Sarà caldo l'autunno della scuola.
Il punto sulle politiche scolastiche del governo all'apertura di una stagione che si preannuncia di lotta. Di Danilo Molinari. Settembre 2002.


La scuola italiana riapre tra difficoltà, confusioni, slittamenti e lotte. Durante l'estate, questioni molto delicate che interessano la vita di molti docenti precari e il diritto allo studio sono state affrontate dal ministero con un'arroganza che ha prodotto disfunzioni amministrative i cui effetti non sono ancora del tutto evidenti. A ciò si aggiunge la ripresa delle lotte, in alcune realtà già dichiarate, contro la politica governativa frutto di quel movimento nato dal basso l'inverno scorso, dapprima per opera degli studenti, poi di insegnanti e genitori, e che ha infine coinvolto anche i sindacati. E dietro l'angolo c'è la frossa partita del rinnovo contrattuale.

Come abbiamo più volte argomentato, la politica scolastica del governo Berlusconi, che trova il suo fulcro nella legge-delega Moratti sul riordino dei cicli (più semplicemente riforma Moratti) ha come assi portanti il ritorno a un sistema formativo duale, di chiaro stampo classista, e lo smantellamento della scuola pubblica. La democratizzazione del sapere, cioè la possibilità per tutti di raggiungere i più alti livelli culturali, mai pienamente realizzata ma che era comunque un obiettivo della scolarizzazione di massa, viene oggi apertamente contrastata dal governo che vuole invertire la rotta e ristabilire un sistema scolastico che consenta di accedere ai più alti livelli d'istruzione praticamente in base al censo. Per fare questo è necessario ridurre drasticamente le già scarse risorse destinate alla scuola pubblica, che ha tra i suoi compiti quello fondamentale di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana..." (art. 3 della Costituzione).

Pertanto, avanzamento della riforma e riduzione della spesa per l'istruzione sono due facce della stessa medaglia. Ridurre la spesa significa anzitutto tagliare gli organici, ridurre cioè il personale che lavora nella scuola. Questa operazione, oltre ad abbassare la qualità delle prestazioni di un servizio pubblico essenziale, andrebbe senz'altro nella direzione di agevolare la tanto decantata riduzione delle imposte, se il governo non avesse oggi da risolvere la grana dei conti pubblici: meno spesa sociale giustifica meno entrate fiscali. Risparmiando sul fisco le famiglie borghesi avrebbero maggiori disponibilità finanziarie per mandare i loro figli alle scuole private. E se ciò non bastasse, c'è sempre il sostegno regionale del buono-scuola, che dopo essere stato sperimentato in Lombardia trova sempre più seguaci (vedi Emilia, Lazio, Liguria), ma fortunatamente anche oppositori.

Questo molto succintamente il contesto politico e ideologico in cui si muove la Moratti nella sua opera di distruzione e privatizzazione della scuola, necessario per comprendere l'importanza di una lotta come quella contro i tagli agli organici. Lotta che non va intesa come difesa corporativa di una categoria, ma come battaglia di civiltà e progresso, punto di partenza essenziale anche se da solo non sufficiente per garantire la qualità del sistema formativo italiano.