Abbandonare
il nome "comunista"
Un
interessante intervento di Paolo Ferrero tratto da "Liberazione" sulla
questione del superamento del Prc. Il tentativo del segretario è teso
a dimostrare l'assoluta necessità dell'esistenza nella società
di una forza esplicitamente comunista. Reds - Novembre 2008
Da un po di tempo
Liberazione pubblica con grande rilievo articoli che chiedono di abbandonare
il nome comunista. Al fondo la tesi riproposta in varie salse è che
la parola comunismo è inutilizzabile perché l'esperienza storica
concreta ne ha stravolto il significato. Tra chi propone di abbandonare il
nome comunista vi è chi si pronuncia a favore del nome sinistra, chi
a favore del socialismo, chi non propone nulla. Tutto questo si intreccia
con un altro filone di dibattito che propone di andare oltre il Partito della
Rifondazione Comunista, per fare un altro partito, per fare un'altra cosa
che non sia un partito, etc.
Le argomentazioni portate mi pare ripropongano un po' stancamente quanto già
sostenuto da Occhetto e dai suoi sostenitori dopo l'89 ma tant'è, come
si sa la prima volta la storia si presenta come tragedia, la seconda come
farsa.
Per quanto mi riguarda io la penso così:
Il concetto di comunismo ha una storia che travalica le vicende del secolo
breve. Non voglio qui affrontarlo. Mi pare invece utile sottolineare come
in Italia il gruppo dirigente comunista alle origini si è formato nella
vicenda dell'occupazione delle fabbriche e valorizzando la costruzione dei
consigli di fabbrica. Nel corso della guerra ha saputo dar vita ad un movimento
di resistenza antifascista unitario e democratico che ha contribuito a liberare
l'Italia e a dare al nostro paese un assetto democratico strutturato attorno
ad una carta costituzionale assai avanzata. Successivamente i comunisti hanno
variamente lottato e con una certa efficacia contro lo sfruttamento e per
la giustizia sociale. Un terzo degli elettori italiani è arrivato a
dare fiducia ad un partito che si chiamava comunista e che poneva la questione
morale come punto non secondario della riforma della politica. Rifondazione
comunista nel suo piccolo è stata presente nei vari conflitti che hanno
percorso il paese ed è stata in grado di collocarsi positivamente nella
grande stagione nel movimento no global.
Il tutto cercando di intrecciare le lotte per i diritti sociali con quelle
per i diritti civili, lotte operaie e lotte ambientali, lotte per la redistribuzione
del reddito con le lotte contro la mercificazione delle persone, dell'ambiente,
delle relazioni sociali. In altri temini la parola comunismo in Italia è
legata alle battaglie per la giustizia e la libertà. Dopo l'era craxiana
non mi pare si possa dire lo stesso per la parola socialismo.
La parola sinistra ha storicamente un significato positivo nel nostro paese.
Ha a mio parere un difetto e cioè che si tratta di una coperta che
copre molte cose. Ad esempio all'interno del partito democratico vi sono persone
e posizioni che si definiscono di sinistra che sono però anche variamente
confindustriali e per nulla anticapitaliste. La parola sinistra cioè
da sola non definisce una posizione chiara dal punto di vista della divisione
di classe della società né dal punto di vista della volontà
di superare il capitalismo; tant'è che negli anni scorsi abbiamo giustamente
detto che esistevano due sinistre, quella moderata e quella radicale o alternativa
o antagonista. Da questo punto di vista il definirsi di sinistra e comunisti
mi pare rappresenti un modo chiaro per dire da che parte si sta. Siamo di
sinistra ma siamo anche comunisti, cioè lottiamo contro lo sfruttamento,
quando serve anche contro il Vaticano e ci battiamo per il superamento del
capitalismo. Dirsi comunisti è quindi una risorsa per qualificare il
nostro essere di sinistra. Porre il tema del comunismo significa porre il
nodo della rivoluzione, del cambiamento radicale dello stato di cose presenti.
Tant'è che quando taluni esponenti del centrosinistra affermano di
non voler mai più fare accordi con liste che contengano la falce e
il martello lo dicono non certo per la nostra storia ma perché siamo
concretamente, politicamente, qui ed ora, anticapitalisti.
Questo per quanto riguarda l'Italia. I comunisti però, in particolare
quando hanno preso il potere, hanno anche fatto grandi disastri. Lo stalinismo
ha contraddetto radicalmente le aspirazioni di giustizia e libertà
del movimento comunista. Per questo ci siamo chiamati Rifondazione Comunista.
Non solo il nome di un partito ma un progetto politico: rifondare il comunismo
avendo fatto fino in fondo i conti con lo stalimismo. Riconosciamo che la
storia dei comunisti e delle comuniste è la nostra storia, ne abbiamo
analizzato gli errori e gli orrori al fine di non ripeterli. Rifondazione
e Comunista sono quindi due termini che si qualificano a vicenda, ci parlano
della persistenza ma anche della discontinuità, ci parlano della contraddittorietà
del nostro tentativo di andare oltre il capitalismo nel nostro essere fino
in fondo uomini e donne di questo tempo.
La rifondazione del comunismo è quindi il progetto politico che abbiamo
scelto quando Achille Occhetto ha sentenziato che il comunismo era solo un
cumulo di macerie. Nulla vieta che altri oggi la pensino come Occhetto ma
a me francamente pare che i guai che abbiamo avuto negli anni scorsi non siano
derivati dal nostro nome ma piuttosto dai nostri errori politici, in primo
luogo la scelta di andare al governo.
Io penso quindi che oggi sia più necessario di ieri dirsi comunisti,
di Rifondazione comunista. E' il nome che meglio di qualunque altro definisce
qui ed ora il nostro anticapitalismo e la nostra autonomia da un ceto politico
che si definisce di sinistra ma con le cui prospettive politiche abbiamo poco
a che spartire.
E' evidente che si potrebbe continuare ad argomentare a lungo ma voglio utilizzare
lo spazio che mi resta per sollevare un paio di quesiti.
In primo luogo è evidente che la discussione dovrebbe cominciare da
qui, cioè dalla rifondazione comunista. Si tratterebbe di aprire una
discussione non a negativo ma a positivo. Si tratterebbe di ragionare su come
rendere al meglio oggi la prospettiva comunista. Di come la nostra azione
non si possa situare solo al livello politico della rappresentanza. Di come
si ridefinisca la politica comunista in relazione ai movimenti, alle mille
vertenzialità, alle forme di mutualismo. Di come si intreccino oggi
i diversi conflitti e come possono interagire in una prospettiva di superamento
del capitalismo. Di come si possa affrontare la crisi capitalistica proponendo
il tema del controllo sociale dell'economia ed evitando la guerra tra i poveri.
Di come si intrecci la lotta per il salario con quella per il reddito sociale
con la lotta contro la mercificazione di ogni ambito sociale, e così
via. Il dibattito di cui avremo bisogno non riguarda la ripetizione dell'occhettismo
ma l'approfondimento della prospettiva della rifondazione comunista. Purtroppo
però Liberazione non si cimenta sul terreno della rifondazione comunista
ma su quello del suo superamento.
In secondo luogo è bizzarro che il giornale del Partito della rifondazione
comunista metta in prima pagina il dibattito sul superamento del comunismo
e a pagina 19 gli articoli in cui alcuni dirigenti del partito avanzano proposte
politiche e cercano di far avanzare il progetto di rifondazione comunista.
In altre parole, la vera novità non mi pare il dibattito sul comunismo,
ma il fatto che oggi Liberazione , il giornale del Prc, sia il soggetto che
con maggiore costanza e determinazione chiede il superamento del Prc e del
suo progetto politico. Devo dire che questa novità non mi pare molto
utile.