Interwiew
with Mr. Wolf may 1995
previously published in Culture del
Conflitto
colpire
le menti alterazioni occupazione
macchine elementari ogni luogo
arte
per colpire le menti
MR.WOLF:
la prima azione d’impatto sul pubblico: costrudistruzione a Praga.
SCIATTO:
diciamo che è stata una fortuna pazzesca iniziare a lavorare nel
paese di Kafka, della metamorfosi, del golem. Pensavamo che il nostro intervento
sarebbe dovuto servire a trasformare la percezione normale di alcuni elementi
di vita quotidiana della città, un tram, un’auto, alla fine ci siamo
trovati a modificare i comportamenti del “pubblico” che durante l’azione
di pittura ci toglieva di mano i barattoli di colore, ci s’imbrattava,
li lanciava sull’installazione.
W.:
parliamo di Acqua Sporca, un’installazione che ha segnato la vostra prima
partecipazione organizzata in un centro sociale. 1991 Festival dell’Arte
al Forte Prenestino: qual è stato il rapporto con il centro all’interno
di una manifestazione abbastanza anomala come un festival dell’arte?
S.:
noi abbiamo partecipato al festival pensando che non dovesse essere una
mostra, era l’opportunità, per chi era invitato, ad interagire con
il centro nella realizzazione della propria opera, così anche la
nostra stanza di tortura domestica era una raccolta di strumenti destinati
ad essere manovrati dai visitatori. Questa installazione è parte
di una progressione: nelle prime cose che abbiamo realizzato si poteva
entrare per guardare, in questa si entrava per mettere in azione meccanismi,
il passo successivo sarebbe stato quello della vera svolta, le macchine
da guerra azionate da noi, contro e in mezzo alla gente. In Sfuggi la Morsa
eravamo in piazza, metri quadri pressoché illimitati a disposizione,
un coinvolgimento altissimo, il vero panico.
W.:
voi vi siete trovati più di una volta fin dai primi lavori, a confrontarvi
con il concetto di mutazione, di alterazione di uno spazio....
S.:
la mutazione è alla base del nostro lavoro: intervenire in un luogo
per sovvertire gli elementi che lo conformano, prendere uno spazio che
normalmente ha un uso e per un periodo limitato di tempo farlo diventare
totalmente differente, una zona temporaneamente mutante.
La mutazione ha per
noi una funzione di svelamento, ti fa vedere una cosa che tu un minuto
prima non vedevi ma che già esisteva in quel posto. La mutazione
è già parte della realtà: gli elementi vengono solo
ridescritti, uno ad uno riraccontati. E’ una tecnica di straniamento un
tram diventa un ventre, un mercato ghetto, i binari del porto fluviale
passano da struttura per trasportare merci a via d’assalto per un carro
di fuoco....
W.:
un elemento ricorrente il fuoco.
S.:
con una doppia funzione: espressione tribale, rito di appartenenza, ma
anche elemento di visibilità urbana, accendere un faro di fuoco
in un centro sociale è un modo drammatico per riportarlo nella mappa
della città.
W.:
l’esperienza di chi organizza gli illegal raves è certamente anche
quella una esperienza di mutazione: mutazione d’uso dello spazio, mutazione
di percezione del luogo determinata dall’evento che si sta svolgendo, alterazione
degli stati di coscienza. Ma questa mutazione che l’evento determina è
allora alterazione della percezione o estensione di questa, secondo una
distinzione proprio delle speculazioni intorno l’uso di sostanze psicotrope?
S.:
se vuoi il nostro tentativo è quello di produrre una temporanea
alterazione dello stato percettivo agendo sulla composizione dello spazio
piuttosto che su quella chimica del corpo.
Nelle nostre azioni
puntiamo ad una trasformazione durante l’evento
che possa successivamente
svilupparsi in una estensione, una differente indicazione d’uso genera
la coscienza di una mutazione possibile.
E’ la temporaneità
dell’evento determinante in questo processo il luogo muta per poco e si
prepara ai successivi mutamenti, solo piccole e brevi alterazioni circoscritte
nel tempo e nello spazio garantiscono le possibili estensioni.
W.:
all’interno del vostro lavoro è più importante l’elemento
tempo o lo spazio?
S.:
le nostre macchine esistono, occupano lo spazio solo per la durata breve
dell’azione poi quando questa finisce le macchine non esistono più,
sono distrutte o immediatamente smontate. Se lavori per l’evento lavori
per il tempo breve della mutazione, e ti poni in una posizione critica
nei confronti di uno stato di cose prestabilito, il lavoro sullo spazio
è un lavoro completamente diverso. L’intervento stabile sullo spazio
deve necessariamente poter essere reinterpretato, lavori sulla ripetizione
degli elementi, una serialità che ti permetta il continuo riuso:
é il tentativo del progetto Sala Macchine.
W.:
questo decennio ha visto in tutta Italia occupazioni continue di centri
sociali, chi occupa sfugge al tempo classico fordista delle otto ore di
lavoro, il centro della sua lotta non è la riduzione dell’orario
di lavoro ma piuttosto l’autogestione dello spazio....
S.:
anche qui la nostra riflessione si concentra sul fattore tempo, le dinamiche
di trasformazione attuali ci fanno ritenere sempre maggiormente precario
lo spazio dei centri sociali nella città: legare le nuove occupazioni
ad un progetto specifico piuttosto che non ad un radicamento in uno specifico
luogo. Non dobbiamo essere tracciati, la durata delle occupazioni andrà
misurata sul lavoro che intendi svolgere, sulla autogestione delle attività
più che sul servizio che
vuoi offrire ad un
quartiere; può essere un laboratorio video o di progettazione può
essere una BBS ma comunque muta criticamente uno spazio per un tempo limitato.
W.:
assunta l’impossibilità di sconvolgere il mondo in dieci giorni
il tentativo è ora quello casomai di trasformarlo, qual è
stata la vostra esperienza nel “Progetto Majakovskij”, il gruppo di lavoro
che ha organizzato numerose iniziative teatrali dentro e fuori i centri
sociali di Roma?
S.:
ripartire da Majakovskij, rileggere le esperienze delle avanguardie nei
centri sociali significava allargare lo spettro della comunicazione che
il fenomeno del rap in espansione stava costringendo nell’evento/concerto.
La domanda era esistono altre forme di espressione della cultura coatta
cui apparteniamo? l’autoproduzione musicale esiste ha le sue strutture
ed i suoi strumenti di comunicazione, per il teatro, le installazioni,
la scultura il campo di azione è ancora tutto da costruire. L’esperienza
di lavoro all’interno del Progetto Majakovskij ci ha permesso di realizzare
a fondo, proprio le meccaniche dello straniamento, come somma di strati
di lettura.
W.:
mi sembra che il lavoro di preparazione delle cose che realizzate sia molto
vicino a quello di chi progetta una installazione una struttura, eppure
poi le macchine entrano in azione e dall’esterno quello che si vede è
una forma di teatro; allora parliamo di questo scarto tra chi progetta
e compie l’azione e chi assiste.
S.:
finora due elementi ci hanno aiutato a mantenere critico il rapporto fra
noi e chi ci guarda: le macchine e gli spazi che abbiamo scelto per le
azioni. Le macchine sono uno strumento di instabilità, sono un ponte
fra noi e chi abbiamo di fronte, la gente viene spinta urtata coinvolta
il più possibile nell’azione, i luoghi sono solo temporaneamente
e precariamente teatri, non garantiscono mai zone franche da cui guardare
lo spettacolo ogni zona è a rischio; manca sempre un punto di vista
preferenziale e noi possiamo approfittare dello spaesamento che provochiamo;
in questo modo tentiamo di cambiare i rapporti di forza: da una parte il
blocco della rappresentazione dall’altra il blocco fermo della fruizione.
Le macchine sono strumenti
collettivi in cui chi manovra non è visibile o quasi, il corpo è
cancellato, le articolazioni sono tubi e metallo, le macchine non sono
meccanismi ma estensioni del corpo, ti puoi trovare fuso in un carrello
della spesa con il campo visivo ridotto al minimo, lo spettatore non vede
un attore che recita anzi non riesce nemmeno a capire quante persone siano
impegnate in quel momento. Non pensiamo che sia necessario andare a caccia
di quante parti zoomorfe esistano in un motore ma invece riconoscere di
quante parti meccaniche sia composto un corpo perciò usiamo macchine
elementari come leve, ruote...Macchine elementari sono esseri elementari.
Non serve simulare mutazioni...è un’operazione abbastanza stupida
prendere un trattore e farlo diventare un drago quando una qualunque pala
meccanica è già un drago...
W.:
è un’indagine sull’aspetto neotribale del cyberpunk la vostra i
carrelli di cui parlate sono estensione/alterazione del corpo, sono innesti,
sono comunque parte delle nuove possibilità anche tecnologiche date
al corpo...
S.:
certo ma noi cerchiamo di usare il minimo della tecnologia possibile, un
tubo innocenti innestato nel braccio è già una protesi bionica,
è il minimo dell’impegno meccanico possibile... è soprattutto
lavoro fisico.
ogni
luogo può essere mutato ogni luogo può essere occupato
W.:
due domande che sono una: cos’è il Gioco per Sciatto cos’è
il Drago?...l’aspetto ludico della vostra esperienza.....
S.:
come gioco il nostro è un gioco duro, catartico, cerchiamo di essere
il più pesanti possibile nel gioco che conduciamo....
W.:
il punto è che c’è un mettersi in gioco nelle vostre azioni
che
necessariamente coinvolge
chi guarda, ognuno alla fine è giocatore....
S.:
il gioco che giochiamo è quello di cercare di entrare in contatto
con chi ci è di fronte rompendo ogni possibile staticità,
stabilità dei rapporti...non è un gioco gioioso è
un gioco al massacro, liberatorio in fondo per chiunque partecipi.
W.:
cos’è il Drago?
S.:
è il mutamento, il divenire contro l’immutabilità la repressione...il
gioco del drago è gioco di movimento...
W.:
il gioco del drago, di cui siete stati fra i promotori, è stato
un tentativo di riscrivere in modo ludico la mappa della città...
un’altra città che già esiste o che ha bisogno di carpentieri
per essere fondata?
S.:
una città da svelare, una città che per dieci anni ha visto
carpentieri al lavoro ma che ora esiste è forte e popolata di viaggiatori,
di randagi. E’’ questo il prossimo compito dei centri sociali rendere visibile
questa altra città, non c’è più bisogno di fondare
serve rendere questa città fruibile, i centri sociali sono gli unici
luoghi che ti permettono di mettere in atto le tue potenzialità,
ma questo non è sufficiente: solo se ti rendi visibile ti diffondi.
W.:
è la consapevolezza che non c’è il tempo per vedere una città
futura che porta a svelare un’altra dimensione di vita in questa presente,
è una questione di politica sul territorio dei centri sociali....
S.:
non si tratta di costruire fortini, avamposti nella città ma di
costruire una diversa coscienza di vita nella metropoli.
W.:
è il movimento, il nomadismo dei suoi abitanti
che alla fine costituisce
ed edifica l’altra città, ma allora come percorrere la metropoli
che come dice Mike Davis è già oltre Blade Runner, di quali
armi impossessarsi, secondo quali vie di fuga è possibile evitare
il modello imposto?
S.:
la linea di fuga che Sciatto indica sta certamente nel suggerire che i
luoghi della città, tutti i luoghi della città possono mutare
stato di conoscenza, possono essere continuamente modificati con armi elementari,
rudimentali, una occupazione è una mutazione e ogni mutamento un’arma....
W.:
linea di fuga certo, per dirla con Deleuze e Guattarì fuga significa
non fare mai il punto, non fermarsi mai... ultima cosa: Sciatto disegnerà
la mappa di queste altre città?
S.:
sicuramente agendo su alcuni luoghi di Roma stiamo costruendo una mappa
virtuale della città intervenire su più punti della città,
sui margini, senza darne mai uno come preferenziale è tracciare
una mappa, indicare strade da percorrere non luoghi in cui restare stabilmente:
non abbiamo mai costruito nulla perché restasse nello spazio o nella
memoria, ogni luogo può essere mutato ogni luogo può essere
occupato.