no! no! non si può più dormire! |
Domenica
pomeriggio. Finalmente sono a casa. Mangio qualcosa giusto per recuperare
un po’ di energie, dopo tutte quelle consumate durante le giornate di
Genova. Poi esco per riunirmi con i compagni che avevo la sera prima
lasciato. In tutti prevale l’incredulità, la rabbia e tristemente una
forte impotenza. Sappiamo che come gli assassini di Giuseppe Pinelli,
Marco Serrantini, Pedro Greco (la lista potrebbe seguire per righe e
righe) non hanno avuto alcuna giustizia, cosi anche Carlo Giuliani sarà
solo uno dei tanti morti uccisi dallo stato, che per difendere gli
interessi di una stretta cerchia di potenti non disdegna di ammazzare le
persone che dovrebbe difendere. Ritorno
a casa. E’ oramai tardi e domani si ritorna in quella galera chiamata
fabbrica. Mi metto a letto perché voglio assolutamente dormire,
l’indomani non ho voglia di sentirmi gridare da uno di quei caporali che
non so lavorare. Appoggio la testa sul cuscino. La stanchezza è tanta ma
il sonno non arriva. Ritorno al 19 luglio quando siamo arrivati a Genova.
Ci siamo sistemati sotto un tendone gigante. Eravamo ancora pochi ma
eravamo felicissimi al pensiero che ci saremmo trovati da
lì a poco tra tanti compagni. Infatti prima della partenza del
corteo dei migranti eravamo già tantissimi. Il corteo è stato maestoso.
Eravamo in 70mila, ancora una volta affianco dei fratelli stranieri per
gridare che non devono esserci più confini e che tutti i migranti hanno
il diritto di trovare asilo nei paesi responsabili della fame e delle
guerre da cui scappano. Ad urlare che nessuno deve sentirsi in diritto di
condannare chi cerca pace e lavoro. Nel
buio le mie labbra accennano un sorriso. Mi rigiro sul cuscino e ripenso
alle parole del compagno durante l’assemblea preparatoria della
manifestazione dei disobbidienti. Si raccomandava di non portare nessun
tipo di arma, come bastoni o pietre, ma di preparare le proprie protezioni
per il corpo. Sapevamo che il giorno dopo la polizia non avrebbe avuto
pietà. Il compagno sottolineava che chiunque non era sicuro di
fronteggiare la polizia non doveva assolutamente sentirsi spinto a farlo.
Ma nessuno si è tirato indietro. Nessun fucile e nessun manganello
possono fermare la forza delle convinzioni. L’immagine cambia. Sono già
bardato di protezioni, casco, maschera e nessun bastone. Sono di fronte a me e avanzano senza alcuna
esitazione. Di li sono già passati quelli del black block e non mi sembrano tanto spossati ne feriti, quindi
intuisco che la polizia non deve essere stata tanto cattiva con loro, anzi
credo che gli abbia lasciati fare per giustificare quello che poi avrebbe
fatto a noi che manifestavamo pacificamente. Sento tanti colpi di fucile,
sono i lancia lacrimogeni. Vengo investito da una nuvola bianca e
nonostante la maschera antigas, inizio a soffocare quasi immediatamente.
Sono anni che le forze dell’ordine mi deliziano con i loro Sbuffo
e mi rigiro nuovamente tra le lenzuola. Dovrei essere stremato da quattro
giorni di lotta. Ma la mia mente ripiomba nei ricordi. Sono con una
trentina di compagni. Siamo rimasti isolati dal cordone principale. Ci
prepariamo all’ennesima carica della polizia. Loro sono almeno
cinquanta. Eccoli che arrivano. Mi si gela il sangue nelle vene. Aspetto
solo che giunga lo schianto. Credo di aver pensato a mille cose in
quell’istante fino a che sono stato sbattuto a terra. Fortunatamente i
compagni del cordone principale si accorgono di quello che sta accadendo e
intimano la polizia a ritirarsi. Così avviene. Siamo salvi per un pelo.
La polizia questa volta scappa. Scappa così forte che non ha il tempo
neanche di riprendersi uno degli autoblindo che avevano usato per farci
disperdere con il rischio di investirci. Non ci siamo dispersi. Eravamo
tutti compatti ma c’erano stati troppi feriti. Decidiamo di ritirarci.
Ci incamminiamo verso lo stadio. Mentre è in atto la ritirata alle spalle
sentiamo le sirene della polizia. Inspiegabilmente ci caricano alle spalle
con degli idranti. Spruzzano un liquido irritante. Inizia una fuga
violentissima. Il panico, causato dal bruciore alla pelle e dalle
difficoltà respiratorie dovute ai lacrimogeni, ha preso tutti i compagni.
Gli idranti si fermano. Possiamo riprendere un po’ di fiato. Mi
sento gli occhi gonfi e pesanti. Sto per finire tra le braccia di Orfeo ma
inesorabilmente un brivido mi desta. Mi trovo con le mani alzate di fronte
alla polizia. Stiamo indietreggiando con le mani alzate. Loro avanzano
battendo con i manganelli sugli scudi. E’ terrificante. Credo che tutti
i compagni stavano aspettando la stessa cosa che non tarda a venire. I
poliziotti caricano. Ci giriamo e scappiamo. Veniamo travolti da un orda
di barbari che con le loro mazze imperversano su di noi. Mi alzo un po’
malconcio. Una signora invita me ed altri ragazzi ad entrare in casa sua
per rifugiarci mettendo a rischio la sua incolumità e quella della sua
famiglia. La signora aveva visto tutto e molto gentilmente ci offre la sua
solidarietà. Solidarietà che a dire di molti compagni non è affatto
mancata a Genova. Sembrava che la gente fosse tutta con noi. E forse era
proprio così. Attendiamo che la polizia se ne vada per tornare allo
stadio. Sento
il mio corpo ribollire di rabbia. Come è possibile che questi ragazzi ci
odino così tanto. Cosa li spinge ad agire con tanta efferatezza. Povere
vittime del loro padrone. Scelgono di picchiare a sangue un loro coetaneo
per pochi soldi al mese. La riflessione dura poco. Ho un altro flash_back.
Sono arrivato finalmente allo stadio. C’è uno strano silenzio ma non ci
bado, sono troppo felice di essere sano e salvo. Sono troppo contento di
riabbracciare i miei compagni preoccupati del mio ritardo. Ficco
la testa sotto il cuscino sperando che mi aiuti a scacciare i pensieri.
<<Hanno sparato ad un compagno. E’ morto>> mi sussurra M.
all’orecchio. Mi guardo in torno il silenzio che prima non avevo notato
adesso mi soffoca. Perché? <<Chiediamo
giustizia per il compagno morto. La nostra vendetta deve essere una
vendetta intelligente. I nostri governanti vogliono riportarci agli anni
di piombo. Vogliono farci entrare nuovamente in quella spirale di morte
che ha interessato la nostra nazione e che ha portato allo spegnimento
delle lotte sociali. Noi non butteremo via tutto quello che è stato fatto
in questi anni. Noi continueremo a manifestare disubbidendo. Noi
continueremo a manifestare pacificamente per dimostrare che la vera
violenza è quella dello stato >>. Questo è uno dei tanti
interventi che hanno riempito la serata del 20 luglio. Serata dominata da
un rispettoso silenzio. I compagni che sono intervenuti hanno raccontato
le loro esperienze. Inaudita violenza è stata quella dello stato durante
le giornate di Genova. Gli otto signoroni hanno raggiunto un accordo. Si
sono spartiti la terra senza consultare chi ci vive. Hanno deciso cosa
fare dell’aria senza chiederlo a chi la respira. Hanno scelto come
sfruttare l’acqua senza domandarlo a chi la usa per vivere. Senza alcuna
delega hanno scelto cosa fare della nostra vita. No! No! No! Non si può più
dormire. La luna è rossa, rossa di
violenza. Bisogna piangere i soldi per
capire Che l’ultima giustizia borghese
si è spenta. (*) Sto
per addormentarmi finalmente. Sto pensando all’amore e alla solidarietà
che la gente di Genova ci ha regalato. Penso ai momenti belli che ho
passato con i miei fratelli. Il mio cuore si riempie di gioia e di rabbia.
Niente ci restituirà i compagni morti ma da oggi tanti non si sentono più
soli perché sanno che sono scese in piazza 300000 persone da ogni parte
del mondo ad affermare che:
un
altro mondo è possibile!!! ·
Tratto da una
ballata degli anni ’70 intitolata “
Piazza Fontana”.
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