Genova:
un anno dopo con Carlo nel cuore
E’
passato un anno dai giorni del G8, è passato un anno pieno di verità
nascoste, accuse al movimento, bugie per coprire la violenza
indiscriminata dei celerini, poliziotti che si auto-accoltellano i
giubbotti, bottiglie incendiarie che spariscono e riappaiono dove fa più
comodo, notizie (poco diffuse) sul comportamento amichevole delle forze
dell’ordine nei confronti dei “black bloc” e continui depistaggi
nell’inchiesta sull’omicidio di Carlo. Ad
un anno da tutto ciò, da tutto il sangue versato, dal clima di tensione
creato appositamente mediante allarmi bomba o fantasticherie sulle
“armi” dei disobbedienti (sangue infetto, aerei telecomandati, ecc),
dai massacri nella caserma di Bolzaneto, forse ci si aspettava una sorta
di reazione dei manifestanti, una risposta a coloro che l’anno prima,
con il benestare del governo Berlusconi e soprattutto del fascista Fini,
hanno martoriato i loro corpi con manganelli fuori legge, gas lacrimogeni
contenenti pericolose polveri, cariche con i blindati e colpi di pistola.
Ma così non è stato. La
manifestazione di quest’anno, in cui hanno sfilato più di 150.000
persone, è stata una festa e non un funerale. Tantissimi spezzoni
colorati e festanti, furgoni che sparavano musica a tutto volume, ma anche
appelli, slogan per ricordare a tutti che questa era si una manifestazione
pacifica, ma che aveva come scopo principale quello di continuare a
lottare contro il neoliberismo, quello di ricordare Carlo, di chiedere
giustizia e verità per la sua morte e per i giorni del g8.
Fortunatamente la tensione e le provocazioni, seppur piccole, della
polizia sono state spazzate via dai canti e dai balli. Ma
nonostante la festa del corteo, la felicità e la soddisfazione di essere
a Genova c’era qualcosa, un “non so che” di cui sentivo l’assenza,
la mancanza; era una strana sensazione che aumentava la mia rabbia e la
mia voglia di rendere pan per focaccia ai “difensori” dell’ordine.
Per tutto il tempo in cui siamo stati in piazza Carlo Giuliani questa
sensazione mi aveva quasi accecato; vedevo le frasi, le magliette e i
fiori dedicati a Carlo, vedevo suo padre, lì in mezzo a noi, cantare
l’Internazionale e vedevo stampato sulla sua faccia quel sentimento di
soddisfazione, quel sentimento di amore verso Carlo che nei suoi occhi
riviveva in ognuno di noi. Ed
era proprio questo che più mi colpiva, tutto quello che provavo in quel
momento era l’esatto contrario di quello che provava il padre di Carlo:
il mio odio e la mia voglia di vendetta erano trasformati in lui in amore
e in felicità. Non riuscivo a capire che la cosa più giusta era quella
di sfilare in festa e non di vendicarsi, mi urtavo quando sentivo urlare
“Carlo è vivo” e non riuscivo a capire come facesse lui ad essere
impassibile a quelle urla mentre in me si scatenava un vortice di odio e
voglia di piangere perché Carlo non era lì tra noi, l’avevano ucciso e
niente e nessuno avrebbe potuto farlo tornare tra di noi. E,
oltre a Carlo, era morto anche un po’ di ognuno di noi; il colpo di
pistola che ha ucciso Carlo poteva uccidere ognuno di noi, e, oltre ad
essere rivolto a Carlo, era rivolto al nostro diritto di manifestare, al
diritto di dire no al G8, no a quella combriccola di loschi individui e no
a tutte le zone rosse del mondo. Per
fortuna il lunghissimo applauso e il suono delle sirene del porto alle
17:27 hanno spazzato via da me sentimenti che avrebbero potuto rovinare
una festa in memoria di quel ragazzo che mai ho incontrato ma che da
sempre so di conoscere. Vivere
questi momenti, prendere parte a queste espressioni di gioia e provare in
prima persona la generosità e la benevolenza dell’uomo non può far
altro che darti la forza di andare avanti per questa strada con la
speranza che qualcosa cambi davvero. Forse sono solo sogni, ma una cosa è certa: il diritto di sognare non può togliercelo nessuno! Rukolamolekola
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