Contratti Territoriali, la qualificazione della produzione,
la difesa del salario e delle condizioni di lavoro e la riduzione dell'orario.
In questo senso il Decreto Legislativo n. 466/97 ha conferito alle Regioni e
agli enti locali funzioni in materia di Mercato del Lavoro che si estendono
sino alla possibilità di istituire "Agenzie Regionali per il Lavoro"
finalizzate all'incontro tra domanda e offerta. In tale contesto il Partito
ritiene necessario avanzare la proposta di un "Piano Regionale dei Lavori"
che preveda la possibilità di lavori socialmente utili in materia di
tutela ambientale o del patrimonio artistico, sovvenzionati direttamente dalla
fiscalità regionale (IRAP, etc.).
4) In alternativa alle scelte di privatizzazione delle Aziende Municipalizzate,
l'Ente Regionale deve farsi promotore di un POLO PUBBLICO (o a maggioranza pubblico)
delle Aziende Municipalizzate Lombarde, in chiara controtendenza rispetto alla
privatizzazione dell'Enel.
5) Una politica scolastica della formazione, che, in alternativa ad ogni forma
di finanziamento alle scuole private, valorizzi il ruolo istituzionale della
Regione, con il potenziamento dell'intervento per garantire a tutti il diritto
allo studio, contro ogni forma di sistema integrato pubblico-privato, riferito
alla scuola o ad altri servizi sociali essenziali.
6) Una politica della mobilità che privilegi, in alternativa alle grandi
opere viarie ed infrastrutturali e all'Alta Velocità ferroviaria, la
realizzazione di una rete regionale integrata di trasporto su ferro, sia di
merci, che di passeggeri.
7) Una politica della casa che si opponga alla vendita del patrimonio edilizio
pubblico e fissi obiettivi precisi e quantificanti di forte incremento dell'edilizia
pubblica.
8) Una politica di qualificazione e rafforzamento dello Stato Sociale, incentrata
sull'attenzione ai diritti individuali e sociali dei soggetti, rifuggendo dal
familismo imperante, che toglie ed esternalizza i servizi, affidandoli al privato
sociale o direttamente alle famiglie.
9) Una politica di accoglienza nei confronti degli immigrati, che sappia uscire
dalla logica dei centri-lager, come quello di via Corelli.
Il documento è costruito con metodo, in modo da salvare eventualmente la faccia; basta che su nove punti, se ne possa sbandierare qualcuno, ed in modo generico, come modifica ottenuta. Non è certo questo il modo per riconquistare la fiducia del demoralizzato ed incazzato popolo della sinistra.
Solo l'indipendenza
politica dei comunisti può iniziare ad accumulare le forze e rilanciare
il conflitto sociale.
La sinistra antagonista italiana, deve saper individuare una prospettiva politica
che superi la riproposizione di se stessa e delle sua storia politica passata.
Vanno ripensate le forme nuove di organizzazione e di intervento.
In questa fase, per realizzare questo obiettivo, i comunisti devono avere presente
che l'esclusione di alleanze con le forze del centro potrebbe essere un valore
in sé, per proporsi alla gente, con un programma nuovo che parta dai
bisogni della gente, che aggreghi forze anticapitaliste, che faccia ritornare
alla politica attiva, centinaia di compagni delusi, dispersi e disgregati su
un programma che al fianco di obiettivi parziali preveda obiettivi strategici
per un cambiamento della società.
Il dibattito sui nodi strategici sul tavolo, quale struttura di partito, quale
organizzazione nel mondo del lavoro, quale internazionalismo deve iniziare da
subito, per fare un'opposizione reale e di lunga durata, coinvolgendo compagni
dentro e fuori il PRC. Certo è possibile affermare che Rifondazione non
è stata capace di raccogliere la rabbia ed il disagio di milioni di persone,
spinte da una classe dirigente e da un capitalismo sempre più forte che
spesso, ha lasciato spazio alla demagogia della destra.
Crediamo che la politica capace di prospettare un'alternativa di società,
parta dal basso, dalle lotte delle masse che gli attuali partiti di sinistra
sembrano aver dimenticato. Ma pensiamo che le lotte in se siano sprecate se
non esiste un'organizzazione capace di insistere sulla necessità e sulla
possibilità ancora reale di cambiare questa società. Un forte
punto di riferimento, uno strumento per di analisi per tutti i rivoluzionari.
Solo un movimento che parta dal basso può sperare di trasformare Rifondazione
in uno strumento ancora utile per la classe.
I nodi irrisolti
del PRC
Allo scorso congresso del PRC c'erano almeno cinque punti che meritavano di
essere maggiormente discussi e che richiedevano un cambiamento di rotta, che
non è avvenuto.
1. Continuare ad alimentare in vari modi l'illusione che sia possibile interloquire
e "spostare a sinistra l'asse del governo" non è credibile.
Non ne esistono le condizioni oggettive né quelle soggettive. Un progetto
che ruoti unicamente intorno alla alleanza tra D'Alema (soprattutto vedendo
le divaricazioni esistenti sui temi della guerra e della NATO, delle privatizzazioni,
del lavoro e dello stato sociale) e la nuova aggregazione neo-democristiana
(asinello, cossighiani, popolari e mastelliani), non porta certo "a sinistra"
il governo, ma solo maggiore stabilità politica ed economica in funzione
dei poteri forti.
2. I governi socialdemocratici in Europa non sono qualitativamente capaci di invertire le loro politiche neoliberiste, perché impegnati nella competizione tra i due principali poli imperialisti (Stati Uniti ed Unione Europea). La questione della guerra nei Balcani, l'attacco allo stato sociale e agli strumenti di difesa dei lavoratori, l'assunzione della competitività globale come asse principale della loro politica lo dimostrano ampiamente .
3. La paura dell'isolamento
di Rifondazione Comunista non può portare a proseguire l'ambigua e controproducente
politica di alleanza con il centro-sinistra, dentro le giunte locali. Perché
la politica di queste giunte di centro-sinistra si esprime spesso più
a destra e con misure ancora più antipopolari di quanto non abbia fatto
il governo nazionale dell'Ulivo (vedi le vicende dell'ATAC, delle privatizzazioni
di ACEA e Centrale del Latte e degli affitti delle case comunali a Roma, lo
smantellamento della sanità pubblica e dei servizi sociali in Emilia
Romagna, lo scontro con i lavoratori dell'ATM a Torino).
4. L'analisi della scomposizione del blocco sociale alternativo, (attraverso
un'inchiesta reale della situazione sociale) che è stata solamente sfiorata
dal dibattito, deve essere posta al centro dell'elaborazione di tutti i militanti.
Solo così si può arrivare a proposte di lavoro concreto che costruiscano
aggregazione di pezzi di classe. Non certo attraverso interlocuzioni politiche
con compagni che a sinistra finiscono per rappresentare il solito "ceto
politico fine a se stesso" come propone nei fatti il segretario del PRC.
5. Infine, ma non per importanza, bisogna riprendere in pugno il processo/progetto di rifondazione di una ipotesi comunista per il XXI Secolo. C'è urgenza di un recupero di categorie teoriche e politiche e di una loro attualizzazione in senso rivoluzionario in stretta dialettica con le esperienze maturate sul campo da migliaia di militanti comunisti. Questo processo è stato "brutalizzato" dalle esigenze della politica giorno per giorno, che ha lasciato andare allo sbando e logorato la formazione culturale e politica di tante compagne e compagni.
Si deve continuare la battaglia su questi temi. Da qui l'importanza del mantenimento delle forme di aggregazione e coordinamento dal basso. Devono venir utilizzate per il lavoro politico e la crescita di quadri, per la conquista di consenso alla sinistra nel PRC, e non unicamente per la spartizione di posti all'interno degli organismi dirigenti del partito.