L'impero

Finalmente, da febbraio, è disponibile anche in Italia, un libro che sta avendo un enorme successo in tutto il mondo, alimentando il dibattito anche e soprattutto all’interno del variegato mondo del movimento antiliberista globale. Si tratta di un libro particolare, che parla del nuovo ordine mondiale, della globalizzazione, dei meccanismi di potere, della sovranità contestando sia il pensiero dominante neoliberista sia le interpretazioni della sinistra tradizionale. Il libro in questione si intitola “Impero” e gli autori sono lo statunitense Michael Hardt e l’italiano Toni Negri. Il libro è un emozionante viaggio della cultura e dell'intelligenza, dove si incontrano Polibio e Macchiavelli, Spinoza e Debord, Hobbes ed Hegel, Foucault e Deleuze, le lotte degli anni ’60 e ‘70 e gli zapatisti. Ma soprattutto, ci tengono a precisare gli autori, questo libro vuol essere una “scatola di attrezzi” per cercare di capire il mondo contemporaneo.

Non abbiamo la pretesa di poter riassumere un libro così interessante in poche righe; quelli che seguono sono solo degli spunti, da ampliare nei prossimi numeri, magari con l’aiuto degli interventi dei nostri lettori.

Innanzitutto che cos’è l’Impero? Negri e Hardt partono dalla considerazione che non c’è mai stato mercato senza forme di governo dello stesso, di conseguenza non può esserci un mercato mondiale senza che vi sia una qualche forma di governo mondiale: l’impero è la costruzione, in corso d’opera, di questo “governo”; governo particolare sia perché all’interno della sovranità imperiale gli stati nazionali perdono la loro centralità, sia perché l’impero non è un superstato, nel senso classico di mega-apparato burocratico, non avendo un “fuori” ed essendo deterritorializzato, flessibile, dinamico, cioè confacente alle necessità del potere di riprodursi nel nuovo contesto determinato dalle nuove forme di produzione e dalle nuove tecnologie. Non esistono più stati nazionali in competizione tra di loro per la conquista di mercati non-capitalistici, come la tradizionale interpretazione leninista dell'imperialismo ci proponeva. Il nuovo ordine mondiale è sorto ed ha sottomesso al capitalismo tutto il pianeta e al contempo ha creato una nuova sovranità che non si basa più sugli stati nazionali. Naturalmente M.Hardt tiene a precisare: "Questo non significa dire che gli stati nazionali non siano più significativi, ma che essi sono stati spiazzati dalla posizione di autorità sovrana. Essi funzionano da elementi della sovranità imperiali." Tutto ciò ci viene testimoniato dal continuo ricorrere, in occasione dei conflitti, non più nei termini di interesse nazionale, ma al contrario di interessi e valori universali: l'Impero interviene in base a ciò che ha stabilito essere la “pace” e i “diritti umani”. Inoltre è importante sottolineare che: "nonostante la posizione privilegiata degli Stati Uniti nell'ordine imperiale è importante comprendere che essi - e nessun altro stato nazionale - non sono e non possono essere il centro del controllo imperiale”. Gli stati nazionali si dispongono nel contesto imperiale come filtri tra le istituzioni, le imprese globali-multinazionali e la moltitudine.

Da dove e perché nasce l’Impero? Anche su questo gli autori sono molto chiari: l’impero nasce come reazione del potere alle lotte sociali (operai, disoccupati, femministe, ambientalisti, ecc) e a quelle del proletariato del terzo mondo, nonché ai movimenti di emancipazione che hanno attraversato l'ex-mondo del socialismo reale. In questa prospettiva, l’approccio è del tutto marxiano: sono le lotte che generano lo sviluppo, sono i movimenti del proletariato che producono la storia; il potere non genera niente, è soltanto reattivo, ogni volta deve rincorrere i desideri e le lotte della moltitudine per ingabbiarli e perpetuare il suo dominio sempre più parassitario. In particolare, sono state le lotte dell'operaio-massa che rifiutava il lavoro ripetitivo e frammentato della catena di montaggio ad accelerare quella rivoluzione tecnologica che ha portato alla socializzazione e all'informatizzazione della produzione: così com'è stata l'incontenibile pressione della forza lavoro nei paesi post coloniali d'Asia e d'Africa a generare, insieme, quei sussulti di produttività e quei movimenti di popolazioni che hanno sconvolto le rigidità nazionali dei mercati del lavoro. Infine, nei paesi del socialismo reale, è il desiderio di libertà della nuova forza lavoro tecnica ed intellettuale, che fa saltare in aria la vetusta disciplina socialista e con ciò distrugge le gabbie della burocrazia stalinista.

Questa grande stagione di lotte ha avuto come filo conduttore alcune caratteristiche: da una parte la disaffezione al lavoro ed ai ruoli precostituiti della divisione sociale del lavoro, dall’altra la tendenziale rinuncia alla organizzazione centralizzata-gerarchizzata (embrione della futura società “liberata”) a favore della capacità di costruire reti dal basso e il rifiuto della rappresentanza in favore dell’autorganizzazione diffusa come pratica di democrazia radicale. In altri termini questi movimenti hanno posto le basi per la liberazione dal capitalismo senza la necessità di mediazioni, “transizioni”, “prese del palazzo”, ecc.

Per cosa e come lottare contro l’Impero? A questa domanda è più difficile rispondere, ma la strada ci viene indicata dalle lotte che si sono sviluppate negli ultimi anni e che sono riuscite ad incidere sull’immaginario collettivo e a trovare nuove prospettive. Ci riferiamo in particolar modo alle lotte contro il neoliberismo che hanno posto la necessità del reddito di cittadinanza sganciato dalla prestazione lavorativa, alle lotte che hanno posto la necessità della realizzazione di una comunità universale, fondata sulla libera circolazione e sugli stessi diritti per tutti. L’altra rivendicazione che Negri e Hardt segnalano è quella del diritto alla riappropriazione dei mezzi di produzione e di quella comunicazione che viene prodotta dall’insieme del corpo sociale. Possiamo capire che proprio attraverso questa idea di diritto di riappropriazione è possibile per esempio difendere e sviluppare dei progetti irriducibili alle logiche di mercato ed al copyright.

Secondo gli autori di Impero il dispositivo che va messo al centro di queste rivendicazioni è posse. Un termine che si riferisce alla trinità umanistica e rinascimentale esse - nosse - posse (essere- conoscere- potere) e alla terminologia della musica hip-hop e del Selvaggio West americano dove significa gruppo, gang. Ma che cosa è posse? È organizzazione? "Posse non è ancora organizzazione. È’ un potere creativo che cerca organizzazione e che la può trovare su di un terreno pratico" risponde M.Hardt. In posse acquisiscono una funzione centrale i corpi che vogliono liberarsi da tutte le forme di mercificazione ed alienazione. Corpi che vogliono contaminarsi, esprimersi, decidere della propria alimentazione, del proprio riprodursi, dell'affetto e della propria esistenza.

 

R.U.K.O.L.A. 5

 in collaborazione con R.U.K.O.L.A  7, Falce e Marcello

 

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