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      siamo il lavoro e vogliamo reddito per essere movimento |  | 
| Su Rukola varie volte abbiamo parlato del “reddito di
      cittadinanza”, a volte di sfuggita a volte in forma di
      “filastrocca”; stavolta cercheremo di affrontare l’argomento in modo
      più esplicito riservando a noi stessi e ai lettori la possibilità di
      futuri approfondimenti. Per reddito di cittadinanza si deve
      intendere l’erogazione di una somma di denaro a scadenza regolare e
      perpetua, in grado di garantire una vita dignitosa, indipendentemente
      dalla prestazione lavorativa effettuata. Secondo tale definizione
      questa erogazione deve avere due caratteristiche: deve essere universale
      e incondizionata, cioè deve essere data a tutti gli esseri umani
      senza alcuna discriminazione (di genere, di nazionalità, di reddito, ecc)
      per il solo fatto di “esistere”; infatti, in tal senso, sarebbe forse
      più appropriato parlare di “reddito d’esistenza” che di reddito di
      cittadinanza. Il carattere incondizionale e
      universale distinguono il reddito di cittadinanza da altre definizioni
      quali “salario sociale” o “reddito sociale minimo”, in quanto
      questi ultimi  pongono dei
      requisiti per poter accedere a tale forma di erogazione: un certo periodo
      di disoccupazione, una certa condizione socioeconomica (figli a carico,
      reddito familiare sotto la soglia x, tipo di lavoro, ecc). E in ogni caso
      si verrebbe a perdere il diritto al sostegno allorquando il soggetto
      ricevente trovasse una occupazione “stabile”. Quindi da una parte
      abbiamo forme di assistenza, di complementarietà all’organizzazione
      attuale della società, che non pongono in questione la centralità del
      “lavoro come misura di tutte le cose” (ovviamente misura determinata
      dai più forti), e dall’altra una concreta prospettiva di
      ridistribuzione delle risorse, di un modo diverso di concepire la
      divisione della ricchezza sociale. In altre parole se il reddito è
      l’unica fonte di accesso al consumo e se il consumo è un diritto
      fondamentale anche il diritto al reddito deve rientrare nel novero dei
      diritti umani inalienabili. Si tratta, quindi, di prospettive
      profondamente diverse ma che possono avere dei percorsi comuni se si tiene
      conto che è necessario estendere il conflitto sociale non solo nei
      “posti di lavoro” (fabbrica-ufficio) ma su tutto il territorio, in
      tutti i “luoghi” della produzione materiale e immateriale, della
      creazione degli immaginari e del consenso sociale. L’attualità del reddito di
      cittadinanza, la sua “legittimità” e la sua praticabilità derivano
      dall’analisi dell’attuale sistema di produzione, dominato dalle forme
      di accumulazione capitalista occidentale. Chiediamoci qual è l’elemento
      dirigente della produzione oggi? La risposta non può che essere
      una: il lavoro immateriale. Questo non vuol dire che tutti
      lavoriamo al computer o sciocchezze del genere, ma che la scienza, la
      comunicazione, il linguaggio, l’organizzazione, la creatività,
      l’immaginazione sono diventati gli elementi principali (nel senso di dirigenti)
      del sistema di produzione, sono stati sussunti, inglobati, direttamente
      valorizzati dal capitale per produrre profitto: il marketing, la
      pubblicità, la creazione di loghi, le indagini di mercato,
      l’informazione, la capacità di creare mode, “bisogni”, “gusti”,
      “tendenze”, l’organizzazione flessibile, reticolare, facilmente
      trasformabile della produzione sono gli elementi portanti del sistema, e
      non a caso sono ciò in cui maggiormente investono i grandi gruppi, le
      multinazionali, coloro che dominano l’economia mondiale. Questa
      centralità del lavoro immateriale è stata resa possibile dallo sviluppo
      enorme delle nuove tecnologie (computer, informatizzazione, internet, ecc)
      che a loro volta sono state la risposta del sistema di dominio alle lotte
      sociali degli anni ’60 e ’70 (“la macchina corre dove c’è lo
      sciopero” ricordate il vecchio Marx?). Considerato il fatto che ognuno di
      noi, in ogni momento, è, in qualche modo, in qualche forma, partecipe
      della costruzione di quell’immenso bacino di passioni, creatività,
      pensieri, linguaggi che vengono messi in produzione per aumentare
      enormemente il volume dei profitti delle imprese, il reddito di
      cittadinanza non è altro che la remunerazione di questo tempo di
      lavoro che noi realizziamo, che noi siamo ma che non ci viene in alcun
      modo retribuito. Il reddito di cittadinanza è una forma di
      redistribuzione di quella produttività immateriale, che oggi
      sfugge alle statistiche ufficiali, ma che produce quella ricchezza,
      gestita da pochi per lo più per la speculazione finanziaria, e che è
      all’origine delle forme di esclusione sociale attuali.  Un intervento sui guadagni di
      produttività (con una tassazione dei beni capitali o sugli investimenti
      diretti all’estero) e sulle transazioni finanziarie (per esempio su una
      qualche forma di Tobin tax) sono i campi in cui trovare le risorse
      economiche per un finanziamento possibile del reddito di cittadinanza. Ci
      teniamo a sottolineare che non si tratta di “tassare qualcuno” ma di
      acquisire ciò che quotidianamente, consapevolmente o meno, costruiamo.  Al reddito di cittadinanza di
      solito si portano due critiche fondamentali uno di destra e l’altra di
      “sinistra”. Quella di destra suona più o meno così: “l’essere
      umano è una bestia, se non è sotto la frusta, il ricatto, la minaccia
      non fa niente, quello che voi proponete è follia pura che darebbe vita
      alle peggiori forme di parassitismo sociale”. Erano le stesse e
      identiche argomentazioni che si portavano contro il suffragio universale
      (“dovrebbero votare anche questi ignoranti?!”) o il voto alle donne o
      il divorzio (”sarà la fine di ogni forma di convivenza civile!”),
      ecc.  In realtà qualsiasi studio non
      ideologico della società ci mostra l’immensa quantità di cose che gli
      esseri umani fanno senza essere sottoposti al ricatto del lavoro. Si
      consideri inoltre la trasformazione, la liberazione della coscienza
      individuale e collettiva che le lotte sociali per queste importanti
      conquiste comportano. Le possibilità positive non sono nel rampantismo ma
      nel rifiuto della “fatica”, del “sacrificio” i cui frutti, specie
      oggi, sono nelle mani di qualcun’altro e/o in un domani sempre più
      incerto. Il rischio non è nella “pigrizia”, ma nell’attuale modello
      di sviluppo che sta portando alla catastrofe sociale ed ecologica. Per quel che riguarda la critica di
      “sinistra” potremmo così riassumerla: “il reddito di cittadinanza
      non è altro che una misura <<riformista<<, un modo per
      mettere una pezza nei buchi sociali del capitale”. Contro tali
      argomentazioni dobbiamo rispondere: 1)     
      le “riforme” quando realmente tali (cioè quando danno più
      spazio alle possibilità delle persone comuni di incidere sulle decisioni
      politiche, collettive e quando aumentano l’autonomia dei soggetti
      rispetto ai meccanismi di potere) non sono affatto in contrasto con più
      ampie trasformazioni della società, anzi sono fondamentalmente,
      strategicamente, funzionali ad esse. 2)     
      Il reddito di cittadinanza si muove comunque in direzione opposta a
      quella insita nel perseguimento di una politica di concertazione
      sindacale, di flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro,
      che è la strada funzionale alle esigenze delle imprese. 3)     
      Il reddito di cittadinanza, se incondizionato e universale, apre
      delle dirompenti contraddizioni all’interno della gerarchia economica,
      rompendo il disciplinamento sociale imposto dal ricatto del bisogno e
      dalla necessità del lavoro.    Inoltre in un mercato del lavoro
      caratterizzato sempre di più dalla contrattazione individuale a tutti i
      livelli (tempo, salario), anche laddove esistono forme di contrattazione
      collettiva (lavoratori dipendenti a tempo indeterminato), la capacità di
      sviluppare conflittualità, per il miglioramento delle proprie condizioni
      lavorative e reddituali, si scontra con la frammentazione dei soggetti del
      lavoro. Per questo il reddito di cittadinanza, insieme all’estensione
      della conflittualità sociale e della disobbedienza alle leggi del
      mercato, dell’esclusione e della guerra, è uno strumento (non un fine
      in sé) per poter favorire un processo di ricomposizione delle classi
      subalterne e sviluppare nuove prospettive e nuove conflittualità per una
      società più giusta. Rukola, bread and roses | ||
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